Svolgimento del processo
1. Per quanto ancora qui di rilievo, con atto di citazione dell’ottobre 2015, l’odierna controricorrente (omissis), società gerente la clinica universitaria di Innsbruck (Austria), aveva citato in giudizio (omissis) e (omissis), odierni ricorrenti, dinanzi al Tribunale di Bolzano per chiedere la condanna di questi ultimi, in proprio oppure, in subordine, quali genitori di loro figlio (omissis), oppure quali eredi di quest’ultimo oppure, in via di estremo subordine, a titolo di arricchimento senza giusta causa, al pagamento dell’importo di Euro 108.965,62 oltre interessi per prestazioni medico-sanitarie eseguite a favore del minore (omissis).
In fatto, Tirol Kliniken esponeva di aver concluso tra il 2011 e 2014 diversi contratti terapeutici con i sig.ri (omissis) e (omissis) quali genitori del loro figlio minore (omissis), nato nel (omissis), relativi al trattamento del “linfoma anaplastico a grandi cellule in stadio IIE (C.48.6) con coinvolgimento delle strutture mediastiniche (high risk)” diagnosticatogli in data 24 agosto 2011, sindrome infausta che ne aveva causato il decesso in data 26 giugno 2014 e che spettava alla clinica un importo di Euro 108.965,62 quale corrispettivo residuo per le prestazioni medico-terapeutiche eseguite a favore del piccolo paziente.
Costituitisi in giudizio gli odierni ricorrenti, avevano contestato la pretesa creditoria della (omissis) e sollevato, a loro volta, domanda riconvenzionale di risarcimento del danno per responsabilità medica e di annullamento per dolo e/o errore e/o di risoluzione per inadempimento dei contratti terapeutici conclusi tra i genitori di (omissis) e (omissis). Per quanto riguarda in particolare la responsabilità medica della clinica, i ricorrenti eccepivano da un lato che si sarebbero verificati errori medici nel trattamento di (omissis), ivi incluso il mancato trattamento con i farmaci “Crizotinib” o “Brentuximab Vedotin” e, dall’altro lato, che le informazioni fornite dai medici ai genitori non sarebbero state corrette e comunque non complete. In particolare, gli allora convenuti si dolevano del fatto che – nonostante ripetute e specifiche richieste da parte loro circa l’esistenza di terapie alternative in tutto il mondo, anche di natura sperimentale, i medici della Tirol Kliniken avrebbero loro presentato, nel momento in cui si verificava la prima recidiva, il protocollo ALCL Relapse ed il trapianto allogenico come unica terapia possibile e senza alternative in tutto il mondo, mentre esistevano, come i genitori purtroppo avevano scoperto solo successivamente (ovvero dopo la seconda recidiva), terapie alternative, seppure ancora in fase sperimentale (studi internazionale per la somministrazione del farmaco “Crizotinib” a pazienti affetti da ALCL recidivati/refrattari e studi internazionali per la somministrazione del farmaco “Brentuximab Vedotin” a pazienti affetti da ALCL recidivati/refrattari), a cui (omissis) – secondo la prospettiva dei ricorrenti – avrebbe potuto accedere. Qualora i genitori di (omissis) avessero avuto conoscenza di questi studi, già al verificarsi della prima recidiva, non avrebbero mai prestato il loro consenso al trapianto allogenico da cellule staminale, trattamento altamente tossico e con alto rischio di gravi complicanze, come purtroppo verificatesi. Assumevano quindi che solo dopo la diagnosi della seconda recidiva, a seguito della loro insistenza, i medici della clinica austriaca si sarebbero attivati per verificare la presenza di terapie alternative (inizialmente era stata raccomandata dai medici solo la somministrazione di un’ulteriore chemioterapia con funzione (quasi)-palliativa e quindi si sarebbe deciso di somministrare a (omissis) il farmaco “Crizotinib”, comprato dal padre di propria iniziativa in Svizzera, in quanto non disponibile in Austria; (omissis) avrebbe risposto bene alla terapia ed il linfoma sarebbe andato in completa remissione, ma C.C. decedeva nella clinica universitaria di Innsbruck in data 25.06.2014 a causa delle complicanze di tipo GvHD legate al trapianto allogenico di midollo osseo.
Il Tribunale, ammessa e esperita CTU, con sentenza n. 1172/2018, aveva accolto le domande dell’attrice Tirol Kliniken e-al contempo – rigettato la domanda riconvenzionale degli odierni ricorrenti, statuendo quanto segue: – il trattamento di un linfoma ALCL secondo il protocollo ALCL Relapse costituiva la terapia “standard” con buona prognosi, mentre il trattamento con i farmaci “Crizotinib” o “Brentuximab Vedotin” sarebbe stato altamente sperimentale e l’efficacia del trattamento ed eventuali effetti indesiderati/complicanze non sarebbero stati noti; -il trattamento secondo il protocollo ALCL Relapse e le altre cure mediche somministrate dalla clinica austriaca (in particolare per trattare le complicanze legate al trapianto di midollo osseo) sarebbero avvenute lege artis; – pur riconoscendo come non contestata l’allegazione degli odierni ricorrenti di aver espressamente richiesto informazioni ai medici su terapie, anche di natura sperimentale disponibili in tutto il mondo, il Giudice di prime cure riteneva che i medici curanti non erano obbligati ad informare i genitori di (omissis) sulla possibilità di trattamento con i farmaci “Crizotinib” o “Brentuximab Vedotin” in quanto si trattava di terapie assolutamente sperimentali, la cui efficacia non sarebbe stata ancora sufficientemente dimostrata e l’uso dei farmaci “Crizotinib” o “Brentuximab Vedotin” non era stato ancora autorizzato per curare bambini affetti da ALCL; ovvero i medici curanti non erano tenuti a conoscere, oltre alla terapia “standard” (individuata dal Giudice nel protocollo ALCL Relapse) la cui efficacia risultava sufficientemente provata, eventuali ulteriori terapie/cure altamente sperimentali; ovvero non erano teuti a dare informazioni su terapie sperimentali, la cui efficacia non risultava ancora provata, in presenza di una terapia “standard” con buona prognosi, neppure nell’interesse del paziente, a maggior ragione trattadosi di paziente minorenne (il Giudice di prime cure alludeva addirittura ad una limitazione della potestà genitoriale – id est ad un intervento del Giudice tutelare -nell’interesse del minore, qualora i genitori avessero voluto ricorrere a terapie sperimentali, pur in presenza di una terapia “standard” con buona prognosi); ovvero (omissis) non sarebbe stato reclutabile per nessuno degli studi sperimentali con “Crizotinib” o “Brentuximab Vedotin” (il Tribunale aveva seguito sul punto l’opinione espressa dai CC.TT.UU.).
Avverso la decisione di prime cure proponevano gravame i predetti genitori, i quali eccepivano la nullità della consulenza tecnica d’ufficio assunta in primo grado sotto vari profili, chiedendone in ogni caso la rinnovazione e censuravano la sentenza di primo grado in particolare – per quello che rileva ai fini del presente ricorso – laddove il Tribunale aveva accertato: a) che (omissis) non fosse eleggibile per partecipare agli studi con “Crizotinib” o Brentuximab Vedotin”, b) che i medici curanti non avrebbero violato il loro dovere di informazione nei confronti paziente/dei suoi genitori, ovvero non sarebbero stati tenuti ad informare i genitori sulle possibilità di trattare (omissis) con i farmaci “Crizotinib” o “Brentuximab Vedotin” in c.d. “off-label”-use.
Si costituiva in giudizio Tirol Kliniken, contestando la fondatezza dell’appello e sollevando a sua volta appello incidentale.
La Corte d’Appello di Trento disponeva nel prosieguo l’assunzione di una ulteriore consulenza tecnica medico-legale ad integrazione di quella assunta in primo grado ed esperita la nuova CTU, rigettava sia l’appello principale sia quello incidentale, compensando tra le parti le spese di lite, discostandosi, però, significativamente nella motivazione del rigetto dell’appello principale da quella fornita dal Tribunale.
Per quanto qui di interesse, la Corte d’Appello sulla falsariga del dictum della sentenza di questa Corte n. 28985/2019, e tenuto conto che il trattamento secondo il protocollo ALCL Relapse era avvenuto di per sé lege artis (la sentenza di primo grado non era stata appellata sul punto), statuiva, però, che gli appellanti (odierni ricorrenti) non avevano fornito la prova che, qualora avessero ricevuto un’informazione completa, non avrebbero acconsentito al trattamento del loro figlio C.C. secondo il protocollo racomandato ALCL Relapse (chemioterapia e trapianto allogenico da cellule staminali) in quanto solo in questo caso l’inadempimento dei medici avrebbe potuto costituire una fonte autonoma di risarcimento; secondo la Corte d’Appello, gli elementi probatori ed indiziari a disposizione facevano presumere che i genitori, messi davanti alla scelta tra acconsentire alla somministrazione di “Crizotinib” o “Brentuximab Vedotin” per la cui efficacia e compatibilità non sarebbero ancora stati a disposizione dati significativi ed acconsentire al trattamento secondo il protocollo ALCL Relapse che costituirebbe a tutt’oggi l’opzione terapeutica più “valida” per il trattamento di linfomi recidivati con probabilità di guarigione superiore al 50%, avrebbero scelto la seconda opzione invece che la prima. In mancanza di prova del fatto che, in caso di completa ed esauriente informazione, i genitori si sarebbero decisi per la terapia sperimentale, la Corte d’Appello ha conseguentemente rigettato l’appello anche in merito alle ulteriori domande di annullamento dei contratti terapeutici per dolo (per mancanza di raggiri e per difetto di prova circa il fatto che, senza i raggiri, il contratto non sarebbe stato concluso) o errore (per difetto del requisito dell’essenzialità dell’errore) ed alla domanda di risoluzione per inadempimento (per difetto dell’importanza dell’inadempimento), proposte dai genitori di (omissis).
3. Avverso la decisione della Corte d’Appello, gli odierni ricorrenti hanno proposto ricorso per cassazione sorretto da tre motivi. Ha resistito con controricorso la società controricorrente, a sua volta, proponendo ricorso incidentale condizionato sorretto anch’esso da tre motivi.
Il ricorso è stato fissato e trattato in camera di consiglio ai sensi dell’art.380 bis.1 c.p.c.
Entrambe le parti hanno depositato distinte e rispettive memorie.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso principale, i ricorrenti denunciano “In relazione all’art. 360,1co. n. 3, c.p.c.”la “Violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., anche in connessione con l’art. 2697 c.c. nonché in relazione all’art. 360, 1 co. n. 5 c.p.c. per omesso esame di fatti decisivi per la controversia oggetto di discussione tra le parti”; in particolare, lamentano che sebbene la Corte d’Appello abbia accertato (par. 5.6. a pagg. 89-93 della sentenza di secondo grado) che i medici della Clinica gestita dalla società resistente non avessero adempiuto al loro dovere di informazione nei loro confronti, quali genitori del piccolo paziente, in quanto avrebbero omesso di informarli (avendo gli stessi genitori esplicitamente chiesto se esistevano terapie alternative, anche di natura sperimentale, in tutto il mondo) in merito all’esistenza di studi sperimentali con i farmaci “Crizotinib” o “Brentuximab Vedotin”, tuttavia ha tenuto conto dei dati ed informazioni disponibili a marzo 2012 (data in cui è stata diagnosticata la prima recidiva al piccolo paziente) come data entro la quale i medici curanti avrebbero dovuto informare i genitori: 1) – sull’esistenza di studi sperimentali di fase I/ fase I/II in corso (o nel procinto di essere iniziati per “Brentuximab Vedotin), per i quali non erano ancora a disposizione dati “consolidati” pubblicamente accessibili su efficacia e compatibilità nell’uso terapeutico in bambini e che anche per quanto riguarda l’utilizzo in adulti vi era un’unica pubblicazione relativa all’utilizzo dei farmaci in due adulti; 2) – che nei predetti studi sperimentali – nella fase in cui si trovavano (fase I/fase I/II) – veniva analizzato se il relativo farmaco è efficace nella terapia di un linfoma ALCL; 3) – che vi sarebbe uno spazio interpretativo per quanto riguarda la potenziale ammissibilità di (omissis) nei predetti studi sperimentali; 4) – che di fronte a questi studi sperimentali vi sarebbe la terapia secondo il protocollo ALCL Relapse (anche essa ancora in fase di “studio” e non qualificabile come “standard”), la quale sarebbe da qualificare come terapia con le migliori chance di successo in relazione ad efficacia e probabilità di guarigione, pur tenendo conto dell’onerosità ed alta tossicità della terapia per il paziente (chemioterapie e trapianto allogenico di midollo osseo) ed i rischi di gravissime complicanze.
La Corte d’Appello sulla base di tali premesse ha poi affermato che – secondo massime d’esperienza – i genitori preferirebbero, in linea generale, confrontati con una malattia potenzialmente letale per un figlio, una terapia comprovatamente efficace, anche se onerosa ed altamente tossica per il paziente e comportante il rischio di gravissime complicanze, ad una terapia meramente sperimentale, la cui efficacia curante- all’epoca dei fatti – non era ancora chiara (par. 5.7.5. della sentenza impugnata). A ciò ha aggiunto che da nessun altro elemento si sarebbe potuto desumere che i genitori avrebbero preferito, se correttamente informati, la terapia con “Crizotinib” o “Brentuximab Vedotin” a quella secondo il protocollo ALCL Relapse (par. 5.7.9. della sentenza impugnata), in quanto i rimproveri indirizzati dai genitori ex post verso i medici curanti circa l’uso, a loro vista, “tardivo” di “Crizotinib” (cioè solo dopo la diagnosi della seconda recidiva) non dimostrerebbe che i genitori avrebbero comunque rifiutato la terapia raccomandata secondo il protocollo ALCL Relapse al momento della prima recidiva. Di conseguenza, la Corte d’Appello ha concluso che l’inadempimento all’obbligo di informazione non avrebbe causato alcun danno risarcibile (par. 5.7.7 e 5.7.8. della sentenza impugnata).
A parere dei ricorrenti, l’argomentare del Giudice d’appello sarebbe erroneo e contraddittorio in quanto avrebbe adottato una massima d’esperienza non pertinente al caso concreto, con un ragionamento illogico e comunque non conforme alle regole inferenziali; difatti, la Corte d’Appello, asserendo che i genitori si sarebbero trovati nel marzo 2012 davanti ad un bivio senza possibilità di ritorno: o scegliere la terapia “sperimentale” con “Crizotinib” o “Brentuximab Vedotin” oppure scegliere la terapia secondo lo studio clinico ALCL Relapse, per la cui efficacia vi erano già a disposizione dati concreti, nella pratica e nella specie, avrebbe applicato una massima corretta in thesi, sebbene nel caso di (omissis), i presupposti fattuali fossero diversi; e nello specifico, osservano: – le diverse scelte terapeutiche non erano mutualmente esclusive; infatti, per quanto sostenuto dai genitori sin dalla comparsa di costituzione “che, anche nel caso di una reazione solo transitoria al farmaco Crizotinib, il trapianto di cellule staminali avrebbe potuto essere effettuato anche in seguito, senza che ciò avrebbe comportato un peggioramento della situazione iniziale del paziente”; – in data 09.07.2013 il prof. (omissis) aveva annotato esplicitamente, nell’ambito di un trattamento dei vari sintomi della GvHD polmonare sviluppata da (omissis), che entrambi i genitori vogliono “risparmiare a (omissis) tossicità”; circostanza emersa anche dalla CTU assunta in primo grado secondo cui era emerso che i genitori non avevano acconsentito ad una radioterapia corporea totale prima del trapianto allogenico ed anche nel trattamento del GvHD, cercando di limitare terapie “tossiche”; – un’informazione esauriente e completa dei genitori avrebbe consentito la possibilità di interrompere il trattamento e, quand’anche i genitori avessero, in un primo momento, dato il loro consenso, alla terapia secondo lo studio clinico ALCL Relapse, di scegliere una terapia alternativa; di conseguenza, non assume rilevanza solo lo stato della scienza nel marzo 2012, ma anche quello nel giugno 2012 (periodo in cui veniva eseguito il trapianto allogenico altamente tossico) in quanto neppure il secondo ciclo di chemioterapia (somministrato nel maggio 2012) avrebbe impedito a (omissis) di accedere agli studi con “Crizotinib” o “Brentuximab Vedotin”, come dimostrano i criteri di esclusione pubblicati dallo studio (omissis) per “Crizotinib” (all. n. 24 dei ricorrenti – all. n. 4 del c.d. fascicoletto) e dallo studio per NCT01492088 “Brentuximab Vedotin” ove il trattamento mediante chemioterapia non viene elencato tra i criteri di esclusione (all. n. 32 dei ricorrenti – all. n. 5 del. c.d. fascicoletto); ed è proprio in questo periodo, sottolineano i ricorrenti, che veniva pubblicato un comunicato stampa del National Cancer Institute (NCI) sullo studio sperimentale con Crizotinib, in cui si sottolineavano i risultati promittenti (il comunicato stampa è stato allegato al doc. n. 1 degli odierni ricorrenti – all. 1 del c.d. “fascicoletto”) oltre ad un comunicato stampa del “Children’s Hospital of Philadelphia, in cui veniva pubblicata la storia del ragazzo “Zachary Witt” (doc. n. 62 degli odierni ricorrenti – all. n. 6 del c.d. “fascicoletto”), anch’esso malato di ALCL Relapse e trattato con “Crizotinib”.
Pertanto, la Corte d’Appello “nel professare la sua (asserita) massima d’esperienza” non avrebbe tenuto conto, oltre alle caratteristiche del caso concreto, anche del carattere dinamico del consenso informato che non poteva staticamente essere costretto nel marzo del 2012 e che non avrebbe pregiudicato la possibilità, ove necessario, di procedere comunque ad un trapianto del midollo osseo e, dall’altro lato – avrebbe, quantomeno nel giugno 2012, consentito il rifiuto del trattamento secondo lo studio clinico ALCL Relapse, preferendo il trattamento meno invasivo con “Crizotinib” o “Brentuximab Vedotin” (in ricorso pagg. 14 e 15). La sentenza impugnata, oltre ad aver travisato tali fatti, avrebbe anche applicato un onere della prova troppo gravoso per gli odierni ricorrenti, tenuto conto che, a differenza della richiamata sentenza n. 28985/2019 (ove si trattava dell’informazione circa una complicanza conseguente ad un trattamento terapeutico), nella specie, i medici curanti hanno presentato al paziente (recte, ai suoi genitori) un’unica scelta terapeutica, definendola come priva di alternative in tutto il mondo, mentre non era affatto così.
2. Con il secondo motivo, i ricorrenti formulano una duplice censura: “In relazione all’art. 360, 1 co., n. 3 c.p.c.: Violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., anche in connessione con l’art. 2729 c.c. per mancata valutazione dei requisiti della gravità, precisione e concordanza nell’applicazione della presunzione al caso di specie” e “in relazione all’art. 360, 1 co., n. 5 c.p.c. per omesso esame di fatti decisivi per la controversia oggetto di discussione tra le parti”; in particolare censurano il ragionamento presuntivo operato dalla Corte d’Appello al par. 5.7.9. della sentenza impugnata ove ha affermato che “Non sussistono altre circostanze o indizi utilizzabili, ragione per cui deve essere accertato, infine, che anche in caso di una compiuta informazione come sopra delineata, i genitori di C.C. avrebbero presumibilmente prestato il loro consenso alla partecipazione al protocollo ALCL Relapse per responsabilità nei confronti del figlio” per difetto dei requisiti della gravità, precisione e concordanza di cui all’art. 2729 c.c. e/o per omesso esame di fatti decisivi ex art. 360, co. 5. c.p.c.
Sostengono che la massima d’esperienza adottata dalla Corte d’Appello non costituisce sicuramente un “fatto ben determinato nella sua realtà storica”, bensì una mera ipotesi astratta. Di conseguenza, difetta già il requisito della precisione richiesto dall’art. 2729 c.c. A ciò aggiungono, come in parte già censurato col precedente motivo, che la Corte d’Appello ha omesso di prendere in considerazione numerosi fatti ed elementi decisori ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 360, co. 1, n. 5 c.p.c., che avrebbero potuto e dovuto costituire anche ulteriori “fatti noti” ai fini del ragionamento presuntivo.
Enumerano i fatti di cui è stato omesso l’esame come già illustrati nel primo motivo di ricorso e ritengono che la considerazione dei medesimi avrebbe portato ad un risultato opposto e cioè che i genitori di C.C. non avrebbero prestato il loro consenso alla terapia secondo il protocollo ALCL Relapse, quantomeno nel giugno 2012, ma avrebbero preferito il trattamento meno invasivo con “Crizotinib” o “Brentuximab Vedotin”, se non altro, perché non pregiudizievole ad un eventuale successivo trapianto, ove ancora necessario.
3. Con il terzo motivo, i ricorrenti denunciano “In relazione all’art. 360, 1co. n. 3, c.p.c.: Violazione e falsa applicazione degli artt. 1429 c.c., 1453 e 1455 c.c. in relazione al requisito dell’essenzialità dell’errore e/o dell’importanza dell’inadempimento” e osservano che la fondatezza dei primi due motivi di ricorsi ripercuote i suoi effetti anche sul rigetto della domanda di annullamento per errore e della domanda di risoluzione per inadempimento (vedi par. 7.2.3 e 7.2.4. della sentenza di secondo grado) statuita dalla Corte d’Appello in considerazione del fatto che non era stata fornita la prova che i genitori avrebbero rifiutato il trattamento secondo lo studio clinico ALCL Relapse – l’errore non potrebbe considerarsi essenziale (vedi para. 7.2.3. della sentenza, tra pag. 102 e 103), mentre la domanda di risoluzione per inadempimento non potrebbe essere accolta, in quanto l’inadempimento al dovere di informazione non sarebbe da considerarsi grave per non aver influito in concreto sulla scelta operata dai genitori (vedi para. 7.2.4. della sentenza impugnata).
4. La società odierna controricorrente, con il primo motivo di ricorso incidentale denuncia “In relazione all’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c.: violazione e falsa applicazione degli artt. 6 e 12 del Regolamento (CE) n. 593/2008 “Roma I” sul diritto materiale applicabile”.
5. Con il secondo motivo di ricorso incidentale, lamenta la “Falsa applicazione dell’art. 6 del Regolamento (CE) n. 593/2008 (Roma I), interpretato in base ai considerando 24 e 25″.
6. Con il terzo motivo di ricorso incidentale, lamenta la “Erronea interpretazione del art. 12 Regolamento (CE) n. 593/2008 (Roma I)”.
7. In via preliminare, va disattesa la duplice eccezione di inammissibilità sollevata dalla società controricorrente.
In primo luogo, non ricorre l’ipotesi di c.d. “doppia conforme” ai sensi dell’art. 360, co. 4, c.p.c (e dell’abrogato art. 348-ter, co. 4 e 5, c.p.c.), atteso che parte ricorrente ha evitato l’inammissibilità del motivo, assolvendo all’onere di indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass., Sez. 5, 18/12/2014, n. 26860; Cass. Sez. 1, 22/12/2016, n. 26774; Cass. Sez. L, 06/08/2019, n. 20994; da ultimo, Cass. Sez. 3, 28/02/2023, n. 5947).
In secondo luogo, neppure sussiste la mescolanza e sovrapposizione di mezzi d’impugnazione, tenuto conto che l’esposizione dei motivi è formulata in conformità alle regole sancite dall’art. 366 c.p.c.; difatti, sebbene i ricorrenti, nel censurare la sentenza impugnata denuncino nel contempo sia error in procedendo (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) sia error in iudicando (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), indicano per ciascuna delle censure, una puntuale esposizione delle ragioni per le quali il relativo è mezzo è stato proposto ed illustrano gli argomenti posti a fondamento della sentenza impugnata e precisano analiticamente le considerazioni che, in relazione a ciascuno motivo, indicato nella rubrica, comporterebbero la cassazione della pronunzia (Cass. 14/05/2018, n. 11603; Cass. 18/08/2020, n. 17224; Cass. 13/01/2021, n. 342).
8. Venendo al merito del ricorso principale, il primo ed il secondo motivo che possono essere congiuntamente esaminati stante il vincolo di evidente connessione, non sono fondati.
8.1. La Corte di merito ha ritenuto che, sebbene fosse emerso che i medici non avessero adempiuto al loro dovere di informare i genitori (omissis)-(omissis) in merito alle terapie farmacologiche alternative (ancora in fase sperimentale), tuttavia era mancata, comunque, la prova -di cui erano onerati gli odierni ricorrenti – che qualora avessero ricevuto un’informazione completa, non avrebbero acconsentito al trattamento del loro figlio secondo il protocollo raccomandato ALCL Relapse (chemioterapia e trapianto allogenico da cellule staminali) come migliore terapia disponibile, rispetto ad una terapia meramente sperimentale, la cui efficacia curante all’epoca dei fatti non era ancora chiara (parr. 5.6.4. della sentenza impugnata pag.80 e 5.7.5. 83 pagg. 83 e 84).
Da ciò la Corte d’Appello ha desunto, facendo ricorso ad una massima d’esperienza, che i genitori avrebbero comunque optato per il protocollo terapeutico loro prospettato come unica terapia possibile al momento della prima recidiva e che, di conseguenza, non era stato causato alcun danno risarcibile (par. 5.7.8 della sentenza impugnata, pag.85).
8.2. Come sopra sintetizzato, i ricorrenti assumono l’omesso esame di diversi fatti decisivi e lamentano che la massima d’esperienza adottata dalla Corte d’Appello non sarebbe pertinente al caso concreto, sarebbe stata adottata con un ragionamento illogico e comunque non conforme alle regole inferenziali; sostengono altresì che i fatti emersi siano stati travisati perché da essi la Corte d’Appello avrebbe potuto desumere una volontà contraria dei genitori a quella manifestata e lamentano l’applicazione nei loro confronti di un onere della prova troppo gravoso, tenuto conto che, a differenza della richiamata sentenza n. 28985/2019 (ove si trattava dell’informazione circa una complicanza conseguente ad un trattamento terapeutico), nella specie i medici curanti avevano presentato al paziente (recte, ai suoi genitori) un’unica scelta terapeutica, definendola come priva di alternative in tutto il mondo, mentre non era affatto così (in ricorso pag. 17).
I ricorrenti lamentano, nello specifico, la mancata considerazione delle seguenti circostanze: – le diverse scelte terapeutiche non erano mutualmente esclusive, – che era emersa la volontà dei genitori di risparmiare al loro figlio, per quanto possibile, trattamenti tossici, – che gli stessi genitori avevano chiesto se esistevano terapie alternative, – che i genitori diedero il loro consenso appena si presentò la facoltà di somministrare il farmaco “Crizotinib”, – che dal giugno 2012 (quindi prima del trapianto) vi erano dati disponibili maggiori ed un eventuale consenso, già prestato al trattamento chemioterapico, avrebbe potuto essere revocato e sostituito da quello con la somministrazione del citato farmaco, – che ciò non avrebbe impedito il trapianto di midollo osseo che avrebbe potuto essere eseguito (non necessariamente dopo il secondo ciclo di chemioterapia ma anche) dopo il terzo ciclo, – che, infine, un paziente adulto era stato curato nella stessa clinica con detto farmaco, già nel 2011 e, quindi, l’utilizzo del farmaco era noto ai medici curanti.
8.3. I ricorrenti, sebbene denuncino formalmente l’omesso esame di diversi fatti che hanno costituito oggetto di discussione, tuttavia nella sostanza lamentano l’omesso esame di elementi istruttori e va qui richiamato quanto da questa Corte reiteratamente enunciato ovvero che l’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., riformulato dall’art. 54 del D.L. n. 83 del 2012, conv. in L. n. 134 del 2012, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia); pertanto, l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (da ultimo tra le massimate, Cass. Sez. 2, 20/06/2024 n. 17005, precedentemente, in senso conforme, Cass. Sez. Un., 7/04/2014, nn. 8053 e 8054 e Cass. Sez. 6-3, 8/10/2014 n. 21257).
A sua volta, va rilevato che il controllo in sede di legittimità delle massime di esperienza non può spingersi fino a sindacarne la scelta, che è compito del giudice di merito, dovendosi limitare questa Corte a verificare che egli non abbia confuso con massime di esperienza quelle che sono, invece, delle mere congetture. Le massime di esperienza sono definizioni o giudizi ipotetici di contenuto generale, indipendenti dal caso concreto sul quale il giudice è chiamato a decidere, acquisiti con l’esperienza, ma autonomi rispetto ai singoli casi dalla cui osservazione sono dedotti ed oltre i quali devono valere; tali massime sono adoperabili come criteri di inferenza, vale a dire come premesse maggiori dei sillogismi giudiziari. Costituisce, invece, una mera congettura (una mera ipotesi, come qui sostengono i ricorrenti), in quanto tale inidonea ai fini del sillogismo giudiziario, tanto l’ipotesi non fondata sull’id quod plerumque accidit, insuscettibile di verifica empirica, quanto la pretesa regola generale che risulti priva, però, di qualunque pur minima plausibilità.
Ciò detto, si noti che nel caso di specie il ricorso non evidenzia l’uso di inesistenti massime di esperienza, ma si limita a segnalare soltanto che la Corte d’Appello avrebbe fatto ricorso ad un’unica “massima esperienza” per poi affermare che non vi sarebbero altri elementi istruttori da cui dedurre il contrario, tornando dunque i ricorrenti a lamentare la mancata considerazione degli elementi raccolti, il che costituisce compito precipuo del giudice del merito, non di quello di legittimità, che non può prendere in considerazione quale ipotetica illogicità argomentativa il dedotto cattivo governo delle risultanze istruttorie (cfr. tra le massimate, Cass. Sez. L, 27/07/2017 n. 18665).
8.4. Neppure sussiste il lamentato travisamento e la doglianza si pone del tutto al di fuori dell’ambito che questa Corte (Cass. Sez. U, 05/03/2024, n. 5792) ha assegnato al c.d. travisamento della prova; per vero, “il travisamento del contenuto oggettivo della prova ricorre in caso di svista concernente il fatto probatorio in sé, e non di verifica logica della riconducibilità dell’informazione probatoria al fatto probatorio, e trova il suo istituzionale rimedio nell’impugnazione per revocazione per errore di fatto, in concorso dei presupposti richiesti dall’articolo 395, n. 4, c.p.c., mentre, ove il fatto probatorio abbia costituito un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare e cioè se il travisamento rifletta la lettura del fatto probatorio prospettata da una delle parti, il vizio va fatto valere, in concorso dei presupposti di legge, ai sensi dell’articolo 360, nn. 4 e 5, c.p.c., a seconda si tratti di fatto processuale o sostanziale”.
A fronte del richiamato principio, la prospettazione svolta nell’illustrazione del motivo esprime solo la denuncia di una lettura erronea dei fatti emersi ed in tal guisa, risulta estranea alla nozione di travisamento indicata dalle Sezioni Unite, impingendo ancora una volta in una errata invocazione della violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., risultando chiaro che si tratti, invece, di una valutazione logica dell’informazione probatoria tratta dalle risultanze istruttorie e dagli accertamenti tecnici esperiti.
8.5. I ricorrenti si dolgono, inoltre, del fatto che la Corte territoriale, in assenza delle prove controfattuali, avrebbe fatto ricorso a presunzioni e ciò avrebbe portato ad una decisione viziata. In proposito, giova ricordare che “esula dal vizio di legittimità ex art. 360, n. 5 c.p.c. qualsiasi contestazione volta a criticare il “convincimento” che il giudice di merito si è formato, ex art. 116, c. 1 e 2 c.p.c., in esito all’esame del materiale probatorio ed al conseguente giudizio di prevalenza degli elementi di fatto, operato mediante la valutazione della maggiore o minore attendibilità delle fonti di prova, essendo esclusa, in ogni caso, una nuova valutazione dei fatti da parte della Corte di legittimità” (cfr. Cass. Sez. 3, 01/06/2021 n. 15276).
Nuovamente, va ribadito al riguardo che spetta esclusivamente al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi; così come gli spetta pure la facoltà di escludere anche attraverso un giudizio implicito la rilevanza di una prova; a tal proposito si ricorda infine che “egli non sia tenuto ad esplicitare, per ogni mezzo istruttorio, le ragioni per cui lo ritenga irrilevante ovvero ad enunciare specificamente che la controversia può essere decisa senza necessità di ulteriori acquisizioni (cfr. Cass. Sez. L, 13/06/2014 n. 13485; Cass. Sez. 2, 19/07/2021 n. 20553).
Quanto alla lamentata mancata valutazione dei requisiti di gravità, precisione e concordanza di cui all’art. 2729 c.c. e al connesso vizio di omesso esame di fatti decisivi ex art. 360, co.1, n. 5., c.p.c., come già veduto, la Corte d’Appello ha correttamente affermato che la prova controfattuale, ovvero la dimostrazione che il paziente avrebbe comunque scelto una terapia diversa, se fosse stato informato in modo completo ed esaustivo, deve sempre essere fornita dal paziente (par. 5.7.1-5.7.3 pagg. 82-83 della sentenza impugnata).
Pertanto, nella fattispecie in esame, il criterio di riparto dell’onere della prova è stato applicato in modo corretto dalla Corte territoriale che, dopo aver compiuto un’analisi completa delle diverse opzioni terapeutiche disponibili sulla base delle risultanze della C.T.U., ha considerato adeguatamente il contesto in cui si sono sviluppate le relative decisioni, tenendo conto sia dell’evoluzione nel tempo delle informazioni disponibili, che delle opzioni terapeutiche, nonché delle pubblicazioni scientifiche e dei comunicati stampa pertinenti, tutti elementi che dimostrano come la stessa Corte d’Appello abbia valutato in modo puntuale il contesto temporale in cui dovevano essere prese le decisioni terapeutiche e non si è invece limitata – contrariamente a quanto lamentato dai ricorrenti – “a fare riferimento ad un’unica massima di esperienza” ma considerando, nel complesso, le emergenze probatorie che avevano rilevato preoccupazioni dei genitori del piccolo paziente e le loro richieste di informazioni su terapie alternative e concludendo che a fronte di un adempimento parzialmente inadeguato dell’obbligo di informazione, ad ogni modo, fosse mancata la prova del nesso di causalità tra le conseguenze subite per la salute del piccolo paziente e una corretta somministrazione di una terapia curativa secondo le regole dell’arte medica, non avendo fornito i genitori la prova della volontà di rifiutare la terapia raccomandata, ove fossero stati adeguatamente informati dell’esistenza di quella ancora in fase sperimentale (par. 5.7.4 e 5.7.5. pag. 83 della sentenza impugnata).
Neppure quanto osservato dai ricorrenti nella memoria difensiva, nella quale hanno reiterato le dolgianze già illustrate, scalfisce l’adeguatezza dell’argomentazione resa in iure e in facto dalla decisione impugnata.
9. Si rivela infondato anche il terzo e ultimo motivo del ricorso principale.
La sentenza impugnata ha correttamente escluso che l’omessa informazione sulle terapie alternative potesse comportare un errore essenziale ai sensi dell’art. 1429 c.c. ovvero costituire inadempimento grave ai sensi dell’art. 1455 c.c.
In difetto di elementi probatori certi, la Corte ha ritenuto che il comportamento dei genitori, anche in caso di informazione completa, non sarebbe stato diverso, come affermato sulla base di una motivazione piana e adeguata.
Per vero, la Corte d’Appello ha affermato in proposito che non essendo stata fornita dai genitori la prova che avrebbero rifiutato il trattamento secondo lo studio clinico ALCL Relapse, per un verso, la non completa informazione non ha cambiato nulla in ordine all’oggetto del contratto e non risulta pertanto integrata la fattispecie di un errore essenziale e, per l’altro, non ha riconosciuto la necessaria rilevanza ai sensi dell’articolo 1455 c.c. al ritenuto non completo adempimento dell’obbligo di informazione da parte dei medici curanti.
10. In definitiva, il ricorso principale è rigettato e quello incidentale condizionato, di conseguenza, assorbito.
Sussistono le medesime ragioni espresse dalla Corte d’Appello per compensare integralmente le spese del presente giudizio di legittimità tra le parti.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1- bis dello stesso art. 13, ove dovuto (Cass. Sez. U. 20 febbraio 2020 n. 4315).
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 24 giugno 2025.
Depositata in Cancelleria il 22 settembre 2025.
