Svolgimento del processo
CHE:
1. Con la sentenza impugnata (n. 1278/2019, depositata il 6 maggio 2019) la Corte d’appello di Bologna ha pronunciato su contrapposte pretese creditorie avanzate dalle parti di un rapporto locativo a seguito della cessazione dello stesso e dell’intervenuto rilascio forzoso dell’immobile che ne era ad oggetto: pretese inizialmente poste ad oggetto di separati procedimenti, riuniti in primo grado.
In parziale riforma della decisione appellata, la Corte felsinea ha rigettato la domanda della conduttrice, (omissis) Sas volta alla condanna del locatore, (omissis) (cui in appello erano subentrate le figlie ed eredi (omissis) e (omissis)), al pagamento di indennità per le migliorie asseritamente apportate all’immobile e, operata la compensazione tra il credito in capo alla prima di restituzione del deposito cauzionale e il credito risarcitorio riconosciuto già in primo grado al locatore a titolo di risarcimento dei danni arrecati all’immobile locato e di quello da ritardata consegna, ha condannato la Sas a pagare l’importo che ne residuava a credito delle eredi del locatore, oltre che alle spese di entrambi i gradi di giudizio.
Ha infatti rilevato in motivazione che:
– non era stato contestato in primo grado e trovava conferma nelle fotografie prodotte in causa e nell’esito della c.t.u. disposta in primo grado il fatto che, all’atto della riconsegna, l’immobile si presentava in condizioni di assoluto degrado, senza l’impianto elettrico, senza l’impianto di condizionamento e senza la caldaia, essendo stata anche rilevata dal c.t.u. la necessità del rifacimento di soffitti, controsoffitti e porte;
– trovava dunque conferma l’assunto del locatore secondo cui al momento della riconsegna non sussisteva nell’immobile alcuna miglioria;
– veniva con ciò meno il presupposto per l’applicabilità dell’art. 1592 c.c. che non è il fatto che il conduttore abbia nel corso del rapporto sostenuto esborsi per la res, quanto il fatto che al tempo della riconsegna il bene locato presenti miglioramenti rispetto allo stato in cui il medesimo si trovava all’inizio della locazione, spettando in tal caso al conduttore un’indennità corrispondente alla minor somma tra l’importo della spesa e il valore del risultato utile al tempo della riconsegna;
– “ad abundantiam andava anche sottolineato come il contratto de quo avesse ad oggetto un immobile adibito ad uso bar-cafè mentre dalla c.t.u. emerge che la relazione tecnica allegata alla pratica edilizia dei lavori eseguiti dalla Sas (omissis) fa riferimento anche alla realizzazione di un locale ad uso laboratorio per la produzione di gelati con annesso deposito e magazzino dei prodotti di uso interno, quindi ad opere funzionali ad un adeguamento dei locali alle esigenze di un’attività non prevista in contratto e quindi estraneo all’obbligo del locatore di mantenere la cosa in stato da servire all’uso convenuto”.
5. Avverso tale decisione la (omissis) Sas propone ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi, cui resistono le intimate depositando controricorso.
La trattazione è stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c..
Non sono state depositate conclusioni dal Pubblico Ministero.
Parte ricorrente ha depositato memoria.
Nell’imminenza dell’adunanza, il Relatore designato è stato sostituito con il Presidente del Collegio, a causa di un suo impedimento.
Motivi della decisione
CHE:
1. In via preliminare va osservato che la sentenza impugnata è stata resa anche nei confronti della (omissis) e (omissis) di (omissis) & C. s.n.c. (originaria conduttrice cui subentrò, quale conduttrice, la Time Cafè Sas a seguito di cessione d’azienda) e che nei confronti della stessa il ricorso non è stato notificato.
Tuttavia, trattandosi di litisconsorte facoltativa in causa scindibile (atteso che la s.n.c. venne convenuta in giudizio dal de cuius (omissis) con il giudizio poi riunito al primo introdotto dalla (omissis), per ottenere da entrambe le società il risarcimento di asseriti danni all’immobile esistenti al momento del rilascio) ed essendo applicabile, in conseguenza, l’art. 332 c.p.c., non occorre far luogo all’ordine di notificazione dell’impugnazione ai sensi di tale norma, essendo ormai l’impugnazione per essa preclusa.
2. Ancora preliminarmente deve essere disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso opposta dalle controricorrenti in conseguenza della dedotta nullità della procura speciale in forza della quale esso è stato proposto dagli Avv.ti (omissis), (omissis) e (omissis): eccezione motivata sul rilievo che il mandato in atti, contenuto in un foglio separato ed allegato al ricorso, pur contenendo il riferimento alla sentenza impugnata, risulta relativo ad “ogni fase e grado” del giudizio ed è inteso a conferire ai mandatari “ogni più ampia facoltà compresa quella di rendere l’interrogatorio libero… riscuotere e rilasciare quietanze, rilasciare quietanze, transigere e conciliare, riassumere e proseguire il processo, chiamare in causa terzi, resistere alle opposizioni di cui agli artt. 615–617–619–645 c.p.c. proporre appello e ricorso per cassazione, procedere esecutivamente…” prevedendo altresì “la possibilità di ricorrere al procedimento di mediazione” e “la possibilità di procedere alla negoziazione assistita”: espressioni incompatibili con la proposizione dell’impugnazione in Cassazione e con la specialità propria di tale giudizio o addirittura inerenti ad altri giudizi e fasi processuali.
2.1. Sul punto è sufficiente rilevare che, con recente arresto, le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato il principio secondo cui “a seguito della riforma dell’art. 83 c.p.c. disposta dalla L. n. 141 del 1997, il requisito della specialità della procura, richiesto dall’art. 365 c.p.c. come condizione per la proposizione del ricorso per cassazione (del controricorso e degli atti equiparati), è integrato, a prescindere dal contenuto, dalla sua collocazione topografica; nel senso che la firma per autentica apposta dal difensore su foglio separato, ma materialmente congiunto all’atto, è in tutto equiparata alla procura redatta a margine o in calce allo stesso. Tale collocazione topografica fa sì che la procura debba considerarsi conferita per il giudizio di cassazione anche se non contiene un espresso riferimento al provvedimento da impugnare o al giudizio da promuovere, purchè da essa non risulti, in modo assolutamente evidente, la non riferibilità al giudizio di cassazione; tenendo presente, in ossequio al principio di conservazione enunciato dall’art. 1367 c.c. e dall’art. 159 c.p.c., che nei casi dubbi la procura va interpretata attribuendo alla parte conferente la volontà che consenta all’atto di produrre i suoi effetti” (Cass. Sez. U. 09/12/2022, n. 36057).
Alla luce di tale principio (ma per fattispecie simili l’orientamento giurisprudenziale poteva dirsi univoco anche in precedenza) non può dubitarsi che, in un caso quello di specie, da un lato, la collocazione topografica della procura, ossia l’essere essa conferita su foglio separata materialmente congiunto al ricorso (in tutto equiparata alla procura redatta a margine o in calce allo stesso), dall’altro, l’espresso riferimento in essa contenuto alla sentenza da impugnare ed al mezzo proposto di impugnazione, tolgono ogni dubbio sulla riferibilità della procura al giudizio di cassazione, rendendo del tutto irrilevanti gli ulteriori eccentrici riferimenti in essa contenuti.
3. Con il primo motivo la ricorrente denuncia, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, “omesso esame di fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti”.
Lamenta che erroneamente la Corte d’appello ha ritenuto non provata l’esistenza di migliorie all’atto della riconsegna dei locali, avendo omesso di considerare tre fatti decisivi per il giudizio, ossia che:
– il locatore, sig. (omissis), al momento della liberazione dei locali, avvenuta in data 12 dicembre 2013, non aveva lamentato l’asportazione di alcunchè, non facendo riportare nulla nel verbale di rilascio redatto dall’Ufficiale Giudiziario (all. 23 causa 3820/14);
– le asserite asportazioni di manufatti (caldaia, soffitti, impianto elettrico) sono state eccepite solo a tre mesi di distanza dalla riconsegna dei locali e solo dopo che, con lettera racc. a.r. in data 6 febbraio 2014 del difensore, Time Cafè Sas aveva chiesto la restituzione della cauzione;
– la Consulenza Tecnica del Geom. (omissis) valorizzata dal giudice d’appello era stata effettuata in data 21 ottobre 2016, quasi tre anni dopo il rilascio dell’immobile.
Sostiene che, alla luce di tali circostanze, non vi era prova che i deterioramenti accertati nell’immobile fossero ad essa attribuibili e conseguentemente non poteva affermarsi che essi escludevano l’esistenza delle dedotte migliorie.
4. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia “omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ex art. 360 c.p.c., n. 5: mancato esame delle risultanze della c.t.u.”.
Lamenta che la Corte d’appello, nell’escludere la spettanza della reclamata indennità ex art. 1592 c.c., ha “disatteso in toto le risultanze della c.t.u.” la quale aveva evidenziato che:
– esistevano “migliorie eseguite dalla (omissis)”;
– “la relazione tecnica allegata alla pratica edilizia prevedeva i seguenti lavori: a) realizzazione di un servizio igienico accessibile agli utenti portatori di handicap; b) realizzazione di un locale ad uso laboratorio per la produzione di gelati…; c) messa a norma dell’impianto elettrico e riassetto del sistema di illuminazione… d) sostituzione degli infissi esterni… con caratteristiche antinfortunistiche…; e) rifacimento dei pavimenti…” (pag. 15);
– tali opere costituivano migliorie;
– i lavori erano stati “completati dalla tinteggiatura di tutti i locali… con materiale lavabile… realizzazione di tutti i vani passanti e i vani porta…”;
– era “sufficiente confrontare le immagini del prima e del dopo l’intervento edilizio per capire la differenza di immagine del locale…”;
– “a seguito dei lavori eseguiti e la tipologia degli stessi” l’immobile era stato valorizzato, “aumentando il valore per un importo complessivo di Euro 166.250,00”;
– a tal fine erano stati “complessivamente pagati Euro 50.870,99 al netto di iva”;
– vi era “stato in ogni caso un aumento di valore almeno pari a quanto speso da (omissis)”.
Censura l’affermazione, in sentenza, secondo cui gli esborsi di denaro sostenuti dalla conduttrice non dimostrerebbero alcunchè, osservando che in realtà è vero l’esatto inverso, nel senso che i detti esborsi comprovano proprio l’effettuazione di tutte quelle migliorie – pavimenti, illuminazione, servizi igienici, vani, porte, ecc. – di cui ha parlato il consulente tecnico d’ufficio.
Parimenti contesta l’assunto secondo cui la realizzazione di un laboratorio per la produzione di gelati non rientrava nel contratto di locazione osservando che: a) il contratto di cessione d’azienda, dall’originaria conduttrice (omissis) e (omissis) s.n.c. alla (omissis) Sas (all. 1 causa n. 3820/14 RG), prevedeva il trasferimento della macchina per gelati, del fabbricatore di ghiaccio e della macchina per frappè, escludendo, invece, i frigoriferi per gelati, segno evidente che l’attività ceduta all’esponente, al contrario di ciò che si legge nella sentenza impugnata, non era solo un bar-caffè, ma anche una gelateria; b) in ogni caso, la realizzazione di un laboratorio ad hoc, per la produzione di gelati, realizzata col consenso del locatore Palazzi – che aveva sottoscritto la DIA, in cui era espressamente indicato il detto laboratorio (all. 7) – costituisce comunque una miglioria.
Rimarca ancora che il c.t.u. aveva precisato che si trattava “di aumento di valore dopo la ristrutturazione (anno 2015) e non di come sono stati lasciati i locali dopo la loro liberazione”, evidenziando in tal senso che: nei locali erano sì presenti deterioramenti, i quali però non escludevano la presenza di migliorie (pavimenti nuovi, nuovo bagno, fognatura interna, nuovo impianto idrico, nuove vetrine, vani, aperture, nuovo laboratorio etc.); insomma, innovazioni e addizioni che avevano certamente aumentato il valore dell’immobile rispetto al momento in cui Time Cafè Sas aveva preso in affitto i locali.
5. Con il terzo motivo la ricorrente lamenta, ancora con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, il mancato esame dei seguenti documenti: fatture emesse dalle varie ditte che avevano eseguito i lavori di ristrutturazione nell’immobile locato, tra il maggio e il giugno 2015 (all. 9 causa n. 3820/14 RG); relazione tecnica del geom. (omissis) (all. 8 causa 3820/14 RG), che aveva verificato l’effettiva esecuzione delle opere; fotografie attestanti l’immagine moderna e all’avanguardia conseguita dai locali dopo la ristrutturazione (all. 11 causa 4965/14 RG), ben diversa dal bar vecchio e demodè, originariamente condotto in locazione.
6. Analogo vizio è infine dedotto con il quarto motivo, recante identica rubrica, per la mancata considerazione:
– del fax in data 18 marzo 2014 con il quale l’Avv. (omissis) aveva contestato le pretese risarcitorie di controparte precisando che erano stati asportati solo beni di proprietà della conduttrice;
della comparsa di costituzione nella causa n. 4965/14 RG con la quale essa aveva contestato ogni propria responsabilità in ordine alle condizioni di degrado descritte ex adverso;
– del fatto che le foto allegate alla relazione di c.t.u. si collocano temporalmente tre anni dopo il rilascio;
– del fatto che il c.t.u. ha sì ritenuto necessarie alcune opere di ripristino, ma, a parte la caldaia, le ha considerate opere conseguenti a una semplice mancata manutenzione ordinaria, essendo i locali non utilizzati da tempo.
7. In via preliminare, il Collegio rileva che nessuno dei motivi attinge la motivazione della sentenza circa la mancanza dei miglioramenti al momento del rilascio e tanto li renderebbe per ciò solo inammissibili.
In ogni caso, procedendo al loro separato scrutinio, parimenti e specificamente si palesa la loro inammissibilità.
Il primo motivo – diretto essenzialmente a censurare, sotto il profilo della ricognizione in fatto e della relativa motivazione ed in relazione all’evocato paradigma censorio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 la ritenuta sussistenza, al termine della locazione, di deterioramenti dell’immobile locato ascrivibili alla società conduttrice – è inammissibile sotto diversi e autonomi profili.
7.1. Lo è anzitutto per palese inosservanza dell’onere di specifica indicazione dei documenti richiamati, in violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6.
La ricorrente si limita invero a richiamare il verbale di rilascio e la c.t.u. (omissis), su cui poggia le svolte argomentazioni critiche, localizzando solo il primo in atti attraverso l’indicazione della sua collocazione nel fascicolo di primo grado e poi attraverso l’indicazione della relativa produzione di tale fascicolo come allegato c) al ricorso per cassazione, in parziale assolvimento, dunque, dell’onere di cui all’art. 369 c.p.c., n. 4, ma tuttavia senza debitamente riprodurne, nemmeno di esso, il contenuto nel ricorso per la parte richiamata o che comunque interessa in questa sede, nè direttamente nè indirettamente (in questo secondo caso indicando la parte del documento corrispondente all’indiretta riproduzione).
7.2. Lo è comunque per la non decisività dei fatti (il primo negativo, il secondo di carattere meramente cronologico) di cui si lamenta l’omessa considerazione, rispetto all’alternativa e anzi prioritaria ratio decidendi spesa sul punto in sentenza, rappresentata dalla rilevata “non contestazione” in primo grado delle condizioni di assoluto degrado in cui versava l’immobile all’atto della riconsegna: rilievo in sè non fatto segno di alcuna censura.
7.3. Infine, ma trattasi di rilievo in realtà prioritario e assorbente, il motivo è inammissibile in quanto volto a contrastare un accertamento (quello dell’esistenza di un credito risarcitorio in capo al locatore, per i danni arrecati all’immobile) operato – come evidenziato in sentenza ed anche in ricorso (v. pagg. 8-9) – già dal primo giudice e che, non essendo stato fatto segno di alcun gravame incidentale, deve ritenersi coperto da giudicato interno.
8. Il secondo motivo – diretto invece a contestare, anch’esso sul piano della motivazione in punto di ricognizione del fatto, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, – è a sua volta inammissibile sotto due profili.
Oltre a scontare anch’esso, nei sensi sopra evidenziati con riferimento al primo motivo, una prospettazione inosservante dell’onere di specifica indicazione dei documenti richiamati (relazione di c.t.u. e, ivi richiamata, relazione tecnica allegata alla pratica edilizia) imposto dall’art. 366 c.p.c., n. 6, la censura si appalesa comunque inconferente rispetto alla effettiva e centrale ratio decidendi espressa in sentenza la quale si concentra nel rilievo secondo cui “il presupposto per l’applicabilità dell’art. 1592 c.c.” – presupposto che la Corte ritiene mancare nella specie – “non è il fatto che il conduttore abbia nel corso del rapporto sostenuto esborsi per la res, quanto il fatto che al tempo della riconsegna il bene locato presenti miglioramenti rispetto allo stato in cui il medesimo si trovava all’inizio della locazione”. Rispetto a tale giustificazione, la quale non nega affatto che le opere siano state effettivamente eseguite nel corso del rapporto e che lo siano state a spese della conduttrice, ma solo evidenzia l’irrilevanza di tale circostanza ai fini della pretesa indennità, nel caso in cui i miglioramenti non siano comunque apprezzabili al termine del rapporto, per esserne svaniti o annullati gli effetti con il decorso del tempo, si appalesa del tutto eccentrico l’insistito riferimento alle valutazioni del c.t.u. che invece afferma l’esistenza delle migliorie in una prospettiva valutativa (statica o sincronica) diversa da quella esplicitata in sentenza (dinamica o diacronica). Ciò senza dire che in tal modo la censura si appalesa comunque estranea al paradigma censorio evocato, dal momento che è implicito nella motivazione addotta dalla Corte che la stessa abbia in realtà deciso ben conscia delle risultanze della c.t.u., dovendosi dunque escludere che ad essa possa ascriversi di non aver considerato tali emergenze.
Quanto poi al riferimento al contratto di cessione d’azienda ed alla DIA deve rilevarsi, anche per esso, oltre all’inosservanza, nei sensi sopra detti, dell’onere di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6, l’inconferenza della critica che sulla base di tali documenti viene argomentata (per dire che, diversamente da quanto sostenuto in sentenza, la destinazione dell’immobile anche a laboratorio di gelateria era stata assentita dal locatore), in quanto impingente in una argomentazione utilizzata in sentenza, dichiaratamente, solo “ad abundantiam” e, dunque, non decisiva, restando “dirimente”, comunque, come espressamente avvertito (v. sentenza, pag. 8, primo cpv.), “la mancanza di prova sul fatto che i lavori fatti eseguire dalla Sas (omissis) abbiano determinato un miglioramento della res locata apprezzabile al momento del rilascio”.
9. Il terzo motivo è parimenti inammissibile.
9.1. Anche per esso va anzitutto rilevata l’inosservanza dell’onere di specifica indicazione dei documenti richiamati, negli stessi termini già prima esposti con riferimento agli altri motivi.
9.2. E’ comunque evidente anche l’estraneità della censura al paradigma dell’evocato vizio cassatorio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5.
Occorre al riguardo rammentare che, ai sensi di tale norma, e secondo l’invalsa pacifica sua interpretazione, è sindacabile in cassazione (solo) l’omesso esame circa un “fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti”, dove per “fatto” deve intendersi non una “questione” o un “punto”, ma: i) un vero e proprio “fatto”, in senso storico e normativo, ossia un fatto principale, ex art. 2697 c.c., cioè un “fatto” costitutivo, modificativo impeditivo o estintivo, o anche un fatto secondario, vale a dire un fatto dedotto ed affermato dalle parti in funzione di prova di un fatto principale (cfr. Cass. n. 16655 del 2011; Cass. n. 7983 del 2014; Cass. n. 17761 del 2016; Cass. n. 29883 del 2017); ii) un preciso accadimento ovvero una precisa circostanza da intendersi in senso storico-naturalistico (cfr. Cass. n. 21152 del 2014; Cass. Sez. U. n. 5745 del 2015); iii) un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante per le sue ricadute in termini di diritto (cfr. Cass. n. 5133 del 2014); iv) una vicenda la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali (cfr. Cass. Sez. U. n. 8053 del 2014). Il “fatto” il cui esame sia stato omesso deve, inoltre, avere carattere “decisivo”, vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia.
Non costituiscono, viceversa, “fatti”, il cui omesso esame possa cagionare il vizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5: a) le argomentazioni o deduzioni difensive (cfr. Cass. n. 14802 del 2017; Cass. n. 21152 del 2015); b) gli elementi istruttori in quanto tali, quando il fatto storico da essi rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti (cfr. Cass. Sez. U. n. 8053 del 2014); c) una moltitudine di fatti e circostanze, o il “vario insieme dei materiali di causa” (cfr. Cass. n. 21439 del 2015); d) le domande o le eccezioni formulate nella causa di merito, ovvero i motivi di appello, i quali costituiscono i fatti costitutivi della “domanda” in sede di gravame (v. Cass. n. 22786 del 2018).
Nella specie non in altro si sostanzia la censura se non nella certamente inammissibile sollecitazione ad una rivalutazione del materiale istruttorio in funzione di una ricognizione del fatto diversa da quella operata dal giudice di merito. Anche in tal caso peraltro muovendo su di un piano argomentativo eccentrico e inconferente rispetto alla già evidenziata effettiva ratio decidendi spesa sul punto in sentenza, la quale, giova ripetere, non nega che nel corso del rapporto la società abbia eseguite le opere descritte, ma solo esclude che al termine del rapporto di esse residuino effettivi risultati migliorativi delle condizioni dell’immobile.
10. E’ inammissibile anche il quarto motivo.
Oltre a esporsi anch’esso ai medesimi rilievi di inammissibilità sopra evidenziati (tanto più evidenti là dove ci si spinge a riferire il vizio di “omesso esame” anche a meri documenti o atti di parte), vale per esso il preliminare e assorbente rilievo già svolto con riferimento al primo motivo, dell’essere anch’esso inammissibilmente diretto a contrastare accertamento (quello dell’esistenza di deterioramenti imputabili a responsabilità della conduttrice) coperto da giudicato interno.
11. Il ricorso deve essere pertanto dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento, in favore delle controricorrenti, delle spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo.
12. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1-bis dello stesso art. 13.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore delle controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.550,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1-bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 7 febbraio 2023.
Depositato in Cancelleria il 7 luglio 2023
