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Cassazione civile sez. III, 10/10/2017, n. 23655

Massima

In materia di contratti agrari, la morte del mezzadro non scioglie il rapporto se tra gli eredi vi sia persona idonea a proseguire l’attività agricola, in applicazione dell’art. 49, comma 3, della legge agraria, norma speciale che deroga agli artt. 2158 e 2168 c.c.. Ne consegue che le condotte poste in essere dall’erede subentrato, quali la realizzazione di nuovi manufatti edilizi o miglioramenti sul fondo, rientrando nelle facoltà tipiche del rapporto di mezzadria e nella normale attività di cura del fondo, non integrano gli estremi dell’interversione della detenzione in possesso e non sono, pertanto, idonee ad acquisire il bene per usucapione, poiché non manifestano un univoco animus domini.

Supporto alla lettura

CONTRATTO AGRARIO

E’ considerato agrario quel contratto che, attraverso il conferimento del fondo o del bestiame, è diretto a dar vita all’impresa agricola e a disciplinarne l’attività.

All’interno della categoria dei contratti agrari si distingue tra:

 affitto di fondo rustico (contratto di scambio o a natura commutativa): il proprietario cede il godimento del fondo in cambio di un corrispettivo;

 mezzadria, sòccida, colonia parziaria (contratti di natura associativa): la responsabilità della gestione dell’attività agricola ricade sul proprietario che concede il godimento del fondo sia sul concessionario che approva la propria capacità lavorativa. La L. 203/1982 ha vietato la stipulazione di nuovi contratti associativi, prevedendone la conversione in contratti di affitto.

L’affitto di fondo rustico è una speciale forma di affitto a tutela dell’affittuario (coltivatore diretto del fondo o meno), infatti il canone di affitto non può superare un certo limite, periodicamente stabilito da una commissione, relativamente a zone agrarie aventi uguali caratteristiche. Due sono gli elementi fondamentali della normativa sui fondi rustici:

 la previsione di bassissimi canoni di affitto;

 un lungo termine di durata di tali contratti (almeno 15 anni, ulteriormente aumentabile di altri 3 anni, ove l’affittuario lo richieda al locatore.

Nel caso in cui l’affittuario abbia migliorato il fondo, magari rendendolo più produttivo, allo scadere del contratto avrà inoltre diritto a una indennità, e se ha impiegato dei capitali per migliorare il fondo avrà diritto a una proroga di 12 anni della durata del contratto.

Se l’affittuario è un coltivatore diretto (cioè se coltiva il fondo personalmente e con l’aiuto dei familiari) la sua posizione è ulteriormente tutelata, infatti, negli ultimi decenni sono stati ripetutamente prorogati oltre la scadenza da varie leggi speciali. Nel caso di morte dell’affittuario, la proroga è concessa anche ai suoi eredi. Se il proprietario del fondo intende venderlo, spetta al coltivatore diretto (e anzi, anche ai coltivatori diretti dei fondi confinanti con quello in vendita) il diritto di prelazione sul fondo, cioè il coltivatore, a parità di prezzo offerto, andrà comunque preferito agli altri soggetti intenzionati ad acquistare il fondo.

La colonia parziaria è un contratto in cui il concedente e uno o più coloni si associano per la coltivazione di un fondo e per l’esercizio delle attività connesse, al fine di dividerne i prodotti e gli utili. La durata della colonia parziaria è stabilita per il tempo necessario affinché il colono possa svolgere e portare a compimento un ciclo normale di rotazione delle colture praticate nel fondo.

La mezzadria è l’associazione per la coltivazione di un podere e per l’esercizio delle attività connesse, al fine di dividere a metà i prodotti e gli utili. Colui che concede il fondo partecipa in misura uguale al mezzadro alle spese di conduzione, comprese anche quelle relative ai contributi previdenziali a favore di quest’ultimo; il concedente ha diritto soltanto al 36% della produzione vendibile; il resto è attribuito al mezzadro il quale si accolla anche il restante 50% delle spese di conduzione (oggi la conduzione a mezzadria non è più praticata ed è scomparsa dalla nostra agricoltura).

La sòccida è il contratto col quale il soccidante e il soccidario si associano per l’allevamento e lo sfruttamento di una certa quantità di bestiame e per l’esercizio delle attività connesse, al fine di ripartire l’accrescimento del bestiame e degli altri prodotti e utili che ne derivano. Esistono tre tipologie di sòccida:

 semplice:  il soccidante conferisce il bestiame e il soccidario provvede al suo allevamento e all’esercizio delle attività connesse;

 con conferimento di pascolo: quando il soccidario conferisce il bestiame e il soccidante conferisce il terreno e il pascolo;

 parziaria:  il bestiame è conferito da entrambi gli associati.

Ambito oggettivo di applicazione

Svolgimento del processo

che:

il Tribunale di Velletri, Sezione Specializzata Agraria, con sentenza pubblicata il 20 novembre 2013, pronunziando sulle cause riunite relative all’opposizione ai sensi dell’art. 615 codice di rito, depositata il 28 novembre 2011 e al giudizio di merito, ai sensi dell’art. 616 c.p.c., introdotto dall’opposizione ai sensi degli artt. 615 e 619 codice di rito, depositata il 23 aprile 2012, rigettava le opposizioni proposte da (omissis), figlio di (omissis) (deceduto nel (omissis)) e padre di (omissis) (debitore esecutato), avverso l’esecuzione della sentenza del Tribunale di Velletri, Sezione Specializzata Agraria n. 1371 del 2011 che aveva condannato (omissis), quale occupante senza titolo, al rilascio in favore della S.p.A. INF Società Agricola, di un terreno e relativa unità immobiliare siti in (omissis), compensando le spese del giudizio tra le parti;

avverso tale decisione (omissis) proponeva appello, con ricorso depositato il 16 maggio 2014, deducendo l’intervenuta interversione della detenzione in possesso e la conseguente acquisizione dell’immobile per intervenuta usucapione ultraventennale. Costituitosi tardivamente (omissis) aderiva all’appello principale, mentre la società agricola Genagricola Generali Agricoltura S.p.A., incorporante per fusione la INF Società agricola S.p.A. si opponeva all’impugnazione spiegando, in via riconvenzionale, appello incidentale per sentir accogliere l’eccezione di usucapione in favore della stessa società;

con sentenza depositata il 15 giugno 2015 la Corte d’Appello di Roma rigettava l’appello proposto da (omissis), con adesione di (omissis) condannando entrambi in solido al pagamento delle spese in favore della società appellata;

avverso tale decisione propone ricorso per cassazione (omissis)  sulla base di due motivi. Resiste la società agricola Genagricola-Generali Agricoltura-S.p.A. con controricorso e ricorso incidentale condizionato. (omissis) deposita controricorso per cassazione, con ricorso incidentale adesivo rispetto alla posizione del padre (omissis).

Avverso tale ultimo ricorso incidentale resiste la società agricola con controricorso. (omissis) deposita memoria ex art. 380 bis c.p.c..

Motivi della decisione

che:

con il primo motivo di ricorso (omissis) deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 11412152 e 2158 c.c. e omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, censurando la decisione della Corte secondo la quale l’edificazione di un nuovo manufatto edilizio ad opera di (omissis) nel (omissis), non fosse idonea a mutare lo stato di detenzione, in possesso ai fini della usucapione. Tale valutazione della Corte risultava errata sotto due profili: innanzitutto, una siffatta attività non avrebbe potuto essere qualificata come miglioramento, in secondo luogo la Corte aveva errato nel qualificare il titolo in base al quale (omissis) godeva del terreno agricolo, come mezzadria, in conseguenza del subentro quale erede di (omissis) nell’immobile in oggetto. Al contrario a seguito del decesso dell’originario mezzadro, il rapporto di mezzadria doveva ritenersi interrotto, attesa la mancata designazione da parte della famiglia colonica dell’erede idoneo a sostituire il defunto nel rapporto, così come richiesto all’art. 2158 c.c.. Dalle risultanze processuali emergeva che altro soggetto, Leonardo (omissis), fratello di (omissis) e zio di (omissis), aveva stipulato un contratto di affitto di fondo rustico con la società resistente. Pertanto, la realizzazione di un manufatto edilizio nuovo, nella specie un capanno, per iniziativa autonoma di (omissis), senza il consenso dei proprietari, costituiva una esternazione chiara di una pretesa dominicale sul bene rilevante ai fini della usucapione;

con il secondo motivo lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 2152 c.c. e omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia nella parte in cui la Corte territoriale ha sostenuto che tra le facoltà riconosciute al mezzadro rientra la possibilità di realizzare un manufatto edilizio nuovo e ciò costituirebbe un miglioramento. Al contrario, l’unico soggetto legittimato a realizzare siffatta opera è il concedente, che si avvale del lavoro del mezzadro. Al di fuori di tale ipotesi l’attività posta in essere da (omissis) deve essere qualificata quale interversione del possesso ai fini della usucapione;

con il ricorso incidentale condizionato la società agricola Genagricola rileva che poichè dalle allegazioni di controparte emerge che lo stesso avrebbe occupato il capanno dal (omissis) al (omissis), mentre con decorrenza 1 luglio 1989 il fondo sarebbe stato affittato a (omissis), fratello del ricorrente, quanto meno da tale data la società Genagricola vanterebbe, quale concedente, un possesso continuato ultraventennale rilevante ai fini dell’eccezione riconvenzionale di usucapione;

con ricorso incidentale (omissis) deduce la fondatezza del ricorso principale facendo propri i motivi spiegati dal ricorrente ed insistendo per l’accoglimento delle due censure oggetto del ricorso principale di (omissis);

i due motivi del ricorso principale possono essere trattati congiuntamente attenendo entrambi all’individuazione delle condotte rilevanti in termini di mutamento del titolo di detenzione, con conseguente interversione nel possesso, ai sensi dell’art. 1141 c.c.. Orbene, secondo i giudici di merito l’edificazione di un manufatto edilizio sul fondo da parte del mezzadro non configura un atto qualificabile come opposizione ai sensi dell’art. 1141 c.c. poichè, al contrario, l’esecuzione di miglioramenti rientra nelle facoltà del mezzadro e tale condotta non assume il carattere univoco del mutamento dell’animus del detentore; ciò in considerazione del disposto dell’art. 2148 c.c. che richiede che il mezzadro risieda stabilmente nel podere con la famiglia colonica. Nel caso di specie i giudici di merito hanno preso atto che, sulla base della stessa allegazione del ricorrente, emergeva che il padre, (omissis), aveva ricevuto in mezzadria, nell’anno (omissis), il fondo in oggetto e che nel (omissis) aveva realizzato una sorta di capanno, al fine di abitarlo con la propria famiglia. Successivamente al decesso dell’originario mezzadro, verificatosi nel (omissis), il figlio (omissis) aveva iniziato a possedere il fondo, subentrando nella relazione materiale con l’immobile e compiendo “nel disinteresse del proprietario-possessore, attività di coltivazione, manutenzione del fondo, godimento dei relativi frutti, di realizzazione di miglioramenti, sia del fondo, che del manufatto destinato ad abitazione della famiglia di chi coltiva il fondo, del medesimo tipo di quelle in precedenza compiute dal suo dante causa”. L’esecuzione di tali condotte, secondo i giudici di merito, non comportava un mutamento del titolo di detenzione poichè l’art. 1141 c.c. richiede che tale interversione nel possesso provenga da causa derivante da un terzo oppure dal compimento di attività materiali idonee in difetto di specifica opposizione del proprietario. Poichè la realizzazione di rientra tra i miglioramenti consentiti usucapione del fondo è stata rigettata;

il punto centrale riguarda la principalmente dalla realizzazione di ristrutturazione dell’originario capanno) un manufatto da parte dei (omissis) al mezzadro la dedotta intervenuta rilevanza della condotta costituita un manufatto (nuova esecuzione o ai fini della interversione nel possesso e conseguente usucapione. Ma tale questione è intimamente connessa al dato precedente, costituito dalla prospettazione, da parte del ricorrente principale (omissis) e incidentale, (omissis), di una detenzione sine titulo del fondo e del relativo edificio (assumendo che il rapporto mezzadrile, a seguito del decesso del dante causa sarebbe cessato, come previsto dall’art. 2158 c.c., anche perchè non vi era stata alcuna concorde designazione da parte della famiglia colonica, dell’erede ritenuto idoneo a sostituire il defunto nel rapporto) ovvero dalla prosecuzione del rapporto di mezzadria come motivato della Corte territoriale (che si riferisce al subentro di (omissis) nella relazione materiale con l’immobile oggetto del contratto di mezzadria concluso dal padre e dal continuo riferimento ai miglioramenti oggetto del contratto di mezzadria tra i quali rientrerebbe anche la costruzione ex novo del manufatto che (omissis) assume di avere realizzato nel (omissis));

la questione va risolta sulla base dell’art. 49, comma 3, legge agraria, che diversamente dall’art. 2058 c.c. in tema di mezzadria, si limita a prevedere che il contratto non si scioglie se tra gli eredi del mezzadro vi sia persona idonea a sostituirlo;

deve essere richiamato l’orientamento secondo cui, sulla base della norma citata, in caso di morte del colono o del mezzadro il contratto non si scioglie se tra gli eredi vi sia persona che abbia continuato e continui ad esercitare attività agricola in qualità di coltivatore diretto o di imprenditore a titolo principale, senza la necessità, prevista dagli artt. 2158 e 2168 cod. civ., che la famiglia colonica si sia accordata nel designare l’erede idoneo ed abbia comunicato tale designazione al concedente (Cass. n. 1938/83, mass n. 426780; Cass. n. 42/82, mass n 417728 e, da ultimo, Sez. 3, Sentenza n. 2741 del 07/04/1988, Rv. 458399);

applicando la disciplina speciale (art. 49) e non quella del codice civile non è necessaria la designazione e neppure la comunicazione; pertanto, come rilevato dalla Corte territoriale, (omissis) è subentrato nel rapporto di mezzadria che faceva capo al padre (omissis). Se questi subentra, le condotte poste in essere non hanno quel carattere di univocità che consente di differenziarle rispetto alla normale attività di cura del fondo e di realizzazione dei miglioramenti propria di qualsiasi mezzadro. Questa corte deve rilevare che, nell’insindacabile valutazione in fatto operata dalla Corte d’Appello, non è contestato che (omissis) sia subentrato nella relazione materiale con il fondo e con il capanno ed abbia continuato a coltivare e mantenere il fondo, realizzare miglioramenti, ristrutturare o costruire ex novo il manufatto che, quindi, abbia abitato con la propria famiglia e che fosse coltivatore diretto e che tale attività è stata svolta per moltissimi anni. Pertanto la Corte territoriale ha verificato la sussistenza dei presupposti dell’art. 49 della legge agraria con la conseguenza giuridica che il rapporto di mezzadria non è cessato;

per il resto, la censura relativa al vizio di motivazione è inammissibile perchè riferita al precedente testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5;

il ricorso incidentale del figlio (omissis) risulta tardivo, trattandosi di ricorso incidentale adesivo che avrebbe dovuto essere proposto nel termine di sei mesi dalla pubblicazione della sentenza e, in ogni caso, segue la sorte di quello del padre, (omissis), mentre il ricorso incidentale condizionato della società agricola è assorbito;

ne consegue che il ricorso principale e quello incidentale devono essere rigettati, mentre quello incidentale è assorbito; le spese del presente giudizio di cassazione – liquidate nella misura indicata in dispositivo – seguono la soccombenza, dandosi atto della insussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. n. 228 del 2012art. 1, comma 17 trattandosi di controversia agraria.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso principale e quello incidentale, dichiara assorbito il ricorso incidentale condizionato e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese in favore della controricorrente, liquidandole in Euro 7.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 10 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 10 ottobre 2017

Allegati

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