• Home
  • >
  • Cassazione civile sez. III, 20/03/2024, n. 7505

Cassazione civile sez. III, 20/03/2024, n. 7505

Massima

Sull’art. 2051 c.c. va confermato che: la responsabilità del custode e esclusa dalla prova del fortuito; il caso fortuito può consistere in un fatto naturale, in una condotta d’un terzo estraneo tanto al custode quanto al danneggiato; del terzo, in un comportamento della vittima; se il caso fortuito e consistito in un fatto naturale o del terzo, esso in tanto esclude la responsabilità del custode, in quanto sia oggettivamente (e cioè per qualunque persona, e non solo per il custode) imprevedibile ed inevitabile; se il caso fortuito e consistito nella condotta della vittima, al fine di stabilire se esso escluda in tutto od in parte la responsabilità del custode debbono applicarsi i seguenti criteri: i) valutare in che misura il danneggiato avrebbe potuto prevedere ed evitare il danno; ii) valutare se il danneggiato ha rispettato il “generale dovere di ragionevole cautela; iii) escludere del tutto la responsabilità del custode, se la condotta del danneggiato ha costituito una evenienza “irragionevole o inaccettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale; iv) considerare irrilevante, ai fini del giudizio che precede, la circostanza che la condotta della vittima fosse astrattamente prevedibile (nel caso di specie la corte d’appello ha ritenuto – con apprezzamento in fatto non censurabile, siccome scevro dai soli gravissimi vizi logici o giuridici ancora deducibili in sede di legittimità – che la condotta imprudente del danneggiato, in relazione allo stato dei luoghi, fosse stata del tutto priva della cautela esigibile, fino ad avere un peso causale preponderante pur in relazione ad un particolare stato dei luoghi, del quale ha tenuto conto riconoscendogli un ruolo causale nell’incidente: domanda risarcitoria – con riferimento alla quale veniva ascritto un concorrente concorso di colpa della vittima, nella misura del 70%, alla luce della velocità pari a 150-160 km all’ora – in relazione al sinistro stradale mortale del motociclista in una strada in cui si erano verificati a breve distanza di tempo altri incidenti anche mortali, che perdeva il controllo e andava ad impattare contro la parete rocciosa che fiancheggiava la carreggiata, caratterizzata da spezzoni taglienti di pietra viva, priva di protezione e caratterizzata da un dosso segnalato in modo inadeguato, cui faceva seguito una curva a destra in forte discesa e infossata rispetto al piano di campagna, accompagnata da una falsa pendenza del terreno).

NDR: in argomento Cass. 27724/2018, 20312/2019, 38089/2021, 35429/2022, 14228/2023, 21675/2023, 11152/2023, 21675/2023, 2376/2024 e Cass. SU 20943/2022.

Supporto alla lettura

Responsabilità cose in custodia

La responsabilità di cui all’art. 2051 c.c. ha carattere oggettivo, e non presunto. pertanto, ai fini della responsabilità delle cose in custodia è sufficiente la dimostrazione da parte dell’attore del nesso di causalità fra cosa in custodia e danno.

Ambito oggettivo di applicazione

…omissis…

Fatti di causa

omissis (tutti in proprio, oltre che quali eredi di XX), ricorrono, sulla base di tre motivi, per la cassazione della sentenza n. 191/21 del 10 febbraio 2021, della Corte di Appello di Bari, che – accogliendone solo in punto di spese di lite il gravame esperito, in via di principalità, avverso la sentenza n. 918/16 del Tribunale di Trani – provvedeva come di seguito indicato in merito alla domanda risarcitoria da essi proposta contro la Provincia di Bari (oggi Città Metropolitana), in relazione al sinistro stradale in cui ebbe a perdere la vita, il 29 settembre 2004, il congiunto XX, mentre procedeva alla guida di un motociclo lungo la strada provinciale n. 138, detta del “Cavone”.

Gli odierni ricorrenti riferiscono di aver adito l’autorità giudiziaria, convenendo in giudizio la Provincia di Bari (di seguito divenuta Città Metropolitana), addebitando alla particolare conformazione della sede stradale teatro dell’incidente, in cui si erano verificati a breve distanza di tempo altri incidenti anche mortali, la causa esclusiva dell’incidente mortale occorso al loro familiare, che perdeva il controllo del motoveicolo e andava ad impattare contro la parete rocciosa che fiancheggiava la carreggiata, caratterizzata da spezzoni taglienti di pietra viva, priva di protezione. Aggiungevano che la strada in quel punto non presentava un limite di velocita inferiore ai 90 km orari, come sarebbe stato auspicabile stante la pericolosità della sua conformazione naturale, era caratterizzata da un dosso, segnalato in modo inadeguato, cui faceva seguito una curva a destra in forte discesa e infossata rispetto al piano di campagna, accompagnata da una falsa pendenza del terreno e dall’essere fiancheggiata la strada, in quel punto, da pareti di roccia viva prive di alcuna protezione. Chiedevano il ristoro dei danni iure hereditario e iure proprio – conseguenti al decesso del giovane XX .

Istruita la causa anche mediante lo svolgimento di consulenza tecnica d’ufficio, il primo giudice provvedeva sulla domanda risarcitoria ritenendo la responsabilità per custodia della convenuta ma dando atto al contempo di un concorrente concorso di colpa della vittima, nella misura del 70%.

In appello, gli odierni ricorrenti contestavano l’eccessiva misura del concorso di colpa in capo alla vittima, ed il rigetto della domanda risarcitoria relativa al danno morale terminale.

La sentenza impugnata confermava la responsabilità dell’ente tenuto alla custodia della strada, in quel punto priva di adeguata segnaletica tale da consentire una percezione chiara delle caratteristiche del tracciato, aggiungendo che nella curva ove il motociclo era uscito di strada il tracciato era contraddistinto da una errata pendenza e privo di barriere architettoniche e che non era presente, al momento dell’incidente, alcuna segnaletica verticale del limite massimo di velocità. Confermava però, al contempo, il riconoscimento della concorrente responsabilità della vittima nella causazione del sinistro, nella prevalente misura del 70%, in ragione dell’eccessiva velocità impressa al mezzo dal medesimo condotto, limitando, così, a Euro 90.000,00, per i genitori del defunto, omissis, l’importo del risarcimento a ciascuno dovuto, nonché a Euro 30.000,00 cadauna, quello invece spettante alle sorelle omissis. Rigettava l’appello incidentale della Città metropolitana di Bari.

Resiste all’avversaria impugnazione, con controricorso, la Città Metropolitana di Bari.

La causa veniva inizialmente avviata alla decisione all’interno della Sesta Sezione civile della Corte, previa formulazione di proposta da parte del relatore, ma il collegio, stante la natura delle questioni oggetto del ricorso, reputava necessario disporre rinvio dello stesso in pubblica udienza, anche in ragione del fatto che il Presidente titolare della Sezione, tabellarmente investita della materia della responsabilità da cose in custodia, aveva disposto lo svolgimento di una serie di udienze tematiche volte a fare il punto della evoluzione giurisprudenziale su tale materia (c.d. “progetto 2051 cod. civ.”).

Il Procuratore generale ha depositato le proprie conclusioni scritte con le quali chiede il rigetto del ricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memoria.

La causa è stata decisa previa discussione in udienza pubblica, all’esito della quale il collegio ha riservato il deposito della decisione nei successivi sessanta giorni.

Ragioni della decisione

Avverso la sentenza della Corte barese ricorrono per cassazione gli omissis, sulla base – come detto – di tre motivi.

Il primo motivo denuncia – ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. – violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2051 cod. civ., lamentando, in particolare, l’errata applicazione dei principi sulla prova del caso fortuito, in relazione alla fattispecie della responsabilità da cose in custodia, per essere stato disatteso il principio secondo cui è il custode a dover provare l’esistenza di un fattore esterno che per la sua eccezionalità e imprevedibilità interrompa il nesso causale tra “res” ed evento dannoso, dovuto alla condotta del danneggiato o, se la “cosa” è inerte, alla sua non pericolosità in relazione allo stato dei luoghi.

Rilevano i ricorrenti che, in considerazione della oggettiva pericolosità del luogo, confermata anche dalla CTU, l’evento lesivo -come i molti altri verificatisi per le stesse ragioni su quel tratto stradale – doveva essere considerato normale conseguenza dello stato in cui si trovava la strada, posta sotto la custodia della Città metropolitana di Bari, e non ricondotto alla condotta di guida della vittima, ritenuta rilevante come caso fortuito.

Osservano che il giudice di prime cure e poi quello di appello, pur avendo rilevato l’intrinseca pericolosità della strada, la presenza di una segnaletica del tutto inadeguata, di un dosso, di una curva a destra in forte discesa, di un affossamento della curva, dello scorrimento della strada tra pareti di roccia viva esposte, facevano assurgere a principale fattore causale la condotta di guida dello Sforza riconducendola nell’ambito del caso fortuito, e valorizzandola come elemento autonomo idoneo ad interrompere il nesso causale, laddove il verificarsi dell’incidente doveva considerarsi causalmente derivante esclusivamente dalle condizioni dei luoghi.

Il motivo è inammissibile.

La corte d’appello ha correttamente applicato i principi di diritto in tema di responsabilità da cose in custodia, e di prova liberatoria consistente nella riconducibilità causale dell’evento, in tutto o in parte, al caso fortuito (si veda il riepilogo in Cass. 27/04/2023, n. 11152, ovvero, tra le altre successive, in Cass. ord. 28/11/2023, n. 33074, ovvero, quanto alla rilevanza della condotta anche solo colposa dello stesso danneggiato, in Cass. 24/01/2024, n. 2376).

Questa Corte, con ordinanza 01/02/2018, n. 2482 (e, nello stesso senso, con ordinanze nn. 2479 e 2480 del 2018) ha avuto modo di precisare che: “In tema di responsabilità civile per danni da cose in custodia, la condotta del danneggiato, che entri in interazione con la cosa, si atteggia diversamente a seconda del grado di incidenza causale sull’evento dannoso, in applicazione – anche ufficiosa – dell’art. 1227, comma 1, c.c., richiedendo una valutazione che tenga conto del dovere generale di ragionevole cautela, riconducibile al principio di solidarietà espresso dall’art. 2 Cost., sicché, quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione da parte del danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso, quando sia da escludere che lo stesso comportamento costituisca un’evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale, connotandosi, invece, per l’esclusiva efficienza causale nella produzione del sinistro “.

Tale principio di diritto – successivamente ribadito dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 27724/2018; n. 20312/2019; n. 38089/2021; n. 35429/2022; nn. 14228 e 21675/2023), anche a Sezioni Unite (Cass. n. 20943/2022) – è stato poi ancor più di recente riaffermato, statuendosi (Cass. n. 11152/23) che la responsabilità ex art. 2051 c.c. ha natura oggettiva – in quanto si fonda unicamente sulla dimostrazione del nesso causale tra la cosa in custodia e il danno, non già su una presunzione di colpa del custode – e può essere esclusa o dalla prova del caso fortuito (che appartiene alla categoria dei fatti giuridici), senza intermediazione di alcun elemento soggettivo, oppure dalla dimostrazione della rilevanza causale, esclusiva o concorrente, alla produzione del danno delle condotte del danneggiato o di un terzo (rientranti nella categoria dei fatti umani), caratterizzate, rispettivamente, la prima dalla colpa ex art. 1227 c.c. (bastando la colpa del leso: Cass., ord. 20/07/2023, n. 21675, Rv. 668745-01; Cass. 2376/24) o, indefettibilmente, la seconda dalle oggettive imprevedibilità e non prevenibilità rispetto all’evento pregiudizievole.

L’ “esatta interpretazione” che, ai sensi dell’art. 65 ord. giud., le Sezioni Unite hanno dato dell’art. 2051 c.c., per quanto qui rileva, può quindi così riassumersi:

a) la responsabilità del custode e esclusa dalla prova del fortuito”;

b) il caso fortuito può consistere in un fatto naturale, in una condotta d’un terzo estraneo tanto al custode quanto al danneggiato; del terzo, in un comportamento della vittima;

c) se il caso fortuito e consistito in un fatto naturale o del terzo, esso in tanto esclude la responsabilità del custode, in quanto sia oggettivamente (e cioè per qualunque persona, e non solo per il custode) imprevedibile ed inevitabile;

d) se il caso fortuito e consistito nella condotta della vittima, al fine di stabilire se esso escluda in tutto od in parte la responsabilità del custode debbono applicarsi i seguenti criteri:

‘) valutare in che misura il danneggiato avrebbe potuto prevedere ed evitare il danno;

”) valutare se il danneggiato ha rispettato il “generale dovere di ragionevole cautela”;

”’) escludere del tutto la responsabilità del custode, se la condotta del danneggiato ha costituito una evenienza “irragionevole o inaccettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale”;

””) considerare irrilevante, ai fini del giudizio che precede, la circostanza che la condotta della vittima fosse astrattamente prevedibile.

A tanto deve aggiungersi che la valutazione del giudice del merito sulla rilevanza causale esclusiva della condotta del leso costituisce un tipico apprezzamento di fatto, come tale incensurabile in sede di legittimità, ove scevro – come nella specie – da quei soli vizi logici o giuridici ancora rilevanti ai fini del n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ. (tra cui l’apparenza della motivazione per manifesta fallacia o falsità delle premesse od intrinseca incongruità o inconciliabile contraddittorietà degli argomenti: Cass. 16502/17).

Nel caso di specie la corte d’appello ha ritenuto – con apprezzamento in fatto non in questa sede censurabile, siccome scevro dai soli gravissimi vizi logici o giuridici ancora deducibili in sede di legittimità – che la condotta imprudente del danneggiato, in relazione allo stato dei luoghi, fosse stata del tutto priva della cautela esigibile, fino ad avere un peso causale preponderante pur in relazione ad un particolare stato dei luoghi, del quale ha tenuto conto riconoscendogli un ruolo causale nell’incidente.

La decisione impugnata è fondata sull’analisi dei fatti e sulla valutazione delle prove testimoniali, tra le quali ha attribuito particolare rilevanza alle dichiarazioni del terzo trasportato sullo stesso motoveicolo condotto dallo Sforza, sopravvissuto all’incidente, che ebbe a dire che la vittima conduceva la moto, sul rettilineo immediatamente precedente la curva, a 150-160 km all’ora e quindi ad una velocità assolutamente eccessiva, superiore al limite massimo vigente su tutte le strade nazionali e totalmente inadeguata rispetto allo stato dei luoghi come evidenziato ed anche al generale dovere di prudenza e di attenersi ai limiti di velocità. Alla condotta gravemente imprudente della vittima la corte d’appello ha attribuito, all’esito dell’esame di tutte le risultanze istruttorie, un ruolo causale non esclusivo ma predominante. Le considerazioni dei ricorrenti sono volte in effetti non a mettere in discussione il principio di diritto correttamente applicato, ma a sollecitare una riconsiderazione delle risultanze istruttorie, in questa sede inammissibile.

Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano, ex art. 360, comma 1, n. 5), cod. proc. civ., l’omessa valutazione di un fatto decisivo, costituito dalla conclamata pericolosità del luogo teatro del sinistro e dell’inerzia dimostrata dall’ente proprietario della strada nel porvi rimedio, pur a seguito dei molteplici incidenti verificatisi anche precedentemente a quello per cui è causa.

Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano – ex art. 360, comma 1, n. 4), cod. proc. civ. – la nullità della sentenza, ex artt. 156 e 132, comma 2, n. 4), cod. proc. civ., per “vizio di motivazione”, sottolineandone la irriducibile contraddittorietà e la illogicità manifesta, in quanto a pag. 5 riportava gli esiti della consulenza, in cui si indicava la probabile velocità tenuta dalla vittima in un range di 85-100, mentre in un passaggio successivo riportava la testimonianza del trasportato, che riferiva di una velocità di 150-160 km h nel tratto rettilineo precedente la curva e dava atto che impegnata la curva la moto cominciava a sbandare per poi andare a sbattere contro il muro di pietra.

I ricorrenti pongono in rilievo che la sentenza d’appello in un primo passaggio dà atto che la CTU, effettuata a quello scopo, aveva scientificamente determinato la velocità del veicolo al momento dell’impatto (in una misura che, sebbene elevata, si collocava comunque entro il limite massimo o solo di poco al di sopra di esso), e ne condivide gli esiti, dicendo che la stessa era correttamente argomentata, ma poi fonda il concorso di colpa sulla violazione del generale obbligo di prudenza, gravante sul conducente, valorizzando soprattutto la testimonianza del trasportato e conclude confermando la ripartizione delle responsabilità già effettuata in primo grado, di fatto discostandosi dagli esiti della CTU.

I due motivi possono essere trattati congiuntamente in quanto connessi.

Essi sono inammissibili perché volti, anch’essi, ad una rinnovazione della valutazione in fatto, che è stata effettuata e della quale si dà ampiamente conto in motivazione. Essa ha tenuto conto, tra le altre, anche delle circostanze richiamate dai ricorrenti, soppesandole insieme alle altre e ritenendole inidonee a far assurgere alla particolare conformazione dei luoghi il ruolo di causa esclusiva del sinistro, a fronte, come detto, della accertata imprudente condotta di guida della vittima.

La motivazione è dotata di una struttura logica complessiva solida e certamente non apparente né priva di una complessiva coerenza logica, perché la decisione dà atto di entrambe le risultanze, le valuta e non le ritiene in contraddizione, al contrario le ricompone in una ricostruzione complessiva dalla quale esce enfatizzata l’imprudente condotta di vita della giovane vittima: la sentenza, come segnalato anche dal Procuratore generale, dà atto delle risultanze della CTU e poi delle affermazioni del teste, aggiungendo che l’affermazione contenuta nella consulenza, secondo la quale la velocità al momento dell’impatto era di 85-100 km/h, conferma proprio che il veicolo aveva impegnato la curva con una velocità ben superiore agli 85-100 km finali, come appunto dichiarato dal teste e, alla luce della lettura correlata di queste risultanze, esclude che la particolare conformazione della strada possa essere ritenuta causa esclusiva del sinistro.

Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come al dispositivo.

Il ricorso per cassazione è stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013, e la parte ricorrente risulta soccombente, pertanto è gravata dall’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dell’art. 13, comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Pone a carico della parte ricorrente le spese di giudizio sostenute dalla parte controricorrente, che liquida in complessivi euro oltre 5.000,00 per esborsi, oltre contributo spese generali ed accessori. Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale.

Allegati

    [pmb_print_buttons]

    Accedi