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Cassazione civile sez. III, 16/11/2007, n. 23798

Massima

In tema di risarcimento dei danni da diffamazione a mezzo stampa, presupposto per l’applicabilità dell’esimente del diritto di cronaca è la continenza (esposizione veritiera e corretta) del fatto nell’esercizio del diritto stesso, sia dal punto di vista sostanziale che formale. In particolare, sotto il primo profilo, i fatti narrati devono appunto corrispondere alla verità, sia pure non assoluta ma soggettiva e, sotto il secondo, l’esposizione dei fatti deve avvenire in modo misurato, cioè deve essere contenuta negli spazi strettamente necessari. A tal riguardo, ai fini del riconoscimento della suddetta esimente, o, quanto meno, della liquidazione dell’importo risarcitorio, non può il giudice del merito omettere di valutare eventuali affermazioni, comunque rese, con le quali colui che lamenta la diffamazione abbia riconosciuto come veritieri, in tutto o in parte, i fatti che egli stesso ritiene diffamatori per la propria reputazione.

Supporto alla lettura

DIRITTO DI CRITICA

Il diritto di critica, come il diritto di cronaca, è disciplinato dall’art. 21 Cost. il quale, nel primo comma, recita: “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”. In particolare, non si manifesta solamente nella semplice esposizione dell’opinione del soggetto su determinate circostanze, ma si caratterizza per essere una interpretazione di fatti considerati di pubblico interesse, avendo di mira non l’informare, bensì l’interpretare l’informazione e, partendo dal fatto storico, il fornire giudizi e valutazioni di carattere personale.

Il diritto di critica però ha dei limiti ben precisi, costituiti dal rispetto della verità e dall’interesse pubblico, che non possono essere oltrepassati nella manifestazione di opinioni, ed inoltre la forma espositiva deve essere chiara, provocatrice ma non offensiva e immorale, senza mai sfociare in ingiurie, contumelie ed offese gratuite o trascendere in attacchi personali diretti a colpire sul piano individuale la figura del soggetto criticato.

Esistono diversi tipi di critica:

  • politica: la collettività esercita il potere della sovranità che gli assegna la Costituzion, infatti, grazie alla critica politica si stimola il dibattito democratico tra i cittadini. Tuttavia, non essendo sempre basata su fatti assolutamente certi le argomentazioni devono essere basate sulla razionalità, altrimenti si cade nell’insulto gratuito che accade quando le argomentazioni non hanno possibilità di essere replicate su basi razionali. Il diritto di critica politica, infatti, non legittima espressioni lesive della dignità personale e professionale, le quali potrebbero sconfinare reato di diffamazione;
  • scientifica: la critica scientifica stimola la dialettica e arricchisce il dibattito su temi di indubbio interesse pubblico tuttavia deve comunque sottostare ad alcuni limiti, a tutela dell’onore e della reputazione degli scienziati ai quali è diretta;
  • storica: non si intende solo il dare un giudizio sui personaggi o avvenimenti del passato, ma anche la volontà di accertare i fatti, di modificarli o scoprirne di nuovi. Se queste argomentazioni vanno a ledere la reputazione di un personaggio ormai deceduto sarà eventuale diritto dei congiunti esporre una querela;
  • sindacale: è sempre volta a difendere il lavoratore da atteggiamenti o azioni che il datore di lavoro non dovrebbe avere, infatti, le due parti interessate da questa contrapposizione saranno sempre impari, in quanto la relazione sarà sempre di soggezione-potere. Questa critica è l’unica a essere incentrata sulla salvaguardia della condizione di chi la esprime.

Ambito oggettivo di applicazione

Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La vicenda concerne un articolo comparso sul quotidiano ” (omissis)” del  (omissis), a firma del direttore (omissis), che si assume contenere apprezzamenti offensivi della reputazione e dell’onore del (omissis), con riferimento all’indagine in corso presso la Procura della Repubblica di Milano, coinvolgente, tra gli altri, il GIP di Roma, (omissis), per il reato di corruzione, e lo stesso (omissis) (all’epoca dell’indagine sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma), per il reato di favoreggiamento.

In particolare, la frase che ha costituito oggetto del presente procedimento è la seguente: “l’inflessibile Pubblico Ministero i favoreggiatori li sbatteva senza batter ciglio tra Rebibbia e Regina Coeli. Tanto l’uno e l’altro carcere, visti da dentro, la differenza è poca. Pericolo di inquinamento delle prove, scriveva agli atti. E se non bastava, visto che di scappare può sempre venir la voglia, faceva valere anche il pericolo di fuga. L’integerrimo (omissis), al contrario del suo ex capo (omissis), resta a piede libero. A volte gli spifferi colpiscono senza guardare”.

Con riferimento a siffatta frase, il Tribunale di Roma ha condannato la soc. (omissis), proprietaria del citato quotidiano, nonchè il (omissis), al pagamento, in favore del (omissis), di una somma di danaro a titolo di risarcimento del danno da diffamazione a mezzo stampa.

La condanna è stata confermata dalla Corte d’Appello di Roma (che ha respinto l’appello dei soccombenti), con sentenza che ora l’ (omissis).

ed il (omissis) impugnano per cassazione a mezzo di due motivi.

Risponde con controricorso il (omissis). Quest’ultimo ha depositato memoria per l’udienza.

Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo i ricorrenti censurano la sentenza per violazione dell’art. 21 Cost., art. 51 c.p., artt. 2043, 2059 c.c., nonchè per i vizi della motivazione, facendo riferimento ad un libro (” (omissis)”), prodotto in atti, nel quale il (omissis) (coautore dell’opera) si sarebbe – a loro dire – pentito delle modalità con le quali aveva svolto la funzione di (omissis), facendo strame dei principi di garantismo dei quali in passato pure era stato osservante. Il libro sarebbe un documento di altissimo rilievo, siccome denunziante alcune prassi di parte della magistratura inquirente che avevano scatenato fortissime polemiche e dalle quali il (omissis) prendeva le distanze dopo aver riconosciuto di averle seguite, perchè spinto da una forte tensione sociale e politica. Di qui il commento del G.P. al caso (omissis) ed, in particolare, la nota che quest’ultimo, da indagato, non aveva subito lo stesso duro trattamento (la custodia cautelare) subito da molti altri indagati ed applicato, a sua volta, dal (omissis). quando svolgeva le funzioni di (omissis).

Ciò premesso, i ricorrenti censurano la sentenza: a) per avere affermato l’assenza assoluta di riscontri obiettivi circa la facilità con la quale il (omissis) avrebbe messo in carcere i favoreggiatori (laddove, invece, la prova risiederebbe nell’autocritica svolta dal (omissis) stesso nel menzionato libro);

b) per avere errato nel ritenere che sia diffamatorio, per violazione del principio di continenza, segnalare che i Giudici che avevano indagato il (omissis) lo avevano trattato in modo meno duro di quello a suo tempo tenuto dal magistrato medesimo nei confronti dei propri indagati (qui l’osservazione sarebbe rivolta verso i giudici che indagavano il (omissis)., senza alcuna diffamazione nei confronti di quest’ultimo; c) per avere omesso di spiegare le ragioni della mancata applicazione dell’esimente del diritto di critica (l’articolo ne sarebbe espressione, laddove valuta il ruolo tenuto dal (omissis), prima come P.M. e poi come indagato).

Con il secondo motivo sono censurati i vizi della motivazione in relazione al punto in cui il Giudice ha confermato la quantificazione del danno operata dal primo Giudice. Essa non avrebbe tenuto conto che la gravità dell’ipotetico illecito era ridotta in ragione dell’autocritica che lo stesso (omissis) aveva svolto nella propria opera. In altri termini, la Corte Territoriale avrebbe sbagliato nel ritenere che il G.P. non potesse criticare il comportamento tenuto dal (omissis), benchè quest’ultimo avesse criticato se stesso.

I motivi, che possono essere congiuntamente esaminati, sono fondati.

In estrema sintesi, la tesi dei ricorrenti si sviluppa in linea con quella che viene detta la continenza sostanziale e formale del fatto narrato, nel senso della sua esposizione veritiera e corretta, che, in questi termini, consente il riconoscimento del diritto di critica.

E, soprattutto, la veridicità del fatto viene posta in relazione con la menzionata opera del (omissis), nella quale si riscontrerebbe, sostanzialmente, l’autoriconoscimento di quanto riportato nella frase dell’articolo in contestazione.

il problema ha costituito oggetto di trattazione della sentenza impugnata (cfr. pagg. 4 e 5), la quale – dato atto che i convenuti avevano prodotto per stralci il libro del (omissis), per dimostrare che egli stesso non aveva rispettato le norme garantiste del codice di procedura penale, tenendo in carcere alcuni imputati dai colletti bianchi per raggiungere la loro confessione ed acquisire prove ulteriori sui correi – conclude che “il richiamo a tali scritti non è assolutamente conferente al fine di giustificare il contenuto dell’articolo o la sua pretesa natura non diffamatoria”.

Senonchè, il Giudice perviene a siffatta conclusione attraverso un percorso argomentativo che, oltre ad essere illogico e contraddittorio, finisce con il violare gli stessi consolidati principi sulla continenza formale e sostanziale dei quali s’è detto in precedenza.

Infatti, la sentenza riconosce che “nel volume del (omissis) si accenna a talune deviazioni dalla procedura, corretta ma solo per descrivere – e non certo per giustificare – il clima di mani pulite, che aveva portato in carcere personaggi che, non tollerando il regime carcerario, erano disposti a parlare immediatamente pur di ottenere la scarcerazione”. Aggiunge pure che “di tale sistema il (omissis), magistrato notoriamente di sinistra e garantista, si vergognava, pure dovendo ammettere di essersene servito allo scopo di portare in luce il complesso sistema delle corruttele invalso alla fine degli anni ottanta”.

In altri termini, la sentenza, in questi brani, riconosce che il magistrato, nell’opera prodotta, aveva attribuito a se stesso esattamente quello che l’articolo in questione gli attribuiva (cfr. sopra la frase in contestazione integralmente riportata), implicitamente accogliendo la tesi difensiva dei convenuti.

Tuttavia, nel successivo paragrafo, il provvedimento impugnato liquida la questione attraverso l’affermazione secondo cui “tutto ciò, peraltro, nulla a che vedere con il contenuto dell’articolo incriminato, in cui le manette facili vengono rappresentate come un modus procedendi abituale del magistrato (omissis)”.

Siffatta ultima affermazione non solo non risolve esaustivamente il problema, per quanto è palesemente contraddittoria con quanto precedentemente affermato. Sembra, infatti, di capire che il fatto che il (omissis) stesso avesse riconosciuto di avere utilizzato i metodi di indagine contestatigli nell’articolo giornalistico non costituisca (nella logica della sentenza) utile scriminante per l’articolista, sia perchè il magistrato aveva finito per vergognarsene, sia perchè (cfr. il “peraltro” dell’ultima frase della sentenza sopra riportata) il comportamento in questione viene attribuito all’interessato con il carattere dell’abitualità.

A tal proposito è facile rilevare che il fatto che il magistrato coltivasse una determinata ideologia e che, in virtù di questa, si vergognasse di quanto compiuto (e non lo giustificasse), nulla rileva ai fini dell’attribuzione del carattere scriminante alla circostanza addotta. Piuttosto, dimostra, secondo la logica deduttiva, che non solo l’articolo aveva riferito circostanze veritiere ma che, altresì, il comportamento processuale del magistrato era stato effettivamente scorretto, tanto che egli stesso se lo era rimproverato. Quanto poi al fatto che quel modus procedendi fosse abituale o meno in un determinato momento storico, nulla può trarsi a riguardo nè dall’articolo giornalistico (nella specifica frase che interessa), nè nelle ammissioni dello stesso (omissis) (sempre secondo quanto riportato in precedenza dalla stessa sentenza). E, comunque, il carattere dell’abitualità assume rilievo neutro rispetto ai due elementi decisori dei quali si discute: accusa di scorrettezza processuale, da una parte, ed ammissione della stessa, dall’altra.

Altra illogicità si manifesta nell’ultimo paragrafo di pag. 5 e nel primo di pag. 6 della sentenza, dove si legge: “quello che più risalta nello scritto è il contrasto…tra. il fatto che il (omissis) avrebbe sbattuto i favoreggiatori in carcere senza batter ciglio …ed il regime di favore di cui egli invece avrebbe goduto da parte dei Giudici di Milano, allorchè l’autore conclude col dire che il (omissis), contrariamente a (omissis), restò a piede libero…”. Successivamente viene aggiunto: “l’assenza assoluta, di riscontri obbiettivi circa la facilità con cui il (omissis) avrebbe messo in carcere i favoreggiatori costituisce violazione dell’obbligo di riferire la verità, mentre la sottile insinuazione del trattamento di favore riservato all’appellato rispetto allo S. costituisce violazione dell’elemento della continenza oltrechè violazione dei limiti del sacrosanto diritto di critica …”.

A proposito del primo brano, appare insensato il contrasto rilevato dal Giudice, posto che il regime di favore del quale avrebbe goduto il (omissis) costituisce, semmai, una critica diretta verso i suoi colleghi milanesi e che, dunque, non può avere potenzialità offensiva verso il (omissis) stesso. Quanto al secondo brano, è agevole rilevare che l’affermata assenza di riscontri obiettivi ancora una volta contrasta con quanto in precedenza sostenuto circa l’effettivo rimprovero rivolto dal magistrato a sè stesso nell’opera letteraria prodotta; tenuto conto, peraltro, che anche qui la violazione della continenza viene nuovamente attribuita alla “sottile insinuazione del trattamento di favore” riservatogli dai giudici milanesi. Insinuazione che, semmai, andrebbe ad offendere (lo si ripete) altre persone ed altri comportamenti.

Le stesse considerazioni vanno addotte anche con riferimento alla seconda censura svolta dai ricorrenti, in quanto, nella ricostruzione della vicenda, le affermazioni contenute nel libro del (omissis) (ovviamente, si tratta di quelle che la stessa sentenza impugnata riporta, visto che questa Corte non conosce e non può conoscere il loro reale tenore), se pure non hanno efficacia scriminante della diffamazione (e, quindi, rispetto all’an), sicuramente hanno un peso nella concreta liquidazione del danno (ossia, rispetto al quantum), visto che la loro eventuale potenzialità offensiva (e, dunque, l’importo risarcitorio) risulta necessariamente ridotta nel caso in cui la vittima abbia, anche solo in parte, ammesso la veridicità del fatto in contestazione.

In conclusione, la sentenza impugnata va cassata, affinchè il giudice del rinvio proceda ad nuovo esame della vicenda, adeguandosi al principio secondo cui in tema di risarcimento dei danni da diffamazione a mezzo stampa, presupposto per l’applicabilità dell’esimente del diritto di cronaca è la continenza del fatto nell’esercizio del diritto stesso, sia dal punto di vista sostanziale che formale; sotto il primo profilo i fatti narrati devono corrispondere alla verità, sia pure non assoluta ma soggettiva, e, sotto il secondo profilo, l’esposizione dei fatti deve avvenire in modo misurato, cioè deve essere contenuta negli spazi strettamente necessari. A tal riguardo, il Giudice del merito non può omettere di valutare – ai fini del riconoscimento della suddetta esimente o, quanto meno, della liquidazione dell’importo risarcitorio – eventuali affermazioni, comunque rese, con le quali colui che lamenta la diffamazione abbia riconosciuto come veritieri, in tutto o in parte, i fatti che egli stesso ritiene diffamatori per la propria reputazione.

Il giudice del rinvio, designato nel dispositivo, provvedere anche sulle spese del giudizio di Cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Roma, in diversa composizione, anche perchè provveda sulle spese del giudizio di Cassazione.Così deciso in Roma, il 2 ottobre 2007.

Depositato in Cancelleria il 16 novembre 2007.

Allegati

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