con sentenza resa in data 23/12/2021, la Corte d’Appello di Trieste, in accoglimento per quanto di ragione dell’appello principale proposto da Pa.Ma. e dell’appello incidentale proposto da VITTORIA ASSICURAZIONI Spa, e in riforma per quanto di ragione della decisione di primo grado, ha rideterminato gli importi risarcitori già riconosciuti dal primo giudice in favore di Pa.Ma. in relazione ai danni dalla stessa subita a causa del sinistro stradale dedotto in giudizio, in conseguenza del quale Ga.Ca. (coniuge della Pa.Ma.), transitando a piedi lungo la via Diaz nel Comune di Udine, veniva travolto dall’autovettura condotta dalla proprietaria, Co.Ca. (ed assicurata dalla VITTORIA ASSICURAZIONI Spa), perdendo la vita;
a fondamento della decisione assunta, la corte territoriale – ribadita la correttezza della decisione del primo giudice, nella parte in cui aveva attribuito una concorrente responsabilità alla vittima nella causazione del sinistro mortale – ha ritenuto di dover rideterminare (in aumento) l’importo risarcitorio da attribuire in favore della coniuge della vittima, Pa.Ma., e ha riconosciuto l’infondatezza delle censure proposte dalla madre (Os.Ma.) e dai fratelli (Ga.Fr., e altri, nelle more deceduta) di Ga.Ca. in relazione agli importi risarcitori loro riconosciuti, nonché la fondatezza del rigetto della domanda proposta da Pe.As. (suocera della vittima);
peraltro, in accoglimento dell’appello incidentale proposto dalla VITTORIA ASSICURAZIONI Spa, la corte territoriale ha corretto l’entità degli importi risarcitori riconosciuti dal primo giudice, osservando come la riduzione del risarcimento del danno in ragione del concorso di colpa della vittima dovesse essere applicata sul capitale “al lordo”, e non già al netto, degli acconti anticipatamente corrisposti dalla compagnia assicuratrice, e che, con riguardo alle somme che il defunto Ga.Ca. avrebbe potuto destinare alla moglie, le stesse dovessero essere calcolate come quota del reddito netto, ossia di quello risultante a seguito del pagamento delle imposte;
avverso la sentenza d’appello, i ricorrenti in epigrafe indicati propongono ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi d’impugnazione;
VITTORIA ASSICURAZIONI Spa resiste con controricorso;
Co.Ca. non ha svolto difese in questa sede;
con il primo motivo, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2054, co. 1, e 1227 c.c. (in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.), per avere la corte territoriale erroneamente ed illegittimamente riconosciuto un concorso di colpa, nella misura del 10%, in capo al defunto Ga.Ca., senza considerare che il sinistro stradale in esame ebbe a verificarsi esclusivamente a causa del grave stato di ebrezza alcolica in cui versava la Co.Ca., senza alcuna residua responsabilità riconoscibile in capo alla vittima;
il motivo è inammissibile;
osserva il collegio come la corte territoriale abbia diffusamente dato conto, nella motivazione della sentenza impugnata, delle ragioni per cui la condizione di incapacità in cui si era volontariamente posta la conduttrice responsabile dell’investimento (alla quale fu applicata una pena su richiesta per guida in stato di ebrezza) non fosse valsa a giustificare l’assorbimento di ogni valutazione del comportamento della vittima, della quale, al contrario, la Corte d’Appello ha espressamente indicato le ragioni della correlativa rimproverabilità colposa (rilevante ai sensi dell’art. 1227, co. 1, c.c.), nella specie costituita dall’aver circolato sulla sede stradale, al di fuori dello spazio (il marciapiede) riservato ai pedoni (cfr. art. 190 c.d.s.), per lo più dando le spalle al senso di marcia riservato agli autoveicoli;
la censura in esame, nella misura in cui pretende di riesaminare la condotta dei protagonisti del sinistro (al fine di giungere a una diversa ricostruzione della relativa causalità), deve conseguentemente ritenersi inammissibile, risolvendosi sostanzialmente nella prospettazione di una rilettura nel merito dei fatti di causa e delle prove, sulla base di un’impostazione critica non consentita in sede di legittimità;
con il secondo motivo, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2059 c.c. (in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.), per avere la corte territoriale erroneamente liquidato il danno per la perdita del rapporto parentale sofferto dagli odierni istanti sulla base delle tabelle elaborate presso il Tribunale di Milano (concepito secondo un sistema c.d. “a forbice”) in luogo del sistema “a punti” elaborato dal Tribunale di Roma; sistema “a punti” da ritenere l’unico correttamente utilizzabile a tal fine dalla stessa giurisprudenza di legittimità, con la conseguente erronea liquidazione, da parte della corte territoriale, di importi risarcitori illegittimamente sottostimati in favore dei germani e degli aventi causa di Ga.Ca., anche in relazione alla valorizzazione di circostanze di fatto (con particolare riguardo alla dimensione dell’intensità affettiva del rapporto tra la vittima e i suoi familiari di origine e alla mancanza di alcuna corresponsabilità della vittima della causazione del sinistro) del tutto erroneamente ricostruite;
il motivo è inammissibile;
osserva preliminarmente il collegio come gli odierni istanti abbiano del tutto trascurato di assolvere all’onere (destinato ad assumere un carattere determinante in relazione alla censura in esame) avente ad oggetto lo sviluppo di un calcolo analitico del presumibile risarcimento agli stessi spettante;
in particolare, i ricorrenti hanno omesso di dimostrare concretamente, sulla base di un calcolo fondato sulle rivendicate tabelle “a punti”, che, con l’applicazione di tali ultime tabelle, si sarebbe pervenuti alla liquidazione di un importo risarcitorio maggiore di quello liquidato dal giudice d’appello, limitandosi unicamente a ipotizzare, in termini inammissibilmente generici, che, attraverso l’accoglimento delle critiche qui proposte, la Corte d’Appello non avrebbe proceduto alla riduzione degli importi risarcitori liquidati in maggior misura dal giudice di primo grado;
ne deriva l’inammissibilità della censura per difetto di decisività;
è appena il caso di sottolineare l’inammissibilità delle argomentazioni illustrate dai ricorrenti in ordine al punto concernente la non condivisibilità della ricostruzione operata dal giudice di merito in relazione all’intensità affettiva tra la vittima e i suoi familiari di origine, o in ordine al punto concernente l’inesistenza di alcuna responsabilità della vittima nella causazione del sinistro, trattandosi, ancora una volta, della prospettazione di una rivisitazione dei fatti di cause e delle prove, sulla base di un’impostazione critica non consentita in sede di legittimità;
con il terzo motivo, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2059 e dell’art. 2697 c.c. (in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.), per avere la corte territoriale erroneamente disatteso la domanda risarcitoria proposta dalla suocera di Ga.Ca., Pe.As., senza tener conto del carattere decisivo, al riguardo, dal dato della convivenza tra la stessa e la vittima del sinistro stradale, tale da rendere presunta la sussistenza di un reale e concreto rapporto affettivo tra le parti;
il motivo è infondato;
la corte territoriale ha escluso, sulla base degli elementi istruttori richiamati in sentenza, che la convivenza in sé considerata fosse valsa a integrare, nel caso di specie, un elemento istruttorio sufficiente a giustificare il riconoscimento dei presupposti per il risarcimento del danno tra persone non appartenenti al medesimo nucleo familiare in senso stretto (suocera e genero);
tale ragionamento è stato fondato, dalla Corte d’Appello, sulla base dell’orientamento della giurisprudenza di questa Corte (v., da ultimo, Sez. 3, Ordinanza n. 7743 del 08/04/2020, Rv. 657503-01; Sez. 3, Sentenza n. 21230 del 20/10/2016, Rv. 642944-01) secondo cui, in caso di domanda di risarcimento del danno non patrimoniale “da uccisione” proposta iure proprio dai congiunti dell’ucciso, questi ultimi devono provare l’effettività e la consistenza della relazione parentale, rispetto alla quale il rapporto di convivenza non assurge a connotato minimo di esistenza, ma può costituire elemento probatorio utile a dimostrarne l’ampiezza e la profondità, e ciò anche ove l’azione sia proposta dal nipote per la perdita del nonno; infatti, non essendo condivisibile limitare la “società naturale”, cui fa riferimento l’art. 29 Cost., all’ambito ristretto della sola c.d. “famiglia nucleare”, il rapporto nonni-nipoti non può essere ancorato alla convivenza, per essere ritenuto giuridicamente qualificato e rilevante, escludendo automaticamente, nel caso di non sussistenza della stessa, la possibilità per tali congiunti di provare in concreto l’esistenza di rapporti costanti di reciproco affetto e solidarietà con il familiare defunto;
osserva il collegio come la corte territoriale – nell’escludere che la convivenza con la vittima, da parte di un parente estraneo alla famiglia nucleare, costituisca di per sé presunzione di un concreto rapporto affettivo, ma solo un elemento da valutare assieme ad altri – abbia correttamente interpretato le argomentazioni contenute nel richiamato orientamento della giurisprudenza di legittimità, dovendo confermarsi la generale insufficienza del mero dato della convivenza nei casi in cui si tratti di relazioni coltivate al di fuori della ristretta cerchia della c.d. “famiglia nucleare”, potendo detta convivenza giustificare il riconoscimento di rapporti di costante e reciproco affetto e solidarietà familiare unicamente in rapporto con altri elementi rappresentativi idonei a qualificarne affettivamente il significato; elementi rappresentativi che, per converso, ben potrebbero giustificare il riconoscimento di quei rapporti di costante e reciproco affetto e solidarietà familiare pur in assenza di convivenza;
ciò posto, varrà sottolineare come, attraverso le considerazioni critiche illustrate con la censura in esame, i ricorrenti tornino a prospettare una rivalutazione nel merito dei fatti di causa e delle prove, ancora una volta sulla base di un’impostazione critica non consentita in questa sede;
con il quarto motivo, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c. (in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.), per avere la corte territoriale, illegittimamente considerato ed accolto l’eccezione, sollevata dalla VITTORIA ASSICURAZIONI Spa per la prima volta in grado d’appello, relativa alla commisurazione del danno sofferto dalla coniuge, Pa.Ma., in relazione al solo reddito netto (ossia il reddito residuo dopo il pagamento delle imposte) della vittima; e tanto, anche in considerazione del giudicato implicito formatosi sulla circostanza, mai contestata dalla compagnia avversaria nel corso del giudizio di primo grado, in ordine ai criteri di calcolo sul punto prospettati dall’attrice;
il motivo è infondato;
osserva il collegio come VITTORIA ASSICURAZIONI Spa ebbe a proporre appello con riguardo al punto concernente l’avvenuta liquidazione dei danni in esame, da parte del primo giudice, sulla base del reddito lordo della vittima (cfr. pag. 26 della sentenza impugnata);
tale questione, pertanto, non poteva ritenersi passata in giudicato proprio in ragione del fatto che, contro la decisione del primo giudice, era stato proposto appello sul punto;
sotto altro profilo, deve ritenersi del tutto inammissibile la questione concernente il preteso carattere incontestato del computo del risarcimento del danno formulato dagli originari attori, poiché l’entità (lorda o netta) del reddito della vittima (eventualmente considerato dagli attori) non poteva considerarsi circostanza comune alle parti, ossia non poteva considerarsi circostanza conosciuta dalla compagnia assicuratrice, tale per cui la stessa doveva ritenersi onerata della contestazione; e ciò, in considerazione del consolidato principio della giurisprudenza di questa Corte, ai sensi del quale l’onere di contestazione – la cui inosservanza rende il fatto pacifico e non bisognoso di prova – sussiste soltanto per i fatti noti alla parte, non anche per quelli ad essa ignoti (cfr. Sez. L, Ordinanza n. 87 del 04/01/2019, Rv. 652044-01; Sez. 3, Sentenza n. 14652 del 18/07/2016, Rv. 640518-01; Sez. 3, Sentenza n. 3576 del 13/02/2013, Rv. 625006-01), avuto altresì riguardo alla mancata dimostrazione, da parte ricorrente, dell’effettiva e concreta conoscenza, in capo alla controparte, delle circostanze assunte come incontroverse;
sulla base di tali premesse, rilevata la complessiva infondatezza delle censure esaminate dev’essere pronunciato il rigetto del ricorso;
le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo;
si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-quater, dell’art. 13 del D.P.R. n. 115/2002;
Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al rimborso, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi Euro 6.000,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori come per legge.
Dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-quater, dell’art. 13 del D.P.R. n. 115/2002.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile della Corte Suprema di Cassazione del 9 aprile 2025.
Depositata in Cancelleria il 26 giugno 2025.
