Massima

In materia di risarcimento del danno causato da sinistri stradali, qualora venga accertato che più soggetti (anche se tra di essi sia compreso, come nella specie, un minore incapace di intendere e di volere) hanno dato un contributo causale (se pure in misura diversa tra loro) al verificarsi dell’evento dannoso, tutti sono tenuti in solido nei confronti del danneggiato, e non è consentito al giudice di merito limitare la condanna alla rispettiva quota – parte di responsabilità, dovendo egli pronunciarsi sulla graduazione delle colpe solo se uno dei condebitori solidali abbia esercitato l’azione di regresso nei confronti degli altri, o, comunque, in vista del regresso, abbia chiesto tale accertamento in funzione della ripartizione interna.

Supporto alla lettura

RISARCIMENTO DANNI DA SINISTRO STRADALE

Per “risarcimento” si intende la somma pagata da una compagnia di assicurazioni in seguito ad un sinistro, e quindi alla denuncia dello stesso e solo dopo una completa procedura di richiesta.

Il sinistro stradale è un evento che va a provocare un danno, dando così diritto all’assicurato di richiedere all’assicurazione una prestazione monetaria. L’assicurazione però non è tenuta a risarcire i sinistri caratterizzati da colpe o comportamenti dolosi dell’assicurato: non c’è quindi un obbligo di risarcimento da parte della compagnia assicurativa.

Ambito oggettivo di applicazione

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
(omissis) e (omissis) convenivano in giudizio davanti al Tribunale di Ascoli Piceno (omissis) e l'(omissis) Assicurazioni (ora (omissis) Assicurazioni) s.p.a. per conseguirne la condanna solidale al risarcimento dei danni (quantificati in complessive L. 387.508.082 al netto di una provvisionale di L. 5 milioni già percepita) subiti dal loro figlio minore, (omissis), che il 28.7.87 era stato investito in S. Benedetto del Tronto dall’autovettura condotta dal primo convenuto ed assicurata per la r.c.a. presso la seconda.

I convenuti si costituivano in giudizio, resistendo alla domanda e deducendo la responsabilità del minore nella causazione del sinistro, e chiedevano la chiamata in causa della USL n. (omissis) di (omissis) e del medico (omissis) al quale, attribuivano la responsabilità per le lesioni permanenti subite dal minore stesso.

Con sentenza depositata il 18.5.98 il Tribunale accoglieva la domanda, riconoscendo un concorso di colpa nella misura di un terzo dei genitori dell’infortunato e liquidando i relativi danni, con esclusione di quello futuro alla capacità lavorativa perchè richiesto per la prima volta con la comparsa conclusionale, nonchè del risarcimento del lucro cessante richiesto dalla madre e della rivalutazione monetaria del credito.

Proponevano appello gli attori, nonchè (omissis), mentre si costituiva in giudizio la soc. (omissis) Ass.ni, resistendo al gravame e spiegando appello incidentale, con cui eccepiva il difetto di legittimazione ad appellare degli originar attori, in quanto nelle more il figlio era divenuto maggiorenne.

Con sentenza depositata il 20.10.01 la Corte di Appello di Ancona, in parziale riforma dell’appellata decisione, rideterminava il danno biologico in favore di (omissis) in L. 102 milioni, comprensivo del concorso di colpa e dell’acconto, oltre interessi legali sino al saldo, ed assegnava agli altri appellanti gli ulteriori importi di L. 1.445.000 e L. 7.600.000 per spese vive, con rivalutazione ed interessi come in motivazione, confermandola nel resto.

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per Cassazione (omissis), affidandosi a sette motivi, mentre nessuna attività difensiva è stata svolta dalle altre parti intimate.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente lamenta, sotto i profili di cui all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, che la Corte di merito abbia erroneamente pronunciato sull’addebito di colpa al minore, nonostante che la relativa statuizione della decisione in primo grado non avesse formato oggetto di specifica impugnazione da parte dei convenuti appellati.

Con il secondo motivo lamenta, sotto gli stessi profili, ed in via subordinata, nel caso in cui dovesse ritenersi esaminabile la suddetta questione, che la Corte territoriale abbia erroneamente ritenuto la sussistenza di un concorso di colpa del minore.

Con il terzo motivo lamenta, altresì, sotto gli stessi profili, che la Corte di merito non abbia accolto la pretesa risarcitoria relativa alla perdita della capacità lavorativa, omettendo peraltro di motivare su quello che era il motivo di impugnazione e cioè la doglianza circa la mancata liquidazione di tale voce di danno perchè quest’ultima non avrebbe formato oggetto di domanda.

Con il quarto motivo si duole ancora, sotto gli stessi profili, che la Corte di Appello non si sia pronunciata sulle doglianze, sollevate con l’atto di appello, relativamente all’ammontare del danno biologico temporaneo assoluto (ITT) e di quello morale.

Con il quinto motivo si duole ulteriormente, sotto gli stessi profili, che prima il Tribunale e poi la Corte territoriale hanno omesso di esaminare la domanda relativa alla corresponsione degli interessi composti.

Con il sesto motivo poi denuncia, sotto gli stessi profili, che la corte di merito non abbia disposto il supplemento della CTU medico- legale ai fini della valutazione dell’aggravamento delle lesioni patite dal ricorrente stesso, verificatosi dopo la precisazione delle conclusioni nel giudizio di primo grado (gennaio 1995).

Con il settimo motivo infine lamenta, sotto gli stessi profili, che la sentenza impugnata abbia ingiustamente compensato tra le parti le spese del primo e del secondo grado del giudizio di merito, nella misura rispettivamente di un terzo e di due terzi delle stesse.

1. I primi due motivi possono esaminarsi congiuntamente, considerata la loro stretta connessione oggettiva.

Si rileva, innanzitutto, che non presenta alcun fondamento la doglianza, secondo cui i giudici di appello non avrebbero dovuto pronunciarsi sull’addebito di colpa al minore infortunato, in quanto – avendo il Tribunale in primo grado ritenuto sussistere solo un concorso colposo dei genitori per omessa sorveglianza e non anche un concorso di colpa diretta del minore ex artt. 2054 o 2043 c.c. – tale statuizione non sarebbe stata oggetto di specifica impugnazione da parte dei convenuti appellati, giacchè risulta dalla comparsa di risposta della soc. Aurora, contenente il suo appello incidentale, che tale punto ha formato espressamente oggetto di gravame.

Consegue da quanto sopra osservato che correttamente la Corte territoriale abbia proceduto al riesame sul punto della sentenza impugnata, pervenendo alla conclusione – sulla base di considerazioni e valutazioni delle risultanze processuali (ed in particolare di quelle emerse dalla prova testimoniale), che risultano del tutto immuni da vizi logici od errori giuridici – che il sinistro de quo venne cagionato anche per effetto dell'”evidente concorso di colpa del pedone il quale attraversò imprudentemente la sede stradale”.

Tale conclusione, se ineccepibile sul piano della ricostruzione fattuale della dinamica del sinistro stesso, non esclude peraltro che – come giustamente denunciato dal ricorrente con il primo motivo di censura – la sentenza impugnata abbia violato il combinato disposto degli artt. 2043, 2054 e 2055 c.c., nella parte in cui ha omesso di affrontare la questione che comunque il danneggiato, secondo i principi affermati dall’art. 2055 c.c., ha diritto all’intero risarcimento da ciascuno dei corresponsabili in solido.

E’ pacifico, infatti, che in materia di risarcimento del danno causato da sinistri stradali, qualora venga accertato che più soggetti (compreso il minore danneggiato incapace di intendere o di volere) hanno dato un contributo causale (sia pure in misura diversa tra loro) al verificarsi dell’evento dannoso, tutti sono tenuti in solido nei confronti del danneggiato, e non è consentito al giudice di merito limitare la condanna alla rispettiva quota-parte di responsabilità (Cass. civ., sez. 3^, 7.7.98, n. 6599).

Va aggiunto che il giudice di merito può e deve pronunciarsi sulla graduazione delle colpe solo se uno dei condebitori solidali abbia esercitato l’azione di regresso nei confronti degli altri, o comunque, in vista del regresso, abbia chiesto tale accertamento in funzione della ripartizione interna (Cass. civ., sez. 3^, 3.3.97, n. 1869), ma nel caso in esame non risulta affatto che la società intimata si sia attivata per l’esercizio di quell’azione o per la richiesta di quell’accertamento.

Il primo motivo del ricorso va, quindi, accolto per quanto di ragione, con conseguente assorbimento del secondo.

2. Il terzo motivo di censura non è fondato.

In primo luogo, si rileva che, contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente, la Corte di merito ha sul punto correttamente osservato “che – come esattamente si legge in sentenza – tale voce di danno è stata per la prima volta reclamata solo in sede di illustrazione delle conclusioni mentre nel precisare le stesse, anche al termine dell’istruttoria di primo grado, gli attori si erano limitati a richiedere il danno biologico e quello non patrimoniale (oltre al rimborso delle spese vive ed al ristoro del lucro cessante per la madre) senza alcun accenno a tale diverso pregiudizio patrimoniale”.

La risposta, quindi, alla censura formulata nell’atto di appello dall’odierno ricorrente è netta e categorica, nel senso cioè di escludere che sia stata dal medesimo proposta tempestiva domanda per il risarcimento del danno futuro.

Che poi la Corte territoriale abbia aggiunto a tale preliminare ed assorbente considerazione ulteriori valutazioni nel merito della questione negando che le lesioni avessero prodotto una diminuzione della capacità di guadagno del minore, ciò nulla ovviamente toglie al valore della prima e concludente considerazione.

3. Anche il quarto motivo non presenta alcun fondamento.

Ed infatti, anche per quanto riguarda tale doglianza, relativa ad una asserita omessa pronuncia su censure concernenti il ritenuto ammontare del danno biologico temporaneo assoluto e di quello morale, risulta dalla sentenza impugnata che la Corte di merito ha preso in considerazione le censure medesime, rilevando in particolare che le voci di danno in questione “non sono state fatte oggetto di specifica impugnazione” ed in tal modo evidenziando il carattere generico del motivo di appello, esposto dall’appellante in maniera tale da non consentire l’esatta delimitazione del campo dell’ulteriore riesame della causa nel merito sui punti in questione.

Nè l’odierno ricorrente ha fornito, con il ricorso per Cassazione, elementi che dimostrino il carattere di specificità delle censure disattese dai giudici di appello, omettendo di riportare nel ricorso stesso quanto specificamente richiesto ai giudici medesimi, nonchè le ragioni giustificatrici delle richieste stesse.

Non basta, infatti, all’uopo che il ricorrente si sia doluto con l’atto di appello “di un ITT pari a 150 gg e non di soli 90 gg come invece disposto nella sentenza del Tribunale”, ovvero che abbia apoditticamente indicato in L. 138.225.000 l’ammontare del danno morale richiesto, senza l’indicazione specifica delle ragioni che possano giustificare tali richieste ben superiori a quelle accolte dalla decisione di primo grado.

Ed invero, secondo il costante orientamento giurisprudenziale di questa Corte è pacifico che “la parte che impugna una sentenza con ricorso per Cassazione per omessa pronuncia su una domanda, ha l’onere, per il principio di autosufficienza del ricorso, a pena di inammissibilità per genericità del motivo, di specificare quale sia il “chiesto” al giudice del gravame sul quale questi non si sarebbe pronunciato, non potendosi limitare ad un mero rinvio all’atto di appello, atteso che la Corte di Cassazione non è tenuta a ricercare al di fuori del contesto del ricorso le ragioni che dovrebbero sostenerlo, ma può accertarne il riscontro in atti processuali al di fuori del ricorso sempre che tali ragioni siano state specificamente formulate nello stesso” (v. ex plurimis Cass. civ., sez. 3^, 11.1.02, n. 317).

4. Le stesse considerazioni svolte nel paragrafo che precede valgono anche a proposito del quinto motivo di gravame.

Ed invero, avendo il ricorrente denunciato l’omessa pronuncia della Corte territoriale sulla domanda relativa alla corresponsione degli interessi composti, incombeva su di lui l’onere di specificare, per il principio di autosufficienza del ricorso, in quali atti, e con quali specifiche frasi in essi contenute, l’aveva proposta (v. ancora Casa., sez. 3^, 7.8.01, n. 10902) dinanzi alla Corte di Appello.

Tale onere non risulta affatto assolto da parte del ricorrente, per cui il motivo deve ritenersi inammissibile per la sua ineccepibile genericità.

5. Anche il sesto motivo deve considerarsi generico e, quindi, inammissibile.

Ed invero, sull’aggravamento delle condizioni fisiche e psichiche denunciate dal ricorrente si rileva che la Corte territoriale, con motivazione immune da vizi logici ed errori giuridici, ha spiegato in modo esauriente le ragioni per cui, a parte l’avvenuto riconoscimento di un danno biologico di maggiore entità di quella accertata in primo grado, andava esclusa la sussistenza dell’asserito aggravamento, evidenziando come questi ultimo era stato dedotto “sulla base – peraltro – non di obiettive constatazioni ed indagini specialistiche, ma della mera sintomatologia soggettiva riferita dal paziente e come tale irrilevante anche a fronte della sua evidente genericità”.

6. Il settimo motivo è infine manifestamente infondato.

Infatti, l’esercizio del potere discrezionale del giudice di merito di compensare, in tutto o in parte, le spese tra le parti trova, nel caso di specie, la sua giustificazione, così come previsto dalla legge processuale (art. 92 c.p.c., comma 2), nella reciproca parziale soccombenza delle parti stesse, sia per il primo che per il secondo grado di giudizio.

7. In conclusione, come sopra evidenziato, la Corte accoglie, per quanto di ragione, il primo motivo del ricorso, assorbito il secondo e rigettati gli altri, con conseguente cassazione – in relazione al motivo accolto – della sentenza impugnata e rinvio, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte di Appello di Bologna, che si atterrà al principio di diritto suenunciato (sub n. 1).

P.Q.M.

Accoglie, per quanto di ragione, il primo motivo, assorbito il secondo, rigetta gli altri, cassa in relazione e rinvia, anche per le spese del giudizio di Cassazione, alla Corte di Appello di Bologna.

Così deciso in Roma, il 9 giugno 2006.

Depositato in Cancelleria il 25 luglio 2006

Allegati

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