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Cassazione civile sez. III, 17/12/2004, n. 23501

Massima

Ai fini della decorrenza del termine breve per l’impugnazione, la notificazione della sentenza, cui fa riferimento l’art. 326 c.p.c. come “dies a quo” e che come tale opera anche nei confronti del notificante, non può essere sostituita da forme di conoscenza equipollenti. Ne consegue che deve escludersi che il termine possa decorrere dal momento in cui il notificante abbia ottenuto dalla cancelleria del giudice “a quo” il rilascio della copia autentica della sentenza impugnata.

Supporto alla lettura

TERMINI PER LE IMPUGNAZIONI

Gli artt. 325 e ss. c.p.c. disciplinano i termini per proporre impugnazione, decorsi i quali la sentenza passa in giudicato.

Esistono due tipologie di termini:

  • termine breve: se si tratta di regolamento di competenza, appello, revocazione e opposizione di terzo sarà di 30 giorni; se si tratta di ricorso in cassazione sarà di 60 giorni. Il momento in cui il termine breve inizia a decorrere può essere individuato in tre distinte situazioni, che possono essere o la notificazione della sentenza, o la conoscenza di un certo fatto, o la comunicazione della sentenza, ma generalmente si fanno partire dal momento in cui viene notificata la sentenza (sia per il notificante che per il notificato). Per quanto riguarda, invece, le impugnazioni straordinarie (tranne per l’opposizione di terzo ordinaria per cui non è previsto alcun termine), i termini decorrono dal momento in cui è scoperto il vizio occulto della sentenza; mentre per il regolamento di competenza decorrono dal momento in cui viene comunicato il provvedimento.
  • termine lungo: indipendentemente dalla notificazione, i mezzi di impugnazione quali l’appello, il ricorso per cassazione e la revocazione derivante dal fatto che la sentenza è frutto di un errore di fatto risultante dagli atti o dai documenti della causa, o è contraria ad altra precedente avente tra le parti autorità di cosa giudicata, non possono essere proposti se non sono decorsi 6 mesi dalla sentenza. Ciò però non si applica qualora la parte sia rimasta contumace dimostrando di non aver avuto conoscenza del processo per nullità della citazione o della notificazione di essa, e per nullità della notificazione degli atti per i quali essa è prevista.

I termini possono essere interrotti quando la parte o il suo procuratore muoiano o perdano la capacità di stare in giudizio, in questi casi il termine breve riprenderà a decorrere dal giorno in cui la notificazione è rinnovata nei confronti degli eredi (impersonalmente o collettivamente nell’ultimo domicilio del defunto); il termine lungo, invece, se l’evento è sopravvenuto dopo sei mesi dalla pubblicazione della sentenza, sarà ulteriormente prorogato di 6 mesi dal giorno dell’evento e per tutte le parti (attualmente detto termine risulta inoperante).

Il potere di impugnare si perde anche per acquiescenza: consiste in un’accettazione espressa del provvedimento o nel compimento di atti incompatibili con la volontà di impugnare.

Ambito oggettivo di applicazione

Fatto
Svolgimento del processo
Con decreto del 25 marzo 1994 il presidente del tribunale di Torino ingiungeva alla società (omissis), con sede nel principato di Monaco, di pagare alla società (omissis) sas la somma di lire 32.984.991, che la ricorrente per ingiunzione reclamava a titolo di canoni e di oneri accessori relativamente a quattro appartamenti in Cesana, che aveva concesso in locazione.

La società (omissis) proponeva opposizione all’ingiunzione sostenendo l’inammissibilità del procedimento monitorio nei suoi confronti perché essa aveva all’estero la sua sede.

Deduceva, altresì, il suo difetto di legittimazione passiva, in quanto la locazione sarebbe stata stipulata da altra società con sede in Inghilterra, nonché l’infondatezza, comunque, della pretesa.

Con citazione innanzi al medesimo tribunale di Torino del 10 gennaio 1995 la società (omissis) sas introduceva, secondo il rito normale di cognizione, altra causa, con analoghi petitum e causa petendi, nei confronti della stessa società monegasca, la quale contrastava la domanda con le medesime difese di merito svolte nel giudizio di opposizione all’ingiunzione.

Il tribunale, riuniti i processi, revocava il decreto ingiuntivo opposto e condannava la società convenuta a pagare la somma reclamata nei suoi confronti e le spese del giudizio.

Sull’impugnazione della società soccombente decideva la Corte d’appello di Torino con sentenza pubblicata il 29 giugno 2001, la quale, in riforma della pronuncia di primo grado, rigettava la domanda della società (omissis) sas, che condannava alla metà delle spese del doppio grado, compensata tra le parti l’altra metà.

I giudici d’appello ritenevano, sulla scorta della documentazione prodotta dalla società appellante in primo grado, che la locazione era stata stipulata, nella veste di conduttore, dalla società “(omissis)”, soggetto diverso dalla società monegasca convenuta in giudizio.

Per la cassazione della sentenza la società (omissis) sas ha proposto un primo ricorso per cassazione, notificato il 7 settembre 2001 e basato su cinque motivi, che la società (omissis) ha contrastato con controricorso e del quale ha eccepito l’inammissibilità per difetto della procura speciale al difensore.

Un successivo ricorso per cassazione di analogo contenuto e basato sui medesimi motivi del precedente è stato notificato dalla società (omissis) sas in data 25 ottobre 2001.

La società (omissis) ha contrastato con controricorso anche detta seconda impugnazione, della quale, preliminarmente, sollecita a questa Corte il controllo di tempestività, sul rilievo che per la riproposizione del ricorso non dichiarato inammissibile, la quale suppone la conoscenza legale della motivazione della sentenza impugnata dal momento in cui di essa il ricorrente ha ottenuto la richiesta copia autentica, da tale momento occorre calcolare il termine breve dell’impugnazione per cassazione.

Diritto

Motivi della decisione
I ricorsi, impugnazioni distinte della medesima sentenza, sono riuniti (art. 335 cd. proc. civ.).

Preliminarmente rileva questa Corte che deve essere dichiarato inammissibile il primo ricorso per cassazione, notificato dalla società (omissis) sas in data 7 settembre 2001, poiché esso risulta sottoscritto da difensore privo della procura speciale prescritta per il giudizio di cassazione.

Premesso, infatti, che il carattere di specialità prescritto, a tutela della stessa parte ricorrente, per la procura a ricorrere in cassazione si concretizza nel conferimento ex professo dell’incarico di difesa in relazione al processo da instaurare innanzi al giudice di legittimità sulla base di una specifica valutazione della decisione da impugnata, osserva questa Corte che, nella specie, tale carattere non si riscontra.

Per il ricorso per cassazione, infatti, la parte ha utilizzato la procura conferita per la fase del giudizio d’appello, la quale, ancorché indichi che il mandato veniva conferito al difensore per la rappresentanza in ogni fase e grado del giudizio, è inidonea allo scopo, giacché si tratta di mandato non specificamente indirizzato al giudizio di cassazione e rilasciato anteriormente alla sentenza impugnata (Cass., n. 7181/2003; Cass., 10696/94).

L’inammissibilità del suddetto ricorso, in quanto dichiarata solo in questa sede, non ha consumato per la parte il potere d’impugnazione per cassazione, poiché il divieto della nuova impugnazione, di cui all’art. 387 cod. proc. civ., non si verifica in virtù della sola precedente proposizione di un ricorso, ma richiede l’avvenuta dichiarazione giudiziale d’inammissibilità o d’improcedibilità della pregressa impugnazione, con la conseguenza che un ricorso sostitutivo del primo è possibile sino a quando dell’altro non sia intervenuta la suddetta dichiarazione, la quale soltanto determina la consumazione del diritto di impugnazione (ex multis: Cass., n. 5045/2002; Cass., n. 15410/2000).

La riproposizione dell’impugnazione, in tal caso, deve, tuttavia, avvenire nel termine breve decorrente dalla data della notificazione della prima impugnazione, essendo pacifico il principio che tale notificazione deve ritenersi equipollente alla notificazione della sentenza medesima (Cass., n. 50/2004; Cass., n. 5043/2002).

Invero i termini di cui all’art. 325 cod. proc. civ. decorrono dalla notificazione della sentenza non solo per il soggetto cui la notificazione è diretta, ma anche per il notificante, attesa la comunanza, per entrambe le parti, del termine stesso e non potendo dubitarsi che la parte, che provvede alla notifica della sentenza, non solo ha la piena conoscenza legale della stessa, ma soprattutto subisce anch’essa gli effetti di quell’attività sollecitatoria ed acceleratoria (espressamente individuata dal primo comma dell’art. 326 cod. proc. civ. nella notificazione della sentenza), che essa impone all’altra parte (Cass., n. 191/2001).

Anche della seconda impugnazione la società resistente chiede la verifica di ammissibilità, sollecitando a questa Corte il controllo ex officio della sua tempestività in base al criterio per il quale il termine breve dell’impugnazione dovrebbe computarsi a decorrere non dalla data di notificazione della prima impugnazione alla controparte, ma dal momento precedente in cui la stessa società ricorrente, avendo ottenuto dalla cancelleria la copia autentica della sentenza, avrebbe così realizzato la scienza legale della decisione.

Sulla istanza osserva, anzitutto, questa Corte che non può darsi ingresso alla tesi prospettata dalla società ricorrente circa l’anticipazione del momento della conoscenza legale della sentenza per il notificante alla data in cui lo stesso ha ottenuto, a sua istanza, dalla cancelleria del giudice a quo, il rilascio della copia autentica della sentenza soggetta ad impugnazione.

Ai fini della decorrenza del termine breve per l’impugnazione, la notificazione della sentenza, cui fa riferimento l’art. 326 cod. proc. civ., non può essere sostituita da forme di conoscenza equipollenti (Cass., n. 8858/2002), poiché la legge fa derivare la scienza legale della decisione – che essenzialmente consiste nella conoscenza della motivazione della sentenza che si intende successivamente impugnare – solo dall’effettiva apprensione del contenuto della sentenza stessa, che intanto sussiste in quanto la parte, per poterla censurare, necessariamente deve averla prima esaminata.

Nella ipotesi del tipo di quella in esame, nella quale si tratta di stabilire il dies a quo del termine con riguardo alla notificazione effettuata dal notificante, il controllo di tempestività del ricorso per cassazione impone, inoltre, a questa Corte di verificare anche se la regola (pacifica nella giurisprudenza di legittimità) per la quale il termine breve deve decorrere dal momento in cui è avvenuta la notificazione della sentenza alla controparte, possa ancora essere mantenuto dopo che il giudice costituzionale, in tema di notificazione, ha proceduto ad evidenziare come per essa possano venire in evidenza momenti diversi di perfezionamento a seconda che si guardi alla parte che la effettua ovvero alla parte destinataria dell’atto.

La Corte costituzionale, infatti, nella sentenza n. 28 del 2004, riaffermando l’esigenza (costituente già la ratio delle precedenti sentenze n. 69 del 1994, n. 358 del 1996 e n. 477 del 2002) che le garanzie di conoscibilità dell’atto da parte del destinatario della notificazione debbono coordinarsi con l’interesse del notificante a non vedersi addebitato l’esito intempestivo del procedimento notificatorio per l’attività sottratta alla sua disponibilità, ha definitivamente ribadito che risulta ormai presente nell’ordinamento processuale civile, fra le norme generali sulle notificazioni degli atti, il principio secondo il quale – relativamente alla funzione che sul piano processuale, cioè come atto della sequenza del processo, la notificazione è destinata a svolgere per il notificante – il momento in cui la notifica si deve considerare perfezionata per il medesimo deve distinguersi da quello in cui essa si perfeziona per il destinatario.

La stessa sentenza ha, però, chiarito che la produzione degli effetti collegati alla notificazione stessa è condizionata al perfezionamento del procedimento notificatorio anche per il destinatario e che, ove a favore o a carico di costui la legge preveda termini o conseguenze o, comunque, adempimenti decorrenti dalla notificazione, questi debbano calcolarsi o correlarsi al momento in cui la notifica si perfeziona anche nei suoi confronti.

Orbene – pur ammessa la distinzione fra i due diversi momenti di perfezionamento delle notificazioni degli atti processuali in tutti quei casi in cui sarebbe irragionevole, oltre che lesivo del diritto di difesa del notificante, che un effetto di decadenza possa discendere dal ritardo nel compimento di attività riferibili non al notificante, ma a soggetti diversi, quali l’ufficiale giudiziario e l’agente postale suo ausiliario – è da rilevare che in ogni altra ipotesi, in cui la norma suppone che un termine debba decorrere od altro adempimento debba essere compiuto dall’avvenuta notificazione, questa deve essere intesa come compiuta e perfezionata anche nei confronti del destinatario dell’atto.

Tale è certamente l’ipotesi regolata dal primo comma dell’art. 326, primo comma, cod. proc. civ., nella quale la lettera della norma è esplicita sul punto che deve trattarsi di notificazione perfezionata nel suo complesso. Il che, peraltro, corrisponde pure alla ratio della disposizione, che, essendo quella della comunanza del termine d’impugnazione, suppone che la notificazione si sia perfezionata nei confronti del destinatario contro cui l’impugnazione è rivolta, dato che la notificazione invalida o inefficace nei confronti del destinatario è inidonea a far decorrere il termine anche per il notificante (Cass., n. 1069/2000; Cass., n. 9199/91; Cass., n. 1556/90; Cass., n. 305/90).

Nel caso in esame la notificazione del primo ricorso alla parte resistente è stata effettuata il 7 settembre 2001 e la notificazione del secondo ricorso è avvenuta il 25 ottobre 2001, per cui per la seconda impugnazione risulta rispettato il termine breve entro cui l’impugnazione per cassazione doveva essere proposta.

Con il primo motivo d’impugnazione – deducendo la violazione e la falsa applicazione della norma di cui all’art. 1705 cod. civ. in relazione all’art. 360 n.3 e n. 5 cod. proc. civ. – la società ricorrente lamenta che il giudice del merito non avrebbe tenuto in alcun conto che la responsabilità della società monegasca derivava dalla non contestata sua qualità di mandataria della società britannica e dalla prodotta sentenza del tribunale del Principato di Monaco.

Con il secondo motivo d’impugnazione – deducendo la violazione e la falsa applicazione delle norme di cui all’art. 1704 cod. civ. e di cui al capo VI del titolo II del libro IV del codice civ. (art. 1387 e 1388) – la società ricorrente denuncia che, non essendo agli atti di causa documenti (o altra comunicazione ad essa istante) comprovanti che la società monegasca avesse dichiarato di agire in nome e per conto della società britannica, il giudice d’appello, nella mancata contemplatio domini, avrebbe dovuto ammettere che l’obbligazione era stata assunta in proprio dalla stessa società monegasca.

Con il terzo mezzo di doglianza – deducendo la violazione e la falsa applicazione delle norme di cui agli art. 2702, 2704, 1705 e 1388 cod. civ. in relazione all’art. 360 n. 5 cod. proc. civ. – la società ricorrente denuncia che il modulo contrattuale, da completare con la indicazione della società conduttrice degli appartamenti, era stato riempito abusivamente in corso di lite al fine di precostituire e sostenere l’eccezione di carenza di legittimazione passiva e che di esso, pertanto, stante la espressa contestazione del documento, il giudice del merito non avrebbe dovuto tener conto quale scrittura privata proveniente da essa società ricorrente.

Con il quarto motivo – deducendo la violazione e la falsa applicazione delle norme di cui agli art. 2702 e 2704 cod. civ., 214 e 224 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360 n. 3 e n. 5 cod. proc. civ. – la ricorrente critica l’impugnata sentenza nella parte in cui il giudice del merito ha ritenuto che, in difetto di querela di falso, non era possibile l’indagine circa la sussistenza del dedotto abusivo riempimento del modulo contrattuale contra pacta ed assume che, invece, detto accertamento bene sarebbe potuto derivare in virtù della prova che se ne poteva trarre dalla documentazione agli atti della causa.

Con l’ultimo motivo – deducendo la violazione e la falsa applicazione della norma di cui all’art. 2702 cod. civ. in relazione all’art. 360 n. 3 e n. 5 cod. proc civ. – la società ricorrente assume che, poiché il documento, di cui ha eccepito l’abusivo completamento, proviene da un terzo estraneo alla lite, il suo contenuto rispetto alle parti in causa assume la valenza di semplice elemento indiziario, del quale il giudice del merito avrebbe dovuto rilevare l’incompatibilità con il complesso degli altri documenti attestanti i rapporti tra la società monegasca e quella britannica.

Vanno esaminati – per primi e congiuntamente – il terzo, il quarto ed il quinto motivo del ricorso, relativi alla medesima questione, che si pone come logico antecedente delle altre.

Con i tre mezzi di doglianza la società ricorrente censura l’impugnata decisione, che, a fronte di scrittura privata di cui non era stata disconosciuta la sottoscrizione e della quale si assumeva l’abusivo riempimento di spazi lasciati in bianco, ha ritenuto di attribuire al documento la fede privilegiata di cui all’art. 2702 cod. civ. non avendo la parte, contro la quale la scrittura stessa era stata prodotta, proposto la querela di falso.

L’impugnata sentenza, infatti, ha considerato che, al fine di identificare la parte sostanziale del contratto nella veste di conduttore, era sufficiente fare riferimento alla sola scrittura privata, che come tale indicava la società britannica, aggiungendo che il giudice di primo grado si sarebbe dovuto arrestare al contenuto rivelato dal documento, sicché era stata del tutto ultronea l’indagine del tribunale relativa al fatto se in realtà la società monegasca stipulante avesse esteriorizzato una qualsiasi contemplatio domini ovvero al fatto se la stessa società monegasca, che pure aveva concluso le convenzioni, ne avesse assunto in proprio le conseguenti obbligazioni.

La censura di cui ai tre suddetti motivi è fondata, poiché essa denuncia l’errore in diritto del giudice d’appello, che avrebbe dovuto dare ingresso all’esame delle altre prove al fine di stabilire la sussistenza o meno del dedotto abusivo riempimento del modulo di contratto di locazione, concluso, secondo circostanza pacifica in causa, con l’intervento della società monegasca.

Costituisce principio pacifico (ex plurimis: Cass., n. 16007/2003; Cass., n. 308/2002; Cass., n. 14091/2000) che il riempimento, in tutto o in parte, di foglio firmato in bianco in modo non conforme ai patti non è soggetto al regime della querela di falso, al quale è, invece, soggetto il riempimento non autorizzato dal sottoscrittore.

Infatti, la querela di falso costituisce un rimedio diretto ad eliminare la fede privilegiata della quale la scrittura privata con sottoscrizione autenticata o riconosciuta gode, ai sensi dell’art. 2702 cod. civ., e cioè la provenienza della dichiarazione da chi l’ha sottoscritta, mentre il riempimento contra pacta della scrittura sottoscritta in bianco concreta non un’ipotesi nella quale possa negarsi la provenienza della dichiarazione dal sottoscrittore, ma un’ipotesi di non corrispondenza fra ciò che risulta dichiarato e ciò che era stato pattuito di dichiarare.

È stato, pertanto, precisato (Cass.,.n. 7975/2000; Cass., n. 3824/96) che il disconoscimento non costituisce mezzo processuale idoneo a dimostrare l’abusivo riempimento del foglio in bianco, sia che si tratti di riempimento absque pactis, sia che si tratti di riempimento contra pacta, dovendo, essere proposta la querela di falso se si sostenga che alcun accordo per il riempimento sia stato raggiunto dalle parti; dovendo, invece, essere fornita la prova di un accordo dal contenuto diverso da quello del foglio sottoscritto, se si sostenga che l’accordo raggiunto fosse appunto diverso.

Nel caso di specie il giudice d’appello, negando di dovere valutare le altre prove acquisite alla causa al fine di stabilire se il riempimento del modulo di contratto di locazione fosse o meno avvenuto contra pacta (siccome la società istante aveva espressamente eccepito nel contestare che, quale parte conduttrice della locazione, potesse essere indicata la società britannica), è incorso nel denunciato vizio di violazione di legge.

Di conseguenza, l’impugnata sentenza deve essere annullata con rinvio, anche per la decisione sulle spese del presente giudizio di cassazione, ad altra sezione della Corte d’appello di Torino, che si dovrà uniformare al principio di diritto per il quale non occorre proporre la querela di falso e neppure procedere al disconoscimento della scrittura privata qualora si sostenga che il riempimento della scrittura privata sia avvenuto contra pacta, potendosi in tal caso fornire la prova di un accordo dal contenuto diverso da quello risultante dal documento sottoscritto.

Restano assorbiti i primi due motivi del ricorso.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi; dichiara inammissibile il ricorso preventivamente notificato in data 7 settembre 2001; accoglie, per quanto di ragione, il terzo, il quarto ed il quinto motivo del ricorso successivamente notificato il 25 ottobre 2001 e dichiara assorbiti gli altri due motivi; cassa in relazione la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, ad altra sezione della Corte d’appello di Torino.

Roma, 22 ottobre 2004.

DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 17 DIC. 2004.

Allegati

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