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Cassazione civile sez. III, 17/09/2025, n. 25467

Massima

Ai fini del risarcimento del danno patrimoniale futuro conseguente a lesione dell’integrità psico-fisica per perdita della capacità lavorativa specifica, non sussiste un automatismo tra il grado di invalidità permanente accertato (o la stima della percentuale di incapacità lavorativa) e la riduzione patrimoniale. Il danno patrimoniale futuro è risarcibile solo qualora, in base a una valutazione prognostica, appaia probabile che la vittima percepirà un reddito inferiore a quello che avrebbe altrimenti conseguito in assenza dell’infortunio.

Supporto alla lettura

RISARCIMENTO DANNO

Quando si parla di risarcimento del danno ci si riferisce alla compensazione, prevista dalla legge, in favore di chi ha subito un danno ingiusto.

Per danno ingiusto si intende la lesione di una situazione giuridica soggettiva protetta dalla legge.

Il danno può essere costituito dalla lesione di:

  • un diritto soggettivo e quindi di una situazione giuridica tutelata dalla legge in modo diretto, può essere leso da chiunque se si tratta di un diritto assoluto che quindi deve essere rispettato da tutti gli altri soggetto o da un soggetto determinato se si tratta di un diritto relativo ovvero di un diritto che deve essere rispettato solo da un determinato soggetto legato al titolare del diritto da un rapporto giuridico;
  • un interesse legittimo vale a dire di una situazione giuridica soggettiva tutelata dalla legge in modo indiretto ovvero nella misura in cui l’interesse del privato coincide con l’interesse pubblico, può essere leso dalla Pubblica Amministrazione che nell’esercizio del proprio potere non rispetta le norme di buona amministrazione.

Il diritto al risarcimento del danno sorge quando il danno patito è conseguenza immediata e diretta del comportamento del danneggiante. Questa regola è stabilita dall’art. 1223 del codice civile. Per questo motivo è necessario dimostrare che il pregiudizio si trova in rapporto di causa-effetto rispetto alla condotta del danneggiante.

Il risarcimento del danno si distingue dall’indennizzo anche se in entrambi i casi il soggetto danneggiato riceve un ristoro economico per il danno che ha subito:

  • risarcimento: quando il danno è stato causato da una condotta illecita;
  • indennizzo: quando il danno è conseguente ad una condotta lecita cioè ad una condotta consentita e in alcuni casi imposta dalla legge.

Ambito oggettivo di applicazione

Svolgimento del processo

(omissis) convenne in giudizio, nel 2008, davanti al Tribunale di Salerno, l’Azienda Ospedaliera Universitaria (omissis) e l'(omissis) chiedendone la condanna in solido al risarcimento dei danni subiti a causa del ritardo nell’intervento di angioplastica eseguito dai sanitari della predetta Azienda Ospedaliera;

espose a fondamento che

– nelle prime ore della mattina del 19 luglio 2004, avendo avvertito nella notte un dolore anginoso, venne trasportato in ambulanza all’ospedale di (omissis), dove gli fu diagnosticato un infarto ventricolare sinistro esteso e sottoposto a terapia trombolitica;

– venne quindi trasferito all’ospedale (omissis) di (omissis), dove giunse alle ore 10,00 ma fu sottoposto ad angioplastica, con posizionamento di stent nel ramo interventricolare anteriore (Iva), solo alle ore 13,00;

– il ritardo nell’intervento causò una necrosi del tessuto cardiaco, aggravando il danno miocardico;

con sentenza n. 2947 del 2016 il Tribunale di Salerno accolse la domanda nei soli confronti dell’Azienda ospedaliera, avendo escluso la responsabilità dei sanitari dell’ospedale di Polla; condannò per l’effetto l’Azienda Ospedaliera OO.RR. (omissis) al pagamento della somma complessiva di Euro 295.000,00 oltre interessi;

una parte di tale somma, per Euro 135.000,00, venne riconosciuta

in relazione al danno da perdita di capacità lavorativa specifica, essendo stata ritenuta incontestata la circostanza che l’attore svolgesse mansioni di operaio e, per contro, irrilevante che mancasse prova della retribuzione percepita e del fatto che egli fosse stato licenziato a seguito dell’evento di danno, “tenuto conto del notorio (ossia di quanto mediamente percepito da un operaio di circa Euro 1.000,00 al mese) e di quanto determinato dal CTU in termini di diminuzione della capacità lavorativa (55%) nonché della vita “lavorativa” residua dell’attore e della circostanza che, quand’anche licenziato a causa del sinistro in esame, avrebbe potuto svolgere un lavoro sedentario e non impegnativo fisicamente“;

con la sentenza in epigrafe la Corte d’Appello di Salerno, in parziale accoglimento del gravame interposto dall’Azienda Ospedaliera, ha ridotto il risarcimento ad Euro 160.000,00, con esclusione del danno da perdita della capacità lavorativa specifica, avendo ritenuto necessaria la prova in concreto del pregresso svolgimento di una attività economica o del possesso di una acquisita qualificazione professionale e non condivisibile, pertanto, la liquidazione di tale danno operata in primo grado basata sulla circostanza non specificamente contestata che l’attore svolgesse mansioni di operaio e nonostante che non vi fosse prova “dell’importo percepito dall’attore, né della circostanza che egli sia stato licenziato a seguito della situazione fisica esaminata in questa sede“;

ha rilevato che, in siffatto contesto, la rilevata incidenza della menomazione sulla capacità lavorativa generica del danneggiato può essere apprezzata

– o come componente del danno dinamico-relazionale, quale danno da cenestesi lavorativa, da liquidare omnicomprensivamente con in relazione a quel tipo di danno, eventualmente ricorrendo ad un appesantimento del valore monetario di ciascun punto (Cass. 09/10/2015, n. 20312);

– o come danno patrimoniale in proiezione futura da perdita di chance, rappresentato dall’impossibilità di attendere neppure a lavori diversi da quello specificamente prestato al momento del sinistro, e comunque confacenti alle attitudini e condizioni personali ed ambientali (Cass. 12/06/2015, n. 12211);

ha quindi osservato che, nel caso di specie, mentre non può essere riconosciuto un danno risarcibile nella seconda prospettiva, non avendo l’attore/appellato assolto l’onere di allegazione dei profili risarcitori, con specifico riferimento alle condizioni personali e familiari e alle aspirazioni e attitudini, il grado di incidenza della patologia sull’attività lavorativa, stimato dal c.t.u. nel 55%, consente, invece, di ritenere sussistente il danno (non patrimoniale) da cenestesi lavorativa, il quale giustifica l’aumento del 20% per la personalizzazione del danno non patrimoniale di natura dinamico-relazionale già riconosciuto nella sentenza di primo grado;

avverso tale decisione (omissis) propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, cui resiste l’Azienda Ospedaliera Universitaria “(omissis) “, depositando controricorso;

è stata fissata per la trattazione l’odierna adunanza camerale ai sensi dell’art. 380-bis.1 cod. proc. civ., con decreto del quale è stata data rituale comunicazione alle parti;

non sono state depositate conclusioni dal Pubblico Ministero;

il ricorrente ha depositato memoria;

Motivi della decisione

con il primo motivo – rubricato “Art. 360 n. 3) c.p.c.; violazione di legge, art. 115 c.p.c.” – il ricorrente lamenta che la Corte d’Appello abbia erroneamente escluso la prova del rapporto di lavoro del ricorrente con la (omissis), nonostante tale circostanza fosse “incontestata” e mai specificamente confutata dalla controparte;

rileva che sin dall’atto introduttivo del giudizio egli aveva affermato di essere legato da regolare rapporto contrattuale di lavoro a tempo indeterminato con la (omissis) e che tale circostanza emerge pacificamente anche dalla impugnata sentenza, là dove si dà atto che il primo giudice aveva ritenuto incontestata la circostanza che l’attore svolgeva mansioni di operaio;

soggiunge che, pur a voler reputare che non fosse stato provato invece l’importo percepito dal medesimo, né che il ricorrente fosse stato licenziato per i fatti oggetto di causa, ben poteva il giudice di primo grado determinare (come ha di fatto determinato) in via equitativa l’importo per danno patrimoniale; la Corte d’Appello avrebbe potuto eventualmente discostarsi nel quantum da tale valutazione equitativa, ma aver completamente azzerato la liquidazione del danno patrimoniale per non aver reputato provato un aspetto del tutto incontestato, integra violazione dell’ art. 115 c.p.c.;

con il secondo motivo – in rubrica “violazione danno non patrimoniale; violazione degli artt. 1223 e 2059 c.c.” – egli deduce che l’esclusione del danno patrimoniale da perdita della capacità lavorativa specifica è basata, nella sentenza impugnata, sull’errata valutazione della mancanza di prova del preesistente rapporto di lavoro e sulla mancata considerazione della grave invalidità del ricorrente; sostiene che la Corte, che aveva riconosciuto l’esistenza di un danno non patrimoniale da cenestesi lavorativa, avrebbe dovuto confermare la liquidazione del danno patrimoniale, anche in via equitativa;

con il terzo motivo – in rubrica “art. 360 n. 3) c.p.c.; violazione dell’art. 2727 c.c. in relazione agli artt. 115 e 116 c.p.c.; violazione dell’art. 1223 c.c.” – lamenta che la Corte d’Appello abbia escluso la liquidazione del danno patrimoniale, nonostante fosse possibile ricavare la prova del rapporto di lavoro e della perdita di capacità lavorativa specifica anche per presunzioni; evidenzia al riguardo che, alla data dell’evento, egli aveva 39 anni e non erano state prospettate altre fonti reddituali; sostiene che la riduzione della capacità lavorativa del 55% avrebbe dovuto pertanto essere considerata sufficiente per dimostrare, almeno presuntivamente, la perdita di reddito;

il primo motivo è inammissibile e comunque infondato;

il principio di non contestazione opera in relazione a fatti che siano stati chiaramente e specificamente esposti da una delle parti presenti in giudizio e non siano stati contestati dalla controparte che ne abbia avuto l’opportunità; ne discende che il motivo di ricorso per cassazione con il quale si intenda denunciare l’omessa considerazione, nella sentenza impugnata, della prova derivante dalla assenza di contestazioni della controparte su una determinata circostanza, deve indicare puntualmente come e in quale atto processuale il fatto sia stato esposto, al fine di consentire al giudice di verificarne la chiarezza e la specificità e deve altresì specificamente il contenuto della comparsa di risposta avversaria e degli ulteriori atti difensivi, localizzandoli negli atti di causa, evidenziando in modo puntuale la genericità o l’eventuale totale assenza di contestazioni sul punto (v. Cass. 22/05/2017, n. 12840; 31/08/2020, n. 18074; 15/02/2023, n. 4681) onere nella specie non assolto;

mette conto anche soggiungere, sotto altro profilo, che l’onere di contestazione – la cui inosservanza rende il fatto pacifico e non bisognoso di prova – sussiste soltanto per i fatti noti alla parte, non anche per quelli ad essa ignoti (Cass. n. 14652 del 2016n. 3576 del 2013);

il ricorrente, dunque, fermo il superiore rilievo assorbente, avrebbe dovuto suffragare la denuncia di violazione del principio di non contestazione con la conoscenza in capo alla controparte della circostanza che si assume incontroversa in mancanza di tale specifica deduzione non è configurabile un onere di contestazione a carico della controparte in ordine alla circostanza in discorso (Cass. n. 18074 del 2020n. 4681 del 2023, cit.);

non possono condurre a diversa valutazione del motivo le

considerazioni svolte in memoria dal ricorrente, ove si rileva che la stessa Corte d’Appello aveva dato atto che il primo giudice aveva ritenuto incontestata la circostanza che l’attore svolgesse le mansioni di operaio, ma poi da tale postulato si discosta, pur non espressamente confutandolo;

al riguardo occorre anzitutto rilevare che non può trarsi dalla motivazione della Corte d’Appello, diversamente da quanto affermato dalla parte, alcuna “conferma” del giudizio espresso dal primo giudice circa la configurabilità di una ipotesi di “non contestazione“, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 115 c.p.c., sulla circostanza in questione la Corte si limita a riferire la motivazione addotta dal Tribunale, ma afferma chiaramente di non condividerla, ritenendo dirimente la mancata dimostrazione dello svolgimento di una attività lavorativa;

è vero che la non condivisione della valutazione del primo giudice riguardo alla apprezzabilità in concreto di una ipotesi di “non contestazione” non è espressamente argomentata nella sentenza d’appello, ma trattandosi di norma processuale non è la mancata motivazione sul punto a poter costituire di per sé motivo di cassazione della sentenza (peraltro neppure dedotto in ricorso), quanto piuttosto l’errore eventualmente compiuto dal giudice d’appello nel fare o meno applicazione della relativa regola processuale, indipendentemente dalla giustificazione che ne sia addotta ed anche in mancanza di alcuna giustificazione al riguardo;

il secondo e il terzo motivo, congiuntamente esaminabili in quanto strettamente connessi, sono infondati;

il grado di invalidità permanente determinato da una lesione dell’integrità psico-fisica non si riflette automaticamente, né tanto meno nella stessa misura, sulla riduzione percentuale della capacità lavorativa specifica;

così come lesioni gravi potrebbero provocare riduzioni minime del reddito, per contro anche postumi permanenti minimi potrebbero incidere sulla capacità di svolgere determinati lavori; perciò, spetta al giudice valutarne in concreto e caso per caso l’incidenza (v. in tal senso Cass. 03/09/2024 n. 23553; 17/05/2022 n. 15735; 22/08/2018 n. 20918; 12/02/2015, n. 2758; 12/02/2013, n. 3290; 18/09/2007, n. 19357; 08/08/2007, n. 17397; 14/06/2007, n. 13953; 20/01/2006, n. 1120);

il danno patrimoniale futuro conseguente alla lesione della salute è risarcibile solo ove appaia probabile, alla stregua di una valutazione prognostica, che la vittima percepirà un reddito inferiore a quello che avrebbe altrimenti conseguito in assenza dell’infortunio;

è dall’accertata diminuzione del reddito che deve risalirsi alla prova del danno ed alla sua causa; non è invece corretto, una volta ritenuta in astratto l'”incapacità lavorativa” della vittima, desumerne la prova d’una contrazione patrimoniale, senza nessun accertamento in concreto d’una deminutio patrimonii;

l’incidenza dei postumi sulla capacità di lavoro andrà dunque valutata in base a tre passaggi a) l’accertamento dei postumi; b) l’accertamento della compatibilità tra i postumi e il concreto tipo di impegno, fisico o intellettuale, richiesto dal lavoro svolto dalla vittima; c) l’esistenza in atto od in potenza d’una riduzione patrimoniale;

naturalmente questo giudizio ha per corollario che il danneggiato alleghi e provi il tipo di lavoro svolto, il tipo di mansioni corrispondenti, il tipo di impegno fisico o psichico da esse richiesto;

dimostrato ciò, il Giudice per la stima del danno in esame potrà ricorrere ovviamente anche alla prova presuntiva, che tuttavia dovrà basarsi su fatti noti dai quali risalire ai fatti ignorati, e non sul mero automatismo tra entità dei postumi e sussistenza del danno;

ne consegue che è onere del danneggiato – per consentire al giudice di procedere ad una liquidazione del danno patrimoniale futuro con criteri presuntivi, e ciò anche nei casi in cui la ricorrenza dello stesso risulti altamente probabile per l’elevata percentuale di invalidità

permanente (evenienza apprezzabile nel caso di specie, in cui l’invalidità permanente è stata stimata nella misura del 28%) – supportare la richiesta risarcitoria con elementi idonei alla prova del pregresso effettivo svolgimento di attività economica, alla diminuzione del reddito percepito, ovvero del possesso di una qualificazione professionale acquisita e non ancora esercitata (Cass. n. 32538 del 2024n. 12605 del 2023n. 4673 del 2016n. 14517 del 2015);

alla luce di quanto esposto devono rigettarsi le censure in esame, in quanto volte a sostenere, in sostanza, in contrasto con i principi sopra affermati, che la mera stima da parte del c.t.u. di una invalidità permanente del 28% (e di una “incapacità lavorativa specifica” del 55% stima quest’ultima che dal punto di vista giuridico non corrisponde ad una ponderata stima basata su controllabili criteri di scientificità), dovrebbe consentire di per sé – anche in mancanza di prova (nella specie ritenuta in sentenza alla stregua di accertamento di fatto che, come detto, resiste allo specifico motivo di censura posto con il primo motivo) del pregresso svolgimento di una attività lavorativa ovvero del possesso di una già acquisita qualificazione professionale – la presunzione di una corrispondente riduzione del reddito;

il ricorso deve essere dunque rigettato;

avuto riguardo al contrastante esito dei due gradi del giudizio di merito e alle oscillazioni registrate nella giurisprudenza di questa Corte sulla questione posta dal secondo e dal terzo motivo di ricorso si ravvisano i presupposti per l’integrale compensazione delle spese;

va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quaterD.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1-bis dello stesso art. 13;

P.Q.M.

rigetta il ricorso. Compensa integralmente le spese processuali.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del D.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.

Dispone che, in caso di utilizzazione della presente ordinanza in qualsiasi forma, per finalità di informazione scientifica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, sia omessa l’indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi del ricorrente.

Così deciso in Roma il 6 giugno 2025.

Depositato in Cancelleria il 17 settembre 2025.

Allegati

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