…omissis…
Fatti di causa
1. Da.Le. e Ac.Te., e con essi pure i figli Da.Gi., Da.Da. e Da.Fl., ricorrono, sulla base di cinque motivi, per la cassazione della sentenza n. 953/19, del 19 marzo 2019, della Corte d’Appello di Bologna, che – nel respingerne il gravame avverso la sentenza n. 578/11, del 30 giugno 2011, del Tribunale di Piacenza – ha confermato il rigetto della domanda dagli stessi proposta nei confronti di Ca.La., Ca.An., Ri.Co. e Gi.Vi. (quale titolare della ditta individuale Gi.Vi.), nonché delle società Ditta Va. E C. Snc, Ca.Re. Spa, VV Assicurazioni Spa, Sai Assicurazioni Spa (poi divenuta FFSS Spa e, di seguito, UU Assicurazioni Spa), MM Assicurazioni Spa (oggi Allianz Spa) e TT Assicurazioni Spa (successivamente divenuta, dapprima, Alleanza TT Spa e, poi, GG Italia Spa), per il ristoro dei danni subiti in relazione al decesso del loro congiunto Da.Wi., vittima di un sinistro stradale occorsogli il 10 dicembre 2001, sull’autostrada A1.
2. Riferiscono in punto di fatto, gli odierni ricorrenti di aver adito il Tribunale piacentino, nelle rispettive qualità, Da.Le. e Ac.Te., di genitori di Da.Wi., nonché, Da.Gi., Da.Da. e Da.Fl., di germani dello stesso. L’iniziativa giudiziaria veniva assunta affinché la responsabilità del sinistro, in cui il loro familiare perse la vita, fosse accertata, in via esclusiva, in capo a Ca.La., proprietaria e conducente di un veicolo assicurato per la “RCA” da VV Assicurazioni, ovvero, in concorso, tra la stessa e Ri.Co. e Ca.An. (conducenti, rispettivamente, veicoli di proprietà di Gi.Vi., quale titolare della ditta individuale Gi.Vi., e della Ditta Va. E C. Snc, assicurati per la “RCA”, con le società Sai Assicurazioni e TT Assicurazioni), nonché la società Ca.Re. Spa, proprietaria di altro veicolo coinvolto nel sinistro, assicurato per la “RCA” dalla società MM Assicurazioni.
Costituitisi in giudizio i convenuti, all’infuori del Ri.Co., della Ca.La. e della società Ca.Re., istruita la causa mediante l’assunzione di prova testimoniale e di duplice consulenza tecnica d’ufficio (sulla dinamica del sinistro e sulle condizioni psichiatriche di Da.Le.), l’esito del primo grado di giudizio consisteva nel rigetto della domanda risarcitoria.
Esperito gravame dai soccombenti, in tale fase di giudizio rimanevano contumaci anche il Ca.An., la società Va. E Co. e la ditta Gi.Vi., il fallimento della quale determinava l’interruzione del processo, poi riassunto dagli appellanti nei confronti degli eredi di Gi.Vi., ovvero Vi.Co. e Gi.Pi., Gi.Do. e Gi.Lu.
All’esito della fase di appello, il gravame veniva rigettato, condividendo il giudice di seconde cure la conclusione già raggiunta dal Tribunale, secondo cui nessuna responsabilità per il decesso di Da.Wa. potesse essere addebitata “alla condotta dei convenuti, conducenti dei quattro veicoli” coinvolti nel sinistro, oltre quello guidato dalla vittima, il quale ebbe a tamponare l’autocarro condotto dal Ca.An.
3. Avverso la sentenza della Corte felsinea hanno proposto ricorso per cassazione i Da.Le., Da.Da., Da.Fl., Da.Gi. e la Ac.Te., sulla base – come detto – di cinque motivi.
3.1. Il primo motivo denuncia – ex art. 360, comma 1, n. 4), cod. proc. civ. – “nullità della sentenza o del procedimento”, per “violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., in relazione alla dichiarazione raccolta dalla Polizia stradale di Lodi nell’immediatezza del sinistro, riportata nella segnalazione conclusiva del 21 gennaio 2002”.
Sul presupposto che il “rapporto di polizia fa prova fino a querela di falso”, tra l’altro, “delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesti come avvenuti in sua presenza” (è citata Cass. Sez. 3, sent. 6 ottobre 2016, n. 20025), i ricorrenti evidenziano come il convenuto Ca.An. ebbe a dichiarare, nell’immediatezza dell’incidente, di avere udito e subito un unico urto, mentre nell’impugnata sentenza si afferma che costui, “ai verbalizzanti riferì di aver percepito due distinti tamponamenti, di cui il primo di fortissimo impatto”, con ciò fornendo – secondo la Corte territoriale – una ricostruzione della dinamica del sinistro “incompatibile” con “quella sostenuta dagli appellanti”.
Si assume, pertanto, che la decisione qui oggetto di censura, nel disattendere le risultanze di un documento avente efficacia di atto pubblico, avrebbe violato gli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., avendo valutato, secondo prudente apprezzamento, una risultanza probatoria soggetta, invece, ad un diverso regime (è citata Cass. Sez. 3, sent. 10 giugno 2016, n. 11892).
Inoltre, poiché le dichiarazioni del Ca.An. – riportate in sentenza – risultano essere state rese “dallo stesso in sede di interrogatorio formale, deferito dalla convenuta compagnia assicuratrice”, giammai avrebbero potuto “assumere rilevanza di prova legale nei confronti degli odierni ricorrenti”, né, quindi, “prevalere sulle risultanze del su richiamato verbale della Polizia”.
Difatti, se è vero che la prova per interpello ha lo scopo di provocare la confessione del soggetto interrogato, resta, tuttavia, inteso che “la confessione giudiziale produce effetti nei confronti della parte che la fa e della parte che la provoca, ma non può acquisire il valore di prova legale nei confronti di persone diverse dal confitente, in quanto costui non ha alcun potere di disposizione relativamente a situazioni giuridiche facenti capo ad altri, distinti soggetti del rapporto processuale e, se anche il giudice ha il potere di apprezzare liberamente la dichiarazione e trarne elementi indiziari di giudizio nei confronti delle altre parti, tali elementi non possono prevalere rispetto alle risultanze di prove dirette” (sono citate Cass. Sez. Lav., sent. 3 dicembre 2004, n. 22753, e Cass. Sez. 3, sent. 24 febbraio 2011, n. 4486). Anche sotto questo profilo, dunque, sussisterebbe violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., perché è stato attribuito valore di prova legale alle dichiarazioni rese dal Ca.An. in sede di interrogatorio.
3.2. Il secondo motivo denuncia – ex art. 360, comma 1, n. 5), cod. proc. civ. – “nullità della sentenza o del procedimento per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione alle risultanze della CTU sulla dinamica del sinistro e, in particolare, dei riscontri del CTU alle osservazioni del CTP –“.
Si censura la sentenza impugnata, là dove essa – in merito al rilievo proposto dagli allora appellanti, secondo cui fu l’assenza di una barra paraincastro, sull’autocarro condotto dal Ca.An. (e comunque l’inidoneità della stessa, se presente, giacché non conforme alla normativa dell’Unione Europea), la causa dell’eccessiva penetrazione, e del successivo incastro, sotto l’autocarro, della vettura condotta dalla vittima del sinistro -afferma di condividere quanto già statuito dal Tribunale. Esito al quale la Corte bolognese è pervenuta sul presupposto che lo stesso consulente tecnico d’ufficio – in adesione alle osservazioni del tecnico di parte convenuta società TT, ovvero l’Ingegner — – “ha precisato che la barra paraincastro era senz’altro installata”.
Ha ritenuto, altresì, la sentenza impugnata “condivisibili” i rilievi, sempre espressi dall’–, secondo cui “non sarebbe stato compiutamente motivato e provato l’assunto sulla non corretta installazione della medesima barra sull’autocarro”; e ciò perché “il veicolo, come si evince dagli atti, era stato sottoposto a regolare revisione dagli organi tecnici della motorizzazione”, sicché l’incastro della vettura condotta da Da.Wi. sotto l’autocarro era da attribuire “all’estrema violenza dell’impatto”, dovuta alla velocità eccessiva del mezzo condotto dalla vittima del sinistro.
Orbene, il giudice d’appello, pur affermando non esservi “ragione per discostarsi dalle conclusioni del CTU”, risulta aver disatteso proprio quanto osservato dall’ausiliario del giudice – in un supplemento del proprio elaborato – in merito alla “assoluta inidoneità della barra paraincastro anche a fronte dell’asserita revisione del veicolo”. Sebbene le risultanze di tale secondo elaborato fossero state “oggetto di ampia discussione tra le parti tanto in primo grado quanto in sede di appello”, di esse la Corte felsinea avrebbe omesso ogni considerazione, dal momento che dalla lettura della sentenza si evince che tale documento “non è stato affatto oggetto di esame”, donde la nullità della sentenza impugnata.
3.3. Il terzo motivo denuncia – ex art. 360, comma 1, n. 4), cod. proc. civ. – “nullità della sentenza o del procedimento per violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4), cod. proc. civ., in relazione alla contraddittorietà e illogicità della motivazione”.
Si assume che la sentenza impugnata sarebbe affetta da vizio motivazionale per “irriducibile contraddittorietà” e “illogicità manifesta”. Essa, infatti, dapprima ha affermato non esservi “ragione per discostarsi dalle conclusioni del CTU, cui ha aderito il Tribunale”, giacché la consulenza, “per completezza e rigore d’indagine e logicità delle motivazioni va condivisa”, salvo, poi, “disattendere clamorosamente” – evidenziano i ricorrenti – “le risultanze della medesima CTU”, e ciò in punto di “inidoneità della barra paraincastro” dell’autocarro condotto dal Ca.An.
3.4. Il quarto motivo denuncia – ex art. 360, comma 1, n. 4), cod. proc. civ. – “nullità della sentenza o del procedimento per violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4), cod. proc. civ. e dell’art. 118, comma 1, disp. att. cod. proc. civ.”, e ciò “in punto di mancata ammissione di CTU medico-legale”, in ragione di “omessa totale motivazione”.
Si censura la sentenza impugnata perché la Corte felsinea avrebbe omesso di pronunciarsi sull’istanza di rinnovazione della CTU relativa alla dinamica del sinistro e su quella di svolgimento di CTU medico-legale “volta ad accertare la collocazione temporale del decesso di Da.Wi.”, così contravvenendo al principio secondo cui, in caso di rigetto di consimili istanze, il giudice di merito è tenuto a rendere adeguata motivazione, “dimostrando di poter risolvere, sulla base di corretti criteri, i problemi tecnici connessi alla valutazione degli elementi rilevanti ai fini della decisione”.
3.5. Il quinto motivo denuncia – ex art. 360, comma 1, n. 5), cod. proc. civ. – “nullità della sentenza o del procedimento per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione alla richiesta di CTU medico-legale”.
Assumono i ricorrenti che quanto lamentato con il quarto motivo, ovvero “la mancanza di qualsivoglia cenno in sentenza in ordine alla richiesta di CTU medico-legale”, sarebbe censurabile pure ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5), cod. proc. civ.
4. Hanno resistito all’avversaria impugnazione, con due distinti controricorsi, le società VV Assicurazioni e GG Italia, chiedendo che la stessa sia dichiarata inammissibile o, comunque, rigettata.
In particolare, la società VV Assicurazioni, oltre a eccepire l’inammissibilità dei motivi di ricorso ai sensi dell’art. 348-ter, ultimo comma, cod. proc. civ. (ricorrendo, nella specie, un’ipotesi di c.d. “doppia conforme di merito”), assume che la proposta impugnazione sarebbe pure improcedibile. Dal momento, infatti, che – nel corso del giudizio di appello – ebbe a verificarsi il fallimento della società Va., la riassunzione della causa verso la curatela e la conseguente richiesta di condanna in solido di tutti i convenuti, avrebbe determinato l’improcedibilità del presente ricorso.
Viene, infatti, richiamato il principio secondo cui, “proposta una domanda di risarcimento del danno da sinistro stradale nei confronti del proprietario del veicolo che ha causato il danno e del suo assicuratore della responsabilità civile, il fallimento del primo comporta l’improseguibilità di qualsiasi domanda di condanna sia nei suoi confronti, sia nei confronti del suo assicuratore, con conseguente devoluzione al Tribunale fallimentare, mediante istanza di ammissione al passivo, salvo che il danneggiato, dopo l’interruzione e la riassunzione del giudizio nei confronti della curatela, non rinunci ad ogni pretesa verso questa e si limiti a chiedere la condanna diretta dell’assicuratore”, evenienza, nella specie, non realizzatasi, giacché solo in questo caso “la partecipazione (per effetto del litisconsorzio necessario) dell’assicurato sottoposto a procedura concorsuale (in persona del curatore fallimentare o del commissario liquidatore) non rende operante la “vis attractiva” della procedura, giacché la pronuncia giudiziale non può incidere sulla massa e influire sulla “par condicio creditorum”” (Cass. Sez. 6-3, ord. 22 novembre 2017, n. 27756).
5. Ha resistito al ricorso dei Da.Le., Da.Da., Da.Fl., Da.Gi.-Ac.Te. anche la società UU Assicurazioni, chiedendone la reiezione, proponendo anche ricorso incidentale, sulla base di un solo motivo.
5.1. Attraverso di esso si richiede di modificare la sentenza della Corte felsinea, nel senso di porre pure le spese del primo grado di giudizio, da essa sopportate – e delle quali era stata disposta, da primo giudice, l’integrale compensazione tra tutte le parti in causa – a carico degli odierni ricorrenti.
6. Sono rimasti solo intimati la Ca.La., il Ri.Co., il Ca.An., le società Allianz, Ca.Re. e Ditta Va., oggi trasformata in Va. Trasporti Srl, nonché i soci di quest’ultima Va.Pa., Va.An. e Va.Gi., ed infine gli eredi del Gi.Vi., ovvero Vi.Co., Gi.Pi., Gi.Do. e Gi.Lu.
7. La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380-bis.1 cod. proc. civ.
8. I ricorrenti e le controricorrenti GG Italia e UU Assicurazioni hanno depositato memoria.
9. Non consta, invece, la presentazione di requisitoria scritta da parte del Procuratore Generale presso questa Corte.
Ragioni della decisione
10. Allo scrutinio dei due ricorsi, va premessa la disamina delle due eccezioni preliminari, sollevate da VV Assicurazioni.
10.1. Esse sono entrambe da disattendere.
10.1.1. Invero, quanto all’eccezione di inammissibilità del ricorso principale, formulata ai sensi dell’art. 348-ter cod. proc. civ., essa è infondata, dal momento che al presente giudizio non si applica tale norma. Difatti, nello stesso controricorso di VV Assicurazioni si dà conto che l’atto di appello venne notificato il 3 novembre 2011, circostanza che osta, “ratione temporis”, all’operatività della norma suddetta, circoscritta ai giudizi nei quali l’atto di appello risulti proposto con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione posteriormente all’11 settembre 2012 (cfr. Cass. Sez. 5, sent. 18 settembre 2014, n. 26860, Rv. 633817-01; in senso conforme, Cass. Sez. 6-Lav., ord. 9 dicembre 2015, n. 24909, Rv. 638185-01, nonché Cass. Sez. 6-5, ord. 11 maggio 2018, n. 11439, Rv. 648075-01).
10.1.2. Non fondata è anche l’eccezione di improcedibilità del ricorso principale.
Al di là, infatti, della confusione – operata dalla controricorrente – tra la ditta Gi.Vi., il soggetto effettivamente fallito, e la società Va. (confusione evidenziata dai ricorrenti nella propria memoria), dirimente è quanto si legge proprio nella sentenza di questa Corte richiamata da VV Assicurazioni, a sostegno dell’eccezione sollevata. Nella stessa, infatti, si afferma che, “sebbene l’accertamento del credito nei confronti del fallimento sia devoluto alla competenza esclusiva del giudice delegato, ai sensi degli artt. 52 e 93 della legge fallimentare, l’improponibilità della domanda in sede extrafallimentare e la rilevabilità d’ufficio in ogni stato e grado di tale vizio va coordinata con il sistema delle impugnazioni e la disciplina del giudicato, con la conseguenza che il vizio procedimentale, ove non dedotto come motivo di gravame, resta superato dall’intervenuto giudicato, senza che – in ragione del principio di conversione delle nullità in motivi di impugnazione e in armonia con il principio della ragionevole durata del processo -possa ulteriormente dedursi nelle successive fasi del giudizio” (così, in motivazione, Cass. Sez. 6-3, ord. 22 novembre 2017, n. 27756, Rv. 646954-01).
Da quanto precede, pertanto, emerge che VV Assicurazioni, lungi dal sollevare l’eccezione di improcedibilità del ricorso, avrebbe dovuto dolersi del vizio della sentenza impugnata con ricorso incidentale.
Fermo, infine, restando che resterebbe in ogni caso da stabilire se l’ipotetica improcedibilità attinga anche l’accertamento e non, invece, solo le conseguenti eventuali condanne.
11. Ciò detto, il ricorso principale va rigettato.
11.1. Il primo motivo non è fondato.
11.1.1. L’affermazione, compiuta da questa Corte e alla quale si richiamano i ricorrenti, secondo cui “il rapporto di polizia fa piena prova, fino a querela di falso, solo delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesti come avvenuti in sua presenza” (Cass. Sez. 3, sent. 6 ottobre 2016, n. 20025, Rv. 642611-01), non equivale, di certo, a ritenere che la stessa efficacia di piena prova assuma il contenuto, cioè la verità dei fatti oggetto di quelle dichiarazioni; a fare piena prova, in altri termini è il fatto storico che quelle dichiarazioni siano state rese, al pari degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta essere avvenuti in sua presenza. Anche, dunque, per i rapporti di polizia vale il principio – correttamente richiamato da VV Assicurazioni nel proprio controricorso – secondo cui “l’efficacia probatoria dell’atto pubblico, nella parte in cui fa fede fino a querela di falso, è limitata agli elementi estrinseci dell’atto, indicati all’art. 2700 cod. civ., e non si estende al contenuto intrinseco del medesimo, che può anche non essere veritiero” (da ultimo, Cass. Sez. 6-1, ord. 25 luglio 2019, n. 20214, Rv. 654964-01; nello stesso già Cass. Sez. 2, ord. 29 settembre 2017, n. 22903, Rv. 645568-01; Cass. Sez. 1, sent. 9 maggio 2013, n. 11012, Rv. 626337-01).
Ciò detto, la sentenza impugnata – nel dare preferenza a quanto dichiarato dal Ca.An. in sede di prova interpello, piuttosto che quanto riferito nell’immediatezza del sinistro e attestato nel rapporto di polizia – non ha violato l’art. 116 cod. proc. civ., non avendo valutando, come invece (infondatamente) sostengono i ricorrenti, secondo prudente apprezzamento una risultanza probatoria soggetta ad un diverso regime, ovvero quello di prova legale. La Corte territoriale, per contro, si è avvalsa del potere, che le compete e che è insindacabile nella presente sede di legittimità, “di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge” (cfr. da ultimo, tra le innumerevoli, Cass. Sez. 6-1, ord. 13 gennaio 2020, n. 331, Rv. 656802-01; in senso analogo pure Cass. Sez. 2, ord. 8 agosto 2019, n. 21887, Rv. 655229-01; Cass. Sez. 6-3, ord. 4 luglio 2017, n. 16467, Rv. 644812-01; Cass. Sez. 3, sent. 23 maggio 2014, n. 11511, Rv. 631448-01).
Del pari, e per le stesse ragioni, neppure può sostenersi che, accordando preferenza a quanto dichiarato dal Ca.An. in sede di interpello, la Corte felsinea abbia disatteso il principio secondo cui “la confessione giudiziale produce effetti nei confronti della parte che la fa e della parte che la provoca, ma non può acquisire il valore di prova legale nei confronti di persone diverse dal confitente”, giacché, come detto, essa ha solo operato, delle risultanze probatorie liberamente valutabili, una selezione di quelle ritenute più attendibili.
Né, infine, sussiste violazione dell’art. 115 cod. proc. civ. (censura, peraltro, neppure meglio esplicitata dai ricorrenti), norma che sancisce il principio secondo cui il giudice decide “iuxta alligata et probata partium”, giacché essa “può essere dedotta come vizio di legittimità solo denunciando che il giudice ha dichiarato espressamente di non dover osservare la regola contenuta nella norma, ovvero ha giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli” (Cass. Sez. 3, sent. 10 giugno 2016, n. 11892, Rv. 640192-01; in senso conforme Cass. Sez. Un., sent. 30 settembre 2020, n. 20867, Rv. 659037-01).
Il motivo, inoltre, è anche formulato in modo non aderente alle risultanze di causa: la dichiarazione del Ca.An. alla Polstrada – alla cui lettura questa Corte è abilitata, quale giudice del “fatto processuale”, essendo stato denunciato un “error in procedendo”, “sub specie” di violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. – è proprio del tenore riprodotto in sentenza, avendo il dichiarante riferito di aver udito immediatamente un forte urto, e non, come vorrebbe parte ricorrente, di aver udito un solo urto. Dopo le parole “un forte urto” seguono quelle “nella parte posteriore costatando che una Fiat Bravo mi aveva tamponato”.
Né, infine, è senza rilevo – ai fini del rigetto del presente motivo – la circostanza che la parte odierna ricorrente avrebbe potuto, in sede d’interrogatorio formale, sollecitare il giudice istruttore a chiedere chiarimenti ai sensi del comma 3 dell’art. 230 cod. proc. civ.
Infine, si omette completamente di dire – ciò che induce addirittura a dubitare della stessa ammissibilità del presente motivo – se (e dove) in sede di svolgimento del processo di merito, e soprattutto con l’appello, si era evidenziata la pretesa contraddittorietà delle dichiarazioni.
11.2. Il secondo motivo del ricorso principale è inammissibile.
11.2.1. L’assunto dei ricorrenti è che la preferenza accordata alle conclusioni del consulente tecnico di parte –, in relazione alla corretta installazione della barra paraincastro sull’autocarro condotto dal Ca.An. (veicolo contro il quale ebbe a collidere la vettura condotta dalla vittima del sinistro), pur a fronte dei rilievi svolti, a confutazione delle stesse, dal consulente tecnico d’ufficio in uno specifico elaborato, integrerebbe il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 5), cod. proc. civ., perché la “lettura della sentenza impugnata” rivelerebbe che “il documento non è stato affatto oggetto di esame da parte della Corte territoriale”.
Questo giudice di legittimità, tuttavia, ha affermato che la norma suddetta (nel testo “novellato” dall’art. 54, comma 1, lett. b, del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, testo applicabile “ratione temporis” al presente giudizio) “introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, nel cui ambito non è inquadrabile la consulenza tecnica d’ufficio”, trattandosi di “atto processuale che svolge funzione di ausilio del giudice nella valutazione dei fatti e degli elementi acquisiti (consulenza c.d. deducente) ovvero, in determinati casi (come in ambito di responsabilità sanitaria), fonte di prova per l’accertamento dei fatti (consulenza c.d. percipiente)”, e ciò “in quanto essa costituisce mero elemento istruttorio da cui è possibile trarre il “fatto storico”, rilevato e/o accertato dal consulente” (così Cass. Sez. 6-3, ord. 24 giugno 2020, n. 12387, Rv. 658062-01; in senso conforme Cass. Sez. 1, sent. 16 marzo 2022, n. 8584, Rv. 664367-01; Cass. Sez. 3, ord. 2 marzo 2023, n. 6322, Rv. 666970-01).
Ciò premesso, deve dunque ribadirsi che “ignorare gli esiti di una c.t.u. perché implicitamente ritenuti non convincenti è consentito e fa parte della facoltà del giudice di selezionare, dall’istruttoria, ai fini di richiamarli in sentenza, i soli dati che ritiene di porre a fondamento del proprio convincimento”, mentre ciò che, invece, gli risulta precluso è “smentire il fatto storico dell’essere stata espletata la consulenza”, trattandosi di evenienza che “mina la solidità della motivazione perché implicitamente dimostra che non è stato preso minimamente in considerazione, non perché non convincente, ma perché non si è neppure preso in considerazione il dato storico che essa sia stata effettuata, un elemento istruttorio di rilievo come la consulenza” (così, in motivazione, Cass. Sez. 6-2, ord. 5 luglio 2021, n. 18956, Rv. 662242-01, che richiama Cass. Sez. 6-3, ord. 30 gennaio 2019, n. 2736, non massimata).
Nel caso di specie, la sentenza impugnata non ha smentito “il fatto storico dell’essere stata espletata” la relazione del consulente d’ufficio in replica ai rilievi del tecnico di parte, sicché il motivo di ricorso risulta non fondato.
Corrobora tale conclusione, del resto, il rilievo che anche il presente motivo è formulato in modo non aderente alle risultanze di causa.
Sotto un primo profilo, da quanto si riproduce del supplemento di CTU, in particolare a pag. 27 del ricorso (prima proposizione sottolineata), non emerge affatto che la barra paraincastro fosse, in assoluto, inidonea, ma solo che non era stato possibile desumere, dalla sottoposizione della stessa a revisione, la sua idoneità.
Inoltre, sempre alla pag. 27 del ricorso, si omette di indicare se (e dove) il preteso fatto rappresentato nella CTU sarebbe stato oggetto di allegazione e discussione, così articolando una censura che si pone al di fuori della corretta formulazione del vizio di cui al n. 5) del comma 1 dell’art. 360 cod. proc. civ., la quale esige che il ricorrente non si limiti a dedurre quale sia in fatto “omesso” e la sua “decisività”, ma anche (ciò che non risulta avvenuto) il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale (cfr., Cass. Sez. Un., sent. 7 aprile 2014, n. 8054, Rv. 629831-01; in senso conforme Cass. Sez. 3, sent. 11 aprile 2017, n. 9253, Rv. 643845-01; Cass. Sez. 6-3, ord. 10 agosto 2017, n. 19987, Rv. 645359-01).
11.3. Il terzo motivo del ricorso principale non è fondato.
11.3.1. Non sussiste alcuna “irriducibile contraddittorietà” e “illogicità manifesta” nella motivazione della sentenza impugnata. Infatti, l’affermazione secondo cui non vi è “ragione per discostarsi dalle conclusioni del CTU, cui ha aderito il Tribunale”, giacché essa “per completezza e rigore d’indagine e logicità delle motivazioni va condivisa”, è esclusivamente riferita alle conclusioni dell’ausiliario secondo cui “la morte di Da.Wi. è addebitabile, quale causa efficiente ed esclusiva, dall’urto dal medesimo inferto all’autocarro Iveco e, quindi, alla condotta della stessa vittima”, e ciò avendo la predetta consulenza “ricostruito la sequenza temporale tra i tamponamenti a catena, evidenziando che l’urto inferto dal veicolo Fiat Bravo condotto da Da.Wi. all’autocarro Iveco 240 avvenne in un momento anteriore, anche se prossimo, al tamponamento dell’Alfa Romeo condotta da Ca.La. contro la Fiat Bravo e che fu il primo urto, addebitabile a Da.Wi., a causare l’incastro del veicolo dal medesimo condotto sotto il piano del piano di carico dell’autocarro”. E, dunque, in relazione alla (sola) ricostruzione della cinematica e dinamica del sinistro, operata dall’ausiliario del giudice, e alla conseguente conclusione che esclude “profili di responsabilità dell’Alfa Romeo nella causazione del decesso del Da.Wi.”, che va intesa l’affermazione della Corte bolognese circa l’assenza di ragioni “per discostarsi dalle conclusioni del CTU, cui ha aderito il Tribunale”.
11.4. I motivi quarto e quinto – che possono scrutinarsi congiuntamente, giacché censurano come vizio motivazionale, ovvero come omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, la decisione di non dare corso alla rinnovazione della CTU sulla dinamica del sinistro e allo svolgimento di CTU medico-legale -non sono fondati.
11.4.1. In disparte, infatti, il rilievo – che mina l’ammissibilità stessa dei motivi – che non si riferisce, in ricorso, se in sede di precisazioni delle conclusioni le richieste di CTU fossero state mantenute, deve darsi seguito al principio secondo cui “in tema di consulenza tecnica d’ufficio, il giudice di merito non è tenuto, anche a fronte di una esplicita richiesta di parte, a disporre una nuova CTU, atteso che il rinnovo dell’indagine tecnica rientra tra i poteri discrezionali del giudice di merito, sicché non è neppure necessaria una espressa pronunzia sul punto” (da ultimo, Cass. Sez. 3, sent. 29 settembre 2017, n. 22799, Rv. 645507-01), con la conseguenza che “l’eventuale provvedimento negativo non può essere censurato in sede di legittimità deducendo la carenza di motivazione espressa al riguardo, quando dal complesso delle ragioni svolte in sentenza, in base ad elementi di convincimento tratti dalle risultanze probatorie già acquisite e valutate con un giudizio immune da vizi logici e giuridici, risulti l’irrilevanza o la superfluità dell’indagine richiesta, non sussistendo la necessità, ai fini della completezza della motivazione, che il giudice dia conto delle contrarie motivazioni dei consulenti di fiducia che, anche se non espressamente confutate, si hanno per disattese perché incompatibili con le argomentazioni poste a base della motivazione” (da ultimo, Cass. Sez. 2, ord. 20 agosto 2019, n. 21525, Rv. 645507-01; nello stesso senso anche Cass. Sez. 3, sent. 15 luglio 2011, n. 15666, Rv. 619230-01).
Quanto, invece, alla censura relativa all’istanza di svolgimento di CTU medico-legale, anch’essa risulta non fondata.
Trova applicazione, infatti, il principio secondo cui la consulenza tecnica d’ufficio “è mezzo istruttorio diverso dalla prova vera e propria, sottratto alla disponibilità delle parti e affidato al prudente apprezzamento del giudice di merito, rientrando nel suo potere discrezionale la valutazione di disporre la nomina dell’ausiliario” (cfr., tra le molte, Cass. Sez. 6-1, ord. 13 gennaio 2020, n. 326, Rv. 656801-01). Esito, questo, che s’impone nel caso di specie, in ragione del fatto che l’espletamento di tale incombente era stato, nella sostanza, rimesso alla discrezione del giudice d’appello, come rivela l’impiego dell’espressione “ove ritenuto” (cfr. pag. 29 del ricorso), non prospettandosi, dunque, il suo mancato svolgimento alla stregua di un vizio della decisione del primo giudice. Tale circostanza, pertanto, “attenua” quel dovere di motivazione rigorosa che implica la dimostrazione, da parte del giudice “di poter risolvere, sulla base di corretti criteri, i problemi tecnici connessi alla valutazione degli elementi rilevanti ai fini della decisione”, sul quale insiste un certo filone della giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. Sez. Lav., ord. 16 dicembre 2022, n. 37027, Rv. 666208-01).
12. Anche il ricorso incidentale va rigettato.
13.1. Si legge, infatti, nello stesso – pag. 2 – che UU Assicurazioni si limitò a richiedere, innanzi al giudice d’appello, solo il rigetto del gravame proposto dai Da.Le., Da.Da., Da.Fl., Da.Gi. -Ac.Te., con condanna degli stessi “alla refusione delle maggiori spese del grado delle parti appellate costituite”, senza, però, impugnare la decisione del Tribunale piacentino di disporre l’integrale compensazione delle spese del primo grado di giudizio. Parimenti, la lettura della sentenza della Corte bolognese, di rigetto integrale del gravame dei già attori soccombenti (e di condanna degli stessi alle spese del secondo grado di giudizio) conferma che UU Assicurazioni, in merito alla disposta compensazione delle spese del giudizio di prime cure, non ebbe ad esperire alcun appello incidentale.
Ne consegue che deve darsi seguito al principio secondo cui il “potere del giudice d’appello di procedere d’ufficio ad un nuovo regolamento delle spese processuali, quale conseguenza della pronunzia di merito adottata sussiste in caso di riforma in tutto o in parte della sentenza impugnata, poiché gli oneri della lite devono essere ripartiti in ragione del suo esito complessivo, mentre in caso di conferma della sentenza impugnata” (che è quello verificatosi nell’ipotesi che occupa), “la decisione sulle spese può essere modificata dal giudice del gravame soltanto se il relativo capo della sentenza abbia costituito oggetto di specifico motivo d’impugnazione” (da ultimo, Cass. Sez. 1, ord. 13 luglio 2020, n. 14916, Rv. 658671-01; in senso conforme, tra le altre, Cass. Sez. 3, ord. 12 aprile 2018, n. 9064, Rv. 648466-01).
13. Le spese del presente giudizio di legittimità, quanto al rapporto processuale tra i ricorrenti principali e UU Assicurazioni, vanno integralmente compensate, in ragione della loro reciproca soccombenza.
Per il resto, invece, esse seguono la soccombenza, e vanno, pertanto, poste a carico dei ricorrenti principali e liquidate come da dispositivo in favore di GG Italia e VV Assicurazioni. Tuttavia, la peculiarità della presente vicenda, nonché, quanto alla posizione di VV Assicurazioni, il carattere defatigatorio delle eccezioni – di inammissibilità e improcedibilità del ricorso – da essa proposte, giustificano la compensazione delle spese nella misura del 50%, integrando altrettante ipotesi di “giusti motivi” ex art. 92 cod. proc. civ., norma applicabile “ratione temporis” nel testo anteriore alla modificazione apportata dall’art. 39-quater del decreto-legge 30 dicembre 2005, n. 273, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 febbraio 2006, n. 511, essendo stato il giudizio di primo grado instaurato con citazione notificata il 24 ottobre 2002.
14. Inoltre, a carico dei ricorrenti principali e della ricorrente incidentale, stante il rigetto dei rispettivi ricorsi, sussiste l’obbligo di versare, al competente ufficio di merito, un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto secondo un accertamento spettante all’amministrazione giudiziaria (Cass. Sez. Un., sent. 20 febbraio 2020, n. 4315, Rv. 657198-01), ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
15. Infine, per la natura della causa petendi, va di ufficio disposta l’omissione, in caso di diffusione del presente provvedimento, delle GGtà e degli altri dati identificativi dei ricorrenti principali, ai sensi dell’art. 52 del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale, condannando Da.Le., Ac.Te., Da.Gi., Da.Da. e Da.Fl. a rifondere, alle società GG Italia Spa e VV Assicurazioni Spa, le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate, per la prima, in complessivi Euro 5.400,00, e in Euro4.000,00 per la seconda, più – per entrambe – Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfetarie nella misura del 15% ed accessori di legge, compensandole nella misura del 50%; rigetta al ricorso incidentale, compensando integralmente le spese del presente giudizio di legittimità tra Da.Le., Ac.Te., Da.Gi., Da.Da. e Da.Fl. e la società UU Assicurazioni Spa; ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti principali e della ricorrente incidentale, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, all’esito dell’adunanza camerale della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, riconvocata il giorno 1 luglio 2024.
Depositato in Cancelleria il 12 luglio 2024.