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Cassazione civile sez. III, 16/02/2024, n. 4283

Massima

Il difetto di specificità dei motivi di appello può essere sollevato come motivo di ricorso per cassazione anche se non è stato eccepito in appello, in quanto riguarda l’ammissibilità dell’impugnazione e la formazione del giudicato, e può essere rilevato d’ufficio dalla Corte di cassazione.

Supporto alla lettura

APPELLO

Nel diritto processuale civile l’appello è il mezzo di impugnazione ordinario delle sentenze pronunciate in primo grado, a eccezione di quelle dichiarate inappellabili tanto dalla legge quanto in virtù dell’accordo delle parti (artt. 339, primo comma, e 360, secondo comma, c.p.c.), che abbiano deciso di ricorrere immediatamente in cassazione (Ricorso per cassazione).

Ambito oggettivo di applicazione

1. Con citazione notificata il 22 marzo 2017, Ma.Sa. adì il Tribunale di Palermo, invocando, oltre al risarcimento del danno, la declaratoria di risoluzione del contratto di locazione che, nella qualità di locatrice, aveva stipulato con An.Lo., conduttore, per grave inadempimento di quest’ultimo, il quale: a) aveva pagato i canoni in ritardo e con versamenti in contanti, anziché mediante bonifico bancario, come previsto nel contratto; b) aveva omesso di versare oneri condominiali per complessivi Euro 295,00; c) aveva omesso di stipulare la polizza assicurativa sul fabbricato, del pari contrattualmente prevista.

Costituitosi il convenuto e disposto il mutamento di rito da ordinario a speciale, ai sensi dell’art.426 cod. proc. civ., il Tribunale di Palermo, con sentenza n. 1287 del 2018, rigettò la domanda, sul rilievo che l’inadempimento imputato dalla locatrice al conduttore non rivestiva carattere di gravità, avuto riguardo al parametro di cui all’art. 5 della legge n. 392 del 1978.

2. L’attrice propose appello, osservando che con la memoria integrativa, depositata a seguito del mutamento di rito, ella aveva dedotto che, dopo l’introduzione della domanda, il convenuto aveva omesso di pagare due ratei di canone locativo, per complessivi Euro 900,00, ed evidenziando altresì che gli oneri condominiali insoluti avevano raggiunto un importo di Euro 1.253,50, sicché, alla stregua di tali ulteriori allegazioni, doveva reputarsi sussistente il presupposto della gravità dell’inadempimento.

Con sentenza 13 aprile 2021, n.376, la Corte d’appello di Palermo ha ritenuto fondata l’impugnazione e, in accoglimento della domanda proposta da Ma.Sa., ha dichiarato la risoluzione del contratto per grave inadempimento di An.Lo., condannandolo al risarcimento del danno, liquidato nella somma di Euro 775,50 (pari agli oneri condominiali di cui era stato allegato l’omesso pagamento in sede di memoria integrativa seguita al mutamento di rito), oltre interessi dalla domanda al saldo, nonché al pagamento delle spese dei due gradi di giudizio.

3. Avverso la sentenza della Corte panormita, An.Lo. propone ricorso per cassazione, sulla base di quattro motivi, cui non risponde l’intimata, Ma.Sa..

La trattazione del ricorso è stata fissata in adunanza camerale, ai sensi dell’art. 380-bis.1 cod. proc. civ..

Il Procuratore Generale non ha depositato conclusioni scritte.

Non sono state depositate memorie.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo viene denunciata “violazione o falsa applicazione di norme di diritto art 360 c 1 n 3. violazione dell’art 5 e 55 legge I. n. 392 del 1978”.

Il ricorrente, previo richiamo al disposto dell’art. 1455 cod. civ. e dell’art.5 della legge n. 392 del 1978, osserva che “agli atti manca una messa in mora del conduttore che intimava per iscritto di pagare il canone per un ritardo di 20 gg di un canone” (p. 11 del ricorso), sicché non si sarebbe integrato il presupposto della non scarsa importanza dell’inadempimento previsto dalla disposizione speciale; criterio di predeterminazione legale del rilievo dell’inadempimento, ai fini della risoluzione, che dovrebbe invece essere tenuto in specifica considerazione nella valutazione del giudice del merito.

2. Con il secondo motivo viene denunciata “Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su di un punto decisivo della controversia – art 360 c 1 n 5 c.p.c.”

Sulla premessa che mancherebbe “la prova del mancato pagamento oltre 20 gg., in quanto non vi è una specifica messa in mora del locatore”, il ricorrente deduce che il giudice d’appello non avrebbe motivato in merito alla gravità dell’inadempimento, ma avrebbe introdotto “una valutazione dell’inadempimento non prevista ed in contrasto al dettato legale”, considerando “erroneamente, il ritardo minimo, di alcuni giorni, del pagamento del canone come motivo di valutazione di inadempimento” (p.14 del ricorso).

In tal modo, la Corte territoriale avrebbe altresì omesso l’esame dei documenti depositati in giudizio – così pervenendo “ad una insufficiente e contraddittoria motivazione su di un punto decisivo della controversia” – atteso che “l’unico ritardo documentato” sarebbe “quello del 05 01 2016 prodotto da controparte come unico caso di ritardo documentato” (p.15-16 del ricorso).

3. Con il terzo motivo viene denunciata “Illogicità della motivazione e contraddittorietà della motivazione c.p.c. 360 c. 1 n 4.”.

Il ricorrente deduce la contraddittorietà della sentenza impugnata nella parte in cui, per un verso, ha ritenuto di non poterlo condannare al pagamento dei canoni insoluti (vertendosi in ipotesi di domanda nuova), mentre, per altro verso, ha tenuto conto della circostanza del mancato pagamento di tali canoni ai fini del giudizio di gravità dell’inadempimento.

3.1. Gli illustrati motivi – da esaminare congiuntamente per ragioni di connessione – sono inammissibili.

3.1.a. La Corte territoriale ha formulato il giudizio di gravità dell’inadempimento alla stregua, oltre che delle allegazioni contenute nell’atto introduttivo del giudizio, anche di quelle contenute nella memoria integrativa depositata all’esito del mutamento di rito.

Ciò, in applicazione di due canoni di giudizio in iure: per un verso, ha ritenuto che, a seguito del mutamento del rito da ordinario a speciale, il thema decidendum risultasse cristallizzato solo all’esito del deposito delle memorie integrative di cui all’art. 426 cod. proc. civ., così riconoscendo all’attrice, in occasione di tale incombente, non solo il potere di emendare le sue domande, ma anche quello modificarle; per altro verso, ha reputato rilevante, ai fini dell’accoglimento della domanda di risoluzione, l’aggravamento dell’inadempimento, originariamente non grave, verificatosi in corso di causa.

Mentre quest’ultimo canone di giudizio in iure risponde ad un principio pienamente conforme ai principi statuiti da questa Corte (cfr. Cass. 26/10/2012, n. 18500), il primo è stato affermato – e reiteratamente ribadito – con specifico riferimento al procedimento per convalida di sfratto, sul rilievo che l’opposizione dell’intimato ai sensi dell’art. 665 cod. proc. civ., determina la conclusione di un procedimento a carattere sommario e l’instaurazione di uno, nuovo ed autonomo, a cognizione piena, sicché è consentito al locatore, con la memoria ex art. 426 cod. proc. civ., di modificare le sue domande, soprattutto se in dipendenza dalle difese svolte da controparte (Cass. 23/03/2017, n. 7430; Cass. 19/02/2019, n. 4771; Cass.23/06/2021, n. 17955; Cass. 28/02/2023, n. 5955; Cass.26/05/2023, n. 14779).

Nella fattispecie, non vi è stato il passaggio da un procedimento sommario ad uno a cognizione piena ma la statuizione della Corte territoriale volta ad estendere l’applicazione del principio ad una fattispecie di mero passaggio dal rito ordinario al rito speciale nell’ambito di un giudizio a cognizione piena non è stata, sotto tale profilo, censurata dal ricorrente per cassazione.

3.1.b. Poste, dunque, a fondamento del proprio apprezzamento le allegazioni integrative contenute nella memoria depositata dalla locatrice-appellante all’esito del mutamento di rito, il giudice del merito ha formulato il giudizio ad esso riservato sulla gravità dell’inadempimento del conduttore-appellato, ritenendo peraltro integrati i presupposti stabiliti dall’art.5 della legge n. 392 del 1978, avuto riguardo, per un verso, al mancato pagamento di due canoni locativi e, per l’altro, all’omesso versamento degli oneri condominiali, precisando, sotto tale peculiare aspetto, che la somma specificamente indicata nella detta memoria (Euro 775,50), pur non raggiungendo, isolatamente considerata, la soglia delle due mensilità del canone, come previsto dalla predetta disposizione, tuttavia concorreva con le altre circostanze a determinare la suddetta gravità.

Al cospetto di tale statuizione, i rilievi formulati dal ricorrente con gli illustrati motivi di ricorso, ad onta della formale intestazione di questi ultimi, attengono nella sostanza a profili di fatto e tendono a suscitare da questa Corte un apprezzamento di merito alternativo a quello motivatamente compiuto dalla Corte d’appello e ad essa insindacabilmente riservato.

3.1.c. È appena il caso di aggiungere, con specifico riguardo al secondo e al terzo motivo, che i dedotti di vizi di omesso esame e di insufficienza, illogicità e contraddittorietà motivazionale, non sussistono neppure in astratto, alla stregua delle doglianze formulate in ricorso, le quali, anche per tale specifica ragione, si palesano inammissibili.

Ben vero, in seguito alla riformulazione del numero 5 dell’art.360 cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito in legge 7 agosto 2012, n. 134 (applicabile alle sentenze pubblicate dopo l’11 settembre 2012 e dunque anche alla pronuncia impugnata con il ricorso in esame, depositata il 5 giugno 2020), per un verso, il sindacato di legittimità sulla motivazione è stato ridotto al minimo costituzionale, sicché è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, la quale si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass., Sez. Un., 07/04/2014, nn. 8053 e 8054, Rr.Vv. 629830 e 629833 e succ. conformi); per altro verso, il “fatto” di cui può denunciarsi con ricorso per cassazione l’omesso esame, ai sensi della norma appena citata, deve essere un fatto storico vero e proprio avente carattere di fatto principale, ex art. 2697 cod. civ. (ovverosia, un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo del diritto azionato) o di fatto secondario (cioè un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale) e deve altresì possedere i due necessari caratteri dell’essere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia) e dell’aver formato oggetto di controversia tra le parti (Cass., Sez. Un., 07/04/2014, n. 8053, cit.; Cass. 08/09/2016, n. 17761; Cass. 29/10/2018, n. 27415).

Pertanto, non costituisce omissione censurabile, ai sensi della norma richiamata, l’omesso esame di elementi istruttori (nella specie, asseritamente, i documenti depositati dalla Ma.Sa. che avrebbero attestato un unico ritardo nei pagamenti) qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.

Nessuna contraddizione sussiste, poi, tra il giudizio di gravità dell’inadempimento (posto a fondamento della declaratoria di risoluzione del contratto) e l’esclusione della condanna al pagamento dei canoni non versati: tale statuizione è, infatti, perfettamente coerente con il presupposto di partenza delle argomentazioni del giudice del merito, il quale ha fatto applicazione – senza che ciò fosse censurato – del principio che impone (solo ai fini del predetto giudizio, non anche in funzione della formulazione di nuove domande) di tenere conto dell’aggravamento dell’inadempienza verificatosi in corso di causa.

4. Con il quarto motivo viene denunciata “Violazione di legge 360 n 5 per violazione dell’art 342 c 1 c.p.c. per mancata specificità dei motivi di appello. Nullità della sentenza, pronuncia oltre al domandato 360 c 1 n 4, violazione art 112 c.p.c.”.

Il ricorrente deduce che la controparte, nell’atto d’appello, diversamente da quanto aveva fatto in primo grado, non aveva indicato le fonti di prova del ritardo nei pagamenti; sostiene, inoltre, che tale allegazione era inammissibile, tanto che lo stesso giudice d’appello aveva ritenuto nuova la domanda di pagamento dei canoni non versati; conclude che, in ragione di ciò, l’impugnazione avrebbe dovuto essere dichiarata inammissibile per difetto di specificità.

4.1. Il quarto motivo, a differenza dei precedenti, è ammissibile, atteso che questa corte ha chiarito che il difetto di specificità dei motivi di appello ai sensi dell’art. 342 cod. proc. civ., non rilevato d’ufficio dal giudice del gravame, può essere proposto come motivo di ricorso per cassazione dalla parte appellata, ancorché essa non abbia sollevato la relativa eccezione nel giudizio di appello, poiché si tratta di questione che, afferendo alla stessa ammissibilità dell’impugnazione e, quindi, alla formazione del giudicato, è rilevabile anche d’ufficio dalla Corte di cassazione (Cass. 20/08/2013, n. 19222; tra le successive, v. Cass. 10/03/2016, n. 4706).

4.2. Esso motivo, peraltro, è infondato.

Avuto riguardo al contenuto dell’atto di appello, che questa Corte è legittimata ad esaminare quale giudice del “fatto processuale”, deve infatti ritenersi che l’impugnazione di Ma.Sa. soddisfaceva i requisiti di specificità richiesti dall’art.342 cod. proc. civ. (sui quali v., recentemente, Cass., Sez. Un., 13/12/2022, n. 36481; in precedenza, Cass., Sez. Un., 16/11/2017, n. 27199; Cass. 30/05/2018, n. 13535), contenendo sia la chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, sia una sufficiente parte argomentativa, affiancata alla parte volitiva, diretta a confutare le ragioni addotte dal primo giudice.

In particolare, l’appellante aveva chiaramente e specificamente lamentato l’ingiustizia della statuizione di rigetto della propria domanda di risoluzione del contratto di locazione, emessa dal giudice di primo grado, per non avere tenuto conto, ai fini del giudizio di gravità dell’inadempimento ex artt. 1455 cod. civ. e 5 legge n. 392 del 1978, del mancato pagamento, da parte del conduttore, di ben due mensilità del canone locatizio, per complessivi Euro 900,00, oltre che del mancato versamento degli oneri condominiali erroneamente computati dal Tribunale in Euro 295,00, anziché in Euro 1.253,50, importo superiore a due mensilità di canone (pp.4 e 5 dell’atto di appello).

In conclusione, il ricorso proposto da An.Lo. va rigettato, per essere inammissibili i primi tre motivi e infondato il quarto.

5. Non vi è luogo a provvedere sulle spese del giudizio di legittimità, stante l’indefensio dell’intimata.

6. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis del citato art. 13, ove dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Terza Sezione Civile, in data 15 dicembre 2023.

Allegati

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