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Cassazione civile sez. III, 13/04/2024, n. 9863

Massima

Le regole sull’onere della prova sono disposizioni di giudizio residuali rispetto al principio di acquisizione probatoria – secondo il quale le risultanze istruttorie, comunque ottenute, concorrono alla formazione del libero convincimento del giudice (non condizionato dalla loro provenienza) – e trovano, dunque, applicazione solo in presenza di un fatto rilevante rimasto ignoto sulla base delle emergenze probatorie.

Supporto alla lettura

ONERE DELLA PROVA

L’onere della prova è una regola che si sostanzia essenzialmente nel porre a carico della parte che allega un fatto a sé favorevole, il dovere di darne prova dell’esistenza, e può essere intesa:

  • in senso soggettivo: onere di provare i fatti che costituiscono il fondamento delle pretese, per fornire al giudice tutti gli elementi necessari e sufficienti affinché egli arrivi ad una decisione corretta e consapevole.
  • in senso oggettivo: il giudice emette in ogni caso la decisione in merito all’accoglimento o al rigetto della domanda, quando, nonostante l’attività probatoria, egli non sia riuscito a raggiungere la verità dei fatti.

La disciplina dell’onere della prova è il criterio per regolare il giudizio del giudice, il quale è tenuto a ritenere non vero il fatto incerto ovvero il fatto non provato, infatti oggetto di prova sono solo i fatti incerti, pertanto i fatti pacifici e notori non formano oggetto di attività probatoria.

Ambito oggettivo di applicazione

Fatti di causa
1. (omissis), in proprio e quale legale rappresentante di (omissis) di (omissis) s.n.c., convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Verona il Comune di (omissis) chiedendo il risarcimento del danno nella misura di Euro 110.942,13, o quella di giustizia. Espose in particolare l’attore di essere caduto il giorno 1 maggio 2010, mentre impegnava la rampa che dal cartello d’inizio della zona urbana conduceva al sottostante percorso pedonale, a causa della presenza sul sentiero di uno strato di ghiaino tendente a franare in quanto non aderente al terreno sottostante più compatto. Aggiunse che aveva subito la frattura biossea tibio-pereonale, che lo aveva costretto ad assentarsi dall’attività lavorativa, con conseguente pregiudizio patrimoniale. Si costituì la parte convenuta chiedendo il rigetto della domanda.

2. Il Tribunale adito rigettò la domanda.

3. Avverso detta sentenza propose appello l’originaria parte attrice. Si costituì la parte appellata chiedendo il rigetto dell’appello.

4. Con sentenza di data 28 maggio 2019 la Corte d’appello di Venezia rigettò l’appello.

Premise la corte territoriale che secondo la condivisibile ricostruzione del Tribunale non si trattava di ghiaia ma di terriccio calcare stabilizzato, materiale adoperato per la realizzazione di strade sterrate e tale da consentire un attrito per non agevolare lo scivolamento, e che il sinistro si era verificato in pieno giorno su sentiero in lieve pendenza e le cui caratteristiche erano visibili, dotato di un presidio di sicurezza rappresentato da una staccionata con corrimano ben visibile, non evidenziante alcuna difficoltà nel percorrerlo. Osservò quindi che, in ossequio al principio secondo cui quanto più la situazione di possibile danno era suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione delle cautele normalmente attese e prevedibili, tanto più doveva considerarsi l’efficienza causale del comportamento imprudente del danneggiato, il sinistro era imputabile al caso fortuito determinato dal comportamento dell’appellante, il quale aveva affrontato, pur potendone apprezzare, già all’imbocco del sentiero, le difficoltà – peraltro estremamente limitate – o comunque ne aveva potuto osservare le caratteristiche, con ciò valutando la propria capacità di percorrerlo. Aggiunse, in relazione al motivo avente ad oggetto la responsabilità alla luce dell’art. 2043 c.c., che la modesta presenza di ghiaino era assolutamente percepibile da chiunque, sicché non poteva parlarsi di insidia o trabocchetto, in un percorso che, in quanto discendente, poteva favorire la caduta. Precisò che la cosa non presentava alcuna insidia ma solo il rischio di eventuali cadute, rischio prevedibile e connaturato alla natura del percorso, sterrato e in lieve pendenza e per questo dotato di presidio di sicurezza.

5. Ha proposto ricorso per cassazione (omissis), in proprio e quale legale rappresentante di (omissis) di (omissis) s.n.c. sulla base di quattro motivi. Resiste con controricorso la parte intimata. Il pubblico ministero ha presentato le conclusioni scritte. E’ stata presentata memoria.

Ragioni della decisione.

1. Con il primo motivo si denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 2051 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva la parte ricorrente che, nonostante spettasse al Comune provare il caso fortuito, costituito da un comportamento del danneggiato eccezionale ed imprevedibile rispetto alla condotta ragionevolmente esigibile, nella sentenza manca ogni riferimento circa la prova liberatoria incombente sul Comune avente ad oggetto tale comportamento imprudente. Aggiunge che, al contrario, dall’accertamento del giudice del merito emerge che le condizioni del sentiero rendevano imprevedibile una situazione di pericolo, che il rischio di caduta era prevedibile e che il comportamento del danneggiato non poteva dirsi abnorme e imprevedibile.

2. Con il secondo motivo si denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 2051 c.c. e 132 n. 4 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Osserva la parte ricorrente che, non avendo il giudice di appello esplicitato il comportamento imprudente che sarebbe stato tenuto dal danneggiato, non è possibile comprendere la ratio decidendi.

3. Con il terzo motivo si denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 2051 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva la parte ricorrente che il requisito dell’insidia e trabocchetto non è elemento costitutivo della fattispecie di cui all’art. 2043 e che il giudice di appello avrebbe dovuto valutare non se il ghiaino fosse o meno visibile, ma anche se fosse percepibile anche il suo carattere sdrucciolevole, posto che in ciò consisteva il pericolo occulto. Aggiunge che nella motivazione non vi è traccia circa la valutazione dell’evitabilità del pericolo e dunque della mancata adozione di un comportamento che avrebbe evitato l’evento o quanto meno ridotto la possibilità di verificazione.

4. Con il quarto motivo si denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 2043 c.c. e 132 n. 4 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Osserva la parte ricorrente che la motivazione è apparente per le seguenti ragioni: ha carattere tautologico il rilievo che la modesta presenza di ghiaino fosse assolutamente percepibile da chiunque; non spiega perché la franosità non costituisse un’insidia; afferma che il pericolo di caduta fosse prevedibile, ma esclude che il percorso presentasse anomalie.

5. I motivi, da trattare congiuntamente in quanto connessi, sono infondati. Risulta evidente dalla decisione impugnata che è stata esclusa la responsabilità di cui all’art. 2051, ed anche quella generale di cui all’art. 2043, per l’attribuzione dell’eziologia dell’evento alla condotta del danneggiato, che il giudice di appello ha inteso colposa alla luce dell’agevole prevedibilità del pericolo. La corte territoriale ha valutato come prevedibile il rischio di caduta per la presenza di percorso in discesa e sterrato, e per questo dotato di presidio di sicurezza, con modesta presenza di ghiaino del tutto percepibile, tutte circostanze di fatto stimate come esistenti da parte del giudice del merito, sulla base di un giudizio di fatto a lui riservato e non sindacabile nella presente sede di legittimità. L’argomento rilevante è dunque quello dell’assenza di un nesso di causalità fra l’evento di danno e la cosa (ed a maggior ragione fra l’evento dannoso e la condotta del custode, ove si consideri la fattispecie di cui all’art. 2043), essendo l’evento da ricondurre causalmente alla condotta imprudente del danneggiato, alla luce del principio affermato dall’art. 1227, che fa della difformità del contegno del danneggiato rispetto ad un parametro obiettivo di condotta diligente e prudente il presupposto della rilevanza eziologica di quel contegno.

La corte territoriale ha quindi fatto applicazione del consolidato orientamento di questa Corte, secondo cui quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione da parte del danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso, connotandosi per l’esclusiva efficienza causale nella produzione del sinistro (fra le tante da ultimo Cass. 17 novembre 2021, n. 34886; 3 aprile 2019, n. 9315).

La riconduzione eziologica dell’evento dannoso alla condotta imprudente del danneggiato, tale da escludere il nesso di causalità fra la cosa ed il danno, è assorbente anche rispetto alla fattispecie di cui all’art. 2043, proprio in quanto giudizio rilevante al livello eziologico. Con riferimento alla responsabilità ai sensi dell’art. 2043, la corte territoriale ha escluso l’esistenza di insidia e trabocchetto. Il richiamo nella giurisprudenza alle categorie di insidia o trabocchetto (ex multis, Cass. 9 giugno 2016, n. 11802) è da intendere come concernente una situazione di possibile danno non suscettibile di essere agevolmente prevista, fino all’impossibilità di essere superata con l’ordinaria diligenza, con l’esclusione dunque del carattere colposo della condotta del danneggiato. Si tratta pertanto di categorie rilevanti ai fini dell’accertamento della rilevanza eziologica del comportamento del danneggiato. Il giudizio di fatto della Corte d’appello è stato nel senso, come si è visto, della agevole prevedibilità del pericolo da parte dell’utente del percorso. Alla luce di tale evidente prevedibilità della situazione potenzialmente dannosa il comportamento del danneggiato è stato stimato come imprudente, tale dunque da costituire la causa esclusiva del danno e da escludere l’applicabilità tanto dell’art. 2051, quanto dell’art. 2043.

Avendo la corte territoriale positivamente accertato che causa esclusiva dell’evento dannoso è stata la condotta imprudente del danneggiato, non viene in rilievo la regola sull’onere della prova, ed in particolare quella che onera il custode della necessità di provare il caso fortuito, regola della quale il ricorrente ha denunciato la violazione. Le regole sull’onere della prova sono regole residuali di giudizio in conseguenza delle quali la mancanza, in seno alle risultanze istruttorie, di elementi idonei all’accertamento della sussistenza del diritto in contestazione determina la soccombenza della parte onerata della dimostrazione dei relativi fatti costitutivi, ovvero impeditivi, modificativi o estintivi. Esse lasciano fermo il principio di acquisizione probatoria, secondo il quale le risultanze istruttorie, comunque ottenute (e quale che sia la parte ad iniziativa della quale sono state raggiunte), concorrono, tutte ed indistintamente, alla formazione del libero convincimento del giudice, senza che la relativa provenienza possa condizionare tale convincimento in un senso o nell’altro (Cass. 16 giugno 1998, n. 5980; 16 giugno 2000, n. 8195; 7 agosto 2002, n. 11911; 21 marzo 2003, n. 4126). Le regole sull’onere probatorio trovano perciò applicazione solo in presenza di fatto rilevante rimasto ignoto sulla base delle risultanze istruttorie. Come si è detto, l’eziologia dell’evento dannoso è stata positivamente accertata dal giudice del merito come riconducibile al comportamento imprudente del danneggiato. Non è quindi emerso un onere probatorio del custode del quale possa predicarsi il mancato assolvimento. Il custode non aveva l’onere di provare il caso fortuito, avendo il giudice del merito accertato che l’evento dannoso era eziologicamente riconducibile in via esclusiva al comportamento imprudente del danneggiato.

A fronte della chiara percepibilità della ratio decidendi non ricorre la denunciata apparenza di motivazione. Il requisito motivazionale ricorre anche con riferimento al giudizio di modesta presenza di ghiaino ben visibile, dove la visibilità non è la conseguenza della modesta presenza (il che potrebbe integrare una contraddizione), ma è un attributo che si aggiunge alla modesta quantità di ghiaino, per cui, ha detto il giudice del merito, il ghiaino era modesto e ben visibile (la corte territoriale ha anche considerato che l’evento si era verificato in pieno giorno). Quale dovesse essere il comportamento del danneggiato, rispetto al quale il ricorrente denuncia l’assenza di motivazione, emerge poi con chiarezza dalla motivazione della decisione: un comportamento improntato a prudenza al cospetto di una situazione di possibile danno suscettibile di essere agevolmente prevista.

6. Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 e viene rigettato, sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto il comma 1 – quater all’art. 13 del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, della sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento, da parte della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso.Condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 22 febbraio 2023.

Depositato in Cancelleria il 13 aprile 2023

Allegati

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