Massima

Nei casi in cui una rilevante percentuale di invalidità permanente (nella specie, pari al 48% quale macrolesione) renda altamente probabile, se non addirittura certa, la menomazione della capacità lavorativa specifica, il giudice può procedere all’accertamento presuntivo della predetta perdita patrimoniale, liquidando questa specifica voce di danno con criteri equitativi. Tale accertamento, seppur non automatico e richiedente allegazione e prova (anche presuntiva) da parte del danneggiato, impone al giudice di fornire una motivazione logica e coerente a giustificazione dell’eventuale diniego del danno patrimoniale da perdita della capacità lavorativa specifica.

Supporto alla lettura

INVALIDITA’ CIVILE

La persona affetta da una minorazione di tipo fisico, psichico o sensoriale, con una riduzione per­manente della capacità lavorativa – che viene espressa in percentuale – di almeno 1/3 (33%), e il minorenne con difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni della propria età possono ottenere il riconoscimento dell’invalidità civile (si considerano invalidi anche gli ultra65enni che hanno difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni della propria età).

L’invalidità civile non riguarda gli invalidi per cause di lavoro, di guerra e di servizio, i ciechi e i sordi, che godono di benefici diversi, e non è legato a requisiti contributivi specifici, che sono invece necessari per ottenere la pensione di inabilità da lavoro o l’assegno ordinario di invalidità.

In base alla percentuale di invalidità civile riconosciuta o accertata dall’Inps, vengono riconosciuti differenti benefici:

  • prestazioni protesiche e ortopediche;
  • iscrizione nelle liste speciali per il collocamento mirato;
  • esenzione dal ticket;
  • assegno mensile;
  • pensione di inabilità;
  • indennità di accompagnamento;
  • indennità di frequenza;
  • assegno sociale.

Ambito oggettivo di applicazione

Svolgimento del processo

1. A.A. conveniva dinanzi al Tribunale di Pavia B.B., C.C., H.H.Srl e F.LLI AZZOLA Srl, perché fossero solidalmente condannati a risarcirgli di tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali subiti a causa delle lesioni personali colpose, aggravate dalla violazione della normativa a tutela della sicurezza sul lavoro, di cui erano stati riconosciuti responsabili, ciascuno per la posizione e/o titolo e/o quanta, nel processo concluso con sentenza della Corte d’Appello di Milano n. 3950/2018 del 4 giugno 2018, passata in giudicato. Adduceva che in data 30 marzo 2009 era rimasto vittima di un sinistro mentre si trovava in un cantiere edile per consegnare, su incarico di Euro Costruzioni Srl, il braccio di sollevamento di una gru, che i dipendenti di Azzola Srl dovevano lo stesso giorno montare: nella manovra di avvicinamento all’autogru del semirimorchio di Azzola Srl, ne rimaneva schiacciato, non essendo stata vista la sua presenza.

Si costituivano F.lli Azzola Srl e C.C., in proprio, e H.H.Srl, ottenendo di chiamare in causa le proprie compagnie assicurative per la responsabilità civile, rispettivamente Generali Italia Spa e Zurich Insurance Company ltd, ai fini di manleva. H.H.Srl chiedeva, in via subordinata, la condanna del suo ex amministratore B.B. a manlevarla in caso di soccombenza all’esito del giudizio. Il Tribunale di Pavia, espletata una CTU medico-legale, con la sentenza n. 1651/2022 del 29 dicembre 2022, escluso ogni concorso colposo del danneggiato ex art. 1227 c.c., accoglieva parzialmente la domanda risarcitoria, condannando in solido B.B., D.D., E.E., F.F.e G.G., in qualità di eredi di C.C., nonchè F.lli Azzola Srl e H.H.Srla risarcire A.A.in parte per il danno patrimoniale (escludendo quello da perdita della capacità lavorativa specifica) ed integralmente per quello non patrimoniale, dedotte le somme già versate in acconto, per l’importo di ulteriori Euro 125.703,93, oltre accessori; accoglieva altresì la domanda di surroga proposta da INAIL nei confronti dei responsabili, accoglieva la domanda di garanzia proposta da F.lli Azzola Srl nei confronti di Generali Italia Spa e respingeva quella proposta da H.H.nei confronti di Zurich Insurance pldper l’inoperatività della copertura assicurativa, regolando le spese secondo la soccombenza.

2. A.A. ha proponeva appello; rimasti contumaci B.B., H.H.Srle Inail; si costituivano resistendo le altre parti, chiedendo il rigetto dell’appello.

La Corte d’Appello di Milano, con la sentenza qui impugnata, rigettava il gravame.

3. A.A. ha proposto ricorso, sorretto da un unico motivo; hanno resistito D.D., E.E., F.F.e G.G. nonché F.lli Azzola Srl e Generali Italia Spa con rispettivi controricorsi; sebbene intimati B.B., H.H.Srl, Zurich Insurance plc e INAIL, non hanno ritenuto di svolgere difese nel presente giudizio di legittimità.

4. Sul ricorso in data 7.10.2024 è stata formulato una sintetica proposta di definizione del giudizio ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., nel testo novellato dal D.Lgs. n. 149/2022, ravvisandone l’inammissibilità del ricorso; di essa veniva data comunicazione alle parti in data 8.10.2024. Il ricorrente ha formulato istanza di richiesta di decisione depositata in data 15.11.2024, corredata di nuova procura.

La trattazione del ricorso è stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380-bis 1 c.p.c.; ricorrente e controricorrenti hanno depositato rispettive memorie.

Motivi della decisione

1. L’unico motivo denuncia la “Violazione di legge artt. 2043 –2087 c.c. – sussistenza del danno patrimoniale da perdita della capacità lavorativa specifica – mancata valutazione delle prove dedotte nel giudizio di primo grado -contraddittorietà e illogicità della motivazione – omessa motivazione”.

1.1 Nello specifico, il ricorrente contesta, in primo luogo, che con la decisione impugnata la Corte d’Appello abbia, da un lato, reso una carente e contraddittoria motivazione e, dall’altro, abbia omesso di valutare i motivi dell’atto ai appello; al riguardo, richiama il principio, più volte espresso dalla giurisprudenza di legittimità, per cui il diritto al risarcimento del danno patrimoniale da lucro cessante non può farsi discendere in modo automatico dall’accertamento dell’invalidità permanente, poiché esso sussiste solo se tale invalidità abbia prodotto una riduzione della capacità lavorativa specifica; a tal fine, il danneggiato è tenuto a dimostrare, anche tramite presunzioni, di svolgere un’attività produttiva di reddito e di non aver mantenuto, dopo l’infortunio, soltanto una capacità generica di attendere ad altri lavori confacenti alle sue attitudini personali (Cass. 2758/2015). Elenca, poi, i documenti e le deposizioni testimoniali che la Corte d’Appello non avrebbe preso in considerazione in ordine alla incapacità lavorativa specifica assoluta e denuncia che la stessa massima del precedente di legittimità richiamato dalla Corte d’Appello contraddirebbe quanto sostenuto nella sentenza impugnata, e cioè che il grave danno patito dal ricorrente non sarebbe sufficiente, quale automatismo, per fondare l’accertamento del danno patrimoniale (cfr. Cass. 26641/2023). Invero, la contraddittorietà della motivazione risulterebbe dal fatto che, da un lato, la Corte d’Appello ritiene non contestato il danno pari ad una percentuale di invalidità del 48%, e poi, dall’altro, richiede non applicabile la prova presuntiva, con conseguente manifesta contraddittorietà -contestando altresì quanto affermato in proposito a pag. 12 della sentenza impugnata -.

Il ricorrente richiama, in particolare, la giurisprudenza di questa Suprema Corte, la quale insegna che la prova presuntiva è sufficiente, in caso di gravi lesioni, nel momento in cui queste travolgono grandemente la capacità lavorativa generica (cfr. Cass. 26641/2023, cit.) e censura inoltre per manifesta contraddittorietà la motivazione della sentenza, che traviserebbe le conclusioni della CTU; in particolare, come criticato in appello, la consulenza aveva ritenuto che il ricorrente avesse ‘perduto’ “(la)..componente lavorativa di guida dei veicoli” e, nelle integrazioni, la medesima consulenza aveva altresì confermato: “La situazione anatomica e funzionale dell’arto inferiore destro, così come documentata all’atto delle operazioni di CTU, rende ragione di un sicuro maggior aggravio, disagio, usura nel regolare e proficuo svolgimento dell’attività di autista, molto rilevante per la prosecuzione della specifica attività svolta, meno rilevante se si trattasse di un “ricollocamento” come autista di mezzi leggeri senza mansioni di carico e scarico”; poi, sulle prospettive future: “In base al curriculum di studio (licenza media inferiore) e formativo lavorativo (autista dall’età di 20 anni) la proiezione lavorativa è quella bracciantile-operaistica fermo restando la preclusione di attività che comportino un prolungato mantenimento di posture coatte, e/o particolari sollecitazioni funzionali degli arti inferiori” (pag. 25 della CTU; e cfr. pag. 20 in ricorso).

Conclude il ricorrente evidenziando, a differenza di quanto reputato nella decisione impugnata (ove si è ritenuto che egli non avesse contrapposto “una propria diversa opinione” rispetto alle conclusioni della consulenza), di aver criticato le risultanze della medesima nell’atto di impugnazione d’appello e di averne rimarcato la contraddittorietà, in quanto la CTU, pur avendo evidenziato “una minorata capacità lavorativa residua ed una totale incapacità lavorativa specifica (parte attrice non potrà svolgere l’attività di autista di mezzi pesanti)”, riconosce la totalità delle spese mediche e che l’arto menomato è maleodorante, putrescente e necessita di cure quotidiane, nonostante che sarebbe plausibile che il danneggiato svolga un’attività lavorativa, senza movimento, solo con gli arti superiori, con necessità di alternato riposo (cfr. in ricorso pag. 21).

1.2 In secondo luogo, il ricorrente contesta la decisione impugnata laddove la Corte d’Appello ha ritenuto che egli avrebbe dovuto provare il suo specifico apporto causale nell’impresa individuale, richiedendo una prova impossibile e con disparità di trattamento; sostiene di aver documentato i propri redditi d’impresa e le circostanze che hanno determinato la contrazione dell’attività lavorativa (attraverso testimoni) ed anche la circostanza che ha causato incremento dell’esposizione debitoria (azioni esecutive o richieste di fallimento), riconducendo il tutto alle conseguenze del sinistro; aggiunge che l’imprenditore che svolge l’attività con un apporto personale non è di certo in grado di quantificare e determinare l’effetto causale della propria mancata attività, se non attraverso la gravità del proprio infortunio, in relazione alle prove sopra indicate.

Quanto allegato e dedotto corrisponderebbe alle indicazioni della giurisprudenza di legittimità sotto il profilo del “giudizio prognostico presuntivo”, nel momento in cui tale circostanza si fonda dall’insieme della quantificazione del danno e di quanto accaduto dopo il sinistro (si richiama in proposito Cass. ord. n. 19922/2023).

1.3 Infine, circa la diminuzione del reddito dell’attività d’impresa di parte attrice, l’odierno ricorrente contesta ancora la carenza di motivazione della pronuncia impugnata a proposito delle risultanze delle prove testimoniali, che sul punto avrebbe ritenuto non rilevante “la deposizione del teste I.I…. nel riportare le preoccupazioni al medesimo manifestate dal sig. J.J.per il futuro dell’azienda, per aver dovuto assumere autisti e sostituire un camion, trattandosi, all’evidenza, di generiche considerazioni, provenienti dallo stesso danneggiato, dalle quali non è possibile alcun elemento di prova, neppure presuntiva”. Invero, i testimoni escussi avrebbero riferito chiaramente che la causa della crisi d’impresa sarebbe stata determinata dalla mancata presenza del J.J.(si riporta integralmente la deposizione del teste nelle pagg. 22 e 23 del ricorso); Sostiene quindi il ricorrente di aver provato, sul piano istruttorio, sia l’incapacità lavorativa specifica, che la diminuzione della capacità lavorativa generica, oltre alla diminuzione del reddito (istanze di fallimento, pignoramenti personali: docc. 15, 16 e 17), a conferma della crisi economica dell’impresa non antecedente, bensì successiva al sinistro; di fatto, l’attività economica del J.J., essendo titolare di impresa individuale, sarebbe stata mantenuta e trainata dall’apporto personale del medesimo, la cui assenza ne avrebbe determinato la fine. Tale situazione l’avrebbe indotto a cedere la propria attività nel 2013, non potendovi più farvi fronte.

Si contesta, da ultimo, come del tutto omessa, la considerazione dei numerosi arresti della Suprema Corte, in punto accertamento del danno patrimoniale da incapacità lavorativa (tra quelli citati, Cass. n. 15737/2018).

2. La proposta di definizione del giudizio ha ravvisato e motivato i presupposti per la definizione anticipata del giudizio come segue: “Il ricorso è in parte inammissibile e in parte manifestamente infondato. Il ricorso è inammissibile nella parte in cui, nonostante la formale denuncia di plurimi vizi di violazione di legge, si risolve in una sostanziale proposta di rilettura nel merito dei fatti di causa, secondo una prospettiva critica non consentita in sede di legittimità, non potendo ritenersi neppure soddisfatti i requisiti minimi previsti dall’art. 360 n. 5 c.p.c. ai fini del controllo della legittimità della motivazione nella prospettiva dell’omesso esame di fatti decisivi controversi tra le parti. È manifestamente infondato nella parte in cui censura il vizio di motivazione omessa o apparente. Sul punto, è appena il caso di rilevare come la motivazione dettata dal giudice a quo a fondamento della decisione impugnata sia, non solo esistente, bensì anche articolata in modo tale da permettere di ricostruirne e comprenderne agevolmente il percorso logico, avendo la Corte d’Appello dato conto, in termini lineari e logicamente coerenti, dei contenuti ascrivibili alle fonti di prova esaminate e del grado della relativa attendibilità sulla base di criteri interpretativi e valutativi dotati di piena ragionevolezza e congruità logica. L’iter argomentativo compendiato dal giudice a quo sulla base di tali premesse è pertanto valso a integrare gli estremi di un discorso giustificativo logicamente lineare e comprensibile, elaborato nel pieno rispetto dei canoni di correttezza giuridica e di congruità logica, come tale del tutto idoneo a sottrarsi alle censure in questa sede illustrate dal ricorrente.”.

Non può non rilevarsi fin d’ora che la motivazione della proposta non offre nulla di specifico sulla sentenza impugnata e sul ricorso disatteso, arrestandosi sul piano di argomentazioni generiche. 5. L’unico articolato motivo di ricorso, con cui il ricorrente lamenta, tra l’altro, la contraddittorietà e illogicità della motivazione resa dalla Corte d’Appello ambrosiana con la decisione impugnata, è in realtà fondato alla luce delle seguenti considerazioni. 5.1 Invero, dalla lettura della motivazione della sentenza impugnata non si evincono le ragioni del convincimento raggiunto dalla Corte d’Appello lombarda, la quale, da un lato, ha riconosciuto al ricorrente una consistente percentuale di macroinvalidità, cioè il 48% e tuttavia, dall’altro, ha negato in toto la sussistenza del danno patrimoniale da perdita della capacità lavorativa specifica, non operando né l’attuabile adeguato ragionamento presuntivo né una conseguente liquidazione equitativa.

Osserva il Collegio come questa Corte abbia da tempo affermato il principio – cui convintamente s’intende garantire continuità -secondo cui, nei casi in cui una rilevante percentuale di invalidità permanente rende altamente probabile, se non addirittura certa, la menomazione della capacità lavorativa specifica e il danno che necessariamente da essa consegue, il giudice può procedere all’accertamento presuntivo della predetta perdita patrimoniale, liquidando questa specifica voce di danno con criteri equitativi; la liquidazione di detto danno può avvenire appunto attraverso il ricorso alla prova presuntiva, allorché possa ritenersi ragionevolmente probabile che in futuro la vittima percepirà un reddito inferiore a quello che avrebbe altrimenti conseguito in assenza dell’infortunio (Cass. n. 25634/2013; sulla stessa linea, fra tante, cfr. Cass. n. 20003/2014Cass. n. 15737/2018 -correttamente invocata dal ricorrente -; Cass. ord. n. 19922/2023 – anch’essa da lui citata -; Cass. ord. n. 25910/2023). Parimenti, è stato precisato che per il danno da perdita di capacità lavorativa specifica, non essendo danno in re ipsa, va allegato e provato nell’an e nel quantum (sia pure, appunto, anche a mezzo di presunzioni semplici) dall’attore-danneggiato (cfr. la già citata Cass. n. 26641/2023, Cass. n. 19922/2023, Cass. n.15301/2008 e Cass. n. 3961/1999), e posto in luce che il danno da riduzione della capacità lavorativa specifica va generalmente ricondotto nell’ambito non del danno biologico, bensì del danno patrimoniale (cfr. in particolare Cass. n. 17464/2007 e Cass. n. 1879/2011), e che l’accertamento dell’esistenza di postumi permanenti incidenti sulla capacità lavorativa specifica non comporta l’automatico obbligo di risarcimento del danno patrimoniale da parte del danneggiante, dovendo comunque il soggetto leso dimostrare, in concreto, lo svolgimento di un’attività produttiva di reddito e la diminuzione o il mancato conseguimento di questo a causa del fatto dannoso (v. Cass. n.9444/2010 e Cass. n.17397/2007). 5.2 Nel caso di specie, la Corte d’Appello, nonostante l’accertata sussistenza di un danno biologico nella misura di ben 48%, ha escluso l’esistenza di un danno da perdita della capacità di guadagno, affermando che il ricorrente non avrebbe “efficacemente criticato”, senza confutare “in modo specifico le argomentazioni in base alle quali il CTU ha formulato i suoi giudizi”, la CTU esperita in primo grado e condivisa appunto dal Tribunale, secondo cui “la grave lesione subita dal sig. J.J.non escludeva che il medesimo potesse guidare mezzi leggeri e svolgere altre attività confacenti alle sue attitudini e condizioni personali ed ambientali, con il limite rappresentato dal non poter sottoporre gli arti inferiori ad eccessivi sforzi” (pag. 12-13 della sentenza impugnata).

La Corte d’Appello in proposito ha aggiunto che “anche l’andamento del reddito della impresa conferma, come già ritenuto dal Tribunale, che il sig. J.J., pur non potendo più personalmente guidare mezzi pesanti, abbia proseguito l’attività di impresa, che proprio nel 2010 ha realizzato un reddito (euro 21.205) superiore a quello ottenuto nel 2008 (euro 16.096), anno precedente il sinistro, e negli anni successivi ha avuto un andamento oscillante (euro 9.478 nel 2011, Euro zero del 2012, Euro 14.218,00 nel 2013, Euro 7.941,00 nel 2014). Così come ritenuto dal primo giudice, ciò conferma come il sig. J.J.non abbia perduto la propria capacità lavorativa di imprenditore, continuando a gestire l’impresa, avvalendosi di dipendenti e collaboratori, come riferito dai testi I.I. e K.K.” (pag. 13 della sentenza impugnata); La corte territoriale ha poi ulteriormente rilevato: “Le argomentazioni con le quali il primo giudice ha rilevato l’assenza di allegazione e prova circa l’entità dell’apporto personale fornito all’attività di impresa dal sig. J.J., e quindi la sua incidenza sulla redditività dell’impresa, non sono state oggetto di alcuna critica specifica da parte dell’appellante. Né assume rilevanza la deposizione del teste I.I., che ha riportato le preoccupazioni al medesimo manifestate dal sig. J.J.per il futuro dell’azienda, per aver dovuto assumere autisti e sostituire un camion, trattandosi, (Omissis) evidenza, alle generiche considerazioni, provenienti dallo stesso danneggiato, dalle quali non è possibile alcun elemento di prova, neppure presuntiva”. Il giudice d’appello ha infine concluso che “le gravi lesioni patite dal danneggiato e le ripercussioni che esse hanno sulla vita quotidiana del sig. J.J., già sono state considerate dal Tribunale nel riconoscimento e nella liquidazione del danno non patrimoniale, e dalle stesse non può ricavarsi l’esistenza di quel danno patrimoniale da perdita della capacità lavorativa oggetto della presente impugnazione” (pag. 13 della sentenza impugnata).

5.3 Queste argomentazioni patiscono un forte livello di illogicità e non si rapportano, ictu oculi, con il reale thema decidendum, permanendo quindi anche su un livello di carenza motivazionale. Invero, come già si è visto, l’attuale ricorrente, che esercitava l’attività di conducente di mezzi pesanti, si è trovato a dover portare una stabile lesione anatomica e funzionale dell’arto inferiore destro, che in sostanza gli ha reso impossibile riprenderne l’esercizio, come riconosciuto, nonostante l’inserimento anche di argomenti non particolarmente lineari, in modo chiaro nella consulenza tecnica d’ufficio laddove il consulente afferma (passo già sopra trascritto) “la preclusione di attività che comportino un prolungato mantenimento di posture coatte, e/o particolari sollecitazioni funzionali degli arti inferiori”. E il conducente di un camion, insegna il notorio, fa proprio quello. Non risulta tuttavia che il giudice d’appello abbia fornito alcuna spiegazione del perché questo danno biologico, accertato nella misura del 48% quale macrolesione, non avrebbe minimamente inciso sulla capacità lavorativa specifica, appunto, di conducente di mezzi pesanti del J.J., non essendo d’altronde sostenibile -id est, non essendo sufficientemente logico – identificarla in toto nella vicenda della sua piccola impresa (tra l’altro, venuta meno).

Che poi l’attuale ricorrente non avesse censurato le conclusioni della CTU (adottate poi nelle sentenze di merito) è parimenti insostenibile per illogicità, in quanto l’appello aveva veicolato proprio, in sostanza, la richiesta di non seguire le argomentazioni quanto meno “riduttive” – rispetto a quel che vi si era riconosciuto, ut supra riportato – presenti nella consulenza, che, come già accennato, hanno condotto in effetti a un accertamento contraddittorio.

Anche sotto questo profilo le doglianze del J.J.mostrano consistenza, dovendosi in conclusione pervenire, lungi dalla violazione dell’articolo 360, quarto comma, c.p.c. in quanto si è dinanzi a un vizio motivazionale di complessiva carenza/illogicità, all’accoglimento del ricorso avverso la sentenza in quanto, appunto, priva di una spiegazione reale e logica del diniego assoluto di capacità lavorativa specifica quale fondamento del rigetto della relativa domanda risarcitoria proposta dall’attuale ricorrente.

6. Il ricorso va pertanto accolto e la sentenza impugnata va cassata, con rinvio alla Corte d’Appello di Milano, in diversa sezione e diversa composizione che provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese alla Corte d’Appello di Milano.

Conclusione

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 7 luglio 2025

Depositato in Cancelleria il 14 settembre 2025

Allegati

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