Massima

Il provvedimento giudiziale di condanna emesso nei confronti del condominio per un credito sorto in relazione a contratti stipulati dall’amministratore costituisce titolo esecutivo nei confronti di tutti i condomini, anche se non parti del giudizio. Nell’ambito dell’opposizione all’esecuzione (ex art. 615 cod. proc. civ.) promossa dal singolo condomino intimato dal terzo creditore sulla base di tale titolo, non sussiste alcuna ipotesi di litisconsorzio necessario con l’ente condominiale.

Supporto alla lettura

Condominio

1.La natura giuridica del Condominio.

Quella della natura giuridica del condominio è una questione che ha fatto sorgere numerosi contrasti in dottrina e in giurisprudenza. La giurisprudenza di legittimità si è più volte espressa sostenendo che il condominio non può considerarsi un soggetto giuridico distinto dai singoli condomini che lo compongono. Secondo la giurisprudenza di legittimità, il condominio è un ente di gestione sfornito di personalità distinta da quella dei suoi partecipanti.
In questo contesto dottrina e giurisprudenza hanno elaborato diverse teorie alle volte in contraddittorio tra loro. S’è detto che il condominio è:
a) un ente di gestione sprovvisto di personalità giuridica e autonomia patrimoniale distinta da quella dei suoi partecipanti (Cass n. 7891/2000);
b) un centro d’imputazione d’interessi distinto dai singoli partecipanti (Cass. 19 marzo 2009, n. 6665);
c) una organizzazione pluralistica (Cass. SS.UU. n. 9148/08).
La legge di riforma n. 220/2012 non ha preso posizione sul problema ma, come evidenziato dalle Sezioni unite della Suprema corte nella sentenza n. 19663/2014, ha introdotto una serie di disposizioni che sembrerebbero confermare la tendenza alla progressiva configurabilità “di una sia pur attenuata personalità giuridica”. In merito si rimanda all’ammissione della pignorabilità da parte dei fornitori del conto corrente condominiale, nonostante il nuovo disposto dell’art. 63 disp. att. c.c. sulla responsabilità dei singoli condomini per le obbligazioni comuni. Ma con la sentenza n. 10934/2019, le medesime Sezioni unite hanno escluso che il condominio possa configurarsi come un autonomo soggetto di diritto.

2. Condominio consumatore

È utile ricordare che ai sensi dell’art. 3 del codice del consumo (d.lgs n. 206/2005), consumatore o utente è “la persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta” (art. 3 lett. a) Codice del consumo), mentre il professionista è “la persona fisica o giuridica che agisce nell’esercizio della propria attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale, ovvero un suo intermediario” (art. 3 lett. c) Codice del consumo).
L’orientamento che si è finora delineato, sia di merito che di legittimità, ha valorizzato in via pressoché esclusiva l’assunto secondo il quale, essendo il condominio ente di gestione privo di personalità giuridica, «l’amministratore agisce quale mandatario con rappresentanza dei vari condomini, i quali devono essere considerati consumatori in quanto persone fisiche operanti per scopi estranei ad attività imprenditoriale o professionale» (Cassazione, sentenze 10679/2015 e 452/2005). Di recente il tribunale di Milano, con ordinanza sospensiva del giudizio, ha rimesso alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea la seguente questione pregiudiziale: “Se la nozione di consumatore quale accolta dalla direttiva 93/13/CEE osti alla qualificazione come consumatore di un soggetto (quale il condominio nell’ordinamento italiano) che non sia riconducibile alla nozione di “persona fisica” e di “persona giuridica”, allorquando tale soggetto concluda un contratto per scopi estranei all’attività professionale e versi in una situazione di inferiorità nei confronti del professionista sia quanto al potere di trattativa, sia quanto al potere di informazione …” (Trib. Milano, ord. 1 aprile 2019).
La corte di Giustizia si è pronunciata affermato che il Condominio è consumatore “L’articolo 1, paragrafo 1, e l’articolo 2, lettera b), della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, devono essere interpretati nel senso che non ostano a una giurisprudenza nazionale che interpreti la normativa di recepimento della medesima direttiva nel diritto interno in modo che le norme a tutela dei consumatori che essa contiene siano applicabili anche a un contratto concluso con un professionista da un soggetto giuridico quale il condominio nell’ordinamento italiano, anche se un simile soggetto giuridico non rientra nell’ambito di applicazione della suddetta direttiva” (Corte giustizia UE , 02 aprile 2020, n.329, sez. I).

Ambito oggettivo di applicazione

Fatto

RILEVATO CHE

In forza del decreto ingiuntivo n. 3786/2010 del Tribunale di Palermo, recante condanna del Condominio dell’edificio in P, via (Omissis), al pagamento del corrispettivo di lavori edili oggetto di contratto di appalto, la Curatela del fallimento della società (Omissis) Srl in liquidazione intimò a Di.Gi., quale condomino del predetto condominio, precetto di pagamento della complessiva somma di Euro 51.910,58, di cui Euro 30.393,58 per sorte capitale;

l’intimato dispiegò opposizione all’esecuzione ex art. 615, primo comma, cod. proc. civ., contestando l’entità della somma dovuta, siccome non corrispondente alla propria quota millesimale;

all’esito del giudizio di prime cure, il Tribunale di Palermo, in parziale accoglimento dell’opposizione, limitò l’efficacia del precetto all’importo di Euro 22.778,53;

sull’appello interposto dall’originario opponente, la decisione in epigrafe indicata ha accertato la situazione debitoria dell’appellante in misura pari ad Euro 15.099,94 (oltre interessi legali dal 30 aprile 2013) e per tale importo ha dichiarato il diritto dell’intimante a procedere alla minacciata azione esecutiva;

ricorrono uno actu per cassazione Di.Gi. e tale Fi.Be., articolando tre motivi, illustrati da memoria;

non svolge difese in grado di legittimità la Curatela del fallimento della società (Omissis) Srl in liquidazione;

il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nel termine stabilito dal secondo comma dell’art. 380-bis. 1 cod. proc. civ.

Diritto

CONSIDERATO CHE

Con atto depositato prima della adunanza in camera di consiglio fissata per la trattazione, Fi.Be. (il cui ruolo nei precedenti gradi di merito non è esplicitato in modo lineare) ha formulato rinuncia al ricorso proposto, atto sottoscritto dal difensore della rinunciante, cui è stata conferita procura speciale ad hoc;

attesa la mancata costituzione nel presente giudizio di legittimità della Curatela fallimentare intimata, il giudizio va dichiarato estinto in parte qua, ravvisata la conformità alla fattispecie regolata dall’art. 390 cod. proc. civ., senza necessità di statuire sulle spese del grado, né di esaminare alcuna questione sulla legittimazione della rinunciante;

va invece scrutinato nel merito il ricorso di Di.Gi.;

il primo motivo assume la nullità della sentenza per violazione del contraddittorio, con riferimento agli artt. 101 e 102 cod. proc. civ., all’art. 2909 cod. civ. e all’art. 63 disp. att. cod. civ.;

il ricorrente censura l’impugnata sentenza per non aver ritenuto necessaria la partecipazione alla lite del Condominio (e, quindi, non aver disposto la rimessione avanti il primo giudice, stante la pretermissione dell’ente collettivo nella controversia di prime cure), conseguenza della qualificazione dell’azione del terzo creditore nei riguardi del condomino moroso come azione surrogatoria;

il motivo è infondato, pur occorrendo correggere – a mente dell’art. 384, ultimo comma, cod. proc. civ. – la motivazione della sentenza impugnata, conforme a diritto nella parte dispositiva;

onde negare la sussistenza di un litisconsorzio necessario con l’ente condominiale, il giudice territoriale ha così argomentato: “il soggetto che ha stipulato un contratto col condominio e, ai sensi dell’art. 63 disp. att. cod. civ., in forza di esso pretende dal condomino moroso il soddisfacimento del proprio credito pecuniario – diversamente dall’attore in surrogatoria, il quale fa valere in nome proprio un diritto altrui – agisce in via diretta (cioè non sostitutiva) nell’esercizio di un proprio diritto parziario nei confronti del proprio debitore”;

l’affermazione sopra riportata (sulla cui conformità a diritto non occorre pronunciarsi, per quanto in appresso puntualizzato) è riferita all’azione esperita dal terzo creditore tesa alla costituzione di un titolo esecutivo nei confronti del condomino moroso, cioè a dire alla domanda di tutela svolta nelle forme del giudizio di cognizione: soltanto in tale ambito si pone la questione della qualificazione dell’azione del terzo creditore come diretta oppure come surrogatoria (volta cioè a supplire all’inerzia dell’amministrazione condominiale nella riscossione delle quote dal condomino moroso), con le derivanti ricadute (oggetto della doglianza del ricorrente) in punto di legittimazione passiva;

tuttavia, è evidente che la controversia in parole concerne altra e diversa fattispecie;

nel caso in esame, infatti, l’azione minacciata dal creditore con il precetto (e contrastata con l’opposizione) è una tipica azione esecutiva, diretta in danno del singolo condominio in virtù di un decreto di ingiunzione al pagamento di somme emesso nei confronti dell’ente condominiale: e tanto, ben legittimamente, in forza del consolidato orientamento di nomofilachia secondo cui il provvedimento giudiziale recante condanna del condominio per un credito vantato da chi abbia contratto con l’amministratore rappresenta titolo esecutivo nei confronti di tutti i condomini, pur se non parti del giudizio e neppure individuati nominativamente nel provvedimento (Cass. 06/12/2023, n. 34220; Cass. 27/06/2022, n. 20590; Cass. 29/09/2017, n. 22856; Cass., Sez. U, 08/04/2008, n. 9148; Cass. 14/10/2004, n. 20304);

orbene, l’opposizione ex art. 615 cod. proc. civ. in discorso – con cui detta azione è stata contestata – ha ad oggetto, in base al thema decidendum definito dai motivi sollevati, la corretta determinazione della misura nei cui limiti il condomino intimato è tenuto a rispondere in sede esecutiva della condanna irrogata al condominio, in ragione del criterio di parziarietà che sorregge l’imputazione ai singoli partecipanti delle obbligazioni assunte nell’interesse del condominio (sul punto, basti il richiamo alla fondamentale Cass., Sez. U, 08/04/2008, n. 9148, ed alla conforme giurisprudenza successiva);

risulta allora evidente come rispetto a siffatta azione esecutiva – di cui è indiscutibile la titolarità immediata e diretta (e non già derivata dall’altrui inerzia) in capo al creditore – e rispetto alla controversia oppositiva sia del tutto eccentrico ed inconferente anche il mero prospettare una legittimazione a resistere (o comunque una necessaria partecipazione alla lite) dell’ente condominiale, estraneo a questioni che involgono unicamente il rapporto tra il creditore intimante ed il singolo condomino intimato;

è per le illustrate ragioni che nella vicenda de qua non sussiste alcuna ipotesi di litisconsorzio necessario con il condominio: sicché la gravata statuizione – con le operate emende in punto di motivazione – è corretta in iure e il motivo di doglianza infondato;

il secondo motivo prospetta nullità della sentenza per violazione del contraddittorio, con riferimento agli artt. 112, 113, 115 e 116 cod. proc. civ., all’art. 2909 cod. civ. e all’art. 63 disp. att. cod. civ.;

l’impugnante sostiene che il giudice di appello, “laddove precisa che l’entità del credito è diversa da quella dedotta ed eccepita dall’appellante (odierno ricorrente), rideterminandone la misura motu proprio”, ovvero laddove quantifica “autonomamente l’entità del debito nell’importo di Euro 15.099,94 – sì da ricorrere ad un altro titolo esecutivo rispetto a quello azionato dal creditore procedente -” vìola il principio del contraddittorio e si pone in contrasto con il principio di diritto enunciato da Cass. 29/09/2017, n. 22856; il motivo è infondato;

va innanzitutto ribadito, in continuità con precedenti arresti di questa Corte, che in ipotesi di opposizione all’esecuzione promossa da un creditore in danno di un singolo condomino sulla base di un titolo esecutivo ottenuto nei confronti dell’ente condominiale, è onere del condomino intimato o esecutato allegare e provare che la quota dell’obbligazione condominiale gravante su di lui è diversa da quella indicata dal creditore intimante o procedente (così Cass. 29/09/2017, n. 22856; Cass. 06/12/2023, n. 34220);

in una opposizione esecutiva di tal fatta, l’accertamento concreto dell’effettivo quantum del debito condominiale imputabile al condomino opponente – da compiersi tenendo conto dei versamenti da questi già compiuti riferibili alla specifica obbligazione – concreta, per fermo convincimento di nomofilachia, un apprezzamento di fatto, tipicamente riservato al giudice di merito (oltre a Cass. n. 34220 del 2023, cfr. altresì Cass. 17/02/2023, n. 5043);

nella specie, siffatta valutazione risulta correttamente effettuata dalla Corte d’Appello, sulla base del prudente apprezzamento degli elementi istruttori ritualmente acquisiti al processo (o di cui non è contestata la rituale acquisizione: sicché non si ravvisa inosservanza del principio del contraddittorio) ed in particolare con l’attribuzione di decisività al “decreto ingiuntivo del 10.4.2013, n. 1650, per l’importo di Euro 15.099,94, oltre interessi, che, tenendo conto dell’intervenuta estinzione parziale del debito del Di.Gi. verso il Condominio, ha definito su istanza di quest’ultimo, ovviamente in ragione dei millesimi di partecipazione dell’ingiunto alla proprietà comune, la misura del credito condominiale residuo azionabile nei confronti del predetto condominio dal Fallimento della (Omissis)”;

come ben evidente, l’apprezzamento così operato è sostenuto da adeguata motivazione, logica e coerente, siccome fondata su prova documentale idoneamente dimostrativa della porzione del debito ascrivibile al condomino opponente;

a fronte di ciò, del tutto generica è la doglianza in esame, che si limita alla astratta postulazione della debenza di una diversa somma, di cui non si chiarisce adeguatamente nemmeno la scaturigine ed i criteri di determinazione o le ragioni di insensibilità al provvedimento giurisdizionale al riguardo espressamente richiamato in sentenza, in buona sostanza risolvendosi nella richiesta di riesame delle emergenze istruttorie, attività del tutto estranea, per natura e per funzione, al giudizio di legittimità;

il terzo motivo deduce “nullità della sentenza per omesso esame della doglianza relativa alla violazione del termine ex art. 183, sesto comma, cod. proc. civ., per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. e dell’art. 24 Cost.”;

si critica “il provvedimento impugnato nella parte in cui ritiene assorbito, attraverso il decisum poi addotto, la censura rivolta alla Sentenza di primo grado con riferimento alla mancata concessione dei termini perentori di cui all’art. 183, sesto comma, cod. proc. civ.”; il motivo è inammissibile;

la deduzione di un error in procedendo, quale quello in esame, in astratto legittimante l’esercizio ad opera del giudice di legittimità del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, presuppone pur sempre l’ammissibilità del motivo di censura, da valutarsi alla luce del principio di specificità (altrimenti detto “diautonomia”) sancito, a pena di inammissibilità del ricorso, dalle prescrizioni dettate dall’art. 366, primo comma, numm. 4 e 6, cod. proc. civ., declinate, nella loro concreta operatività, alla stregua delle indicazioni della sentenza CEDU del 28 ottobre 2021 (causa Succi ed altri c/Italia), secondo criteri di sinteticità e chiarezza;

siffatti criteri, come scolpiti dal giudice sovranazionale, sono realizzati con la trascrizione – essenziale e per le parti d’interesse -degli atti e dei documenti richiamati (dei quali deve invece escludersi la necessità di una integrale riproduzione), in guisa da contemperare il fine legittimo di semplificare (e non già pregiudicare) lo scrutinio del giudice di legittimità e, allo stesso tempo, garantire la certezza del diritto e la corretta amministrazione della giustizia, salvaguardando la funzione nomofilattica della Corte (ex multis, Cass. 03/03/2023, n. 6524; Cass. 14/03/2022, n. 8117; Cass. 04/02/2022, n. 3612);

nella specie, per contro, il ricorso introduttivo del presente giudizio di legittimità: omette di riferire del tempo e del modo di formulazione in prime cure dell’istanza di concessione dei termini per la trattazione in forma scritta; non illustra minimamente il contenuto dell’atto di appello, mancando, in particolare, di dare conto della articolazione di specifico e puntuale motivo di gravame relativo alla mancata concessione di detti termini, la cui proposizione non si inferisce dalla lettura della impugnata sentenza;

la illustrata deficienza espositiva non rende a questa Corte una cognizione adeguata (o sufficiente) sul fatto processuale e preclude l’apprezzamento nel merito sul motivo;

in conclusione, il ricorso di Di.Gi. è rigettato;

non vi è luogo a provvedere sulle spese del giudizio di legittimità nei rapporti tra il Di.Gi. e la Curatela fallimentare, stante il mancato svolgimento di difese ad opera di quest’ultima;

atteso il rigetto del ricorso proposto da Di.Gi., va poi dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento al competente ufficio di merito da parte di tale ricorrente – ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 – di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.

P.Q.M.

Dichiara estinto il giudizio tra Fi.Be. e la Curatela del fallimento della società (Omissis) Srl in liquidazione;

rigetta il ricorso proposto da Di.Gi.;

ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento al competente ufficio di merito da parte del ricorrente Di.Gi. dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Terza Sezione Civile, il giorno 15 ottobre 2024.

Depositato in Cancelleria il 19 novembre 2024.

Allegati

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