• Home
  • >
  • Cassazione civile sez. III, 22/06/2017, n. 22048

Cassazione civile sez. III, 22/06/2017, n. 22048

Massima

In materia di controversie agrarie, il tentativo obbligatorio di conciliazione previsto dalla L. n. 203/1982, art. 46, è condizione di procedibilità sia per le domande proposte nei confronti di soggetti chiamati in causa per integrazione del contraddittorio, sia per le domande riconvenzionali.

Supporto alla lettura

CONTRATTO AGRARIO

E’ considerato agrario quel contratto che, attraverso il conferimento del fondo o del bestiame, è diretto a dar vita all’impresa agricola e a disciplinarne l’attività.

All’interno della categoria dei contratti agrari si distingue tra:

affitto di fondo rustico (contratto di scambio o a natura commutativa): il proprietario cede il godimento del fondo in cambio di un corrispettivo;

mezzadria, sòccida, colonia parziaria (contratti di natura associativa): la responsabilità della gestione dell’attività agricola ricade sul proprietario che concede il godimento del fondo sia sul concessionario che approva la propria capacità lavorativa. La L. 203/1982 ha vietato la stipulazione di nuovi contratti associativi, prevedendone la conversione in contratti di affitto.

L’affitto di fondo rustico è una speciale forma di affitto a tutela dell’affittuario (coltivatore diretto del fondo o meno), infatti il canone di affitto non può superare un certo limite, periodicamente stabilito da una commissione, relativamente a zone agrarie aventi uguali caratteristiche. Due sono gli elementi fondamentali della normativa sui fondi rustici:

la previsione di bassissimi canoni di affitto;

un lungo termine di durata di tali contratti (almeno 15 anni, ulteriormente aumentabile di altri 3 anni, ove l’affittuario lo richieda al locatore.

Nel caso in cui l’affittuario abbia migliorato il fondo, magari rendendolo più produttivo, allo scadere del contratto avrà inoltre diritto a una indennità, e se ha impiegato dei capitali per migliorare il fondo avrà diritto a una proroga di 12 anni della durata del contratto.

Se l’affittuario è un coltivatore diretto (cioè se coltiva il fondo personalmente e con l’aiuto dei familiari) la sua posizione è ulteriormente tutelata, infatti, negli ultimi decenni sono stati ripetutamente prorogati oltre la scadenza da varie leggi speciali. Nel caso di morte dell’affittuario, la proroga è concessa anche ai suoi eredi. Se il proprietario del fondo intende venderlo, spetta al coltivatore diretto (e anzi, anche ai coltivatori diretti dei fondi confinanti con quello in vendita) il diritto di prelazione sul fondo, cioè il coltivatore, a parità di prezzo offerto, andrà comunque preferito agli altri soggetti intenzionati ad acquistare il fondo.

La colonia parziaria è un contratto in cui il concedente e uno o più coloni si associano per la coltivazione di un fondo e per l’esercizio delle attività connesse, al fine di dividerne i prodotti e gli utili. La durata della colonia parziaria è stabilita per il tempo necessario affinché il colono possa svolgere e portare a compimento un ciclo normale di rotazione delle colture praticate nel fondo.

La mezzadria è l’associazione per la coltivazione di un podere e per l’esercizio delle attività connesse, al fine di dividere a metà i prodotti e gli utili. Colui che concede il fondo partecipa in misura uguale al mezzadro alle spese di conduzione, comprese anche quelle relative ai contributi previdenziali a favore di quest’ultimo; il concedente ha diritto soltanto al 36% della produzione vendibile; il resto è attribuito al mezzadro il quale si accolla anche il restante 50% delle spese di conduzione (oggi la conduzione a mezzadria non è più praticata ed è scomparsa dalla nostra agricoltura).

La sòccida è il contratto col quale il soccidante e il soccidario si associano per l’allevamento e lo sfruttamento di una certa quantità di bestiame e per l’esercizio delle attività connesse, al fine di ripartire l’accrescimento del bestiame e degli altri prodotti e utili che ne derivano. Esistono tre tipologie di sòccida:

semplice:  il soccidante conferisce il bestiame e il soccidario provvede al suo allevamento e all’esercizio delle attività connesse;

con conferimento di pascolo: quando il soccidario conferisce il bestiame e il soccidante conferisce il terreno e il pascolo;

parziaria:  il bestiame è conferito da entrambi gli associati.

Ambito oggettivo di applicazione

FATTI DI CAUSA
I sigg.ri (omissis) e (omissis), (omissis), (omissis), (omissis) e (omissis) in proprio e quali eredi di (omissis) convennero dinanzi 41 Tribunale di Napoli – sezione specializzata agraria – i sigg.ri (omissis), (omissis) e (omissis) per sentir pronunciare il rilascio del proprio fondo rustico con annesso fabbricato rurale sito nel Comune di (omissis).

I convenuti spiegarono domanda riconvenzionale mirante ad accertare che il rapporto di affitto intercorreva tra i ricorrenti (omissis) e (omissis) nonchè (omissis) e (omissis) nei confronti dei quali era disposta l’integrazione del contraddittorio.

Il Tribunale dichiarò cessato il contratto di affitto tra i ricorrenti e i sigg.ri (omissis) e (omissis), condannò i convenuti al rilascio del fondo rustico, dichiarò improponibile la domanda riconvenzionale proposta dai convenuti, inammissibile la domanda riconvenzionale di (omissis) e compensò le spese del guidizio.

In appello i sigg.ri (omissis) – (omissis) impugnarono la sentenza chiedendone la riforma per avere il giudice erroneamente rilevato la tardività della costituzione di (omissis), affermando che la stessa avrebbe dovuto costituirsi dieci giorni prima dell’udienza di comparizione del 24/11/2008, a nulla rilevando che il procuratore dei ricorrenti, avvocato (omissis), fosse deceduto in data 06/10/2008, con la produzione dell’effetto interruttivo del giudizio.

Con un secondo motivo chiedevano di riformare la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva pronunciato l’inammissibilità della domanda riconvenzionale di (omissis) e (omissis) in quanto, trattandosi di un unico rapporto locativo in capo ad una pluralità di coaffittuari, l’interesse all’accertamento sussisteva in capo a ciascun contitolare; con un ulteriore motivo di gravame la sentenza di primo grado era impugnata nella parte relativa alla mancata pronuncia di improcedibilità della domanda a causa del mancato esperimento del tentativo obbligatorio di conciliazione L. n. 203 del 1982, ex art. 46.

Infine, per quanto riguarda la domanda di accertamento della sussistenza del coaffitto proposta dai sigg.ri (omissis) e (omissis), essi chiedevano acclararsi la non necessità del tentativo di conciliazione.

Si costituirono (omissis), (omissis), (omissis), (omissis), (omissis) e (omissis) spiegando appello incidentale in relazione all’omessa pronuncia relativa al rilascio, oltre che del fondo rustico, anche del fabbricato rurale ivi insistente.

La Corte di appello di Napoli, con sentenza del 5/06/2015, accertò la tempestività della domanda riconvenzionale di (omissis) stante, a causa del sopravvenuto decesso dell’avvocato (omissis), la preclusione di qualunque attività processuale fino alla riattivazione del giudizio.

L’interruzione del processo, a seguito della morte del procuratore costituito di una delle parti, si verifica infatti ope legis, con la conseguente inefficacia degli atti processuali compiuti successivamente all’evento interruttivo.

Pur ritenuta tempestiva, la domanda riconvenzionale della (omissis) risultava comunque improponibile per il mancato preventivo esperimento del tentativo obbligatorio di conciliazione in ragione del fatto che la domanda riconvenzionale comportava un ampliamento, sotto il profilo soggettivo, della controversia oggetto dell’esperito tentativo di conciliazione.

Per quanto riguarda l’improcedibilità della domanda a causa del mancato tentativo obbligatorio di conciliazione, la Corte d’appello ha ritenuto che fosse suo obbligo verificare la perfetta coincidenza soggettiva tra coloro che avevano partecipato al tentativo di conciliazione e quanti avevano assunto, nel successivo giudizio, la qualità di parte.

Per quanto riguarda il mancato esperimento del tentativo di conciliazione di (omissis), (omissis) e (omissis) il medesimo era considerato irrilevante in ragione della circostanza assorbente dell’unitarietà e inscindibilità del rapporto locativo non avendo sortito il precedente tentativo di conciliazione alcun effetto positivo. Per quel che riguarda l’omessa pronuncia in relazione al rilascio del fabbricato rurale, la Corte d’appello ha ritenuto che la mancata menzione del fabbricato non fosse apprezzabile in ragione del rinvio al ricorso per la corretta identificazione dell’immobile.

Avverso la sentenza i (omissis) e (omissis) propongono ricorso per cassazione affidato a tre motivi, illustrati da memoria.

Resistono i sigg.ri (omissis), (omissis) e (omissis) con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo denunciano la violazione o falsa applicazione della L. n. 203 del 1982, art. 46 e succ. mod ed int. in relazione alla ritenuta infondatezza del terzo motivo del gravame principale (art. 360 c.p.c., n. 3). – Impugnano la sentenza nella parte in cui, nell’ipotesi di successiva chiamata in causa di altri soggetti per ordine del giudice al fine di integrare il contraddittorio, non sarebbe necessario procedere al tentativo di conciliazione anche nei confronti di tali parti essendo sufficiente accertare la perfetta coincidenza soggettiva tra coloro che siano stati destinatari del tentativo di conciliazione e quanti abbiano assunto, nel successivo giudizio, la qualità di parte.Ad avviso dei ricorrenti la statuizione si porrebbe in contrasto con la giurisprudenza di questa Corte secondo la quale la procedura di conciliazione dev’essere espletata anche nei confronti dei chiamati in seguito ad integrazione del contraddittorio.

L’assunto della sentenza impugnata, secondo il quale la rinnovazione del tentativo di conciliazione si sarebbe comunque rivelata inutile a causa del fallimento del tentativo già espletato nei riguardi degli originari convenuti, contrasterebbe con la natura di condizione di procedibilità della domanda.

Il motivo è fondato. In effetti la giurisprudenza di questa Corte è consolidata nel senso di richiedere l’esperimento della preventiva procedura amministrativa di cui L. n. 203 del 1982, artt. 5 e 46 quale condizione di proponibilità dell’azione di risoluzione del contratto per grave inadempimento del concessionario, anche nei confronti dei chiamati successivamente in causa a seguito di integrazione del contraddittorio (Cass., 3, 16/10/1995 n. 10807; Cass., 3, 14/11/2008 n. 27255; in relazione alla proposizione del tentativo di conciliazione anteriormente alla domanda riconvenzionale si veda Cass., 26/05/2014 n. 11644; Cass., 3, 10/07/2014 n. 15757: “in materia di controversie agrarie la necessità di un autonomo tentativo di conciliazione ex art. 46 non sussiste per le domande che, proposte unicamente in sede giurisdizionale, siano tuttavia collegate ad altre pretese e contrasti fatti valere in sede conciliativa, sicchè qualora le domande non si pongano in rapporto di accessorietà e consequenzialità con quelle oggetto del tentativo di conciliazione, l’adempimento ex art. 46 è obbligatorio anche per esse).

Con il secondo motivo denunciano la violazione o falsa applicazione della L. n. 203 del 1982, art. 32 e succ. mod. ed int. in relazione alla ritenuta infondatezza del quarto motivo del gravame principale (art. 360 c.p.c., n. 3).

Censurano l’impugnata sentenza nella parte in cui ha affermato il principio di diritto secondo cui, anche la domanda riconvenzionale deve essere preceduta, a pena di improponibilità, dal tentativo obbligatorio di conciliazione.

Ad avviso dei ricorrenti sarebbe irrazionale porre a carico del convenuto alcuni adempimenti, quale il tentativo di conciliazione relativi all’eccezione o alla domanda riconvenzionale (Cass., 26/05/2014 n. 11644; Cass., 3, 10/07/2014 n. 15757: “in materia di controversie agrarie la necessità di un autonomo tentativo di conciliazione ex art. 46 non sussiste per le domande che, proposte unicamente in sede giurisdizionale, siano tuttavia collegate ad altre pretese e contrasti fatti valere in sede conciliativa, sicchè qualora le domande non si pongano in rapporto di accessorietà e consequenzialità con quelle oggetto del tentativo di conciliazione, l’adempimento ex art. 46 è obbligatorio anche per esse).

Anche il secondo motivo merita accoglimento per le stesse ragioni esposte in relazione al primo motivo.

Con il terzo motivo di ricorso denunciano la violazione o falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c. e art. 92 c.p.c., comma 2, in relazione alla pronuncia di condanna al pagamento delle spese processuali del grado di appello (art. 360 c.p.c., n. 3).

Rispetto a questo capo di sentenza i ricorrenti hanno eccepito la reciproca soccombenza delle parti che avrebbe dovuto condurre ad una statuizione di compensazione delle spese.

L’accoglimento dei primi due motivi determina l’assorbimento del terzo.

Conclusivamente il ricorso va accolto, con cassazione della sentenza e rinvio alla Corte di appello di Napoli, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione, cassa e rinvia alla Corte di appello di Napoli, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di cassazione. L’accoglimento del ricorso esclude l’onere del pagamento di un importo a titolo di contributo unificato, pari a quello pagato per il ricorso.Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, il 7 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 22 settembre 2017

Allegati

    [pmb_print_buttons]

    Accedi