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Cassazione civile sez. III, 09/07/2024, n. 18817

Massima

Ove una determinata questione giuridica – che implichi un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga detta questione in sede di legittimità ha l’onere, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegarne l’avvenuta deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente vi abbia provveduto, onde dare modo alla Corte di cassazione di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione prima di esaminare nel merito la questione stessa.

Supporto alla lettura

RESPONSABILITA’ CIVILE

La responsabilità civile si riferisce a comportamenti illeciti che violano le norme del codice civile. Può essere di due tipi: contrattuale o extracontrattuale. Come conseguenza il responsabile deve effettuare un risarcimento del danno causato.

Ambito oggettivo di applicazione

FATTI DI CAUSA

1. La Regione Marche ricorre, sulla base di due motivi, per la cassazione della sentenza n. 912/19, del 4 giugno 2019, della Corte d’appello di Ancona, che – accogliendo parzialmente il gravame, esperito in via di principalità dalla Provincia di Pesaro e Urbino avverso la sentenza n. 501/14, del 25 gennaio 2014, del Tribunale di Pesaro (respinto, invece, quello incidentale della stessa Regione) – l’ha condannata, in via esclusiva, a risarcire a A.A. il danno alla vettura di sua proprietà, originato dalla collisione della stessa con un animale selvatico.

2. Riferisce, in punto di fatto, l’odierna ricorrente che la A.A. ebbe a convenirla in giudizio, chiedendo il ristoro del danno materiale patito, allorché il veicolo di proprietà della stessa – nell’occasione, condotto da terzi – ebbe a scontrarsi con un capriolo, il 9 aprile del 2010, lungo la strada statale n. 73 – bis.

Poiché la Regione aveva, tra l’altro, eccepito, sulla base della legislazione statale e regionale vigente, il proprio difetto di legittimazione passiva, l’attrice estendeva la domanda nei confronti della Provincia di Pesaro e Urbino, conseguendo, peraltro, la condanna risarcitoria, in solido, di entrambi tali enti, all’esito del primo grado di giudizio.

Proposto appello principale dalla Provincia, il mezzo veniva, accolto esclusivamente in relazione al dedotto difetto di legittimazione passiva, essendo, per il resto, respinto, come, d’altra parte, pure il gravame incidentale della Regione. Quest’ultima, in particolare, oltre a riproporre una simmetrica eccezione di carenza di “legitimatio ad causam”, assume pure di aver chiesto riformarsi la sentenza del primo giudice in relazione tanto alla mancata allegazione e prova – da parte dell’attrice – dell’altrui condotta colposa, quanto alla carente dimostrazione del nesso causale tra la stessa e il danno patito.

Il giudice di appello, infatti, riteneva che la responsabilità per i danni, alla circolazione stradale, da fauna selvatica facesse capo alla Regione, gravando su di essa “l’obbligo di predisporre tutte le misure idonee ad evitare che gli animali selvatici arrechino danni a persone o cose”, danni dei quali essa è, pertanto, “chiamata a rispondere ex art. 2043 cod. civ.”.

3. Avverso la sentenza della Corte dorica ha proposto ricorso per cassazione la Regione Marche, sulla base – come detto – di due motivi.

3.1. Il primo motivo denuncia – ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. – violazione ed errata applicazione della legge 11 febbraio 1992, n. 157, del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, della legge regionale della Regione Marche 5 gennaio 1995, n. 7, oltre ad errata applicazione dell’art. 34 – bis della stessa legge regionale n. 7 del 1995, nonché violazione e falsa applicazione degli artt. 1, comma 3, e 9, della legge n. 157 del 1992, degli artt. 2, 3, 25, 34 – bis, 35, 41 e 42 della già citata legge regionale n. 7 del 1995.

Si censura la sentenza impugnata per aver “completamente disatteso il quadro giuridico esistente nella Regione Marche”, in tema di fauna selvatica, al momento del sinistro, che avrebbe dovuto condurre la Corte territoriale ad accogliere l’eccezione di difetto di legittimazione di essa Regione.

Difatti, ai sensi degli artt. 1 e 9 della legge n. 157 del 1992, alle Province delle Regioni a statuto ordinario spettava attuare, ai sensi dell’art. 14, comma 1, lett. f), della legge 8 giugno 1990, n. 142, la disciplina legislativa regionale in materia di gestione e tutela di tutte le specie di fauna selvatica, nonché l’esercizio delle funzioni amministrative di protezione della fauna selvatica, di interesse esclusivamente locale. Il legislatore del 1992 aveva, dunque, disposto nella materia della fauna selvatica – nel rispetto dell’art. 118, comma 1, Cost. – in coerenza con quanto già stabilito dall’art. 2 della legge n. 142 del 1990, e come poi confermato dagli artt. 3 e 9 del D.Lgs. n. 267 del 2000 (recante il nuovo Testo Unico sulle autonomie locali), ovvero realizzando un’ipotesi di decentramento amministrativo, conservando alle Regioni solo funzioni di coordinamento e programmazione; nella medesima direzione, pertanto, si era mossa anche la legge regionale delle Marche n. 7 del 1995, nel testo vigente “ratione temporis” al momento del sinistro.

Sulla base, dunque, di tale quadro normativo, la stessa giurisprudenza di questa Corte non avrebbe mai dubitato del fatto che, in relazione ai danni da fauna selvatica, la responsabilità facesse capo alle singole Province interessate, e non alla Regione (sono richiamate Cass. Sez. 3, sent. 8 gennaio 2010, n. 80 e Cass. Sez. 6 – 3, ord. 14 settembre 2019, n. 23151).

Di nessun rilievo, infine, è – secondo la ricorrente – il riferimento all’art. 34 – bis della legge regionale n. 7 del 1995 (peraltro, poi abrogato a decorrere dal 1 gennaio 2016, dall’art. 11, comma 10, della legge regionale 21 dicembre 2015, n. 28), che prevedeva una misura indennitaria, e non risarcitoria, per i danni alla circolazione stradale cagionati dalla fauna selvatica.

3.2. Il secondo motivo denuncia – ai sensi, rispettivamente, dei nn. 3) e 5) del comma 1 dell’art. 360 cod. proc. civ. -violazione ed errata applicazione degli artt. 2043 e 2697 cod. civ., oltre che degli artt. 163, 164, 112 e 115 cod. proc. civ., nonché “omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia”.

Si assume l’erroneità della sentenza impugnata anche “nella parte in cui ha ritenuto provati tutti gli elementi costitutivi dell’illecito aquiliano”, e cioè “la riferibilità della condotta omessa alla Regione, la colpa nell’omissione, il fatto, il nesso ed il danno”. Invero, indicare “una generica sovrappopolazione di fauna selvatica non integra l’allegazione necessaria in merito alla quale valutare la condotta concretamente esigibile da essa Regione”.

D’altra parte, la sentenza impugnata – come, del resto, già quella del primo giudice – non recherebbe “alcuna statuizione in ordine alla sussistenza di un comportamento rimproverabile all’amministrazione”, non avendo “accertato l’antigiuridicità della condotta, con palese violazione dell’art. 2043 cod. civ.”, avendo affermato “una sorta di responsabilità oggettiva”.

4. Ha proposto controricorso la Provincia di Pesaro e Urbino chiedendo la reiezione del primo motivo dell’impugnazione della Regione e l’accoglimento, invece, del secondo motivo.

5. Ha resistito all’avversaria impugnazione, con controricorso, la A.A., concludendo perché la stessa sia dichiarata inammissibile o, comunque, rigettata, non senza evidenziare il carattere parzialmente adesivo ad essa dell’iniziativa assunta dalla Provincia controricorrente.

6. La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380 – bis.1 cod. proc. civ.

7. Tutte le parti hanno presentato memoria

8. Il Collegio si è riservato il deposito nei successivi sessanta giorni.

RAGIONI DELLA DECISIONE

9. Il ricorso va rigettato.

9.1. Il primo motivo non è fondato.

9.1.1. Nello scrutinarlo, occorre muovere dalla constatazione che la legittimazione passiva dovrà essere vagliata, nel caso che occupa, alla stregua della fattispecie normativa contemplata dall’art. 2043 cod. civ., senza che possa rilevare – per le ragioni di cui si dirà di seguito, al par. 9.1.2. – il mutamento di indirizzo giurisprudenziale, peraltro sopravvenuto rispetto alla sentenza impugnata, che ha portato questa Corte a fare applicazione, rispetto ai danni da fauna selvatica, della norma relativa al “danno cagionato da animali”.

Invero, con orientamento ormai stabile, questo giudice di legittimità ha affermato che la responsabilità delle Regioni, per danni da fauna selvatica, va ricondotta all’art. 2052 cod. civ. (cfr., a partire da Cass. Sez. 3, sent. 20 aprile 2020, n. 7969, Rv. 657572 – 01, tra le altre: Cass. Sez. 3, sent. 22 giugno 2020, n. 12113, Rv. 658165 – 01; Cass. Sez. 3, ord. 6 luglio 2020, n. 13848, Rv. 658298 – 01; Cass. Sez. 6 – 3, ord. 2 ottobre 2020, n. 20997, Rv. 659153 – 01; Cass. Sez. 6 – 3, ord. 23 maggio 2022, n. 16550, Rv. 665057 – 01; si vedano anche, tra le non massimate, Cass. Sez. 3, sent. 29 aprile 2020, n. 8384; Cass. Sez. 3, sent. 29 aprile 2020, n. 8385; Cass. Sez. 6 – 3, ord. 31 agosto 2020, n. 18085; Cass. Sez. 6 – 3, ord. 31 agosto 2020, n. 18087; Cass. Sez. 6 – 3 ord. 15 settembre 2020, n. 19101; Cass. Sez. 6 – 3, ord. 12 novembre 2020, n. 25466; Cass. Sez. 6 – 3, ord. 9 febbraio 2021, n. 3023).

In base a tale indirizzo, “la legittimazione passiva spetta in via esclusiva alla Regione, in quanto titolare della competenza normativa in materia di patrimonio faunistico, nonché delle funzioni amministrative di programmazione, di coordinamento e di controllo delle attività di tutela e gestione della fauna selvatica, anche se eventualmente svolte – per delega o in base a poteri di cui sono direttamente titolari – da altri enti”, prescindendosi, ai sensi dell’art. 2052 cod. civ., da ogni indagine sulla colpa, giacché il criterio di imputazione della responsabilità previsto da tale disposizione si fonda “sulla proprietà o, comunque, sull’utilizzazione dell’animale e, dall’altro, le specie selvatiche protette ai sensi della l. n. 157 del 1992 rientrano nel patrimonio indisponibile dello Stato e sono affidate alla cura e alla gestione di soggetti pubblici in funzione della tutela generale dell’ambiente e dell’ecosistema” (così, per tutte, la pronuncia capofila di tale indirizzo, Cass. Sez. 3, sent. 7969 del 2020, cit.).

9.1.2. Nondimeno, nel caso oggi all’esame di questa Corte, come ha evidenziato anche la Regione nella memoria depositata in vista della presente adunanza camerale, “sull’inquadramento della domanda come ordinaria azione di responsabilità ex art. 2043 cod. civ.”, risultano essersi “pronunciati espressamente entrambi i giudici di merito, con statuizioni mai da alcuno contestate o impugnate”, tanto che sul punto – assume l’odierna ricorrente – si sarebbe formato un giudicato interno.

Che sia necessario esaminare ai sensi dell’art. 2043 cod. civ. la domanda risarcitoria proposta dalla A.A. non è dubitabile, ma l’assunto della ricorrente – circa l’esistenza di un giudicato interno – richiede una precisazione.

Questa Corte, infatti, ha di recente sottolineato – con specifico riferimento ad un’azione di responsabilità per danni da fauna selvatica, esperita, tra l’altro, contro la Regione Marche – che nella propria giurisprudenza è stato “più volte ammesso” come “la “qualificazione giuridica” sia suscettibile di passare in giudicato” (e ciò “che si tratti di qualificazione d’un fatto, d’un negozio, dell’azione o dell’eccezione”), sicché, “quando il giudice di primo grado abbia qualificato la domanda in un certo modo, e non vi sia stata impugnazione sul punto, è precluso in sede di legittimità invocare una diversa qualificazione” (Cass. Sez. 3, sent. 10 novembre 2023, n. 31330, Rv. 669467 – 01; in senso pienamente conforme Cass. Sez. 3, ord. 12 dicembre 2023, n. 34675, non massimata).

Si è, però, precisato che la “regola secondo cui il giudicato possa formarsi anche sulla qualificazione giuridica non è tuttavia senza eccezioni”, di talché è stato “già più volte ammesso che possa prospettarsi per la prima volta”, pure in Cassazione, “la questione di quale sia la norma che debba essere applicata per stabilire le conseguenze di un determinato fatto illecito” (così Cass. Sez. 3, sent. n. 31330 del 2023, cit.). Ciò è possibile, in particolare, quando la qualificazione giuridica data dal giudice di merito alla domanda “non ha condizionato l’impostazione e la definizione dell’indagine di merito”, nonché “quando si tratti soltanto di stabilire, fermi i fatti accertati, quale norma debba applicarsi ad una determinata fattispecie concreta”, giacché, in questa ipotesi, “in virtù del principio iura novit curia, è sempre consentito al giudice” – anche in sede di legittimità – “valutare d’ufficio, sulla scorta degli elementi ritualmente acquisiti, la corretta individuazione della norma applicabile” (cfr., nuovamente, Cass. Sez. 3, sent. n. 31330 del 2023, cit.).

Su tali premesse, dunque, si è osservato che “lo stabilire se la domanda proposta dall’attrice debba decidersi applicando l’art. 2043 cod. civ. o l’art. 2052 cod. civ. non è una questione di qualificazione giuridica della domanda”, restando tale domanda “invariata nell’uno come nell’altro caso”, identificandosi, sempre, nel “risarcimento del danno da fatto illecito”; sicché decidere “se debba applicarsi l’una o l’altra norma è questione di individuazione della norma applicabile, da risolvere in base al principio iura novit curia”, le cui uniche conseguenze attengono al riparto dell’onere della prova (si veda sempre Cass. Sez. 3, sent. n. 31330 del 2023, cit.). Difatti, l’applicazione dell’art. 2043 cod. civ. alla fattispecie dei danni da fauna selvatica comporta una differente distribuzione degli oneri probatori tra le parti, rispetto a quello derivante dall’operatività dell’art. 2052 cod. civ., dovendo avere ad oggetto non la sola esistenza del danno e la sua scaturigine dal comportamento dell’animale (come nell’ipotesi di cui alla seconda delle norme menzionate), ma pure la colpa del soggetto convenuto in giudizio per il risarcimento.

Orbene, con riferimento alla fattispecie che qui occupa, lo svolgersi – sin dal primo grado di giudizio – di un contraddittorio tra le parti che ha investito il “thema probandum” tipico dell’applicazione della Generalklausel di cui all’art. 2043 cod. civ. (diversamente dal caso oggetto dell’arresto di questa Corte più volte citato, nel quale “la scarna esposizione dei fatti” non consentiva “di stabilire se” vi fosse stata, o meno, “una pronuncia espressa sull’inapplicabilità dell’art. 2052 cod. civ.” in luogo dell’art. 2043; cfr. Cass. Sez. 3, sent. n. 31330 del 2023, cit.), integra, appunto, quell’ipotesi in cui la qualificazione giuridica risulta aver “condizionato l’impostazione e la definizione dell’indagine di merito”, ciò che impone di ritenere l’esistenza di un giudicato su tale qualificazione, nel senso che questa non può essere ulteriormente messa in discussione.

9.1.3. Tanto premesso, e dunque ribadito come pure la questione relativa alla titolarità dal lato passivo del rapporto controverso vada vagliata alla stregua dell’art. 2043 cod. civ., deve ritenersi che il primo motivo di ricorso – con il quale la Regione Marche assume essere la Provincia di Pesaro e Urbino il solo soggetto tenuto, in ipotesi, a farsi carico del danno subito dalla B.B. – non sia fondato.

Invero, questa Corte ha ancora di recente affermato – con riferimento, appunto, ad una fattispecie di responsabilità per danni da fauna selvatica sussunta nella previsione normativa di cui all’art. 2043 cod. civ. – che “sebbene la fauna selvatica rientri nel patrimonio indisponibile dello Stato, la legge 11 febbraio 1992, n. 157 attribuisce alle Regioni a statuto ordinario il potere di emanare norme relative alla gestione ed alla tutela di tutte le specie della fauna selvatica (art. 1, comma 3) ed affida alle medesime i poteri di gestione, tutela e controllo, riservando invece alle Province le relative funzioni amministrative ad esse delegate ai sensi della legge 8 giugno 1990, n. 142 (art. 9, comma 1)”, sicché “la Regione, anche in caso di delega di funzioni alle Province, è responsabile, ai sensi dell’art. 2043 cod. civ., dei danni provocati da animali selvatici a persone o a cose, il cui risarcimento non sia previsto da specifiche norme, a meno che la delega non attribuisca alle Province un’autonomia decisionale ed operativa sufficiente a consentire loro di svolgere l’attività in modo da poter efficientemente amministrare i rischi di danni a terzi e da poter adottare le misure normalmente idonee a prevenire, evitare o limitare tali danno” (così, in motivazione, Cass. Sez. 3, ord. 8 febbraio 2023, n. 3745, Rv. 666741 – 01; nello stesso senso, tra le altre, Cass. Sez. 3, sent. 6 dicembre 2011, n. 26197, Rv. 620678 – 01; Cass. Sez. 3, sent. 21 febbraio 2011, n. 4202, Rv. 616849-01; Cass. Sez. 3, sent. 24 ottobre 2003, n. 16008, Rv. 567652 – 01; Cass. Sez. 3, sent. 24 settembre 2002, n. 13907, Rv. 557557 – 01).

Né in senso contrario vale richiamarsi – come ha fatto, invece, l’odierna ricorrente – a due arresti specifici di questa Corte, che hanno interessato proprio la Regione Marche (si tratta di Cass. Sez. 3, sent. 8 gennaio 2010, n. 80, Rv. 610868 – 01 e di Cass. Sez. 6 – 3, ord. 14 settembre 2019, n. 23151, Rv. 655507 – 01).

Invero, quanto a quello di essi più recente in ordine cronologico, deve rilevarsi che esso, sebbene sottolinei che la legislazione regionale marchigiana ha attribuito alle Province (o meglio, aveva attribuito, visto che l’art. 3, comma 4, della legge della Regione Marche del 3 aprile 2015, n. 13 – come evidenzia la controricorrente Provincia di Pesaro e Urbino nella propria memoria – ha poi “riallocato” in capo all’ente regionale, sebbene con disposizione sopravvenuta rispetto ai fatti di causa, una serie di funzioni già spettanti in passato alle Province) “la quasi totalità dei poteri di amministrazione della fauna selvatica nell’ambito del loro territorio”, evidenzia, comunque, la necessità di accertare, affinché possa affermarsi la responsabilità delle stesse a norma dell’art. 2043 cod. civ., “quali poteri in concreto siano stati trasferiti alla Provincia, e cioè se la Regione abbia messo quest’ultima nelle condizioni materiali di provvedere alla gestione ed al controllo della fauna selvatica; cioè, in altre parole, se la Provincia, oltre a disporre dei poteri attribuitile dalla Regione “sulla carta”, abbia anche ricevuto i mezzi per farvi fronte” (Cass. Sez. 6 – 3, ord. n. 23151 del 2019, cit.), ovvero “se l’ente delegato sia stato ragionevolmente posto in condizioni di adempiere ai compiti affidatigli, o sia un “nudus minister”, senza alcuna concreta ed effettiva possibilità operativa” (Cass. 3, sent. n. 26197 del 2011, cit.). Principio, questo, al quale si è conformata l’impugnata sentenza della Corte dorica, là dove afferma che “la responsabilità aquiliana per danni provocati da animali selvatici alla circolazione dei veicoli deve essere imputata all’ente” al quale “siano stati concretamente affidati, nel singolo caso, i poteri di amministrazione del territorio e di gestione della fauna”.

Orbene, proprio nella prospettiva di individuare l’ente “in concreto” affidatario dei poteri di controllo della fauna selvatica, la pronuncia della quale si chiede oggi la cassazione ha attribuito rilievo alla legge della Regione Marche del 29 luglio 2008, n. 25, visto che il suo art. 15 – nell’inserire l’art. 34 – bis nel testo della legge Regione Marche del 5 gennaio 1995, n. 7 – ha istituito nel bilancio regionale un apposito “fondo per l’indennizzo da parte della Regione dei danni causati alla circolazione stradale dalla fauna selvatica”.

Circostanza, questa, alla quale ha dato correttamente rilievo la sentenza impugnata, giacché sintomatica – diversamente da quanto sostiene la ricorrente e sebbene riferita al diverso profilo indennitario – della scelta di allocare, appunto, in capo alla stessa Regione la “neutralizzazione” di tale tipo di pregiudizio.

Esito – a ben vedere – in linea con quanto si legge nell’altro dei due arresti di questa Corte, richiamato dall’odierna ricorrente, viceversa, a sostegno della propria impugnazione. Nello stesso, infatti, si afferma essere “un rilevante indice interpretativo, quanto all’individuazione del soggetto responsabile, anche per quanto concerne la responsabilità per i danni a terzi”, la previsione per cui le “province stipulino apposite polizze assicurative per il risarcimento dei danni, senza espressa limitazione ai danni alle coltivazioni e non altrimenti risarcibili”, e ciò ancorché si tratti di norma “inclusa all’interno di disposizioni di diritto speciale, destinate a regolare i particolari casi di danno alle coltivazioni” (così Cass. Sez. 3, sent. n. 80 del 2010, cit.). Se ciò è vero, allora, non può negarsi – “simmetricamente”, e a maggior ragione – che la scelta, compiuta a partire dal 2008, di istituire un apposito fondo regionale diretto al ristoro dei danni che la fauna selvatica cagioni alla circolazione stradale sia indice della scelta di imputare, innanzitutto, alla Regione le conseguenze della verificazione di tale tipologia di sinistri: ciò che implica, se non altro di norma, l’attribuzione di corrispondenti poteri o compiti funzionalizzati alla loro prevenzione, tanto da integrare i presupposti per l’operatività della fattispecie di cui all’art. 2052 cod. civ.

Né, in senso contrario, rileva la circostanza – evidenziata dalla ricorrente – che il suddetto art. 34 – bis della legge regionale n. 7 del 1995 sia stato abrogato (a decorrere dal 1 gennaio 2016) dall’art. 11, comma 2, della legge regionale del 21 dicembre 2015, n. 28.

In disparte il rilievo che l’abrogazione ha avuto effetto in tempo successivo a quello dei fatti, va osservato che si tratta, invero, di scelta coerente con quella – di cui si è già detto -compiuta dall’art. 3, comma 4, della legge regionale n. 13 del 2015, a mente del quale le Province regionali “cessano di esercitare le funzioni di cui all’allegato A” alla legge stessa, “dalla data, stabilita con le deliberazioni di cui al comma 1, di effettivo avvio dell’esercizio delle stesse da parte della Regione da realizzarsi entro il 31 marzo 2016”, funzioni comprensive di quelle previste dalla legge regionale n. 7 del 1995, relative, tra l’altro, alla protezione della fauna selvatica. Il tutto, peraltro, nel quadro, di una transizione che, non a caso, è avvenuta – secondo quanto previsto, specificamente, dall’art. 1 della suddetta legge regionale n. 13 del 2015 – in attuazione dell’articolo 1, comma 89, della legge statale 7 aprile 2014, n. 56, articolo il cui comma 96, lett. c), ha pure previsto pure (come rammenta la controricorrente Provincia di Pesaro e Urbino) la successione dell’ente, che subentri nella funzione, “anche nei rapporti attivi e passivi in corso, compreso il contenzioso”.

9.2. Quanto al secondo motivo di ricorso, esso è inammissibile.

9.2.1. La ricorrente, come sopra illustrato, si duole del fatto che la sentenza impugnata non avrebbe accertato tutti gli elementi costitutivi della fattispecie di cui all’art. 2043 cod. civ., in particolare quello della “colpa nell’omissione”, così finendo per l’affermare “una sorta di responsabilità oggettiva per danni da fauna selvatica alla circolazione stradale”.

Nondimeno, se dal testo della sentenza impugnata emerge che la Corte territoriale nulla ha espressamente affermato a proposito dell’elemento soggettivo dell’illecito aquiliano (come, peraltro, in astratto necessario, nell’ipotesi in cui i danni da fauna selvatica potessero essere ricondotti alla previsione di cui all’art. 2043 cod. civ.; cfr. Cass. Sez. 3, ord. 19 luglio 2017, n. 27543, non massimata, anteriore al richiamato revirement), è pur vero che il motivo di gravame incidentale – che la Regione propose subordinatamente a quello con cui contestava la propria legittimazione passiva – viene genericamente indicato, sempre nel provvedimento qui in esame, come teso ad ottenere “il rigetto della domanda attrice perché infondata”, senza migliori specificazioni circa le ragioni della dedotta infondatezza.

D’altra parte, la stessa Regione Marche – nel ricostruire (nelle pag. da 8 a 11 del proprio ricorso per cassazione) – il suo motivo di gravame, non ha riprodotto il contenuto dell’atto di appello nella misura idonea a dimostrare che l’infondatezza della domanda risarcitoria della B.B. fosse stata lamentata sotto il profilo della carenza di prova anche dell’elemento soggettivo dell’illecito aquiliano.

Deve, pertanto, darsi seguito al principio secondo cui, “ove una determinata questione giuridica – che implichi un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga detta questione in sede di legittimità ha l’onere, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegarne l’avvenuta deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente vi abbia provveduto, onde dare modo alla Corte di cassazione di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione prima di esaminare nel merito la questione stessa” (tra moltissime: Cass. Sez. 2, ord. 24 gennaio 2019, n. 2038, Rv. 652251 – 02).

Di qui, in conclusione, l’inammissibilità del presente motivo, a norma dell’art. 366, comma 1, n. 6), cod. proc. civ., non risultando, infatti, soddisfatto quell’onere di “puntuale indicazione” del documento o atto – nella specie, l’atto di appello proposto dalla Regione – su cui si fonda il ricorso (cfr. Cass. Sez. Un, ord. 18 marzo 2022, n. 8950, Rv. 664409-01), onere richiesto dalla norma suddetta, pur nell’interpretazione “non formalistica” che di essa – in base al testé citato arresto delle Sezioni Unite – s’impone alla luce della sentenza della Corte EDU Succi e altri c. Italia, del 28 ottobre 2021.

10. Le spese del presente giudizio di legittimità vanno integralmente compensate tra le parti.

Difatti, ai sensi dell’art. 92, comma 1, cod. proc. civ., nel testo modificato dall’art. 45, comma 11, della legge 18 giugno 2009, n. 69 (ed applicabile “ratione temporis” al presente giudizio, essendo stato il primo grado instaurato con citazione notificata il 4 gennaio 2012), le “gravi ed eccezionali ragioni”, idonee a giustificare il provvedimento di compensazione, vanno individuate nel già indicato mutamento di indirizzo, sopravvenuto nella giurisprudenza di questa Corte, in merito alla responsabilità per danni da fauna selvatica, nonostante la sua inapplicabilità alla fattispecie, alla stregua dello sviluppo del giudizio.

11. A carico della ricorrente, stante il rigetto del ricorso, sussiste l’obbligo di versare, al competente ufficio di merito, un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto secondo un accertamento spettante all’amministrazione giudiziaria (Cass. Sez. Un., sent. 20 febbraio 2020, n. 4315, Rv. 657198 – 01), ai sensi dell’art. 13, comma 1 – quater, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso, compensando integralmente tra tutte le parti le spese del presente giudizio di legittimità.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 – quater, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 – bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma 7 febbraio 2024.

Depositata in Cancelleria il 9 luglio 2024.

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