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Cassazione civile sez. III, 13/05/2024, n. 12943

Massima

Il riconoscimento e la concreta liquidazione, in forma monetaria, dei pregiudizi sofferti dalla persona a titolo di danno morale mantengono integralmente la propria autonomia rispetto ad ogni altra voce del c.d. danno non patrimoniale, non essendone in alcun modo giustificabile l’incorporazione nel c.d. danno biologico, trattandosi (con riguardo al danno morale) di sofferenza di natura del tutto interiore e non relazionale, meritevole di un compenso aggiuntivo al di là della personalizzazione prevista per la compromissione degli aspetti puramente dinamico-relazionali della vita individuale. Il danno morale è dunque autonomo rispetto al danno biologico: il sintagma “danno morale” allude a una realtà che (diversamente dal danno biologico) rimane in sé insuscettibile di alcun accertamento medico-legale e si sostanzia nella rappresentazione di uno stato d’animo di sofferenza interiore del tutto autonomo e indipendente (pur potendole influenzare) dalle vicende dinamico-relazionali della vita del danneggiato. In punto di estimazione del pregiudizio, ove si accerti l’esistenza, nel caso concreto, tanto del danno dinamico-relazionale (c.d. biologico) quanto del danno morale, il quantum risarcitorio va determinato applicando integralmente i valori evincibile dalle tabelle di Milano (che contemplano entrambe le voci di danno); qualora la compromissione degli aspetti puramente dinamico-relazionali della vita individuale sia peculiare e meritevole di particolare riguardo (ovvero, mutuando la definizione adoperata dall’art. 138 del codice delle assicurazioni – D.Lgs. 07/09/2005, n. 209 – “qualora la menomazione accertata incida in maniera rilevante su specifici aspetti dinamico-relazionali personali documentati e obiettivamente accertati”) il ristoro del danno biologico va personalizzato, mediante l’aumento sino al 30% del valore del solo danno biologico, depurato dalla componente incrementativa per il danno morale automaticamente inserita in tabella (fattispecie in tema di sinistro stradale).

NDR: in argomento Cass. 27/03/2018 n. 7513, 17/01/2018 n. 901, 11/11/2019 n. 28989, 10/11/2020 n. 25164, 17/05/2022 n. 15733, 12/07/2023 n. 19922 e 25/01/2024 n. 2433.

Supporto alla lettura

DANNO MORALE

Il danno morale è un tipo di danno non patrimoniale che colpisce l’integrità psichica e psicologica di una persona, può derivare da situazioni traumatiche come sinistri stradali, una violazione dei diritti umani, la perdita di un familiare, un’ingiustizia subita sul luogo di lavoro, o altre circostanze che causano un forte impatto emotivo, e può manifestarsi in molteplici modi, tra cui angoscia, stress, depressione, ansia, perdita di gioia di vivere e altri disagi emotivi.

I danni risarcibili per il danno morale vengono distinti dai danni patrimoniali, quest’ultimi infatti, sono facilmente quantificabili in termini monetari, mentre i danni morali riguardano la sfera emozionale e psicologica della persona, perciò sono più complessi da quantificare.

I principali danneggiamenti risarcibili legati al danno morale sono:

  • danno biologico: sofferenza fisica e psicologica subita a causa di un evento lesivo o traumatico e può includere dolore fisico, trauma emotivo, disperazione, angoscia;
  • stato di ansia e depressione: la persona ha diritto al risarcimento per il disagio psicologico subito se l’evento ha aggravato questo stato;
  • danno esistenziale: la persona ha perso la capacità di godere delle normali attività della vita quotidiana a causa del danno subito;
  • danno parentale: in caso di lesioni gravi o decessi di familiari a causa di un atto lesivo, in questo caso i parenti più stretti possono richiedere il risarcimento per danno riflesso nel caso di lesioni gravi del parente stretto e danno da perdita parentale nel caso di decesso del congiunto;
  • danno estetico: lesioni permanenti che hanno alterato l’aspetto fisico della persona, il diritto al risarcimento sussiste per il danno estetico subito;
  • danno da ingiuria o diffamazione: se l’evento lesivo riguarda una violazione della reputazione o dell’onore della persona, è possibile richiedere il risarcimento per ingiuria o per reato di diffamazione.

Ambito oggettivo di applicazione

…omissis…

Fatti di causa

Il giorno 22 febbraio 2007 —, uscendo dall’esercizio commerciale adibito a supermercato di proprietà della XX Srl sito in omissis, rovinò a terra scivolando su una pedana metallica, resa viscida dalla pioggia, posta a ridosso del marciapiede pubblico in corrispondenza delle porte di uscita del locale e riportò lesioni personali alla gamba sinistra.

Convenne pertanto in giudizio la XX Srl e il Comune di San Pietro Vernotico invocandone la condanna solidale al ristoro integrale dei danni (patrimoniali e non) patiti in conseguenza dell’occorso.

All’esito del giudizio di prime cure, il Tribunale di Brindisi accolse la domanda nei riguardi del Comune (condannandolo al risarcimento di distinti importi, ascritti a danno biologico, danno morale soggettivo e spese mediche) e la rigettò nei confronti della XX Srl, cui attribuì il favore delle spese verso la parte attrice.

Avverso detta pronuncia, dispiegarono appello: in via principale, il Comune, censurando l’esclusione di responsabilità della XX Srl e della danneggiata e l’illegittima quantificazione del danno morale; in via incidentale, —, insistendo per l’affermazione della responsabilità solidale della XX Srl e dolendosi della propria condanna alle spese processuali in favore di quest’ultima.

La decisione in epigrafe indicata, accertato il paritario concorso del Comune e della danneggiata nella causazione dell’evento nonché l’illegittima liquidazione del danno morale, ha ridotto la entità della condanna del Comune, in accoglimento dell’appello principale di questi; ha invece rigettato l’appello incidentale.

Ricorre per cassazione — per cinque motivi, cui resiste, con controricorso, il Comune di San Pietro Vernotico.

Non svolge difese in grado di legittimità la curatela del fallimento (dichiarato in pendenza del giudizio d’appello) della XX Srl.

Le parti costituite hanno depositato memoria illustrativa.

All’esito dell’adunanza camerale sopra indicata, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nel termine di cui al secondo comma dell’art. 380-bis.1 cod. proc. civ..

Ragioni della decisione

1. Con il primo motivo, per violazione e falsa applicazione degli artt. 2051 e 1227 cod. civ. in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., parte ricorrente sostiene che la sentenza gravata abbia errato nel ravvisare la sussistenza nella vicenda di un caso fortuito, sia per aver omesso di accertare se la condotta del danneggiato fosse connotata da imprevedibilità ed eccezionalità sia perché tale condotta integra fortuito soltanto ove abbia incidenza causale esclusiva.

Assume ancora che la rilevanza causale specifica del contegno del danneggiato nella produzione dell’evento sia stata desunta dalla Corte d’appello “da argomenti vaghi, generici e stereotipati”, ovvero senza un’indagine sulle “reali circostanze in cui si era verificato l’evento”, la quale avrebbe posto in evidenza che il “pericolo era occulto e non prevedibile perché derivava dal fatto che la superficie della pedana era divenuta viscida a causa della pioggia”.

2. Il secondo motivo denuncia nullità della sentenza, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 4, cod. proc. civ., per motivazione apparente in ordine alla dichiarata colpa concorrente della vittima, ribadendo, a suffragio dell’error procedendo lamentato, i rilievi già articolati con il primo motivo.

3. Il terzo motivo prospetta (in relazione all’art. 360, primo comma, num. 5, cod. proc. civ.) omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti nonché (in relazione all’art. 360, primo comma, num. 4, cod. proc. civ.) vizio di motivazione per omesso esame delle risultanze della prova.

In specie, si assume che la Corte d’appello non abbia considerato una circostanza (dedotta sin dal primigenio atto di introduzione della lite) invece incidente eziologicamente sul sinistro, rappresentata dal contesto meteorologico di accadimento dell’evento ed in particolare dalla pioggia che aveva resa viscida la pedana a piano inclinato, così provocando una “situazione di danno imprevedibile ed inevitabile anche per il pedone più accorto (…) con conseguente irrilevanza dell’elemento della visibilità o meno della pedana”.

4. La disamina delle doglianze esige un riepilogo dei princìpi che informano lo statuto di disciplina della fattispecie di responsabilità di cui all’art. 2051 cod. civ., come definiti dall’opera di sistemazione organica di essa compiuta da questa Corte, compendiata nell’arresto a Sezioni Unite del 30/06/2022, n. 20943 ed ulteriormente precisata in successive pronunce (da ultimo, con anelito nomofilattico, da Cass. 24/01/2024, n. 2376 e da Cass. 27/04/2023, n. 11152).

4.1. Il punto di partenza di ogni discorso sul tema è l’individuazione dei presupposti della responsabilità per i danni da cose in custodia ex art. 2051 cod. civ., costituiti dalla derivazione del danno dalla cosa e dalla situazione di custodia.

4.2. Il primo presupposto si integra, in base alla previsione testuale della citata norma codicistica, quando l’evento dannoso è “cagionato” dalla cosa, nel senso che esso è causalmente ascrivibile al fatto della cosa, secondo l’icastica espressione rinvenibile nella formulazione utilizzata dall’art. 1384 (attuale 1242) del codice francese (on est responsable … du dommage … qui est causé par le fait… des choses que l’on a sous sa garde …), ma il cui contenuto precettivo, nella sostanza, coincide con quello dell’omologa norma del codice italiano (Cass. 01/02/2018, nn. 2477-2478-2479-2480-2481-2482-2483).

La formulazione testuale adoperata (“danno cagionato dalle cose in custodia”), ed in particolare l’assenza di aggettivazioni di sorta richiede unicamente, ai fini della realizzazione del presupposto, che l’evento di danno atto a fondare la responsabilità del custode origini, secondo un nesso di causalità materiale giuridicamente rilevante, dalla cosa custodita, a prescindere dalle caratteristiche obiettive di questa, sia essa pericolosa e seagente (cioè a dire dotata di intrinseca potenzialità dannosa) oppure meno.

La fattispecie di responsabilità, dunque, si presta a ricomprendere una gamma potenzialmente indefinita di situazioni, soltanto per finalità descrittiva distinguibili sotto i profili del ruolo assunto nella sequenza causale, cioè della partecipazione della res in custodia alla produzione materiale dell’evento dannoso (a partire dai casi in cui la cosa è del tutto inerte, nei quali cioè l’interazione del danneggiato è indispensabile per la verificazione dell’evento, sino alle vicende in cui il ruolo della cosa è preponderante o esclusivo, nei quali cioè l’apporto concausale della condotta dell’uomo è persino assente), e delle connotazioni intrinseche della res custodita, cioè della sua idoneità a cagionare situazioni di probabile danno (a partire dalle situazioni in cui essa non presenta ex se rischi in ipotesi di interazione con l’uomo, via via fino a quelle in cui il funzionamento o il modo stesso della cosa naturaliter comporti il rischio o la ragionevole probabilità di conseguenze dannose per chi con la stessa entri in contratto).

4.3. Il secondo presupposto si integra quando, a prescindere dalla situazione giuridica soggettiva facente capo al custode (proprietà, diritti reali minori, possesso, detenzione, obbligazione contrattuale di custodire, ecc.), sussiste una relazione di fatto tra un soggetto e la cosa, che si traduce nel potere effettivo di controllarla, di eliminare le situazioni di pericolo che siano insorte e di escludere i terzi dal contatto con essa (Cass. 01/02/2018, n. 2480, cit.; Cass. 27/04/2023, n. 11152, cit.; Cass.26/05/2023, n. 14798).

4.4. La (pur in sintesi) condotta analisi dei requisiti costitutivi pone in luce la natura oggettiva della responsabilità speciale di cui all’art. 2051 cod. civ., basata non già su una presunzione di colpa del custode bensì su un criterio di imputazione che addossa a chi ha la custodia della cosa la responsabilità per determinati eventi, a prescindere da qualunque connotato di colpa nel contegno del soggetto custode.

E da ciò deriva che, ai fini della configurazione della responsabilità, il danneggiato è tenuto a dimostrare unicamente la sussistenza dei due esaminati presupposti: il nesso di causalità tra il danno e la cosa in custodia e la signoria custodiale di fatto esercitata sulla cosa medesima dal soggetto additato come responsabile (sicché l’incertezza in ordine ad una circostanza incidente sull’imputabilità eziologica dell’evento dannoso impedisce di ritenere integrata la prova del nesso causale tra la cosa e il danno: Cass. 18/07/2023, n. 20986).

4.5. Coerente con la natura oggettiva della responsabilità del custode è la esimente di essa positivamente stabilita.

Per liberarsi da responsabilità (sempreché il danneggiato abbia assolto l’onus probandi su di lui incombente), il custode non deve provare l’assenza di una sua colpa (ovverosia aver serbato un contegno esigibile dall’homo eiusdem condicionis et professionis e conforme allo sforzo diligente adeguato alle concrete circostanze del caso) ma la sussistenza di un “caso fortuito”, di un fatto (impeditivo del diritto al risarcimento) che esclude la derivazione del danno dalla cosa custodita.

4.6. Si spiega: il fatto integrante il caso fortuito è un fatto diverso dal fatto della cosa, estraneo alla relazione custodiale, che assorbe l’efficienza causale dell’evento dannoso, escludendo che quest’ultimo possa reputarsi cagionato dalla res.

Si tratta di un fatto, attinente all’elemento oggettivo dell’illecito, che si pone in relazione causale diretta ed immediata con l’evento di danno ed opera in guisa di causa sopravvenuta alla preesistente situazione della res, sovrapponendosi ad essa e degradandola a mera occasione di danno: per effetto del caso fortuito la res viene deprivata della sua efficienza di causalità materiale senza che ne sia cancellata l’efficienza causale sul piano strettamente naturalistico.

4.7. Sul piano strutturale, il “caso fortuito” può essere costituito da un fatto naturale ad effetti giuridici, che si pone in relazione causale diretta, immediata ed esclusiva con la res, senza intermediazione di alcun elemento soggettivo, oppure da un atto giuridico (cioè dal fatto del danneggiato o dal fatto di un terzo), la cui incidenza causale nella determinazione dell’evento può essere esclusiva o concorrente e che assume giuridica rilevanza, in quanto comportamento umano, sol in caso di colpa del soggetto agente.

4.8. Il nesso causale tra l’evento dannoso e la res può dunque essere escluso anche dal fatto del danneggiato.

Rilievo centrale riveste in tal caso la regola di determinazione del danno risarcibile contenuta nell’art.1227, primo comma, cod. civ.: essa, estrinsecazione del principio di causalità materiale, impone di non far carico al danneggiante della parte di danno che non è a lui causalmente imputabile e, più precisamente, di escludere il risarcimento in relazione alla porzione di evento dannoso causalmente ascrivibile alla condotta del danneggiato.

4.9. Requisito legale della rilevanza causale del fatto del danneggiato è la colpa, intesa come oggettiva inosservanza del comportamento di normale cautela correlato alla situazione di rischio percepibile con l’ordinaria diligenza.

Mentre, al pari della concausa naturale, il fatto non colposo del danneggiato non incide sull’evento di danno sul piano della causalità materiale, al contrario il fatto colposo comporta la riduzione del risarcimento sul piano della causalità giuridica, “secondo la gravità della colpa e l’entità delle conseguenze che ne sono derivate”.

4.10. In forza del richiamato art. 1227, primo comma, cod. civ., la condotta del danneggiato si atteggia diversamente a seconda del grado di incidenza causale sull’evento dannoso e deve essere valutata pure tenendo conto del dovere generale di ragionevole cautela riconducibile al principio di solidarietà sancito dall’art. 2 Cost..

Ciò significa che quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione, da parte dello stesso danneggiato, delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento superi il nesso eziologico astrattamente individuabile tra fatto ed evento dannoso: e ciò – si badi – anche quando la condotta del danneggiato possa ritenersi astrattamente prevedibile dal custode, ma debba essere esclusa come evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale (espressamente, Cass. 20/07/2023, n. 21675).

4.11. Sotto il profilo processuale, poi, l’applicazione dell’art. 1227, primo comma, cod. civ., ovvero il ricorrere di un fatto colposo del danneggiato (a differenza dell’inosservanza del dovere di evitare l’aggravamento del danno di cui al secondo comma della norma citata) è rilevabile d’ufficio se risultino prospettati gli elementi da cui esso sia ricavabile (Cass. 10/05/2018, n. 11258; Cass.19/07/2018, n. 19218).

4.12. L’apprezzamento della condotta del danneggiato, ai fini del concorso di colpa, inoltre, concreta un giudizio di fatto, in quanto tale sottratto al controllo di legittimità se sorretto da adeguata motivazione (ex aliis, Cass. 17/01/2020, n. 842).

Rientra, dunque, nell’insindacabile giudizio del giudice del merito la valutazione del grado di inosservanza del modello di comportamento diligente (ovvero la gravità della colpa) e dell’entità delle conseguenze ascrivibili al contegno del danneggiato, quest’ultimo potendo quindi configurarsi come apporto causale concorrente (cosicché vi sarà una percentuale di danno comunque ascrivibile al fatto della cosa, e perciò imputabile al custode di essa), oppure come causa assorbente del danno, in guisa da escluderne del tutto la derivazione dalla cosa.

4.13. Il giudizio di concorrenza o di esclusività causale del fatto del danneggiato formulato dal giudice del merito deve essere improntato unicamente al parametro oggettivo delle conseguenze ed al parametro della colpa: non occorre invece che il contegno del danneggiato, oltre che oggettivamente colposo, nel senso precisato, sia anche abnorme, eccezionale, imprevedibile o inevitabile (oltre a Cass. 24/01/2024, n. 2376, cit., vedi Cass. 23/05/2023, n. 14228).

4.14. Può, quindi, concludersi che la responsabilità ex art. 2051 c.c. ha natura oggettiva – in quanto si fonda unicamente sulla dimostrazione del nesso causale tra la cosa in custodia e il danno, non già su una presunzione di colpa del custode – e può essere esclusa o dalla prova del caso fortuito (che appartiene alla categoria dei fatti giuridici), senza intermediazione di alcun elemento soggettivo, oppure dalla dimostrazione della rilevanza causale, esclusiva o concorrente, alla produzione del danno delle condotte del danneggiato o di un terzo (rientranti nella categoria dei fatti umani), caratterizzate, rispettivamente, la prima dalla colpa ex art. 1227 c.c. (bastando la colpa del leso: Cass. 20/07/2023, n. 21675; Cass. 24/01/2024, n. 2376) o, indefettibilmente, la seconda dalle oggettive imprevedibilità e non prevenibilità rispetto all’evento pregiudizievole (Cass. 09/07/2023 n. 26142). Ed il giudizio sul punto integra un giudizio di fatto, di norma incensurabile in sede di legittimità, ove scevro da quei soli vizi logici o giuridici ancora rilevanti ai fini dell’art. 360, primo comma, num. 5, cod. proc. civ. (tra cui l’apparenza della motivazione per manifesta fallacia o falsità delle premesse od intrinseca incongruità o inconciliabile contraddittorietà degli argomenti: ex aliis, Cass. 05/07/2017, n. 16502).

5. Al lume delle enunciate regulae iuris, la sentenza impugnata si palesa conforme a diritto e resiste alle censure mosse dal ricorrente, per aver ravvisato la concorrente responsabilità della danneggiata sulla base di argomenti del tutto coerenti con l’illustrato sistema.

5.1. È infondato il primo motivo di ricorso, poggiato sull’assunto secondo cui la condotta del soggetto danneggiato, per poter essere qualificata come caso fortuito, debba essere imprevedibile, nel senso di eccezionale: e l’orientamento cui l’impugnante fa richiamo – pervero, circoscritto a pochi arresti in chiara deviazione dall’indirizzo già definito con le pronunce nn. 2477-2483 del 2018 – è definitivamente superato dalla sistemazione dell’istituto offerta più di recente da questa Corte con le pronunce citate sub par. 4.13. e sub par. 4.14.

Del pari destituita di fondamento è la prospettata necessità di un apporto causale esclusivo della condotta della danneggiata ai fini della integrazione del caso fortuito rilevante ex art. 2051 cod. civ.: per essere invece il fatto del danneggiato, in quanto fatto umano governato dalla regola di cui all’art. 1227, primo comma, cod. proc. civ. e per le ragioni più diffusamente esplicate sopra sub par. 4.8., suscettibile di riverberarsi in maniera differente nella produzione dell’evento.

5.2. L’apprezzamento sull’incidenza causale del fatto del leso compiuto dalla Corte territoriale, poi, risulta suffragato da argomenti bene, puntualmente e comunque idoneamente esplicati con riferimento agli elementi fattuali valutati come rilevanti ed alla sussunzione degli stessi nelle fattispecie giuridiche di pertinenza, in guisa da rendere comprensibile (e attaccabile con i relativi rimedi impugnatori, come poi in concreto avvenuto) le ragioni fondanti il dictum emesso.

Non si riscontra, pertanto, il vizio di motivazione apparente, sussistente unicamente quando il percorso argomentativo svolto dal provvedimento non consenta di rendere intellegibile l’iter logico seguito per pervenire alla statuizione resa ed impedisca così la praticabilità di un controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento (sulla nozione di “motivazione apparente” cfr., tra le tantissime, Cass., Sez. U., 07/04/2014, n. 8053; Cass., Sez. U., 22/09/2014, n. 19881; Cass., Sez. U., 21/06/2016, n. 16599; Cass., Sez. U., 03/11/2016, n. 22232; Cass. 25/09/2018, n. 22598; Cass. 23/05/2019, n. 13977).

5.3. Nemmeno meritevole di accoglimento è il terzo motivo, sotto ambedue i paradigmi di impugnazione di legittimità invocati.

Non corrisponde al vero, in primis, la mancata considerazione della incidenza della situazione metereologica (in specie, della precipitazione atmosferica) al momento del sinistro: la Corte territoriale ha infatti apprezzato la pioggia come un fattore di più elevata pericolosità della pedana oggetto di custodia, con ciò andando appunto a verificare il grado di incidenza causale della res alla stregua delle concrete e specifiche condizioni (qui, di tempo) di verificazione del sinistro.

Per altro verso, e riguardata sotto il profilo della qualificazione del contegno del danneggiato, la circostanza asseritamente omessa (cioè il fatto che la pedana fosse resa viscida dalla pioggia) non riveste il carattere della decisività prescritto, a fini inficianti la pronuncia, dall’art. 360, primo comma, num. 5, cod. proc. civ..

La pronuncia gravata, fondando la (concorrente) responsabilità della persona lesa sulla visibilità della pedana (desunta dall’orario approssimativo dell’occorso, in mattinata con luce naturale, e dalle dimensioni notevoli del manufatto), ha, in buona sostanza, ascritto a colpa della danneggiata il fatto stesso di aver adoperato la pedana onde discendere dal marciapiede: di avere cioè, scegliendo quello strumento per compiere un’operazione eseguibile in altro, più sicuro, modo, attivato l’interazione con la cosa (intrinsecamente dotata di un quid di pericolosità) scaturigine dell’evento di danno.

Orbene, una valutazione del genere non appare suscettibile di essere modificata in senso favorevole alla ricorrente (e, perciò, non è idonea, per difetto di decisività, a condurre alla auspicata cassazione) ove integrata con quella della condizione di maggiore scivolosità della pedana determinata dalla pioggia: al contrario, proprio detta condizione, in uno alla già considerata visibilità della pedana, avrebbe dovuto a fortiori dissuadere il pedone dal calpestare il supporto metallico in questione, sicché il diverso contegno effettivamente praticato dalla ricorrente poteva addirittura essere qualificato secondo un oggettivamente più elevato grado di colpa, diminuendo, per l’effetto ed in applicazione dell’art. 1227, primo comma, cod. civ. la percentuale di danno ascrivibile al fatto della cosa, e perciò imputabile al custode.

6. Il quarto motivo, articolato con riferimento a tre distinti profili di impugnazione di legittimità (art. 360, primo comma, numm. 3, 4 e 5) censura la quantificazione del danno non patrimoniale, operata, a dire della ricorrente, senza la considerazione delle specificità del caso concreto, ed in particolare dell’aver patito una “sofferenza psicologica peculiare ed eccezionale che esula dall’id quod plerumque accidit”, giustificante “un risarcimento aggiuntivo a titolo di pregiudizio morale specifico e peculiare o anche a titolo di personalizzazione della componente dinamico-relazionale”.

6.1. Il motivo è infondato.

All’esito del giudizio di primo grado, il Tribunale di Brindisi, per quanto ancora controverso, aveva liquidato in favore dell’attrice la somma di euro 32.816 per danno biologico ed euro 8.204 per danno morale soggettivo (pari ad 1/4 del danno biologico); accogliendo l’appello del Comune la sentenza qui impugnata, ribadita la sussistenza del danno morale nel caso esaminato, ha espunto l’incremento del 25% per danno morale poiché illegittima duplicazione risarcitoria, sul rilievo che nella liquidazione operata secondo le tabelle milanesi “il danno morale è ricompreso nel valore tabellare applicato inizialmente”.

6.2. Orbene, la sentenza di seconde cure è conforme a diritto.

È fermo convincimento di questa Corte che il riconoscimento e la concreta liquidazione, in forma monetaria, dei pregiudizi sofferti dalla persona a titolo di danno morale mantengono integralmente la propria autonomia rispetto ad ogni altra voce del c.d. danno non patrimoniale, non essendone in alcun modo giustificabile l’incorporazione nel c.d. danno biologico, trattandosi (con riguardo al danno morale) di sofferenza di natura del tutto interiore e non relazionale, meritevole di un compenso aggiuntivo al di là della personalizzazione prevista per la compromissione degli aspetti puramente dinamico-relazionali della vita individuale (così Cass. 27/03/2018, n. 7513; Cass. 17/01/2018, n. 901; Cass. 11/11/2019, n. 28989).

Il danno morale è dunque autonomo rispetto al danno biologico: il sintagma “danno morale” allude a una realtà che (diversamente dal danno biologico) rimane in sé insuscettibile di alcun accertamento medico-legale e si sostanzia nella rappresentazione di uno stato d’animo di sofferenza interiore del tutto autonomo e indipendente (pur potendole influenzare) dalle vicende dinamico-relazionali della vita del danneggiato (Cass. 10/11/2020, n. 25164).

In punto di estimazione del pregiudizio, ove si accerti l’esistenza, nel caso concreto, tanto del danno dinamico-relazionale (c.d. biologico) quanto del danno morale, il quantum risarcitorio va determinato applicando integralmente i valori evincibile dalle tabelle di Milano (che contemplano entrambe le voci di danno); qualora la compromissione degli aspetti puramente dinamico-relazionali della vita individuale sia peculiare e meritevole di particolare riguardo (ovvero, mutuando la definizione adoperata dall’art. 138 del codice delle assicurazioni – D.Lgs. 07/09/2005, n. 209 – “qualora la menomazione accertata incida in maniera rilevante su specifici aspetti dinamico-relazionali personali documentati e obiettivamente accertati”) il ristoro del danno biologico va personalizzato, mediante l’aumento sino al 30% del valore del solo danno biologico, depurato dalla componente incrementativa per il danno morale automaticamente inserita in tabella (Cass. 17/05/2022, n. 15733; Cass. 12/07/2023, n. 19922; Cass. 25/01/2024, n. 2433).

6.3. Gli enunciati princìpi non risultano trasgrediti nel caso de quo.

Ben correttamente la Corte salentina ha espunto la maggiorazione praticata dal primo giudice sull’importo tabellare ed ascritta a titolo di danno morale soggettivo, tale pregiudizio trovando ricompensa nel complessivo valore delle tabelle milanesi, nella loro elaborazione del tempo in cui hanno trovato applicazione.

Per altro verso, la ricorrente non può qui dolersi della mancata personalizzazione della componente dinamico-relazionale del danno biologico: l’incremento dei valori tabellari per detta voce non era stato infatti operato dal primo giudice (che aveva inopinatamente ricondotto l’aumento al danno morale soggettivo), sicché ogni rimostranza sul punto andava formulata in sede di appello e non può costituire dunque, in mancanza della prova dell’avvenuta impugnazione ordinaria, motivo di adizione di questa Corte.

7. Il quinto motivo deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, num. 4, cod. proc. civ., l’omessa pronuncia sull’appello incidentale con cui la odierna ricorrente aveva contestato la propria condanna, disposta dal giudice di prime cure, alla refusione delle spese di lite in favore della XX Srl ed invocato una statuizione di compensazione, sul rilievo del comportamento della società, consistente nell’aver lasciato per anni la pedana metallica davanti alle porte del supermercato “esponendo in tal modo i propri clienti al pericolo di cadute”.

7.1. La lettura della sentenza impugnata dà riscontro all’assunto del ricorrente, mancando invero ogni pronuncia, anche in via di implicito rigetto, sull’appello incidentale avente ad oggetto la condanna della originaria attrice a rifondere le spese di lite alla XX Srl: ma da ciò non discende l’accoglimento del motivo formulato e la invocata cassazione della sentenza.

Il mancato esame di un motivo di gravame ovvero di un’eccezione preliminare ad opera del giudice di merito giustifica l’annullamento della sentenza impugnata ad opera della Suprema Corte a condizione che le questioni, di fatto o di diritto, non esaminate, siano decisive.

Per contro, qualora le questioni non vagliate siano in punto di diritto infondate e non richiedano ulteriori accertamenti di fatto, la Corte di cassazione, in ragione della funzione nomofilattica ad essa affidata dall’ordinamento, ha il potere di correggere la motivazione della decisione ex art. 384 cod. proc. civ. mediante l’enunciazione delle ragioni che giustificano il provvedimento gravato, apparendo palese l’incongruità di una rimessione della causa nella fase di merito al fine di dichiarare l’infondatezza del rilievo erroneamente non vagliato.

Siffatto principio di diritto, già consolidato in un risalente indirizzo della giurisprudenza di legittimità (Cass. 18/08/2006, n. 18190; Cass. 12/04/2006, n. 8561; Cass. 18/02/2005, n. 3388), è stato avvalorato dalla estensione (con la modifica dell’art. 384 cod. proc. civ. operata dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40) delle ipotesi di decisione nel merito della Suprema Corte anche in caso di violazione di norme processuali e dalla costituzionalizzazione (nell’art. 111, secondo comma, della Carta fondamentale) dei principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo, i quali impongono interpretazioni che limitino i tempi di svolgimento del processo, pur senza sacrificio del diritto di azione e difesa (tra le tante, cfr. Cass. 01/02/2010, n. 2313; Cass., Sez. U., 02/02/2017, n. 2731; Cass. 28/06/2017, n. 16171; Cass. 19/04/2018, n. 9693; Cass. 10/06/2021, n. 10475; Cass. 05/04/2023, n. 9384). In ipotesi consimili, pertanto, può procedersi al rigetto del motivo, previa integrazione della motivazione della gravata sentenza, il cui dispositivo, sia pure in esito a diverse argomentazioni, si palesa, infine, conforme a diritto.

7.2. Al lume di quanto sopra, l’error in procedendo della Corte d’appello non conduce alla cassazione della pronuncia, apparendo l’appello incidentale non esaminato privo di fondamento giuridico.

Nella vicenda controversa non si ravvisano i giusti motivi richiesti dall’art. 92 cod. proc. civ. (nel disposto ratione temporis applicabile al caso: giudizio di prime cure iniziato nell’anno 2007) per derogare al principio della soccombenza nella regolazione delle spese del rapporto tra l’originaria attrice e la convenuta MA.GI Srl.

Invero, la mera prossimità spaziale della pedana teatro del sinistro rispetto all’esercizio commerciale gestito dalla società convenuta non costituisce circostanza sufficiente ad ingenerare un inescusabile dubbio sulla qualità di custode della XX Srl, cioè a dire sull’esercizio ad opera di quest’ultima di una signoria di fatto (la quale, come ricordato sopra sub par. 4.3., postula un potere di intervento sulla res in funzione di prevenzione dell’insorgenza di pericoli per i terzi) su una pedana indiscutibilmente collocata su una strada pubblica (precisamente, quale mezzo di congiunzione tra il marciapiedi e la strada ad uso carrabile), e pertanto assoggettata al doveroso controllo dell’ente comunale.

E dunque la evocazione in lite della XX Srl si profilava, nemmeno in astratta ed ipotetica eventualità, giustificata in rapporto alla causa petendi dell’azione esercitata: sicché non vi era ragione per negare l’applicazione della regola generale della soccombenza e porre a carico dell’attrice la refusione degli esborsi sostenuti da detta società per difendersi attivamente in giudizio.

8. Il ricorso è rigettato.

9. Il regolamento delle spese del presente giudizio di legittimità segue la soccombenza.

10. Atteso l’esito del ricorso, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente – ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 – di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1-bis dello stesso art. 13.

11. Infine, per la natura della causa petendi, va di ufficio disposta l’omissione, in caso di diffusione, delle generalità e degli altri dati identificativi della ricorrente, ai sensi dell’art. 52 D.Lgs. 196 del 2003.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente, —, alla refusione in favore della controricorrente, Comune di San Pietro Vernotico, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in euro 5.500 per compensi professionali, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori, fiscali e previdenziali, di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis. Dispone che, ai sensi dell’art. 52 D.Lgs. 196 del 2003, in caso di diffusione del presente provvedimento siano omessi generalità ed altri dati identificativi della ricorrente.

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