…omissis…
Rilevato
ALFA convenne in giudizio davanti al Tribunale di Salerno BETA e l’U.C.I. r.l. (di seguito U.C.I.) presso cui lo BETA era domiciliato ex lege, per sentir dichiarare la responsabilità esclusiva dello BETA per i danni conseguenti al sinistro stradale avvenuto sulla Autostrada A3 in data 20/12/1998 quando l’autovettura condotta dall’attore era stata violentemente tamponata, con ingenti danni alla persona, nell’ambito di un tamponamento a catena; l’attore chiese la condanna dei convenuti al risarcimento dei danni, patrimoniali e non patrimoniali, tra cui il danno da lucro cessante per mancato guadagno lavorativo e per abbandono degli studi universitari;
costituitosi il solo U.C.I, il Tribunale adito, dichiarata l’esclusiva responsabilità dello BETA nella causazione del sinistro, condannò l’U.C.I. al risarcimento dei danni non patrimoniali mentre ritenne non provato il danno patrimoniale da perdita della capacità di lavoro specifica;
a seguito di appello del ALFA volto ad ottenere il riconoscimento del danno da perdita della capacità di lavoro specifica e di appello incidentale dell’U.C.I., volto ad ottenere la riforma della sentenza di primo grado nella parte in cui aveva accolto la domanda nei propri confronti, la Corte d’Appello di Salerno, con sentenza n. 301 pubblicata in data 10/3/2020, ha rigettato l’appello incidentale dell’U.C.I. confermando la dinamica del sinistro, l’esclusiva responsabilità dello BETA e la condanna emessa a suo carico dal giudice di primo grado; ha rigettato altresì l’appello principale del ALFA ritenendo mancare la prova sia delle effettive mansioni svolte alle dipendenze delle società presso cui aveva lavorato, sia degli studi universitari e della loro interruzione a causa del sinistro sia di quali fossero i redditi conseguiti prima e fino al momento del sinistro stradale che evidenziassero una differenza reddituale rispetto al periodo successivo;
avverso la sentenza ALFA propone ricorso per Cassazione sulla base di un unico motivo;
l’U.C.I. resiste con controricorso e propone ricorso incidentale sulla base di due motivi, mentre lo BETA non ha svolto attività difensiva;
il ricorso è stato assegnato per la trattazione in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c.
il ricorrente principale ha depositato “note sintetiche di trattazione in udienza” in cui si riporta al ricorso.
Considerato
Con l’unico motivo del ricorso principale- omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, violazione degli art. 2056,1223,1226,2727 e 2729 c.c. mancato riconoscimento del danno da capacità lavorativa specifica e da lucro cessante, violazione degli art. 115 e 116 c.p.c. – il ricorrente lamenta che la Corte d’Appello di Salerno ha escluso la prova dei mancati guadagni futuri ritenendo erroneamente che fosse stata versata in atti la sola documentazione reddituale relativa al periodo successivo al verificarsi del sinistro e non anche quella comprovante la situazione antecedente al medesimo; lamenta altresì che la corte non ha ritenuto idonea la censura volta a contestare la mancata allegazione delle effettive mansioni svolte dal ALFA, quale impiegato responsabile del magazzino presso la ALFA G. & Co. Srl e poi quale operaio comune presso la QS Holding Spa; ha pertanto errato nel ritenere che l’onere della prova del danno da lucro cessante non fosse stato assolto, potendo, sulla base della giurisprudenza di questa Corte, il giudice operare a mezzo di presunzioni semplici salva la determinazione equitativa dell’ammontare del danno in assenza di prova certa del suo ammontare; in definitiva la corte del merito non si sarebbe attenuta al principio stabilito da questa Corte secondo cui il danno patrimoniale futuro può essere oggetto di prova, quanto all’an, a mezzo di presunzioni, mentre sul quantum incombe al danneggiato dimostrare la contrazione dei suoi redditi dopo il sinistro, non potendo il giudice, in mancanza di prova, esercitare il potere di cui all’art. 1226 c.c. (Cass. n. 15737/2018);
il motivo è inammissibile in tutte le sue articolazioni; in primo luogo esso viola l’art. 366 n. 6 c.p.c., giacché fa riferimento in modo generico alla “documentazione” versata in atti che evidenzierebbe la capacità reddituale del ricorrente anteriore al sinistro ma non identifica i documenti che pretende pretermessi, non ne riproduce il contenuto e non li localizza nel presente giudizio di legittimità; del pari inammissibile è la censura relativa all’omessa valutazione della c.t.u., censura del tutto apodittica in quanto il ricorrente non riproduce il contenuto della consulenza oggetto del suo dissenso, né la localizza nel presente giudizio così da non porre questa Corte in condizioni di poter autonomamente apprezzare la censura; è appena il caso di rilevare che nemmeno parte ricorrente ha dichiarato – come ammette Cass., Sez. Un., n. 22726 del 2011 – di voler fare riferimento alla presenza della c.t.u. nel fascicolo d’ufficio del giudizio di primo grado, in ipotesi acquisito a quello di appello;
ulteriore ragione di inammissibilità risiede nell’assoluta mancanza di correlazione delle censure prospettate con la motivazione esposta alle pag. 6-7 dell’impugnata sentenza là dove la corte territoriale, richiamando quanto accertato dal CTU in ordine alla riduzione di grado medio della capacità lavorativa generica del ricorrente, ritiene non provate né le mansioni ricoperte prima dell’incidente né la diminuzione del reddito così da confermare il rigetto della impugnazione sul punto del mancato riconoscimento del danno da lesione della capacità di lavoro specifica; la sentenza impugnata motiva (pag. 7) sulla mancanza di prova sia delle mansioni ricoperte dal ALFA prima dell’incidente sia della diminuzione del reddito ed insiste sulla mancanza di prova documentale degli studi universitari e di quali fossero i redditi conseguiti prima e fino al momento del sinistro, ritenendo che il ricorrente si era limitato a produrre dichiarazioni fiscali atte a comprovare che, dopo il sinistro avvenuto nel 1998 e fino al mese di febbraio 2002, aveva percepito redditi da lavoro dipendente, rassegnando poi le dimissioni;
nessuna delle censure proposte con il primo motivo del ricorso attinge questi argomenti, il che ridonda in evidente ragione di inammissibilità;
in terzo luogo il ricorrente fa riferimento ad un atteggiamento di non contestazione da parte della controparte circa le risultanze della CTU senza considerare che la corte ha riferito la “non contestazione” solo alla percentuale del 42% relativa alla perdita della capacità lavorativa generica, in sostanza coincidente con la difficolta ai mantenere una prolungata posizione eretta, e non anche alla capacita di lavoro specifica che, come riferito, è ritenuta non provata;
occorre altresì evidenziare che il motivo, pur dovendo formalmente censurare l’omesso esame, non si può dire che lo faccia, giacché, limitandosi ad evocare in modo del tutto generico la “documentazione” versata in atti, neppure individua i fatti omessi, come sarebbe stato necessario per sostenere il paradigma del n. 5 dell’art. 360 c.p.c.;
infine si rileva che la violazione degli art. 115 e 116, al di là della genericita segnalata, risulta dedotta senza rispettare i criteri di cui a Cass. n. 11892 del 2016, ribaditi, ex multis, da Cass., Sez. Un., n. 20867 del 2020;
per le dette ragioni di assoluta genericita il motivo è anche inidoneo ad evidenziare la violazione delle norme sostanziali evocate.
Con il primo motivo del ricorso incidentale l’U.C.I. deduce violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 2043 c.c., 2054 c.c., 2697 c.c. 2699 c.c., art. 141C.d.S. art. 149C.d.S. in relazione all’art. 360 comma 3 c.p.c. nonché degli art. 115 e 116 c.p.c.) ed omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti (art. 360 co. 5 c.p.c.) lamentando che la corte del merito, con incongrua motivazione e cattiva gestione delle risultanze processuali, ha ritenuto che i danni alla persona patiti dal ALFA fossero conseguenza del tamponamento ad opera di BETA quando, invece, il tamponamento aveva coinvolto molti veicoli e il rapporto della Polizia Stradale aveva ritenuto plausibile che ad investire il ALFA fosse stata un’altra autovettura; la corte territoriale non avrebbe considerato il rapporto della Polstrada nella sua interezza ed avrebbe errato nell’omettere di rilevare che il contenuto del rapporto aveva un’attendibilità intrinseca che avrebbe dovuto essere contraddetta solo da una specifica prova contraria; inoltre la corte avrebbe dovuto rilevare le incongruità tra la testimonianza dello zio del danneggiato -che aveva riferito dell’avvenuto investimento da parte di un veicolo terzo – e le risultanze della stessa Polstrada; gli elementi di prova raccolti in giudizio non avrebbero potuto condurre alla conclusione della responsabilità esclusiva dello BETA nella produzione del sinistro ma alla valorizzazione, ai fini quantomeno dell’applicazione dell’art. 2054, secondo comma c.c., della condotta dello stesso danneggiato, espostosi, uscendo incautamente dal veicolo danneggiato dopo il tamponamento, all’investimento di un veicolo terzo;
il motivo è inammissibile per plurime ragioni;
innanzitutto perché le censure in esso dedotte non rispettano i requisiti di cui all’art. 366 n. 6 c.p.c., in quanto la ricorrente omette di localizzare, in questo giudizio di legittimità, gli atti sui quali si fonda. Per quanto concerne il verbale di assunzione della prova testimoniale e la c.t.u. il ricorrente omette di dire se essi siano stati prodotti o si sia voluto fare riferimento alla loro eventuale presenza nel fascicolo d’ufficio del giudice di appello (cui fosse stato acquisito quello di primo grado); il motivo è, in ogni caso, inammissibile in quanto volto alla confutazione del giudizio di fatto svolto con pronuncia cd. “doppia conforme” dai giudici del merito (pag. 5-6 della sentenza impugnata) con motivazione peraltro più che adeguata al minimo costituzionale richiesto dalla giurisprudenza di questa Corte;
inoltre, le censure sono formulate senza rispettare le condizioni poste dalla giurisprudenza di questa Corte per la loro prospettazione: ad esempio la violazione dell’art. 2697 c.c. non è formulata secondo quanto prescritto da Cass., Sez. Un., n. 16598 del 5/8/2016, in motivazione espressa, sebbene non massimata sul punto, e ribadito ex multis, da Cass. n. 26769 del 2018 secondo cui “In tema di ricorso per Cassazione, la violazione dell’art. 2697 c.c. si configura soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella su cui esso avrebbe dovuto gravare secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni”; neppure la violazione degli art. 115 e 116 c.p.c. è dedotta in modo conforme a Cass. n. 11892 del 2016, ribadita in motivazione espressa, sebbene non massimata, da Cass. Sez. Un., n. 15698 del 2016 ed ora, ex multis, da Cass., Sez. Un., n. 20867 del 2020;
anche con riguardo alla violazione degli art. 2043,2054 c.c., 141 C.d.S. 149 C.d.S. occorre rilevare che esse vengono astrattamente prospettate ma non effettivamente svolte nell’ambito del ricorso, in ragione della carenze indicate che lo rendono anche di assoluta genericità;
con il secondo motivo del ricorso incidentale – violazione e falsa applicazione in ordine alla incapacità a testimoniare del teste An.Ge. terza trasportata a bordo del veicolo condotto dal ALFA – il ricorrente lamenta che la decisione si é basata sulla testimonianza di chi era privo di capacità a testimoniare;
il motivo è inammissibile, in quanto, nel dedurre l’incapacità a testimoniare del teste, omette di precisare se essa venne eccepita all’atto dell’ammissione della prova, se venne ribadita in sede di precisazione delle conclusioni e se fu riproposta con l’appello non essendovi alcun passaggio della motivazione della sentenza impugnata dedicato a tale questione. Il ricorrente aveva l’onere, in base alla giurisprudenza di questa Corte, di sollevare l’eccezione di incapacità a testimoniare in sede di assunzione della prova, o nella prima difesa successiva, o al più tardi al momento della acquisita conoscenza della nullità stessa ove successiva, restando, in difetto, tale nullità sanata dalla acquiescenza della parte che aveva interesse a farla valere” (Cass., 3, n. 5454 del 12/3/2005); infatti in tema di prova per testimoni, poiché le nullità o decadenze derivanti dalla violazione delle disposizioni contenute negli art. 244 e seguenti cod. proc. civ. hanno natura relativa e sono sanate per acquiescenza delle parti, in quanto sono stabilite dalla legge a tutela dei loro interessi, e non per motivi di ordine pubblico, la nullità per incapacità a testimoniare (art. 246 cod. proc. civ.) deve essere opposta tempestivamente dalla parte interessata secondo le modalità previste dall’art. 157, secondo comma, cod. proc. civ. (Cass., 3, n. 20652 del 25/9/2009). Questi principi sono stati ribaditi dalle Sezioni Unite con sentenza n. 9456 del 6/4/2023 secondo cui “La parte che ha tempestivamente formulato l’eccezione di nullità della testimonianza, in quanto resa da un teste che assume essere incapace, deve poi dolersene in modo preciso e puntuale anche in sede di precisazione delle conclusioni, dovendosi altrimenti ritenere l’eccezione rinunciata, così da non poter essere riproposta in sede d’impugnazione”; “L’incapacità a testimoniare disciplinata dall’articolo 246 c.p.c. non è rilevabile d’ufficio, sicché, ove la parte non formuli la relativa eccezione prima dell’ammissione del mezzo, essa rimane definitivamente preclusa, senza che possa poi proporsi, ove la testimonianza sia ammessa ed assunta, eccezione di nullità della prova” (Cass., S.U., n. 9456 del 6/4/2023);
alla evidenziata inammissibilità dei motivi sia del ricorso principale sia di quello incidentale consegue la declaratoria di inammissibilità di entrambi i ricorsi, con compensazione delle spese.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibili sia il ricorso principale sia quello incidentale. Compensa le spese del giudizio di Cassazione. Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del D.P.R. n. 115 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera sia della parte ricorrente principale, sia della parte ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato a norma del comma 1-bis del citato art. 13, se dovuto per i rispettivi ricorsi.