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Cassazione civile sez. III, 15/02/2024, n. 4185

Massima

La decisione impugnata, nel qualificare i fatti sollevati dall’assicurazione nelle note conclusive come mere difese, e non già come eccezioni in senso stretto, si rivela corretta, giacché essi non incidono meramente sul possibile aggravamento del danno patito, ma sulla sua stessa causazione, concorrendo al suo verificarsi: viene qui in rilievo, in altre parole, l’art. 1227, comma 1, c.c., e non già il comma 2 della stessa disposizione. Nessun dubbio può porsi, dunque, circa il fatto che le suddette circostanze potessero essere apprezzate anche d’ufficio, avendo il giudice del merito argomentato che il rilievo, da parte della Compagnia convenuta, dello stato di ebbrezza e il mancato utilizzo delle cinture di sicurezza sono conseguenti alla produzione della documentazione medica effettuata da parte attrice mediante la cartella clinica, sicché non è possibile ritenere tardive tali difese essendo state svolte immediatamente dopo la produzione documentale dell’attore.

NDR: in argomento, quanto alla prima parte della massima Cass. 7777/2014 e, quanto all’ultima parte, Cass. 9241/2016.

Supporto alla lettura

Ambito oggettivo di applicazione

…omissis…

Fatti di causa

XX convenne in giudizio la — Spa, quale Impresa designata per il Fondo di Garanzia per le Vittime della Strada, nonché il Fondo Garanzia per le Vittime della Strada presso il Consap, chiedendo il risarcimento dei danni conseguenti al sinistro stradale da lui subito alla guida della propria autovettura in Bologna, in data 2.8.1999, essendo stato investito da una vettura non identificata condotta da persona ignota. Il Tribunale di Bologna, con sentenza del 13.9.2017, ritenendo inattendibili e insufficienti le prove fornite dall’attore, rigettò la domanda. Il XX propose appello, che la Corte d’appello di Bologna dichiarò inammissibile con sentenza del 16.3.2015, che venne cassata dalla S.C. con sentenza n. 27481 del 30.10.2018, in accoglimento del ricorso proposto da YY, madre ed unica erede del XX, frattanto deceduto. Riassunto il giudizio, la Corte felsinea rigettò l’appello con sentenza del 13.7.2020. Avverso detta sentenza ricorre per cassazione YY con ricorso affidato a tre motivi, cui resiste con controricorso la — Spa, che ha pure depositato memoria.

Ragioni della decisione

1.1 – Con il primo motivo si denuncia violazione degli artt. 101, 112, 113, 115, 116, 132, 166, 167, 183, 184, 281-sex/es, 345 c.p.c., nonché dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3 e 4, c.p.c., nella parte in cui il giudice d’appello ha ammesso prove e documenti “tardivi” e ha affermato che “anche fuori termine” una parte potrebbe integrare e completare la documentazione prodotta dalla controparte. Il ricorrente sostiene che una volta maturata la preclusione il giudice non possa ammettere nuove prove. Pertanto, la Corte territoriale avrebbe violato il diritto di difesa e il contraddittorio, emettendo una decisione errata per non aver tenuto conto delle preclusioni istruttorie maturate.

1.2 – Con il secondo motivo si lamenta violazione degli artt. 112, 113, 115, 116, 132 c.p.c., degli artt. 2054 comma 2, 2697, 2700, 2727, 2729 c.c., dell’art. 111, comma 6, Cost., in relazione all’art. 360, comma 1 nn. 3 e 4 c.p.c., per avere il giudice d’appello ritenuto inattendibile un teste (Fa.), nonostante l’assenza di qualunque prova di segno contraria al contenuto della deposizione testimoniale; nonché per avere ricostruito il fatto in maniera difforme da quanto indicato nel verbale della Polizia Municipale.

1.3 – Con il terzo motivo, infine, si lamenta la violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3 e 4, c.p.c., per aver la Corte territoriale condannato essa ricorrente anche al pagamento delle spese di lite del precedente giudizio innanzi alla Corte di cassazione (in cui era rimasta vittoriosa, non già soccombente).

2.1 – I primi due motivi possono esaminarsi congiuntamente, stante l’intrinseca connessione delle questioni sottese. Essi non possono trovare accoglimento, benché – in relazione ad alcuni profili che si illustreranno infra – la motivazione della sentenza impugnata debba essere corretta, ex art. 384, ult. comma, c.p.c. In buona sostanza, con le suddette censure la YY sostiene che la decisione d’appello sia stata decisivamente influenzata dalla non consentita attività processuale della Compagnia, che ha dapprima prodotto documenti (copia integrale del rapporto del sinistro, prodotto solo in parte dall’attore e privo sia delle contestazioni mosse al XX nell’immediatezza del sinistro per violazioni del c.d.s. – guida in stato di ebbrezza e senza l’uso di cinture di sicurezza -, sia del rilievo fotografico) oltre il termine di preclusione istruttoria, ed ha pure introdotto nuove eccezioni e deduzioni oltre i termini di preclusione assertiva. Ciò ha pure consentito ai giudici di merito di considerare inattendibile la genuina deposizione testimoniale del teste omissis.

Ora – pur prescindendo da possibili profili di inammissibilità per violazione dell’art. 366, comma 1, n. 3, c.p.c., giacché la ricorrente non indica, in ricorso, il tenore della decisione che sulla produzione avrebbe assunto il primo giudice, né come una tale decisione sia stata censurata con l’appello – deve comunque decisivamente rilevarsi che la stessa ricorrente assume che la produzione avversaria fu effettuata anche in appello. Pertanto, posto che la produzione in argomento mirò a completare la produzione del verbale della Polizia Municipale, versata in atti dal XX in modo incompleto (evidentemente, pro domo sua), l’attività processuale dell’appellata ben può ritenersi giustificata sulla base della nozione di indispensabilità presente nel testo dell’art. 345, comma 3, c.p.c., applicabile ratione temporis, secondo quanto a suo tempo condivisibilmente affermato da Cass., Sez. Un., n. 8203/2005. In questo senso, va dunque corretta e/o integrata la motivazione della sentenza impugnata, perché da detta completa produzione documentale non avrebbe potuto prescindersi, ai fini della decisione.

2.2 – In ogni caso, si deve considerare che la stessa Corte felsinea (p. 8), nello scrutinare il secondo motivo di appello, pur avendo ritenuto che correttamente il primo giudice avesse ammesso la produzione avversaria del verbale integrale, ha pure affermato che “come correttamente sostenuto dal Tribunale, la responsabilità del XX in relazione alla causazione del sinistro pare risultare in modo pacifico dalla documentazione prodotta da parte attrice”. Ciò in quanto il rilievo dello stato di ebbrezza del XX e il suo mancato utilizzo delle cinture di sicurezza, da parte della Compagnia convenuta, “sono conseguenti alla produzione della documentazione medica effettuata da parte attrice mediante la cartella clinica”, sicché “non è possibile nemmeno ritenere tardive tali difese, essendo state svolte immediatamente dopo la produzione documentale dell’attore”. Da tale percorso motivazionale, emerge pertanto che la Corte d’appello ha condiviso la decisione del Tribunale anche in forza di argomenti che prescindono dalla produzione della parte convenuta e che sono senz’altro basati sul corredo istruttorio (cartella clinica) sulla cui utilizzabilità non v’è contestazione alcuna, trattandosi di documento indiscutibilmente prodotto dallo stesso originario attore. Non senza dire che la decisione impugnata, nel qualificare i suddetti fatti (sollevati dalla Compagnia convenuta nelle note conclusive all’udienza del 13.9.2007) come mere difese, e non già come eccezioni in senso stretto, si rivela corretta, al lume della giurisprudenza di questa Corte (si veda, in particolare, tra le altre, Cass. n. 7777/2014), giacché essi non incidono meramente sul possibile aggravamento del danno patito dal XX (e oggi rivendicato dalla sua erede), ma sulla sua stessa causazione, concorrendo al suo verificarsi: viene qui in rilievo, in altre parole, l’art. 1227, comma 1, c.c., e non già il comma 2 della stessa disposizione. Nessun dubbio può porsi, dunque, circa il fatto che le suddette circostanze potessero essere apprezzate anche d’ufficio (v. Cass. n. 9241/2016).

Pertanto, anche a non considerare – per mera ipotesi – consentita (quantomeno in appello) la produzione documentale effettuata dalla Compagnia, il primo motivo di ricorso sarebbe comunque inidoneo a giustificare la cassazione, giacché la Corte ha condiviso la decisione del Tribunale in forza della stessa produzione attorea.

2.3.1 – Per quanto concerne più specificamente il secondo motivo di ricorso, ribadito quanto precede (e, dunque, l’utilizzabilità degli stessi documenti in questione, ai fini della decisione), può anzitutto osservarsi che la ricorrente neppure spiega le ragioni per cui sarebbero stati violati gli artt. 112 e 113 c.p.c., così incorrendo nella relativa inammissibilità della censura (sul tema, si veda ex multis Cass. n. 640/2019).

Erroneamente si sostiene, poi, che la Corte territoriale avrebbe considerato quale prova legale le dichiarazioni rese da tale Sa. alla Polizia Municipale, evidente essendo – al contrario – che la Corte stessa s’è limitata ad utilizzare dette deposizioni per raffrontarle con quelle rese dall’unico teste escusso in giudizio, onde sondarne l’attendibilità: ciò che costituisce la stessa essenza della valutazione del corredo istruttorio, riservata al giudice del merito ed insindacabile in questa sede di legittimità, se non sotto il profilo della violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., ovvero sotto il profilo motivazionale.

2.3.2 – La YY, per vero, ha pure invocato entrambi i profili suddetti, ma senza cogliere nel segno.

Quanto alla prima questione (escluso il profilo dell’inutilizzabilità delle prove, ut supra), la relativa censura è stata avanzata al di fuori dei criteri indicati sin da Cass. n. 11892/2016 e ribaditi, in motivazione, da Cass., Sez. Un., n. 16598/2016, ed anche da Cass., Sez. Un., n. 20867/2020. Essa si rivela, dunque, inammissibile. Riguardo al profilo motivazionale, invece, la ricorrente non coglie la ratio decidendi dell’impugnata sentenza: posto che – come dalla stessa YY sostenuto – il preteso deficit sarebbe da individuare in quanto affermato a p. 8 della sentenza, laddove si afferma che non vi è alcuna traccia materiale del coinvolgimento di altro sinistro (oltre a quello del (XX), è evidente che si pretende di far assurgere a mera apparenza della motivazione ciò che invece costituisce il frutto dell’attività svolta dal giudice di merito nel formare il suo libero convincimento, mediante apprezzamento delle risultanze istruttorie, ex art. 116 c.p.c. In altre parole, ciò che secondo la ricorrente costituisce indice del vizio motivazionale (ossia, la assoluta mancanza di valorizzazione della deposizione del teste Fa.), rappresenta invece il risultato della ritenuta inattendibilità del teste, ed attiene dunque al procedimento valutativo del giudice del merito nel giungere alla formulazione della propria decisione, correttamente rappresentato e certamente rispondente al minimo costituzionale ex art. 111, comma 6, Cost. (v. Cass., Sez. Un., nn. 8053 e 8054/2014).

2.3.3 – Ancora, sempre con specifico riguardo al secondo motivo, deve rilevarsi che l’evocazione degli artt. 2727 e 2729 c.c., che pure si assumono violati, non rispetta i criteri indicati, in motivazione, da Cass., Sez. Un., n. 1785/2018, in particolare paragrafi 4 ss.

2.4 – I primi due motivi sono dunque complessivamente rigettati.

3.1 – Infondato, infine, è il terzo motivo, giacché la soccombenza è determinata dall’esito finale della lite: “In tema di spese processuali, il giudice del rinvio, cui la causa sia stata rimessa anche per provvedere sulle spese del giudizio di legittimità, si deve attenere al principio della soccombenza applicato all’esito globale del processo, piuttosto che ai diversi gradi del giudizio ed al loro risultato, sicché non deve liquidare le spese con riferimento a ciascuna fase del giudizio, ma, in relazione all’esito finale della lite, può legittimamente pervenire ad un provvedimento di compensazione delle spese, totale o parziale, ovvero, addirittura, condannare la parte vittoriosa nel giudizio di cassazione – e, tuttavia, complessivamente soccombente – al rimborso delle stesse in favore della controparte” (Cass., Sez. Un., n. 32026/2022).

4.1 – In definitiva, il ricorso è rigettato.

Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza della ricorrente. In relazione alla data di proposizione del ricorso (successiva al 30 gennaio 2013), può darsi atto dell’applicabilità dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. 30 maggio 2002, n.115 (nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese di lite, che liquida in € 8.000,00 per compensi, oltre € 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario spese generali in misura del 15%, oltre accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n.115, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.

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