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Cassazione civile sez. III, 26/03/2024, n. 8217

Massima

Il caso relativo al danno subito dai figli per il decesso di entrambi genitori a causa di un sinistro stradale concerne un unico “fatto” illecito (la condotta, nella specie, dell’ignoto conducente che causò il sinistro): la circostanza che per effetto di tale condotta abbiano perso la vita due persone non vuol dire che siano stati commessi due illeciti, ma che la medesima condotta ha causato a ciascuno dei congiunti delle vittime due danni. Questi danni, per di più, sono stati patiti dalle medesime persone, e nulla avrebbe impedito loro di domandare il risarcimento del danno non patrimoniale patito tanto per la morte del padre, quanto per la morte della madre. Pertanto, la duplice iniziativa giudiziaria rappresenta abuso del processo (ovvero domandare in separati giudizi il risarcimento delle varie voci di danno causate dal medesimo fatto illecito).

NDR: in argomento Cass. n. 17019 del 28/06/2018, n. 21318 del 21/10/2015 e n. 28286 del 22/12/2011.

Supporto alla lettura

Ambito oggettivo di applicazione

…omissis…

Fatti di causa

1. Nel 1990 due coniugi persero la vita in conseguenza di un sinistro stradale.

Assumendo che il sinistro fu causato da un veicolo non identificato, i figli della coppia (odierni ricorrenti) nel 2002 convennero dinanzi al Tribunale di Reggio Calabria la società XX Spa (che in seguito muterà ragione sociale in XX Spa), quale impresa designata ex 283 cod. ass., chiedendone la condanna al risarcimento del danno patito in conseguenza della morte del proprio padre.

La domanda fu accolta in parte e la sentenza passò in giudicato (Trib. Reggio Calabria, 21.1.2004 n. 86).

2. Nel 2005 i medesimi soggetti convennero nuovamente dinanzi al Tribunale di Reggio Calabria l’impresa designata, chiedendone questa volta la condanna al risarcimento del danno rispettivamente patito in conseguenza della morte della propria madre.

3. Mentre il Tribunale di Reggio Calabria accolse in parte la domanda (sentenza 6.10.2008 n. 1319), la Corte d’appello di Reggio Calabria con sentenza 21.10.2020 n. 671 la dichiarò “improponibile”.

La Corte d’appello ritenne che gli attori con la seconda iniziativa giudiziaria avessero violato il divieto di frazionamento del credito, secondo quanto stabilito dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 23726/07.

4. La sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione dagli originari attori con ricorso fondato su sette motivi ed illustrato da memoria.

La XX ha resistito con controricorso.

Ragioni della decisione

1. Tutti e sette i motivi del ricorso sono intesi a censurare la statuizione con cui la Corte d’appello ha ritenuto che, chiesta ed ottenuta la condanna dell’impresa designata al risarcimento del danno patito per la morte del loro padre, gli attori non avrebbero più potuto proporre una seconda domanda, contro lo stesso soggetto, per ottenere il risarcimento del danno patito per la morte della loro madre.

1.1. Gli argomenti con cui i ricorrenti investono tale statuizione, sebbene suddivisi formalmente in sette diversi mezzi di censura, nella sostanza sono in larga parte sovrapponibili e possono così sintetizzarsi: il principio di infrazionabilità del credito risarcitorio presuppone che quest’ultimo sia scaturito da un solo fatto illecito, mentre nel caso di specie i due crediti azionati in via successiva dagli attori scaturivano da due diversi fatti illeciti; infatti erano diverse le modalità con cui si verificò il fatto dannoso (la prima vittima, —, concausò per imprudenza la propria morte; la seconda vittima, —, era trasportata e non ebbe alcuna responsabilità nella causazione dell’evento); i danni inoltre erano stati sofferti da persone diverse, sicché la sentenza impugnata perverrebbe al paradossi di introdurre un “vincolo di azione contestuale” a tutti i danneggiati dal medesimo evento; la giurisprudenza richiamata dalla Corte d’appello a sostegno della propria decisione non era pertinente nel caso di specie, per la diversità della fattispecie decisa (contrattuale, invece che aquiliana); i due giudizi promossi dalle vittime primarie erano rivolti contro soggetti solo parzialmente coincidenti, in quanto il primo giudizio fu proposto nei soli confronti dell’impresa designata, il secondo anche nei confronti del vettore; nel primo giudizio fu richiesto il solo risarcimento del danno sofferto jure proprio, nel secondo anche il risarcimento di quello patito dalla vittima primaria — ed acquisito jure hereditatis; i danni causati dalla perdita del padre e quello causato dalla perdita della madre sono particolarissimi e differenti, sicché l’avere domandato separatamente il ristoro dell’uno e dell’altro non comporta alcun “frazionamento” del credito risarcitorio; gli attori non potevano essere considerati una “unica parte sostanziale”, in quanto il danno patito da ciascuno di essi era diverso dal danno patito dagli altri; all’epoca dell’introduzione del primo giudizio (2002), la giurisprudenza ammetteva la possibilità di frazionamento del credito;

2. Tutte le suddette censure sono inammissibili ex art. 360 bis, n. 1, c.p.c.

Senza alcun reale sforzo per vincere le motivazioni dell’orientamento consolidato, i ricorrenti si dilungano a sostenere di essere stati vittime di “due fatti illeciti”, e che di conseguenza legittima fu la loro duplice iniziativa giudiziaria.

Deve tuttavia osservarsi in senso contrario che il “fatto” illecito è stato uno soltanto: la condotta dell’ignoto conducente il quale causò il sinistro. La circostanza che per effetto di tale condotta abbiano perso la vita due persone non vuol dire che siano stati commessi due illeciti, ma che la medesima condotta ha causato a ciascuno dei congiunti delle vittime due danni. Questi danni, per di più, sono stati patiti dalle medesime persone, e nulla avrebbe impedito loro di domandare il risarcimento del danno non patrimoniale patito tanto per la morte del padre, quanto per la morte della madre.

Quello in esame rappresenta dunque un caso di scuola di abuso del processo.

2.1. Alle ulteriori deduzioni svolte dai ricorrenti è agevole replicare che: non chiara, e comunque non pertinente, è l’allegazione secondo cui mentre il primo giudizio fu proposto nei soli confronti dell’impresa designata, nel secondo si chiese anche “l’accertamento della colpa del vettore”: dalla sentenza impugnata, infatti, non risulta che il presente giudizio sia stato proposto contro soggetti diversi dalla XX, né sarebbe possibile domandare l’accertamento della responsabilità di persona non convenuta in giudizio (e ciò a tacer del fatto che il vettore risulta deceduto in conseguenza del sinistro); irrilevante è l’allegazione secondo cui i danni “sono stati sofferti da persone diverse”: la Corte d’appello infatti ha dichiarato improponibile la domanda proposta da ciascuno degli appellanti per violazione del divieto di frazionamento da parte di ciascuno di essi; in tema di risarcimento del danno da fatto illecito, questa Corte da tempo ha stabilito il principio – puntualmente applicato dalla Corte territoriale – secondo cui costituisce abuso del processo domandare in separati giudizi il risarcimento delle varie voci di danno causate dal medesimo fatto illecito (Sez. 3 – , Ordinanza n. 17019 del 28/06/2018, Rv. 649441 – 02; Sez. 6 – 3, Sentenza n. 21318 del 21/10/2015, Rv. 637490 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 28286 del 22/12/2011, Rv. 620984 – 01); irrilevante, altresì, è la circostanza che i danni di cui i ricorrenti chiesero il risarcimento nei due giudizi successivamente introdotti fossero solo parzialmente coincidenti. Quel che costituisce abuso del processo, infatti, non è il chiedere due volte il risarcimento del medesimo danno (a precludere tale condotta bastano le regole sul giudicato); ma il chiedere in due separati giudizi il risarcimento di danni causati tutti dalla medesima condotta illecita, in assenza di cause giustificatrici o di un apprezzabile interesse; la circostanza, infine, che all’epoca della introduzione del primo giudizio la giurisprudenza ammetteva la possibilità di frazionare il credito risarcitorio non vale a rendere legittima l’iniziativa processuale degli odierni ricorrenti; al massimo avrebbe potuto consentire – in base ai principi del c.d. overruling -una istanza di rimessione in termini, che non risulta mai formulata nel presente giudizio.

3. Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza, ai sensi dell’art. 385, comma 1, c.p.c., e sono liquidate nel dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso; condanna i ricorrenti in solido alla rifusione in favore di XX Spa delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di euro 7.800, di cui 200 per spese vive, oltre IVA, cassa forense e spese forfettarie ex art. 2, comma 2, d.m. 10.3.2014 n. 55; ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Allegati

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