Svolgimento del processo
(omissis), proprietario di un immobile adibito ad attività di produzione e vendita di mobili, convenne dinanzi al Tribunale di Verona la s.p.a. (omissis) esponendo che quest’ultima, a sua volta proprietaria di un manufatto confinante, nell’esercizio dell’attività industriale di fusione di materiali ferrosi e di produzione di semilavorati, aveva provocato gravi danni, tanto al proprio edificio (a causa degli scuotimenti, dei rumori e delle esalazioni connesse alle lavorazioni effettuate) quanto alla sua salute (oltre che dei suoi familiari, tutti abitanti nell’immobile de quo).
Egli chiese, pertanto, la condanna della società convenuta alla cessazione dell’attività – ove non attuabili i necessari accorgimenti idonei a neutralizzarne gli effetti – e al risarcimento di tutti i danni subiti.
Si costituì la (omissis), contestando la fondatezza delle avverse pretese.
Nelle more del giudizio, l’attività della convenuta cessò.
Il giudice di primo grado respinse la domanda. La Corte di appello di Venezia, investita dell’impugnazione proposta, oltre che dall’originario attore, anche dai figli (omissis), (omissis) e (omissis), insieme con (omissis) e (omissis) e (omissis), a conferma della pronuncia resa in primo grado, rigetterà gravame osservando, per quanto ancora rileva in sede giudizio di legittimità:
– che i dati illustrati dalla consulenza tecnica disposta in 1^ grado in ordine ai presunti danni al fabbricato non apparivano sufficienti, in termini di necessaria specificità probatoria, a supportare la tesi degli appellanti in ordine ai danni al fabbricato;
– che le copiose emergenze testimoniali contenevano, a loro volta, dati non sufficienti a dirimere le perplessità derivanti dalla stessa consulenza, attesane la complessiva genericità, di talchè riscontri tecnici e riscontri storici non risultavano idonei a combinarsi in un quadro di globale plausibilità dell’assunto degli appellanti, restando di converso insuperata la situazione di incertezza probatoria in ordine alla etiologia dei danni statici lamentati;
– che, quanto alla doglianza relativa al diniego del risarcimento del lamentato danno alla salute, a fronte del pur accertato superamento della soglia di tollerabilità delle emissioni rumorose e della diffusione per un tempo apprezzabile di fumi “pesanti”, la datazione remota degli episodi lamentati e l’assenza di riscontri documentali finiva per ripercuotersi a danno delle parti gravate del relativo onere probatorio, rendendo inattuabile una valutazione, sia pur in termini equitativi, dei nocumenti configurabili in capo a ciascuno dei componenti il nucleo familiare (omissis);
– che assolutamente insufficiente si palesavano, inoltre, i dati fattuali evidenziati dagli appellanti per inferirne la permanente compromissione, in danno di alcuni di essi, della rispettiva validità psico-fisica, risultando il relativo apprezzamento affidato alla sola indicazione – palesemente de relato – dei disturbi e delle reazioni manifestate da (omissis) e dalla moglie, ovvero al resoconto, di certo più attendibilmente specialistico, ma anch’esso privo di indicazioni univocamente significative, sotto il profilo causale, del loro medico curante all’epoca;
– che era infine da escludersi una legittima riconducibilità del prospettato pregiudizio entro i confini di un danno, come quello esistenziale, di assai più recente e ancora incerta configurazione e condivisione, comunque necessitante di diversi riscontri contenutistici.
Il ricorso presentato a questo giudice di legittimità da (omissis) e dai suoi familiari per la Cassazione della sentenza della Corte di appello di Venezia è sostenuto da 2 motivi di doglianza.
Resiste con controricorso la (omissis) s.r.l., nella qualità di ente incorporante l’originaria appellata, (omissis).
Entrambe le parti hanno depositato tempestive memorie.
Motivi della decisione
Il controricorso è inammissibile per omessa esposizione dei fatti.
Costituisce ius receptum di questa Corte regolatrice il principio secondo il quale, oltre al ricorso, anche l’atto di resistenza del convenuto nel giudizio di Cassazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una esposizione, sia pur sommaria, sia pur concisa, sia sintetica, dei fatti di causa, non essendo in alcun modo consentito, di converso, pretermetterla del tutto per operare “integrali rinvii” ai fatti e le vicende processuali così come “esposte dalla Corte di appello nella sentenza impugnata per Cassazione, richiamata da controparte in sede di ricorso” (così, testualmente, l’incipit del controricorso al folio 1).
Il ricorso è fondato per quanto di ragione.
Con il primo motivo, il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 844 e 2043 c.c., circa l’esistenza di un obbligo risarcitorio a carico della (omissis) – Violazione degli artt. 2727 e 2729 c.c., per omessa considerazione del valore probatorio delle presunzioni – Omessa valutazione della consulenza tecnica preventiva e omessa valutazione di questioni sottoposte alla Corte di appello con illogicità e insufficienza assoluta di motivazione particolarmente per quanto riguarda la valutazione delle prove.
Il motivo non ha pregio.
Nonostante le suggestive argomentazioni di parte ricorrente (alcune delle quali viziate, peraltro, dal carattere della novità rispetto ai precedenti giudizi di merito, come quelle relativi ad un presunto accertamento tecnico preventivo eseguito sei anni prima della relazione del CTU: così si legge, testualmente, al folio 4 del ricorso), non può addebitarsi alla motivazione della sentenza di secondo grado alcun vizio di illogicità o di contrarietà a diritto (nè tantomeno quello di travisamento di fatti di causa, vizio che, peraltro, se astrattamente predicabile, avrebbe consentito l’esperimento soltanto del diverso rimedio della revocazione, con conseguente inammissibilità di questo mezzo di impugnazione).
Nella ricostruzione dell’intera vicenda si come operata dalla Corte lagunare con analisi sinergica delle risultanze probatorie (la consulenza tecnica viene letta, difatti, alla luce e in consonanza con le deposizioni testimoniali), quel giudice ha (correttamente) tratto la conclusione non della impredicabilità tout court di una vicenda di danno statico al fabbricato, ma del non raggiungimento di un sufficiente quantum di prova onde potersene viceversa ritenere processualmente certa l’esistenza. Così che la doglianza del ricorrente si risolve, in realtà, nella (non più ammissibile) richiesta di rivisitazione di fatti ormai definitivamente accertati in sede di merito, evidente apparendo come egli, piuttosto che prospettare un vizio rilevante della sentenza gravata sotto il profilo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, si limiti ad invocare una diversa lettura delle risultanze come accertare e ricostruite dalla Corte di merito, lettura invero non più ammissibile perchè la valutazione delle risultanze probatorie (non meno che il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri) così come la scelta, fra esse, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involge apprezzamenti di fatto riservati in via esclusiva al giudice di merito il quale, nel porre a fondamento del proprio convincimento e della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, nel privilegiare una ricostruzione circostanziale a scapito di altre pur astrattamente possibili, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere peraltro tenuto ad affrontare e discutere ogni singola risultanza processuale ovvero a confutare ogni qualsiasi deduzione difensiva. E’ principio di diritto ormai consolidato quello per cui l’art. 360 c.p.c., n. 5, non conferisce in alcun modo e sotto nessun aspetto alla Corte di Cassazione il potere di riesaminare il merito della causa, consentendole, per converso, il solo controllo – sotto il profilo logico/formale e della correttezza giuridica – dell’esame e delle valutazioni compiute dal giudice del merito, al quale soltanto, va ripetuto, spetta l’individuazione delle fonti del proprio convincimento valutando le prove, controllandone l’attendibilità e la concludenza, scegliendo, fra esse, quelle funzionali alla dimostrazione dei fatti in discussione (eccezion fatta, beninteso, per i casi di prove c.d. legali, tassativamente previste dal sottosistema ordinamentale civile). Il ricorrente, nella specie, pur denunciando, apparentemente, una deficiente motivazione della sentenza di seconde grado, inammissibilmente (perchè in contrasto con gli stessi limiti morfologici e funzionali del giudizio di legittimità) sollecita una nuova valutazione delle risultanze fattuali del processo ad opera di questa Corte, onde trasformare surrettiziamente il giudizio di Cassazione in un terzo grado di merito, nel quale ridiscutere analiticamente tanto il contenuto di fatti e vicende processuali, quanto l’attendibilità maggiore o minore di questa o di quella risultanza procedimentale, quanto ancora le opzioni espresse dal giudice di appello non condivise e per ciò solo censurate al fine di ottenerne la sostituzione con altre più consone ai propri desiderata (quasi che la fungibilità nella ricostruzione di un fatto fosse ancora legittimamente predicabile in seno al giudizio di Cassazione).
Con il secondo motivo, ai duole il ricorrente della violazione degli artt. 844 e 2043 c.c., circa gli obblighi risarcitori della, convenuta (omissis) – Violazione degli artt. 2227 e 2229 c.c., in merito alla sussistenza di presunzione di danni biologici ed esistenziali – Violazione degli art. 1225 e 2056 c.c., circa l’obbligo del giudice di guidare i danni con criteri equitativi – Contraddittorietà della motivazione e omissione di giudizio quanto alla risarcibilità del danno biologico ed esistenziale.
Il motivo è fondato.
La motivazione della Corte lagunare è, sul punto, realmente contraddittoria, poichè, da un canto, riconosce l’avvenuto e accertato superamento della soglia di tollerabilità delle emissioni rumorose e della diffusione per tempo apprezzabile di fumi pesanti, dall’altro, equivocando sulla natura del danno lamentato, nega ogni risarcimento agli appellanti così disapplicando inspiegabilmente il principio di diritto più volte affermato in passato da questa Corte a mente del quale l’art. 844 c.c., impone, nei limiti della normale tollerabilità e dell’eventuale contemperamento delle esigenze della produzione con le ragioni della proprietà, l’obbligo di sopportazione delle propagazioni inevitabili determinate dall’uso delle proprietà attuato nell’ambito delle norme generali e speciali che ne disciplinano l’esercizio. Al di fuori di tale ambito, si è in presenza di un’attività illegittima di fronte alla quale non ha ragion d’essere l’imposizione di un sacrificio, ancorchè minimo, all’altrui diritto di proprietà o di godimento, e non sono quindi applicabili i criteri dettati dall’art. 844 c.c., in tema di normale tollerabilità, di contemperamento di interessi contrastanti e di priorità dell’uso, ma, venendo in considerazione, in tale ipotesi, unicamente l’illiceità del fatto generatore del danno arrecato a terzi, si rientra nello schema dell’azione generale di risarcimento danni di cui all’art. 2043 c.c. (in tali sensi, Cass. 17281/2005; 1156/1995; 7411/1992). Nè il giudice lagunare considera, ancora, quanto affermato in passato da Casa. 4693/1978 e Cass. 2580/1987 (quest’ultima con riferimento ai limiti di tollerabilità previsti dalla L. n. 615 del 1966), e cioè che l’accertamento dell’eventuale intollerabilità delle immissioni comporta l’esistenza del danno in re ipsa e per il vicino il diritto ad ottenere il risarcimento del danno a norma dell’art. 2043 c.c..
Il collegio intende dare continuità a tale orientamento, con la sola precisazione che, discorrendosi, nella specie, di danno non patrimoniale, l’area di incidenza del comportamento illecito ascritto all’agente è da ritenersi oggi, all’esito delle sentenze del 2003 di questa stessa sezione e della stessa Corte Costituzionale, quella di cui all’art. 2059 c.c. trattandosi, all’evidenza, di danno non patrimoniale.
Non rileva in questa sede stabilire a quale categoria di danno non patrimoniale (all’interno dell’ormai definitivamente ridisegnato schema bipolare del danno) l’illecito da immissioni oltrepassanti la soglia della normale tollerabilità appartenga, – nè mette conto di ripercorrere le tappe della giurisprudenza di questa stessa Corte che, con le recenti sentenze di cui a Cass. 23918/2006 e 6572/2006 (quest’ultima a sezioni unite), pare tuttora non univocamente stabilizzata su di un’area concettuale finalmente condivisa di danno ex art. 2059 c.c. -, essendo nella specie necessario e sufficiente l’esistenza di una norma di legge che preveda (sia pur implicitamente) il diritto al risarcimento, e che questo fuoriuscendo il vulnus lamentato dall’ipotesi di danno biologico in assenza di lesioni medicalmente accertabili – vada risarcito in via equitativa.
Il ricorso è pertanto accolto limitatamente al secondo motivo di gravame.
Il giudice del rinvio, nel liquidare le spese di questo giudizio, si atterrà ai principi di diritto che precedono.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, rigetta il primo, cassa e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, ad altra sezione della Corte di Appello di Venezia.
Così deciso in Roma, il 15 dicembre 2006.
Depositato in Cancelleria il 13 marzo 2007 .