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Cassazione civile sez. III, 10/03/2006, n. 5235

Massima

In tema di responsabilità per i danni causati agli utenti dal difetto di manutenzione delle strade pubbliche, ai fini dell’individuazione dell’ente tenuto alla manutenzione dei tratti di strade statali e provinciali interni all’abitato, il limite di ventimila abitanti, al quale l’art. 7, lett. c, l. 12 febbraio 1958 n. 126 subordina l’assoggettamento di tali segmenti al regime proprio delle strade comunali, non dev’essere riferito al comune nella sua interezza, ma alla singola frazione attraversata dalla strada e topograficamente separata dal comune di appartenenza. La diversità di tale regime rispetto a quello dei tratti di dette strade che attraversano abitati aventi una popolazione superiore a ventimila abitanti trova giustificazione nel fatto che, in questo caso, l’elevata consistenza della popolazione della frazione determina la prevalente utilizzazione della strada per il traffico locale, con conseguente onere della manutenzione a carico dell’ente locale, e su di essa non ha inciso la l. 28 febbraio 1967 n. 105, la quale si è limitata a provvedere in materia di servizi urbani, quali l’illuminazione stradale e le fognature.

Supporto alla lettura

Responsabilità cose in custodia

La responsabilità di cui all’art. 2051 c.c. ha carattere oggettivo, e non presunto. pertanto, ai fini della responsabilità delle cose in custodia è sufficiente la dimostrazione da parte dell’attore del nesso di causalità fra cosa in custodia e danno.

Ambito oggettivo di applicazione

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto notificato il 10.11.1981 (omissis) e (omissis), la prima in nome proprio e quale madre dei figli minori (omissis), (omissis) e (omissis), esponevano: che la sera del (omissis), (omissis), marito della (omissis) e padre degli altri attori, mentre alla guida di un motociclo percorreva la Via (omissis), che da Priolo conduce a Siracusa, a causa di una profonda buca esistente nel manto stradale, non segnalata e resa invisibile dalla pioggia che cadeva copiosa e l’aveva colmata d’acqua, era caduto dal veicolo riportando gravi lesioni in conseguenza delle quali era deceduto; che il procedimento penale instaurato a carico di (omissis), cantoniere alle dipendenze dell’Amministrazione provinciale di Siracusa, imputato di omicidio colposo per avere omesso la manutenzione della strada e la segnalazione del pericolo, si era concluso con sentenza del 25.10.1979 di non luogo a procedere per intervenuta prescrizione del reato, divenuta definitiva a seguito della sentenza della Corte d’appello di Catania del 21.10.1980; che risultava acclarata la responsabilità del (omissis) in ordine al sinistro e conseguentemente della Amministrazione tenuta in solido con il proprio dipendente per il fatto illecito di quest’ultimo. Tanto premesso, convenivano davanti al Tribunale di Siracusa il (omissis) e la Provincia di Siracusa per sentirli condannare al risarcimento dei danni loro derivati dalla morte del congiunto.

I convenuti resistevano. Assumevano che l’incidente era da attribuire alla colpa esclusiva o, in subordine, concorrente della vittima.

La Provincia eccepiva la prescrizione del diritto al risarcimento del danno e chiedeva di essere tenuta indenne dal (omissis).

Nel corso del giudizio (omissis), (omissis) e (omissis), divenuti maggiorenni, si costituivano facendo proprie le domande proposte dalla madre in loro nome.

Il Tribunale, con sentenza dell’8.1.1994, dichiarava responsabile del sinistro il (omissis), con la colpa concorrente del (omissis) nella misura del 30%; condannava i convenuti in solido a pagare a ciascuno degli attori la somma di L. 30.800.000 oltre interessi ed al rimborso di due terzi delle spese di lite.

Avverso la sentenza proponeva appello la Provincia. Lamentava il rigetto dell’eccezione di prescrizione ed eccepiva il proprio difetto di titolarità passiva del rapporto controverso, per essere il Comune di Siracusa obbligato alla manutenzione della strada in cui si era verificato l’incidente; in subordine, chiedeva il riconoscimento della colpa prevalente della vittima, la riduzione dell’ammontare del risarcimento, la condanna del (omissis) a tenerla indenne.

Resistevano la (omissis) ed i (omissis) che, con appello incidentale, si dolevano del riconoscimento del concorso di colpa della vittima.

Nelle more del giudizio di appello decedeva il (omissis), rimasto contumace, e la (omissis) ed i (omissis) provvedevano a notificare l’appello incidentale ai figli (omissis), (omissis), (omissis) ed (omissis). I primi due restavano contumaci, mentre si costituivano gli altri due, che eccepivano il difetto di legittimazione passiva, assumendo di non aver accettato l’eredità del padre, deceduto senza testamento.

La Corte d’appello di Catania, con sentenza del 16.12.2000, rigettava l’appello della Provincia e, in accoglimento dell’appello incidentale, escludeva il concorso di colpa della vittima e condannava la Provincia a pagare a ciascuno dei danneggiati la somma di L. 44.000.000, oltre l’ulteriore rivalutazione secondo gli indici ISTAT dal 2.6.1993 ed interessi legali dal 14.2.1971; confermava la statuizione di primo grado nei confronti del (omissis), non appellante; condannava la Provincia al pagamento delle spese del doppio grado.

Avverso la sentenza la Provincia regionale di Siracusa ha proposto ricorso per Cassazione, affidandone l’accoglimento a sei motivi, illustrati con memoria.

Hanno resistito, con controricorso, la (omissis) ed i (omissis).

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE
1. I resistenti hanno eccepito l’inammissibilità del ricorso per difetto di capacità processuale, poichè la procura all’avv. (omissis) è stata conferita dal Presidente senza previa autorizzazione della giunta provinciale.

1.1. L’eccezione va disattesa.

La ricorrente ha depositato, ai sensi dell’art. 372 c.p.c., la Delib. della giunta provinciale n. 946 del 18.12.2001, menzionata nell’intestazione del ricorso, recante l’autorizzazione al Presidente di proporre ricorso per Cassazione avverso la sentenza della Corte d’Appello n. 842/2000, in tal modo sanando l’omessa produzione dell’atto.

2. Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione della L. 12 febbraio 1958, n. 126, art. 7, lett. c), in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Assume la ricorrente che erroneamente la Corte d’appello, nell’interpretare la L. 12 febbraio 1958, n. 126, art. 7, lett. c), secondo cui sono strade comunali, “le strade all’interno degli abitati, eccetto i tratti interni di strade statali o provinciali che attraversano abitati con popolazione non superiore a ventimila abitanti”, ha ritenuto che l’espressione “abitati” usata dal legislatore fa riferimento non all’intero comune del quale fa parte la zona attraversata dalla strada statale o provinciale, ma al singolo nucleo abitativo.

Sostiene che, con tale interpretazione si manterrebbe l’onere della manutenzione a carico dello Stato e delle province per strade attraversanti “abitati” con popolazione sino a 20.000 abitanti: il che equivale a dire che l’onere di manutenzione resta di fatto sempre a carico dello Stato e delle province, e che la norma va invece intesa come volta a stabilire che i Comuni, con popolazione nel loro territorio superiore a 20.000 abitanti, hanno a loro carico l’onere di provvedere alla manutenzione delle strade statali e provinciali nei tratti di strada che attraversano centri abitati di qualsiasi dimensione abitativa, e ciò in ragione del fatto che in tali tratti l’onere di manutenzione discende più dall’uso interno degli abitanti della zona piuttosto che dal normale traffico.

2.1. Il motivo non è fondato.

2.1.1. La Corte d’Appello ha ritenuto infondata l’eccezione di difetto di legittimazione passiva, formulata dalla Provincia di Siracusa sul rilievo che il tratto di strada sul quale si era verificato l’incidente deve ritenersi strada comunale, a norma della L. 12 febbraio 1958, n. 126, art. 7, lett. c), secondo cui sono strade comunali, tra l’altro, le strade all’interno degli abitati, eccetto i tratti interni di strade statali o provinciali – che attraversano abitati con popolazione non superiore a ventimila abitanti, poichè la frazione di Priolo faceva parte all’epoca del Comune di Siracusa, avente popolazione superiore a 20.000 abitanti.

Ha infatti osservato la Corte che la citata la norma, nella sua formulazione letterale, non fa riferimento ai comuni, bensì agli abitati, onde deve ritenersi che il numero degli abitanti, dal quale dipende l’inserimento o meno tra le strade comunali, va riferito non all’intero comune del quale fa parte la zona attraversata dalla strada statale o provinciale, ma al singolo nucleo abitativo, e quindi, nella specie, alla frazione di Priolo, che conta meno di 20.000 abitanti, sicchè la strada deve considerarsi provinciale ad ogni effetto.

2.1.2. Nel caso in esame, la Corte d’appello ha vagliato l’applicabilità della norma dettata dalla L. n. 126 del 1958, art. 7, lett. c), (vigente all’epoca del sinistro, 13.2.1971, non rilevando la disciplina dettata dal D.Lgs. n. 285 del 1992 recante il nuovo codice della strada) ad una ipotesi caratterizzata dall’attraversamento, da parte di una strada provinciale, di un “abitato”, costituito da una frazione (quella di Priolo), topograficamente separata dal comune (quello di Siracusa) al quale appartiene, ed avente quindi autonoma rilevanza, ed ha ritenuto che la consistenza dell’abitato, in termini di popolazione, dovesse essere accertata non già con riferimento al comune nella sua interezza, bensì alla frazione, in ragione della sua materiale separatezza.

Tale lettura della norma va ritenuta corretta.

Il citato art. 7, ai fini della qualificazione delle strade come comunali, considera espressamente l’ipotesi del comune articolato in frazioni, menzionando queste sia nella lettera a) (sono comunali le strade che “congiungono il maggior centro del comune con le sue frazioni”, che nella lettera b) (sono comunali le strade che “congiungono le frazioni del comune tra loro”) . La lettera c) (sono comunali “le strade all’interno degli abitati, eccetto i tratti interni di strade statali o provinciali che attraversano abitati con popolazione non superiore a ventimila abitanti”), non specifica che l’attraversamento deve riguardare “abitati di comuni”, ma adotta il termine “abitati”, riferibile, nella sua genericità, sia al nucleo abitato costituito da un comune, sia a quello costituito da una frazione.

Consegue che, in base alla menzionata lettera c), la strada statale o provinciale che attraversa l’abitato di una frazione topograficamente separata dal comune di appartenenza, avente meno di ventimila abitanti non perde la sua qualificazione, mentre rientra nel regime delle strade comunali qualora una frazione siffatta abbia una popolazione superiore al detto limite. Modificazione di regime che trova giustificazione nel fatto che l’elevata consistenza della popolazione della frazione determina la prevalente utilizzazione della strada per il traffico locale, con conseguente onere della manutenzione a carico dell’ente locale.

Va altresì precisato che la L. n. 126 del 1958, art. 7, lett. c), non è stato modificato dall’articolo unico della L. 28 febbraio 1967, n. 105 (secondo cui: Per i tratti di strada che attraversano abitati di comuni con popolazione non superiore a ventimila abitanti e che fanno parte della rete delle strade provinciali giusta la lettera della L. 12 febbraio 1958, n. 126, art. 7, resta ferma la competenza dei comuni per tutti gli adempimenti relativi ai servizi urbani comunque interferenti con i suddetti tratti di strade), trattandosi di disposizione che si è limitata a provvedere in materia di servizi urbani, quali l’illuminazione stradale e le fognature (sent. n. 11361/96, con la quale la presente decisione non si pone in contrasto, circa l’interpretazione dell’art. 7, poichè la citata sentenza non ha preso in esame la fattispecie che ha dato origine alla attuale controversia).

3. Con il secondo motivo, denunciando violazione dell’art. 2043 c.c., omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 e n. 5, assume la ricorrente che erroneamente la Corte territoriale ha escluso il concorso di colpa del (omissis), la cui sussistenza era invece desumibile dal fatto che il motociclista era a conoscenza dello stato di dissesto del tratto di strada nel quale si è verificato il sinistro, e che avrebbe dovuto condurre a negare in radice la configurabilità dell’insidia, e la conseguente responsabilità dell’ente proprietario, per carenza del requisito soggettivo.

3.1. Il motivo non è fondato.

3.1.1. Ha ritenuto la Corte d’appello, in punto di accertamento della responsabilità dell’incidente, che infondatamente la Provincia pretendeva di addebitarla in misura esclusiva o prevalente al (omissis), dovendosi invece riconoscere, come preteso dagli appellanti incidentali, la piena responsabilità dell’Amministrazione provinciale, atteso che la buca nella quale era incorso il motociclo, larga circa un metro, profonda circa due palmi e ricoperta di acqua piovana, data l’ora notturna e la mancanza di illuminazione pubblica, presentava i requisiti della non visibilità e della imprevedibilità che integrano il concetto di insidia e che valgono a configurare la responsabilità della P.A. ai sensi dell’art. 2043 c.c..

Ha ancora considerato la Corte territoriale che non era configurabile il concorso di colpa della vittima, atteso che, per un verso, non risultava da alcun elemento del processo che il (omissis) conoscesse bene la strada in questione, essendo solito percorrerla, circostanza comunque non decisiva ai fini della presunzione di conoscenza, non potendosi affermare che colui che percorre abitualmente una strada debba avere cognizione in ogni momento di tutte le caratteristiche di essa e di tutti i pericoli che la stessa presenta, e, per altro verso, che non era stato accertato che il motociclo procedesse a velocità eccessiva.

3.1.2. La motivazione posta dalla Corte a fondamento del riconoscimento della responsabilità del sinistro a carico della Provincia, sotto il profilo della sussistenza di una insidia stradale, e dell’esclusione del concorso di colpa della vittima è congrua, ed il relativo apprezzamento si sottrae quindi al sindacato di legittimità.

4. Con il terzo motivo, denunciando omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, la ricorrente rileva che, se dovesse ritenersi conciliabile il concorso di colpa della vittima con la responsabilità dell’ente proprietario della strada, dovrà essere rimessa al Giudice di appello la valutazione della reale incidenza percentuale di tale concorso.

4.1. Il motivo è infondato.

Premesso che, secondo la più recente giurisprudenza di questa Corte (sent. n. 17152/2002), la responsabilità colposa della P.A. in caso di insidia stradale ex art. 2043 c.c. è astrattamente compatibile con il concorso del fatto colposo del danneggiato, tutte le volte in cui il fatto stesso non sia idoneo ad interrompere il nesso causale tra l’evento ed il comportamento colposamente omissivo dell’ente pubblico, va rilevato che il motivo postula l’esito positivo della precedente censura, e dal rigetto di quella resta quindi assorbito.

5. Il quarto motivo denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2947 c.c., comma 3; violazione degli artt. 74 e 87 disp. att. c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3; omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5.

Assume la ricorrente che la Corte non poteva utilizzare ai fini decisionali, quale prova dei fatti interruttivi della prescrizione, i documenti attestanti la costituzione di parte civile e la citazione del responsabile civile, perchè non ritualmente acquisiti agli atti del processo.

5.1. Il motivo non è fondato.

5.1.1. Ha statuito la Corte d’appello che l’eccezione di prescrizione, formulata dalla Provincia sul rilievo che l’incidente si era verificato il 14.2.1971 e la citazione era stata notificata l’11.11.1981, quando già era decorso il termine di prescrizione, derivante dall’applicazione dell’art. 2947 c.c., comma 3, che estende all’azione civile il più lungo termine stabilito per il reato (nella specie: omicidio colposo, soggetto alla prescrizione decennale), era infondata.

Ha osservato al riguardo che la prescrizione era stata interrotta sia dalla costituzione di parte civile effettuata il 26.6.1971 dalla (omissis), in proprio e nel nome dei figli, nel procedimento penale contro il (omissis), ed aveva ripreso a decorrere dalla data del passaggio in giudicato della sentenza di proscioglimento (pronunciata il 25.10.1979 e confermata il 21.10.1980), sia della citazione in quel giudizio, con atto notificato il 24.3.1977, della Provincia di Siracusa, quale responsabile civile; ed ha ancora rilevato che la documentazione dei suindicati fatti interruttivi non poteva ritenersi irritualmente prodotta in grado di appello, per non essere stati menzionati gli atti nell’indice del fascicolo di parte, sia perchè aventi ad oggetto fatti incontroversi, sia perchè già depositati in primo grado, come risulta dal verbale dell’udienza dell’8.4.1992, nel quale si da atto della produzione di copia conforme della sentenza del Tribunale penale di Siracusa del 5.10.1979 e degli atti penali relativi, tra i quali devono ritenersi compresi quelli suindicati.

5.1.2. La ricorrente, mentre non censura l’applicazione del termine prescrizionale decennale ex art. 2947 c.c., comma 3, e l’efficacia prima interruttiva e poi sospensiva del decorso della prescrizione della costituzione di parte civile e della citazione del responsabile civile nel processo penale a carico del dipendente dell’ente, addebita alla Corte di aver tratto la prova dei suindicati fatti da documenti irritualmente acquisiti al processo in grado di appello.

Ma la doglianza è infondata. La Corte Territoriale ha infatti tenuto conto delle copie della dichiarazione di costituzione di parte civile e – della citazione del responsabile civile inserite nel fascicolo di parte degli appellati, sul rilievo che non si trattava di nuova produzione, ma di atti già prodotti in primo grado all’udienza (in conformità al dettato dell’art. 87 disp. att. c.p.c., secondo periodo), come la Corte ha desunto dal verbale dell’udienza dell’8.4.1992, attestante la produzione di copia conforme della sentenza del Tribunale penale di Siracusa del 5.10.1979 e degli atti penali relativi, tra i quali correttamente la Corte Territoriale ha ritenuto compresi quelli suindicati.

6. Il quinto motivo denuncia violazione dell’art. 2956 c.c. in relazione all’art. 1226 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3; omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5.

Rileva la ricorrente che la Corte d’appello ha ritenuto di confermare la liquidazione del danno compiuta dal tribunale facendo ricorso al criterio equitativo, che tuttavia, per il suo carattere sussidiario, è ammesso solo in relazione alla impossibilità di provare le componenti del danno, ed avrebbe operato una indiscriminata commistione tra danno morale e danno patrimoniale.

6.1. Il motivo è infondato.

Osserva il Collegio che, vertendosi in tema di danno patrimoniale futuro e di danno morale dei congiunti, correttamente i giudici di merito hanno fatto ricorso ad una valutazione equitativa, che è stata compiuta con riferimento a parametri logici e congrui, quali sono quelli enunciati dalla Corte d’appello (la giovane età, anni 31, del defunto, la potenzialità di lavoro e di reddito del medesimo, la giovane età della vedova, il numero e la minore età dei figli, la presumibile durata del mancato apporto economico del defunto, gli stretti vincoli di parentela).

7. Il sesto motivo denuncia violazione dell’art. 2956 c.c.; violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3; omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5.

Assume la ricorrente che la Corte d’appello avrebbe erroneamente posto a suo carico l’ulteriore svalutazione monetaria verificatasi dopo la sentenza di primo grado, nonostante gli appellanti incidentali non avessero mosso alcuna censura alla liquidazione del danno.

7.1. Il motivo non è fondato.

Per costante giurisprudenza, l’obbligazione del risarcimento del danno derivante da fatto illecito integra un debito di valore, in quanto tende alla reintegrazione del patrimonio della parte lesa nella situazione in cui si sarebbe trovata se non si fosse verificato l’evento dannoso, con la conseguenza che l’adeguamento della liquidazione alla svalutazione intervenuta nel periodo compreso tra la sentenza di primo grado e là decisione in grado di appello può essere compiuto dal Giudice d’ufficio (sent. n. 3072/95; n. 3146/89).

8. In conclusione, il ricorso è rigettato.

9. Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese del giudizio di Cassazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di Cassazione.

Così deciso in Roma, il 7 dicembre 2005.

Depositato in Cancelleria il 10 marzo 2006

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