Massima

Ai fini della determinazione della decorrenza del termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno da parte di chi assume di aver contratto per contagio da emotrasfusioni una malattia per fatto doloso o colposo di un terzo, il giudice del merito non può ritenere conseguita (o conseguibile, sulla base dell’ordinaria diligenza e della diffusione delle conoscenze scientifiche) tale conoscenza, da parte del paziente, in difetto di informazioni idonee a consentirgli di collegare causalmente la propria patologia alla trasfusione. Pertanto, il parametro dell’ordinaria diligenza e della diffusione delle conoscenze scientifiche, come parametro sulla cui base valutare la percepibilità della patologia quale danno ingiusto conseguente alla trasfusione, va calibrato non in relazione alle informazioni acquisibili da parte del paziente (sul quale non grava alcun onere di attivazione), ma in relazione alle informazioni che gli siano state eventualmente date, sicché la mera diagnosi della sussistenza della patologia virale, in assenza di altre informazioni sulla possibile derivazione causale di essa dalla precedente trasfusione, non può essere reputata rilevante ai fini della decorrenza del termine di prescrizione (caso di domanda di risarcimento danni da contrazione del virus HCV a seguito di trasfusioni con sangue infetto in seguito ad un intervento chirurgico eseguito a causa di un incidente stradale).

NDR: in senso conforme alla prima parte della massima Cass. 22/09/2017 n. 22045, Cass. 31/05/2018 n. 13745, 27/09/2019 n. 24164 e 09/07/2020 n. 14480.

Supporto alla lettura

RISARCIMENTO DANNO

Quando si parla di risarcimento del danno ci si riferisce alla compensazione, prevista dalla legge, in favore di chi ha subito un danno ingiusto.

Per danno ingiusto si intende la lesione di una situazione giuridica soggettiva protetta dalla legge.

Il danno può essere costituito dalla lesione di:

  • un diritto soggettivo e quindi di una situazione giuridica tutelata dalla legge in modo diretto, può essere leso da chiunque se si tratta di un diritto assoluto che quindi deve essere rispettato da tutti gli altri soggetto o da un soggetto determinato se si tratta di un diritto relativo ovvero di un diritto che deve essere rispettato solo da un determinato soggetto legato al titolare del diritto da un rapporto giuridico;
  • un interesse legittimo vale a dire di una situazione giuridica soggettiva tutelata dalla legge in modo indiretto ovvero nella misura in cui l’interesse del privato coincide con l’interesse pubblico, può essere leso dalla Pubblica Amministrazione che nell’esercizio del proprio potere non rispetta le norme di buona amministrazione.

Il diritto al risarcimento del danno sorge quando il danno patito è conseguenza immediata e diretta del comportamento del danneggiante. Questa regola è stabilita dall’art. 1223 del codice civile. Per questo motivo è necessario dimostrare che il pregiudizio si trova in rapporto di causa-effetto rispetto alla condotta del danneggiante.

Il risarcimento del danno si distingue dall’indennizzo anche se in entrambi i casi il soggetto danneggiato riceve un ristoro economico per il danno che ha subito:

  • risarcimento: quando il danno è stato causato da una condotta illecita;
  • indennizzo: quando il danno è conseguente ad una condotta lecita cioè ad una condotta consentita e in alcuni casi imposta dalla legge.

Ambito oggettivo di applicazione

…omissis…

Rilevato

Con sentenza 10 settembre 2020, n.1655, la Corte d’appello di Firenze ha parzialmente accolto l’impugnazione proposta dal Ministero della Salute avverso la sentenza del Tribunale della stessa città che, in accoglimento della domanda proposta da omissis, lo aveva condannato a risarcire all’attore i danni da quegli subìti in conseguenza della contrazione del virus HCV, a seguito di trasfusioni con sangue infetto a cui era stato sottoposto nel 1981, in seguito ad un intervento chirurgico eseguito a causa di un incidente stradale;

la Corte territoriale, precisamente, ha accolto il motivo di gravame con cui era stato censurato l’omesso diffalco, dall’ammontare del risarcimento, dell’importo percepito dal danneggiato a titolo di indennizzo ex lege n. 210/1992, e, in applicazione della regola della compensazione del lucro col danno, ha conseguentemente ridotto il quantum debeatur dalla somma di Euro 499.985,00 (liquidata dal primo giudice) alla somma di Euro 147.750,74;

la Corte d’appello ha invece rigettato il motivo di gravame concernente la prescrizione del diritto al risarcimento, sulla base del rilievo che, sebbene, in generale, il dies a quo della decorrenza del termine quinquennale di prescrizione ben possa essere individuato in una data anteriore a quella di presentazione della domanda amministrativa di indennizzo (ove già in tale momento la malattia sia stata percepita – o avrebbe potuto esserlo, usando l’ordinaria diligenza e tenendo conto della diffusione delle conoscenze scientifiche – quale danno ingiusto conseguente alla trasfusione con danno infetto), tuttavia, nella fattispecie, tale percezione, contrariamente a quanto sostenuto dal Ministero, non poteva farsi risalire al 6 novembre 2007, allorché al danneggiato era stato reso noto l’esito di un accertamento istologico che certificava la presenza della malattia infettiva; ciò, in quanto tale informazione, in difetto di ulteriori elementi che il Ministero eccipiente avrebbe avuto l’onere di allegare, non consentiva di ritenere che il danneggiato avesse appreso o potuto apprendere, oltre alla consapevolezza dello stato morboso, anche quella della sua riconducibilità alla trasfusione subìta nel 1981; pertanto, il dies quo non poteva che essere fissato in prossimità della data di domanda di indennizzo, presentata il 4 maggio 2009, con la conseguenza che alla data della citazione introduttiva (23 aprile 2014), il termine quinquennale non poteva dirsi ancora decorso;

per la cassazione della sentenza della Corte fiorentina ricorre il Ministero della Salute, sulla base di un unico motivo; risponde l’intimato omissis con controricorso;

la trattazione del ricorso è stata fissata in adunanza camerale, ai sensi dell’art. 380-bis.1 cod. proc. civ.;

il Procuratore Generale non ha depositato conclusioni scritte; il controricorrente ha depositato memoria.

Considerato

con l’unico motivo viene denunciata, per un verso, ai sensi dell’art.360 n. 3 cod. proc. civ., la violazione dell’art. 2935 cod. civ.; per altro verso, ai sensi dell’art. 360 n.4 cod. proc. civ., la violazione dell’art. 132, secondo comma, n.4, stesso codice, per motivazione apparente;

richiamato il contenuto dell’atto d’appello in ordine alla questione della prescrizione e la motivazione resa dalla Corte territoriale, il Ministero ricorrente sostiene che l’indicazione della data del 6 novembre 2007 come momento nel quale si sarebbe dovuto collocare l’esordio della prescrizione sia corretto; evidenzia che in quella data Ma.Ma. aveva ricevuto il referto di un esame istologico della Azienda USL di Arezzo recante la diagnosi di “epatite cronica HCV correlata”; sostiene che la refertazione di una patologia determinata, pur se non compresa nel suo significato, determinerebbe per l’interessato l’onere di attivarsi per apprendere compiutamente la tipologia della malattia e la sua possibile derivazione causale; reputa che, pertanto, già a quella data sussisteva in capo al sig. Ma.Ma. la conoscibilità della riconducibilità del danno alla trasfusione, sulla base dell’ordinaria diligenza da lui esigibile e delle conoscenze scientifiche dell’epoca; conclude che il Tribunale e la Corte d’appello avrebbero dovuto tenere conto di ciò, calcolando quindi il decorso della prescrizione, previa fissazione, quale dies a quo, della data del 6 novembre 2007, momento in cui, tra l’altro, la possibilità di contrazione della patologia HCV in conseguenza di emotrasfusioni era diventata circostanza notoria;

il motivo è in parte inammissibile e in parte infondato;

è inammissibile nella parte in cui denuncia la nullità della sentenza per motivazione apparente;

invero, per effetto della nuova formulazione dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., introdotta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134 – applicabile alle sentenze pubblicate dopo il giorno 11 settembre 2012, e dunque anche alla sentenza impugnata con l’odierno ricorso, depositata il 10 settembre 2020 -, il controllo sulla motivazione può investire esclusivamente l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, la quale sussiste nelle sole ipotesi di “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, di “motivazione apparente”, di “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e di “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, sicché il sindacato sulla motivazione è possibile solo con riferimento al parametro dell’esistenza e della coerenza, non anche con riferimento al parametro della sufficienza (Cass., Sez. Un., 07/04/2014, nn. 8053 e 8054 e succ. conf.);

con il ricorso in esame, consimili vizi non sono stati denunciati, atteso che, al di là del formale riferimento alla “motivazione meramente apparente” contenuto nella rubrica del motivo, nella sostanza non si deduce un difetto di motivazione costituzionalmente rilevante, ma si contesta l’apprezzamento di merito in ordine all’exordium praescriptionis;

del resto, è lo stesso ricorrente che, attraverso il richiamo, tra virgolette, di ampi stralci della motivazione della sentenza d’appello, dà atto della sussistenza dell’ampio, articolato e coerente (sebbene non condiviso) corredo argomentativo ad essa apposto;

quanto al secondo profilo, ovverosia quello della violazione dell’art.2935 cod. proc. civ., si tratta di una censura che è del tutto priva di fondamento;

la sentenza impugnata, pur premettendo che l’exordium praescriptionis ben potrebbe essere individuato in un momento antecedente alla data di presentazione della domanda amministrativa di indennizzo (ove già in tale momento la malattia sia stata – o avrebbe potuto essere, usando l’ordinaria diligenza e tenuto conto della diffusione delle conoscenze scientifiche – percepita quale danno ingiusto conseguente all’emotrasfusione), tuttavia ha reputato che, nel caso di specie, la mera informativa della diagnosi di epatite HCV contenuta nel referto del novembre 2007 non consentiva, in assenza di altri elementi di prova non forniti dall’eccipiente, di ritenere che il danneggiato, nell’occasione, avesse acquisto, oltre alla consapevolezza della patologia, anche quella della sua riconducibilità alla trasfusione del 1981; pertanto, il dies a quo della prescrizione doveva essere individuato in prossimità della data di presentazione della domanda di indennizzo del 4 maggio 2009, con la conseguenza che, alla data della notificazione della citazione introduttiva del primo grado del giudizio (23 aprile 2014), il termine quinquennale non poteva ritenersi decorso;

l’impostazione della Corte territoriale, insindacabile quanto all’apprezzamento di merito che ne è stato tratto, è coerente, in iure, con la consolidata giurisprudenza di questa Corte, la quale già da tempo ha affermato che, in materia di danno da emotrasfusione con sangue infetto, il diritto al risarcimento da parte di chi assume di aver contratto patologie per fatto doloso o colposo di un terzo è soggetto al termine di prescrizione quinquennale che decorre, a norma degli artt. 2935 e 2947, primo comma, cod. civ., non dal giorno in cui il terzo determina la modificazione causativa del danno o dal momento in cui la malattia si manifesta all’esterno, bensì da quello in cui tale malattia viene percepita o può essere percepita, quale danno ingiusto conseguente al comportamento del terzo, usando l’ordinaria diligenza e tenendo conto della diffusione delle conoscenze scientifiche (a tal fine coincidente, non con la comunicazione del responso della Commissione medica ospedaliera di cui all’art. 4 della legge n. 210 del 1992, bensì con la proposizione della relativa domanda amministrativa; in tal senso Cass., Sez. Un., 11 gennaio 2008, n. 576, con un principio ribadito molte volte in seguito ed ormai definitivamente consolidato);

è pur vero che, ragionando in astratto, è ben possibile che il soggetto interessato possa avere l’esatta percezione di aver contratto il virus a causa della trasfusione anche in data precedente rispetto a quella dell’inoltro della domanda in via amministrativa; ma in tal caso è onere di chi eccepisce il decorso della prescrizione dimostrare che tale conoscenza sia da collocare in un momento antecedente (in tal senso, ex aliis, Cass. 28/06/2019, n. 17421; Cass. 30/03/2022, n. 10190; Cass. 13/06/2023, n. 16808);

nel caso in esame, il Ministero eccipiente sostiene che già nel 2007, sulla base della semplice diagnosi di contagio col virus HCV, omissis avrebbe dovuto sapere che tale patologia derivava dalle trasfusioni; il ricorrente non spiega, tuttavia, da quale elemento tale conoscenza avrebbe dovuto essere tratta, limitandosi a formulare la considerazione che, ricevuto il referto contenente la predetta diagnosi, il danneggiato, con l’ordinaria diligenza, avrebbe avuto l’onere di attivarsi, rivolgendosi ad un medico, al fine di apprendere compiutamente la tipologia della malattia e la sua derivazione causale;

la considerazione è, però, erronea in iure, avendo questa Corte più volte affermato che, ai fini della determinazione della decorrenza del termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno da parte di chi assume di aver contratto per contagio da emotrasfusioni una malattia per fatto doloso o colposo di un terzo, il giudice del merito non può ritenere conseguita (o conseguibile, sulla base dell’ordinaria diligenza e della diffusione delle conoscenze scientifiche) tale conoscenza, da parte del paziente, in difetto di informazioni idonee a consentirgli di collegare causalmente la propria patologia alla trasfusione (Cass. 22/09/2017, n. 22045; Cass.31/05/2018, n. 13745; Cass. 27/09/2019, n. 24164; Cass. 09/07/2020, n. 14480);

pertanto, il parametro dell’ordinaria diligenza e della diffusione delle conoscenze scientifiche, come parametro sulla cui base valutare la percepibilità della patologia quale danno ingiusto conseguente alla trasfusione, va calibrato non in relazione alle informazioni acquisibili da parte del paziente (sul quale non grava alcun onere di attivazione), ma in relazione alle informazioni che gli siano state eventualmente date, sicché la mera diagnosi della sussistenza della patologia virale, in assenza di altre informazioni sulla possibile derivazione causale di essa dalla precedente trasfusione, non può essere reputata rilevante ai fini della decorrenza del termine di prescrizione;

l’apprezzamento di merito sull’ exordium praescriptionis è stato, dunque, condotto dalla Corte d’appello sulla base di una corretta impostazione in iure; il ricorso proposto dal Ministero della Salute va, conseguentemente, rigettato;

le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo;

la circostanza che la parte ricorrente sia un’amministrazione statale esime questa Corte dall’attestare, in relazione al tenore della pronuncia resa, la sussistenza dei presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato, ex art.13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, atteso che le Amministrazioni dello Stato, mediante il meccanismo della prenotazione a debito, sono esentate dal pagamento delle imposte e tasse che gravano sul processo (Cass., Sez. Un., 20/02/2020, n.4315).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna l’amministrazione ricorrente a rimborsare al controricorrente le spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.600,00, oltre alle spese forfetarie, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge.

Allegati

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