FATTI DI CAUSA
1. ENEL Spa convenne in giudizio, dinanzi al Tribunale di Napoli, A.A., proprietario del fondo confinante con il proprio, sito in Forio d’Ischia, via C , particella ex Omissis del NCT del detto Comune, della dimensione di mq 20, per sentirlo condannare al ripristino dello stato dei luoghi, con l’eliminazione della catena apposta al varco di accesso, della pavimentazione-parcheggio realizzata abusivamente sul predetto terreno e con chiusura del varco praticato nel muro di cinta, nonché al risarcimento del danno per il periodo di abusiva occupazione del suolo, da liquidarsi in separato giudizio.
Costituitosi in giudizio, il convenuto eccepì la carenza di legittimazione attiva di ENEL Spa; nel merito, dedusse il pacifico, pubblico ed incontestato possesso dell’area da parte di B.B., sua dante causa, e propose domanda riconvenzionale di usucapione del bene.
il giudice adito, rigettata la domanda riconvenzionale, accolse quella principale, compensando le spese di lite.
2. La Corte d’Appello di Napoli – adita con impugnazione principale da A.A. (diretta, tra l’altro, a ribadire l’eccezione di carenza di legittimazione attiva e di titolarità del diritto di proprietà sull’area da parte di ENEL Spa) e con impugnazione incidentale da pare di questa società (diretta a censurare la statuizione di compensazione delle spese) – respinse il primo gravame e accolse il secondo, condannando l’appellante principale alle spese del doppio grado di giudizio in base al principio della soccombenza.
3. Questa Corte di legittimità, adita con ricorso del sig. A.A., sorretto da due motivi, in accoglimento del primo, assorbito il secondo, rilevò un difetto di rappresentanza processuale in capo ad ENEL Spa per essere stata la procura rilasciata da uno degli institori della società, laddove, essendo prevista la necessità della firma congiunta di due di essi per il compimento di atti diretti ad alienare od ipotecare i beni immobili e il conferimento delle relative procure, anche per l’esercizio dell’azione di rivendica, avente natura reale, sarebbe stato necessario che gli institori, almeno due, conferissero il mandato ad agire congiuntamente.
Ritenuto, dunque che, ai sensi dell’art. 182, secondo comma, cod. proc. civ., nella formulazione applicabile ratione temporis, una volta rilevato il difetto di rappresentanza, assistenza o autorizzazione, dovesse assegnarsi alla parte un termine per la regolarizzazione della costituzione, senza il limite delle preclusioni derivanti da decadenze processuali, questa Corte cassò con rinvio la sentenza impugnata rinviando la causa alla Corte d’Appello di Napoli.
4. Con sentenza 27 agosto 2020, n. 2942, la Corte partenopea, rinnovato l’esame del merito dei gravami proposti avverso la sentenza di primo grado, ha ribadito il giudizio precedentemente formulato, rigettando l’appello principale del sig. A.A. ed accogliendo quello incidentale di ENEL Spa
5. Per la cassazione di questa sentenza ricorre A.A. sulla base di sei motivi. Risponde la Società E-Distribuzione Spa (già denominata Enel Distribuzione Spa, successore di Enel Spa) con controricorso.
La trattazione del ricorso è stata fissata in adunanza camerale, ai sensi dell’art. 380-bis.1 cod. proc. civ.
Il pubblico ministero non ha presentato conclusioni scritte.
La sola società controricorrente ha depositato memoria.
Motivi della decisione
Preliminarmente, si rileva che con riguardo sia al ricorso che al controricorso, la procura speciale è stata conferita, anche disgiuntamente, a due avvocati, di cui uno solo (l’Avv. Giuseppe Di Meglio ma non l’Avv. Carmine Passaro per il ricorso; l’Avv. Gianfranco Mazzullo ma non l’Avv. Antonio Di Caprio per il controricorso) risulta cassazionista; peraltro, entrambi gli atti sono sottoscritti da parte dell’avvocato cassazionista e ciò è sufficiente ai fini dell’ammissibilità, sotto il profilo in esame, degli stessi (cfr. Cass. 12/05/2020, n. 15165, non mass.; in precedenza v. Cass. 02/01/2012, n.1, non mass.; Cass. 11/06/2008, n. 15478).
1. Con il primo motivo viene denunciata la violazione e falsa applicazione dell’art.948 cod. civ., in relazione agli artt. 2670 e 2697 cod. civ., nonché degli artt. 113, 15 e 116 cod. proc. civ., in relazione all’art.2670 cod. civ.
Sulla premessa che l’azione esercitata da ENEL Spa avesse natura di azione di rivendicazione ex art.948 cod. civ. e che pertanto l’attrice avrebbe dovuto fornire la prova rigorosa della sua proprietà e dei suoi danti causa fino a coprire il periodo necessario per l’usucapione, il ricorrente contesta che tale prova sia stata fornita e censura la valutazione di essa effettuata dalla Corte d’Appello.
Quest’ultima ha ritenuto dimostrata la titolarità del diritto di proprietà della società attrice sull’area di 20 mq, oggetto di rivendica, sulla base: 1) della copia conforme all’originale dell’atto di compravendita del 5 maggio 1959 per rogito del notar C.C., registrato ad Ischia il 22 maggio 1959 (con cui tale B.B.
aveva veduto il detto fondo, corrispondente alla particella 174/e del NCT comunale, a tale società Gasperini Spa); 2) della copia conforme all’originale della trascrizione del detto atto di acquisto presso i RR.II. di Napoli del 29 maggio 1959; 3) della copia del D.P.R. 7/10/1963, in GU n.313 del 2 dicembre 1963, trascritto presso la Conservatoria dei RR.II di Napoli in data 24 novembre 1967, con cui l’immobile era stato trasferito all’ENEL.
Il ricorrente assume che l’area oggetto del trasferimento effettuato con l’atto notarile del 1959 da B.B. alla Gasperini Srl, dante causa di ENEL Spa, identificata con la particella Omissis, non sarebbe quella oggetto di rivendica, giacché dalla relazione della CTU espletata in primo grado emergerebbe, sulla base del riferimento contenuto in una nota in calce, che “la cessione alla società Gasperini da parte della sig.ra B.B. aveva come oggetto una porzione del fondo di proprietà diversa per posizione ma non per estensione”. La società Gasperini, dunque, avrebbe occupato una zona diversa da quella indicata nel decreto e successivamente trasferita ad ENEL Spa, mentre rispetto a quest’ultima la sig.ra B.B. avrebbe assunto soltanto l’obbligo di porre in essere una successiva cessione.
1.1. Il motivo è inammissibile per una duplice ragione.
1.1.a. In primo luogo, va ricordato che, qualora il motivo di ricorso per cassazione sia fondato su atti processuali o documenti, deve procedersi ad un sintetico ma completo resoconto del loro contenuto, nonché alla specifica indicazione del luogo in cui ne è avvenuta la produzione, al fine di consentire al giudice di legittimità di individuare i termini della censura sulla sola base del ricorso, il quale deve contenere in sé tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito e, altresì, a permetterne l’esame (Cass., Sez., Un., 02/12/2008, n.28547; Cass., Sez. Un., 25/03/2010, n. 7161; Cass. 10/12/2020, n. 28184; Cass. 07/03/2018, n. 5478; Cass. 27/07/2017, n.18679).
Nella fattispecie, il ricorrente adduce, a fondamento del motivo di ricorso, uno stralcio della CTU espletata ed evoca il decreto prefettizio di trasferimento dell’area oggetto di rivendica ad ENEL Spa; però, né l’una né l’altro hanno formato oggetto di specifica indicazione nell’ambito del ricorso, né sono stati mentovati in calce allo stesso quali documenti depositati, senza evocare altra eventuale sede processuale in cui essi risulterebbero prodotti.
Inoltre, si è omesso di fornire il necessario completo – ancorché sintetico – resoconto del contenuto dei detti atti riportando un generico stralcio della relazione di CTU (senza consentire a questa Corte di verificare la corrispondenza di esso all’effettivo contenuto dell’atto), mentre si è omesso del tutto di riportare il decreto.
Il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 366 n. 6 cod. proc. civ., quale corollario del requisito di specificità dei motivi – anche alla luce dei principi contenuti nella sentenza CEDU Succi e altri c. Italia del 28 ottobre 2021 – non deve essere interpretato in modo eccessivamente formalistico, così da incidere sulla sostanza stessa del diritto in contesa, e non può pertanto tradursi in un ineluttabile onere di integrale trascrizione degli atti e documenti posti a fondamento del ricorso, insussistente laddove nel ricorso sia puntualmente indicato il contenuto degli atti richiamati all’interno delle censure, e sia specificamente segnalata la loro presenza negli atti del giudizio di merito.
Nel caso di specie, peraltro, il motivo di ricorso difetta proprio della puntuale indicazione del contenuto degli atti posti a fondamento delle censure prospettate, nonché della specifica segnalazione della presenza di tali atti nel giudizio di merito, con l’indicazione della sedes processuale in cui sarebbero stati prodotti.
Viene dunque violato, nel suo aspetto sostanziale, il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione sancito dall’art.366 n. 6 cod. proc. civ. (principio da reputarsi compatibile con quello di cui all’art. 6, par. 1, della CEDU: Cass. 19/04/2022, n. 12481) poiché non si è provveduto a corredare le doglianze poste a fondamento del ricorso della specifica indicazione e localizzazione degli atti processuali su cui le sesse erano fondate, rendendone così impossibile la delibazione nel merito.
1.1.b. In secondo luogo, il motivo di ricorso, ad onta della formale intestazione, non prospetta né violazioni di norme di diritto né errores in procedendo, ma propone nella sostanza una ricostruzione dei fatti ed una valutazione delle risultanze istruttorie alternativi a quelle compiute dal giudice del merito.
La Corte territoriale, con valutazione incensurabile in questa sede, ha motivatamente ritenuto che la società attrice avesse fornito la rigorosa prova della sua proprietà e di quella dei suoi danti causa fino a coprire il periodo necessario per l’usucapione, sulla base, in particolare, dell’atto di compravendita per rogito del notar C.C. del 1959, prodotto in copia conforme, e del D.P.R. 7/10/1963, il primo recante il trasferimento della particella da B.B. alla società Gasperini Srl, il secondo recante il trasferimento da quest’ultima all’ENEL.
Il ricorrente non prospetta il travisamento del contenuto di questi atti da parte del giudice del merito ma sostiene che il fondo trasferito con il primo sarebbe diverso da quello oggetto del decreto, sulla base di considerazioni che sarebbero state effettuate da parte del consulente tecnico avuto riguardo ai richiami contenuti in una nota in calce.
Le deduzioni – come detto – sono inammissibili già per la mancata localizzazione processuale dell’atto richiamato che preclude a questa Corte ogni verifica di corrispondenza con il reale contenuto dell’atto stesso, ma esse, nel merito, sono altresì inammissibili perché omettono di considerare che l’accertamento delle circostanze di fatto rilevanti ai fini della decisione e l’apprezzamento delle risultanze istruttorie funzionali a tale accertamento sono attività riservate al giudice del merito, cui compete non solo la valutazione delle prove ma anche la scelta, insindacabile in sede di legittimità, di quelle ritenute più idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi (Cass. 4 luglio 2017, n. 16467; Cass. 23 maggio 2014, n. 11511; Cass. 13 giugno 2014, n. 13485; Cass. 15 luglio 2009, n. 16499).
Il primo motivo di ricorso va dunque complessivamente dichiarato inammissibile.
2. Con il secondo motivo viene denunciata, ex art. 360 n. 4 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., per avere la Corte di merito giudicato in base a prove documentali non introdotte dalle parti e acquisite di iniziativa del CTU al di fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, con conseguente nullità della sentenza.
3. Il secondo motivo presenta elementi di connessione col (e va pertanto esaminato unitamente al) terzo motivo, con cui si deduce la medesima nullità per violazione degli artt. 194 e 195 cod. proc. civ., 87 e 90 disp. att. cod. proc. civ., in relazione agli artt. 115, 116, 117 cod. proc. civ. e 948 cod. civ., per violazione del contraddittorio e della motivazione, sul rilievo che il giudice d’appello avrebbe dato valore di prova ad atti e dichiarazioni raccolti dal CTU fuori dei poteri riconosciutigli e su fatti mai allegati dall’attrice.
3.1. Anche questi motivi sono inammissibili.
In materia di consulenza tecnica d’ufficio, il consulente nominato dal giudice, nei limiti delle indagini commessegli e nell’osservanza del contraddittorio delle parti, può accertare tutti i fatti inerenti all’oggetto della lite (e può acquisire tutti i documenti all’uopo necessari) al fine di rispondere ai quesiti sottopostigli, a condizione che non si tratti dei fatti principali che è onere delle parti allegare a fondamento della domanda o delle eccezioni e salvo, quanto a queste ultime, che non si tratti di fatti principali rilevabili d’ufficio.
L’accertamento di fatti diversi dai fatti principali dedotti dalle parti a fondamento della domanda o delle eccezioni e salvo, quanto a queste ultime, che non si tratti di fatti principali rilevabili d’ufficio, o l’acquisizione nei predetti limiti di documenti che il consulente nominato dal giudice accerti o acquisisca al fine di rispondere ai quesiti sottopostigli in violazione del contraddittorio delle parti è fonte di nullità relativa rilevabile ad iniziativa di parte nella prima difesa o istanza successiva all’atto viziato o alla notizia di esso (Cass., Sez. Un., 01/02/2022, n. 3086; Cass. 01/06/2022, n.17916).
Nella specie, non si deduce che il consulente avrebbe proceduto all’accertamento di fatti principali diversi da quelli dedotti dalle parti a fondamento della domanda (ciò che avrebbe comportato la violazione del principio della domanda e del principio dispositivo, con conseguente nullità assoluta rilevabile d’ufficio e, in difetto, deducibile con motivo di impugnazione da farsi valere ai sensi dell’art. 161 cod. proc. civ.) ma si deduce che avrebbe proceduto all’accertamento di fatti diversi da quelli allegati.
L’eventuale vizio – comportando, in thesi, una nullità relativa -avrebbe quindi dovuto essere fatto valere nella prima istanza o difesa successiva all’atto, onere che non risulta essere stato osservato.
Ne discende l’inammissibilità dei motivi in esame.
4. Con il quarto motivo viene denunciata la violazione degli artt.115, 116 e 244 cod. proc. civ., per omessa ammissione della richiesta prova testimoniale e del dedotto interrogatorio formale della parte attrice sui capitoli di prova ritualmente articolati dal convenuto.
4.1. Il motivo è manifestamente inammissibile.
Il giudizio di non ammissione delle istanze istruttorie fondato sull’irrilevanza delle stesse in funzione della dimostrazione concreta dei fatti posti a fondamento della domanda è un giudizio che prescinde dalla formale disciplina relativa all’ammissibilità del mezzo istruttorio dedotto e che dunque riposa su una valutazione di merito discrezionale, censurabile solo sotto il profilo della motivazione quando quest’ultima presenti lacune costituzionalmente rilevanti.
In proposito, questa Corte ha affermato che il provvedimento reso sulle richieste istruttorie è censurabile con ricorso per cassazione per violazione del diritto alla prova, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., allorquando il giudice di merito rilevi preclusioni o decadenze insussistenti ovvero affermi l’inammissibilità del mezzo di prova per motivi che prescindano da una valutazione della sua rilevanza in rapporto al tema controverso ed al compendio delle altre prove richieste o già acquisite, nonché per vizio di motivazione in ordine all’attitudine dimostrativa di circostanze rilevanti ai fini della decisione (Cass. 06/11/2023, n. 30810).
Il motivo in esame, dunque, è inammissibile perché censura, al di fuori dei limiti ed in assenza delle condizioni indicate, il giudizio di irrilevanza delle richieste istruttorie espresso dal giudice del merito.
5. Con il quinto motivo viene denunciata la violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. e dell’art. 2697 cod. civ. in relazione all’art. 948 e 2697 cod. civ.
Si censura la sentenza d’appello per avere affermato che la proposizione dell’eccezione di usucapione avrebbe implicato il riconoscimento dell’altrui titolarità e, conseguentemente, un’attenuazione dell’onere probatorio dell’attrice in rivendicazione.
5.1. Questo motivo è inammissibile per eccentricità rispetto alla ratio decidendi posta a fondamento della statuizione di accoglimento della domanda principale e di quella di rigetto della domanda riconvenzionale.
Come si è detto, la Corte di merito ha reputato che l’attrice in rivendicazione avesse assolto il rigoroso onere di provare la sua proprietà e quella dei suoi danti causa fino a coprire il periodo necessario per l’usucapione, sulla base, in particolare, dell’atto di compravendita per rogito del notar C.C. del 1959, prodotto in copia conforme, e del D.P.R. 7 ottobre 1963, il primo recante il trasferimento della particella da B.B. alla società Gasperini Srl, il secondo recante il trasferimento da quest’ultima all’ENEL.
Correlativamente, la Corte d’Appello ha accertato che il piccolo fondo oggetto di rivendica era stato sempre occupato dall’ENEL a mezzo di cabina palo, prima, e di cabina chiosco, poi, sino al 19921993, escludendo dunque la prova dell’acquisto per usucapione vantato dal convenuto.
Dunque, non vi è stata l’indebita attribuzione dell’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne risultava gravata secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla distinzione tra fatti costitutivi ed eccezioni (nel che soltanto sarebbe ravvisabile la violazione dell’art. 2697 cod. civ.: cfr., ex multis, Cass. 29/05/2018, n. 13395 e Cass. 23/10/2018, n. 26769), dal momento che, al contrario, le statuizioni sul merito delle domande principale e riconvenzionale sono state emesse sulla base dell’accertamento dell’assoluzione del rigoroso onere probatorio da parte dell’attrice in rivendicazione e della mancata assoluzione del correlativo onere da parte del convenuto, attore in usucapione.
Il quinto motivo, al pari dei precedenti, va dunque dichiarato inammissibile.
6. Con il sesto motivo è denunciata la violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., nonché dell’art.2697 cod. civ.
La sentenza impugnata è censurata per avere accolto la domanda risarcitoria proposta dall’ENEL senza allegare e provare le conseguenze dannose patite.
Deduce il ricorrente che, non essendo il danno automatico o “in re ipsa”, l’attrice avrebbe dovuto provare l’utilità che avrebbe tratto dal fondo in assenza della sua occupazione.
6.1. Questo motivo è inammissibile perché non tiene conto della circostanza che l’attrice aveva proposto domanda risarcitoria generica la quale è stata accolta con la precisazione che il danno (eventuale) derivante dall’abusiva occupazione avrebbe dovuto essere liquidato in separato giudizio.
Questa Corte, nel suo massimo consesso, ha statuito che, ai fini dell’accoglimento della domanda di condanna generica al risarcimento del danno è sufficiente che l’attore dimostri la colpa ed il nesso causale e che l’esistenza del danno appaia anche solo probabile; ne consegue che non è necessario, ai fini dell’ammissibilità della domanda, che l’attore indichi le prove di cui intende avvalersi per dimostrare il quantum debeatur, prove che andranno, invece, fornite nel relativo e successivo giudizio (Cass., Sez., Un., 12/10/2022, n. 29862).
Dando continuità a tale orientamento va dunque affermato che, ai fini della pronunzia di una condanna generica, ai sensi dell’art. 278 cod. proc. civ., non occorre la prova certa di un danno, essendo sufficiente, invece, il mero accertamento della sussistenza di condizioni di fatto potenzialmente causative di effetti pregiudizievoli, con la conseguenza, tra l’altro, che il giudicato formatosi su una condanna generica non impedisce che il giudice chiamato a liquidare il danno possa, nel caso concreto, negarne l’esistenza (Cass. 28/03/2023, n. 8729).
7. In definitiva il ricorso proposto da A.A. va dichiarato inammissibile.
8. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.
9. Avuto riguardo al tenore della pronuncia, va dato atto – ai sensi dell’art.13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002 – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso;
condanna il ricorrente a rimborsare alla controricorrente le spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.800,00 per compensi, oltre alle spese forfetarie, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge;
ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art.13, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Terza Sezione Civile, in data 10 aprile 2024.
Depositata in Cancelleria il 19 luglio 2024.
