Svolgimento del processo
1. (omissis) convenne dinanzi al Tribunale di Vicenza il Dottor (omissis) (odierno ricorrente) per sentirlo condannare al risarcimento dei danni subiti in ragione di cure odontoiatriche ritenute errate per negligenza ed imperizia nell’attività di implantologia, quantificati in complessivi Euro 136.815,88. In precedenza, la (omissis) aveva promosso un procedimento di ATP a conclusione del quale emerse, puntualmente, la descrizione della situazione dell’apparato dentario della periziata conseguente alle cure prestate dall’odontoiatra (omissis).
2. Il convenuto (omissis) si costituì nel procedimento di merito, contestando la fondatezza della domanda ed agendo, in via riconvenzionale, per il pagamento delle prestazioni eseguite, ammontanti ad Euro 18.378,43, al netto dell’acconto già ricevuto di Euro 5.164,57. Il (omissis) chiamò altresì in garanzia la propria compagnia di assicurazioni, Lloyd Adriatico Spa a fronte della sussistenza di due polizze assicurative, l’una relativa alla responsabilità professionale, e l’altra per la tutela legale, per essere manlevato in caso di accoglimento delle domande dell’attrice con riguardo alla responsabilità professionale e rimborso delle spese di lite.
3. Nel costituirsi, Lloyd Adriatico Spa contestò l’operatività della polizza assicurativa professionale con riguardo ai profili denunciati.
4. La controversia venne istruita documentalmente e con l’espletamento di CTU medica.
5. Nel corso del procedimento decedeva l’attrice, con conseguente riassunzione della controversia ad opera dei suoi eredi (omissis), (omissis) e (omissis) (odierni controricorrenti), i quali insistettero nelle domande avanzate dalla propria dante causa.
6. Con sentenza n. 2073/1014 il Tribunale di Vicenza, evidenziata la natura contrattuale della responsabilità reclamata dall’attrice, e precisati gli oneri probatori a carico delle parti del rapporto, riconobbe, sulla scorta della CTU, ritenuta chiara ed esaustiva, due profili di colpa in capo al (omissis), consistenti: (1) nell’esecuzione delle prestazioni senza far precedere le medesime da un necessario intervento di chirurgia maxillo-facciale; (2) nell’errata esecuzione delle protesi odontoiatriche, non adeguatamente posizionate e dimensionate.
7. Sempre sulla scorta della CTU in atti, il Tribunale riconobbe in capo all’attrice un’invalidità temporanea nella misura del 30% per 40 giorni, che liquidò in base alle Tabelle milanesi in Euro 1.152,00, nonchè un danno patrimoniale di Euro 24.250,00, quale costo degli interventi terapeutici necessari ad eliminare i postumi dell’errata attività del convenuto.
8. Il Tribunale rigettò sia la domanda di parte attrice relativa al rimborso della somma asseritamente versata al sanitario per le prestazioni (Euro 15.493,71), a fronte della mancata istanza di risoluzione del contratto professionale, sia la domanda riconvenzionale del medico convenuto, posto che il CTU aveva quantificato il valore delle prestazioni correttamente eseguite in Euro 4.647,00, importo inferiore a quanto dallo stesso già percepito. Quanto alla domanda di manleva, la stessa venne riconosciuta limitatamente alla polizza di tutela legale del convenuto e per le spese di CTU e da rifondere all’attrice, non risultando operante la copertura assicurativa della responsabilità professionale per i danni conseguenti all’implantologia, e ritenuta non operare la tutela legale per le controversie di natura contrattuale nei confronti dell’impresa.
9. Avverso la predetta sentenza (omissis) propose gravame dinanzi alla Corte d’appello di Venezia sulla base di quattro motivi di censura. Per quanto ancora rileva in questa sede, dedusse: (1) l’erroneità nel riconoscimento del danno patrimoniale relativo alle cure dentarie future, in ragione della mancanza di postumi permanenti; (2) l’erroneità circa la trasmissibilità ereditaria della posta di danno patrimoniale in relazione all’inesistenza del bene nel patrimonio della de cuius al momento del decesso.
10. Si costituirono i convenuti appellati contestando nel merito le argomentazioni del (omissis), e in particolare adducendo che: (1) il danno patrimoniale liquidato afferiva all’alterazione della situazione dentaria, conseguente all’attività del sanitario, che andava ripristinata; (2) detta somma era entrata nel patrimonio della deceduta al momento del fatto dannoso, con conseguente riconoscibilità in capo agli eredi.
11. Lloyd Adriatico Spa si costituì con appello incidentale in merito al mancato accertamento da parte del Tribunale del massimale contenuto nella polizza di tutela legale del (omissis), ammontante ad Euro 26.000,00, superato di Euro 6.898,58 a fronte della quantificazione delle spese legali degli eredi della (omissis) in Euro 13.302,60, nonchè dell’ammontare delle spese legali del convenuto per resistere all’azione in complessivi Euro 19.595,98, somme corrisposte dalla compagnia a fronte della provvisoria esecutività della sentenza. Lloyd Adriatico Spa chiese, quindi, il rimborso da parte dell’appellante di quanto versato in eccedenza in relazione all’avvenuto superamento del limite di copertura della polizza di tutela legale, quantificando la somma in relazione ai possibili esiti giudizio.
12. Con sentenza n. 1159/2019 depositata in data 19/3/2019 la Corte d’Appello di Venezia, confermata per il resto la pronuncia di primo grado: (1) ha accolto l’appello incidentale di Lloyd Adriatico Assicurazioni s.p.a.; (2) ha accolto l’appello principale per quanto di ragione, e, per l’effetto, ha condannato Lloyd Adriatico a tenere indenne il (omissis), in forza della polizza di tutela legale, di quanto da quest’ultimo tenuto a versare ai sensi della decisione del Tribunale, entro il massimale di Euro 26.000; (3) ha condannato il (omissis) alla rifusione delle spese del doppio grado di giudizio in favore di (omissis), (omissis) e (omissis).
13. Avverso la predetta sentenza (omissis) propone ricorso per cassazione affidato a cinque motivi, cui (omissis) e (omissis), in proprio e quali eredi di (omissis), resistono con controricorso.
14. La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380-bis 1 c.p.c. 15. Parte ricorrente ha depositato memoria.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, 1 co., n. 4, c.p.c., “Violazione o falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 per motivazione inesistente essendo la stessa costituita da due espressioni in insanabile contraddizione tra di loro”, laddove la Corte territoriale ha fatto ricorso a due espressioni indecifrabili in insanabile contraddizione tra di loro. A detta del ricorrente, la Corte si sarebbe contraddetta in quanto, da un lato, ha escluso la presenza di postumi permanenti conseguenti all’attività del medico, e dall’altro ha ritenuto l’esistenza di un danno emergente risarcibile in misura commisurata al costo degli interventi necessari alla eliminazione delle conseguenze.
2. Sul primo motivo. In primo luogo, va osservato che la responsabilità medica del (omissis) non è contestata, in quanto non sono stati impugnati i capi della sentenza di primo grado che individuavano l’errore del (omissis) nel non avere anteposto il trattamento chirurgico ad ogni intervento di implantologia, nè la parte che evidenziava gravi errori di progettazione e di esecuzione degli impianti. La responsabilità (omissis) è pertanto acclarata non solo sotto il profilo della errata diagnosi, ma anche sotto il profilo di errata progettazione degli impianti e conseguente cattiva esecuzione degli stessi.
2.1 Il CTU ha affermato al riguardo che “i postumi non impediscono del tutto lo svolgimento di qualsiasi attività lavorativa, nè vi sono settori di attività preclusi” (p. 18 della relazione, prodotta dal controricorrente sub n. 4 all. al controricorso), e, a pag. 10 dell’elaborato, ha evidenziato che “da queste considerazioni si ribadisce che il trattamento terapeutico effettuato non è stato efficace nè efficiente perchè non preceduto dalla chirurgia articolare mandibolare”, ovvero che il trattamento terapeutico effettuato dal (omissis) era stato inutile.
Inoltre, il CTU ha precisato che: “Il trattamento non è stato certamente eseguito in conformità delle metodiche medicochirurgiche dal momento che la prassi, la scienza medica e le linee guida stilate prevedono che innanzi tutto vengano risolte propedeuticamente le patologie che, a loro volta, costituiscono primum movens patogenicamente attivo nella determinazione di successive evidenze patologiche (…), evidenziando “insuccessi ricorrenti costituiti dalla frattura delle protesi e dalla mancata osteointegrazione degli impianti che, infine, avevano finito col dover essere rimossi” (pp. 11 e 12 della relazione del CTU).
2.2 La Corte d’Appello ha rilevato che i postumi indicati dal CTU “ricollegandosi gli interventi ritenuti necessitati al danno originariamente causato ed alla lesione dell’integrità psicofisica del soggetto, devono essere valutati come danno emergente risarcibile la cui posta è già ricompresa nel patrimonio del soggetto successivamente venuto meno” (così a p. 13, 1 p., della sentenza). La somma liquidata dal Tribunale ha avuto la funzione di “risarcimento” ovvero di risarcire la (omissis) in conseguenza del comportamento negligente del medico. Il motivo è pertanto inammissibile, in quanto volto a censurare un apprezzamento in fatto della Corte territoriale sorretto da congrua motivazione e come tale insindacabile nella presente sede di legittimità.
2.3 Inoltre, con il motivo in esame il ricorrente deduce doglianze di vizio di motivazione al di là dei limiti consentiti dalla vigente formulazione dell’art. 360, 1 co, n. 5, c.p.c. (v. Cass., Sez. Un., 7/4/2014, n. 8053), nel caso ratione temporis applicabile, sostanziantesi nel mero omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti, dovendo riguardare un fatto inteso nella sua accezione storico-fenomenica, e non anche, come nella specie, vizi della motivazione ovvero l’omessa e a fortiori l’erronea valutazione di determinate emergenze probatorie (cfr. Cass., Sez. Un., 7/4/2014, n. 8053, e, di recente, Cass., Sez. II, 8/3/2022, n. 7523; Cass. 29/9/2016, n. 19312). Ne consegue che il motivo è inammissibile sotto i diversi profili sopra indicati.
3. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, 1 co., n. 3, c.p.c., “Violazione o falsa applicazione dell’art. 1223 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 in quanto la sentenza liquida in favore dell’attrice un danno che non è legato da nesso di causalità alla condotta del convenuto”, per avere la Corte territoriale liquidato in favore della (omissis) (originaria attrice) un danno non legato da nesso di causalità alla condotta del ricorrente. Ciò in quanto, a fronte di prestazioni dichiarate inefficaci, il ricorrente non dovrebbe essere tenuto a risarcire le spese che la paziente avrebbe dovuto comunque sostenere (anche nell’ipotesi in cui nessun rapporto di natura sanitaria fosse intercorso con il ricorrente), per essere tali spese afferenti alla soluzione di una situazione patologica preesistente.
4. Sul secondo motivo. Il motivo è manifestamente infondato. Il CTU, a pag. 19 e segg. della perizia, ha affermato che, per eliminare i postumi dell’errata attività del Dott. (omissis), sarebbero stati necessari interventi chirurgici su un osso rimodellato più volte. Il CTU ha pertanto accertato l’esistenza di una lesione definitiva nella integrità psico-fisica della sig.ra (omissis), conseguente non a situazioni pregresse, come sostenuto dal ricorrente, bensì alla inadeguatezza dell’operato di quest’ultimo.
5. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, “Violazione dell’art. 115 c.p.c. (valutazione secundum alligata et probata) in relazione all’art. 360 c.p.c. comma 1 n. 5, omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”, per avere la Corte territoriale, in relazione alle possibili conseguenze dell’operato del medico, attribuito allo stesso il totale delle possibili spese future della (omissis), quando invece, sulla base della CTU, avrebbe dovuto tener conto solo di quelle che sarebbero conseguite all’eventuale abbassamento della cresta alveolare con conseguente necessità di rialzo dei seni mascellari.
6. Sul terzo motivo. Il motivo in esame è inammissibile per essere il profilo della responsabilità del ricorrente coperto da giudicato (cfr. 4 p., p. 11 della sentenza gravata), e per essere stato il motivo in esame formulato per la prima volta in questa sede di legittimità.
6.1 Inoltre, facendo il motivo riferimento all’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, deduce doglianze di vizio di motivazione al di là dei limiti consentiti dalla vigente formulazione dell’art. 360, 1 co, n. 5, c.p.c. (v. Cass., Sez. Un., 7/4/2014, n. 8053), nel caso ratione temporis applicabile, sostanziantesi nel mero omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti, dovendo riguardare un fatto inteso nella sua accezione storico-fenomenica, e non anche, come nella specie, vizi della motivazione ovvero l’omessa e a fortiori l’erronea valutazione di determinate emergenze probatorie (cfr. Cass., Sez. Un., 7/4/2014, n. 8053, e, di recente, Cass., Sez. II, 8/3/2022, n. 7523; Cass. 29/9/2016, n. 19312). Ne consegue che il motivo è sotto un duplice aspetto inammissibile.
7. Con il quarto motivo il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, 1 co., n. 4, c.p.c., “Violazione dell’art. 1223 c.c. in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 nella parte in cui vengono liquidate spese future che parte attrice ha dapprima dimostrato non avrebbe con ogni probabilità sostenuto e poi sono divenute di impossibile maturazione per il decesso della medesima”, per avere la Corte territoriale liquidato spese future che parte attrice ha dapprima dimostrato che non avrebbe con ogni probabilità sostenuto, e che poi sono divenute di impossibile maturazione per il decesso della medesima. Con riguardo alle spese future, il ricorrente sostiene che la Corte territoriale avrebbe dovuto accertare se esse sarebbero state sostenute in base ad un criterio di “ragionevole e fondata attendibilità”. Con riguardo al decesso della (omissis), il ricorrente sostiene che tale evenienza ha azzerato la necessità di dar corso ad ulteriori interventi medici sulla paziente.
8. Sul quarto motivo. La sentenza gravata motiva al riguardo: “Il CTU Dott. (omissis) aveva constatato e descritto la situazione dentaria della paziente dopo gli interventi del convenuto nella relazione redatta in ambito di ATP, evidenziando una serie di conseguenze derivanti dagli interventi eseguiti. Successivamente, nell’ambito del giudizio di merito il medesimo, a fronte di un quesito del giudice più specifico ed approfondito, ha nuovamente descritto la situazione dell’apparato dentario della paziente, argomentando in ordine alla sussistenza “di postumi diversi da quelli normalmente ricollegabili al trattamento praticato” (punto h) del quesito posto dal giudicante). In detto ambito, soprattutto con riguardo al profilo di responsabilità afferente alla corretta esecuzione e posizionamento degli impianti eseguiti, il consulente attesta con sicurezza: “Ovviamente questi non sono i risultati normalmente ottenibili ed auspicabili come consequenziali ad un trattamento impiantare eseguito correttamente. Inoltre, alla perdita della osteointegrazione consegue, fisiologicamente, un abbassamento della cresta alveolare, quindi una diminuzione della dimensione verticale dell’osso mandibolare che potrebbe impedire e/o complicare ulteriori interventi di implantologia e/o potrebbe render indispensabili ulteriori interventi chirurgici (innesti ossei o altri tipi di interventi miranti all’ottenimento di una rigenerazione ossea)” (pag. 16 della relazione del CTU). (…) In tale ottica i postumi indicati dal CTU non risultano individuati e qualificati come danno permanente che, infatti, non viene quantificato bensì come conseguenze ricollegabili all’errata attività sanitaria, superabili con gli interventi successivamente elencati e monetizzati. Sempre in tale ottica, ricollegandosi agli interventi ritenuti necessitati dal danno originariamente causato ed alla lesione dell’integrità psico-fisica del soggetto, risultando gli stessi finalizzati alla reintegrazione del bene leso, devono essere valutati quale danno emergente risarcibile la cui posta è già ricompresa nel patrimonio del soggetto successivamente venuto meno” (così da p. 11, 5 p., a p. 13, 2 p., della sentenza).
8.1 Risulta pertanto evidente che nel caso in esame non vi è stata alcuna richiesta di risarcimento di danni futuri. Come si ricava dalla sentenza gravata (p. 8), il Tribunale, sulla scorta della CTU, ha riconosciuto in capo all’attrice un’invalidità temporanea nella misura del 30% per 40 giorni, che ha liquidato in base alle tabelle del Tribunale di Milano in Euro 1.152,00 nonchè un danno patrimoniale di Euro 24.250,00, quale costo degli interventi terapeutici necessari ad eliminare i postumi dell’errata attività del Dottor (omissis). Tale risarcimento si riferisce alla danno emergente in termini di costi per eliminare le conseguenze dell’errata attività del Dott. (omissis), con conseguente inammissibilità della censura.
9. Con il quinto motivo il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, 1 co., n. 3, c.p.c., “Violazione dell’art. 1223 c.c. in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 nella parte in cui vengono liquidate spese future che non potranno più essere certamente sostenute in favore degli eredi della richiedente”. Il motivo in questione è sostanzialmente riproduttivo di quello precedente, e va soggetto alle medesime valutazioni di inammissibilità.
10. Il ricorso è pertanto infondato, per le ragioni sopra esposte.
11. Le spese del giudizio di cassazione, liquidate con dispositivo in favore del controricorrente, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi Euro 2.400,00, oltre agli esborsi, liquidati in Euro 200,00, oltre al rimborso spese generali e accessori di legge, in favore dei controricorrenti (omissis) e (omissis).
Ai sensi dell’art. 13, 1 comma, quater del D.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 03 luglio 2023.
Depositato in Cancelleria il 22 settembre 2023
