…omissis…
Rilevato
a seguito di incidente stradale in cui la signora Mi.Ce., quando era terza trasportata su un’autovettura di proprietà della Sig.ra Sa.Ca., condotta da Ga.Fa. ed assicurata da ZZ Assicurazioni, perse la vita, la compagnia di assicurazioni versò delle somme ai tre figli della Ce. a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale da lesione del rapporto parentale, mentre negò ogni risarcimento ai nipoti. Questi adirono allora il Tribunale di Firenze perché, accertata la responsabilità esclusiva della Fa. nella produzione del sinistro, condannasse la compagnia al risarcimento dei danni anche in loro favore;
la ZZ si costituì in giudizio eccependo il concorso di colpa della terza trasportata, il difetto di legittimazione degli attori e l’infondatezza della quantificazione risarcitoria; rimasero contumaci la Fa. e la Sa.Ca.;
espletata istruttoria attraverso interrogatorio formale degli attori, l’acquisizione di affidavit comprovanti l’intensità del vincolo affettivo tra la defunta e i nipoti e l’espletamento di CTU medica, il Tribunale adito, riconosciuta la responsabilità della Fa. per il 75 % e della Ce. per il 25%, condannò la responsabile, la proprietaria dell’autovettura e la ZZ in solido al risarcimento dei danni patiti dagli attori;
a seguito di appello della ZZ volto ad accertare l’erronea legittimazione attiva dei nipoti, l’errata pronuncia sulla responsabilità della danneggiata, l’errata quantificazione dei danni e l’erronea statuizione sulle spese, la Corte d’Appello di Firenze ha accolto il gravame e per l’effetto ha respinto la domanda risarcitoria avanzata dai nipoti condannandoli a restituire a ZZ le somme corrisposte in esecuzione della sentenza di primo grado e le spese processuali di entrambi i gradi di giudizio;
per quanto ancora qui di interesse la Corte del gravame ha ritenuto che non fosse stata raggiunta la prova che tra la deceduta e i nipoti sussistesse un apprezzabile vincolo affettivo non potendo attribuirsi agli affidavit prodotti in atti il valore di prova piena ma solo di indizi, l’utilizzazione dei quali costituisce non un obbligo ma una facoltà del giudice di merito; la Corte ha altresì ritenuto che il contenuto delle dichiarazioni rilasciate dagli attori in sede di interrogatorio formale non potesse costituire fonte per l’ingresso nel processo di elementi istruttori favorevoli ai dichiaranti;
avverso la sentenza Da.Ce. + Altri Omessi hanno proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi;
ha resistito ZZ Insurance Company LTD con controricorso;
il ricorso è stato assegnato per la trattazione in Adunanza Camerale sussistendo i presupposti di cui all’art. 380-bis.1 c.p.c;
entrambe le parti hanno depositato memoria.
Considerato
con il primo motivo di ricorso – violazione e falsa applicazione degli artt. 2727, 2729, 2043, 2059 c.c., 115 e 116 c.p.c. artt. 2, 29 e 30 Cost. ai sensi dell’art. 360, co. 1 n. 3 c.p.c. – i ricorrenti lamentano che la Corte d’Appello ha erroneamente ritenuto non provato il rapporto affettivo esistente tra nonna e nipoti quando questo dovrebbe ritenersi in re ipsa, variando l’intensità dell’affetto solo ai fini del quantum; i ricorrenti richiamano la sentenza di primo grado che aveva adottato un criterio congruo per riconoscere un risarcimento ai nipoti. Secondo i ricorrenti la Corte di merito avrebbe erroneamente ritenuto necessaria la prova di un legame eccedente la normale relazione affettiva tra la nonna e i nipoti scambiando il criterio relativo al quantum con quello relativo all’an;
il motivo è inammissibile;
la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non è dedotta secondo i criteri indicati a suo tempo da Cass. n. 11892 del 2016 e ribaditi prima, in motivazione espressa, sebbene non massimata sul punto da Cass., Se. Un., n. 16598 del 2916 e, quindi, ex multis, da Cass., Sez. Un., n. 20867 del 2020, secondo cui: “In materia di ricorso per cassazione, la violazione dell’art. 115 c.p.c. può essere dedotta come vizio di legittimità solo denunciando che il giudice ha dichiarato espressamente di non dover osservare la regola contenuta nella norma, ovvero ha giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, e non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, ha attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre. In tema di ricorso per cassazione, la doglianza circa la violazione dell’art. 116 c.p.c. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione”;
la pretesa violazione degli artt. 2727 e 2729 c.c. non rispetta i criteri indicati da Cass., S.U. n. 1785 del 2018 in motivazione espressa ed ampia, sebbene non massimata (si vedano i paragrafi 4 e ss., cui si rinvia);
la violazione dell’art. 2059 c.c. è inammissibile ai sensi dell’art. 360- bis n. 1 c.p.c.: la tesi secondo cui ai nipoti sarebbe dovuto comunque un risarcimento senza la prova del legame affettivo particolare con i nonni è smentita dalla giurisprudenza consolidata di questa Corte secondo cui tra nonni e nipoti, ai fini della configurabilità del danno da perdita del rapporto parentale, l’effettività e consistenza della relazione parentale non può considerarsi in re ipsa ma deve essere provata (Cass., 3, n. 7743 dell’8/4/2020; Cass., 3, 21230 del 20/10/2016);
con il secondo motivo di ricorso – violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c. ai sensi dell’art. 360, co. 1 n. 3 c.p.c. – i ricorrenti lamentano che la Corte del gravame ha liquidato in modo eccessivo le spese in favore della ZZ;
l’assunto circa lo scostamento dai parametri di liquidazione è del tutto assertorio e generico, sicché impinge in inammissibilità alla stregua del consolidato principio di diritto di cui a Cass. n. 4741 del 2005, applicato, con particolare riferimento al motivo di ricorso concernente le spese liquidate dal giudice di merito da numerose pronunce secondo cui “In tema di liquidazione delle spese processuali, è inammissibile, per violazione del principio di autosufficienza, il ricorso per cassazione che, nel censurarne la complessiva quantificazione operata del giudice di merito, non indichi le singole voci della tariffa, per diritti ed onorari, risultanti nella nota spese, in ordine alle quali quel giudice sarebbe incorso in errore” (Cass., 1, n. 20808 del 2/10/2014; Cass., 1, n. 22983 del 29/10/2014; Cass., 5, n. 4990 del 25/2/2020);
dalle su esposte considerazioni consegue la declaratoria di inammissibilità del ricorso e la condanna dei ricorrenti a pagare, in favore della parte controricorrente, le spese del giudizio di cassazione liquidate come in dispositivo;
si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti di una somma a titolo di contributo unificato pari a quella per il ricorso, se dovuta.
P.Q.M.
La Corte dichiara il ricorso inammissibile. Condanna i ricorrenti a pagare, in favore della parte controricorrente, le spese del giudizio di cassazione che liquida in Euro 8.000 (oltre Euro 200 per esborsi), oltre accessori di legge e spese generali al 15%. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
