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Cassazione civile sez. III, 07/06/2024, n. 16007

Massima

Va sottolineata la sufficienza, al fine di legittimare la trasferibilità per via negoziale della posizione di impresa designata per il Fondo di garanzia per le vittime della strada, dell’autorizzazione di tale trasferimento da parte dell’autorità amministrativa cui è rimesso il compito della designazione delle imprese ad agire per il Fondo di garanzia.

Supporto alla lettura

Ambito oggettivo di applicazione

…omissis…

Rilevato che

con sentenza resa in data 23/11/2020, la Corte d’appello di Venezia, in accoglimento per quanto di ragione degli appelli principale e incidentale rispettivamente proposti da — (quali eredi di XX) e dalla Generali Italia Spa (già Assicurazioni Generali Spa, in qualità di impresa designata per il fondo di garanzia per le vittime della strada), e in parziale riforma della decisione di primo grado, ha rideterminato (in diminuzione) l’entità della condanna pronunciata dal primo giudice a carico solidale di A, B e di Generali Italia Spa a titolo di risarcimento in relazione ai danni subiti da XX in conseguenza del sinistro stradale dedotto in giudizio, in occasione del quale XX, terza trasportata sulla vettura di proprietà di B e condotta da A, sprovvista di copertura assicurativa, riportava gravi danni alla persona;

a fondamento della decisione assunta, per quel che ancora rileva in questa sede, il giudice d’appello ha evidenziato come il risarcimento del danno biologico liquidabile in favore di XX dovesse essere commisurato, non già a un’ipotetica durata media della vita della danneggiata, bensì alla durata effettiva della sua vita, essendo la stessa medio tempore deceduta in data 31/03/2017;

sotto altro profilo, la corte territoriale ha rilevato come l’entità del risarcimento del danno riconoscibile in favore di XX, pur dovendo essere ridotto a causa della corresponsabilità della danneggiata nella causazione del pregiudizio dalla stessa subito, andava comunque proporzionato ad una misura minore rispetto a quella (pari al 50%) riconosciuto dal primo giudice, non potendo attribuirsi a XX un grado di corresponsabilità nella causazione del danno superiore al 20%;

ciò posto, rideterminato l’importo risarcitorio complessivamente dovuto in favore di XX in una misura minore rispetto a quella calcolata dal primo giudice, e già corrisposta dalla Generali Italia Spa in esecuzione della sentenza di primo grado, la corte territoriale ha condannato —, in qualità di eredi di XX, alla restituzione, in favore della compagnia assicuratrice avversaria, di quanto da quest’ultima corrisposto in eccesso rispetto agli importi effettivamente dovuti;

avverso la sentenza d’appello, — propongono ricorso per cassazione sulla base di sette motivi d’impugnazione; Generali Italia Spa resiste con controricorso; nessun altro intimato ha svolto difese in questa sede; le parti costituite hanno depositato memoria.

Considerato che

con il primo motivo, i ricorrenti si dolgono della nullità della sentenza impugnata per omessa motivazione sulle ragioni per cui la corte territoriale ha ritenuto di accogliere l’appello incidentale promosso da Generali Italia Spa nonostante la relativa estraneità al giudizio di primo grado, verosimilmente ritenendola, senza alcuna spiegazione, quale successore a titolo particolare nel diritto controverso in relazione a un rapporto processuale viceversa costituito, in primo grado, con Assicurazioni Generali Spa quale impresa designata per il fondo di garanzia per le vittime della strada, senza tener conto dell’impossibilità di trasferire la legittimazione processuale relativa al mandato pubblicistico connesso alla designazione per il fondo di garanzia per le vittime della strada, evidentemente retto dall’intuitus personae e non cedibile per effetto del conferimento di un ramo d’azienda, come nella specie dedotto, in tal modo incorrendo nella violazione dell’art. 111 c.p.c. e dell’art.132 comma 2 n.4 c.p.c. ai sensi dell’art. 360 comma 1 n.4 c.p.c.; il motivo è inammissibile;

osserva il Collegio come, in conformità all’insegnamento della giurisprudenza di legittimità, debba ritenersi incontestata la circostanza della titolarità del rapporto in capo alla controparte là dove la parte interessata abbia svolto le proprie difese senza nulla dedurre al riguardo nel corso del giudizio di merito (segnatamente, nel caso di specie, nel corso del giudizio d’appello);

tale conclusione, in particolare, deve ritenersi desumibile dalle considerazioni argomentate nella sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte n. 2951 del 16 febbraio 2016, nella parte in cui evidenzia come la titolarità della posizione soggettiva, attiva o passiva, vantata in giudizio è un elemento costitutivo della domanda ed attiene al merito della decisione, sicché spetta all’attore allegarla e provarla, salvo il riconoscimento, o lo svolgimento di difese incompatibili con la negazione, da parte del convenuto (cfr. Sez. U, Sentenza n. 2951 del 16/02/2016, Rv. 638371 – 01);

nel caso di specie, la circostanza consistita nell’essersi gli odierni istanti difesi in appello senza nulla dedurre sul punto, implicò necessariamente la mancata contestazione della titolarità del rapportò0′ in capo alla controparte (v., in termini sostanzialmente conformi, Sez. U, Sentenza n. 11650 del 18/05/2006, Rv. 589427 – 01, là dove riconosce, in relazione alla diversa ipotesi del giudizio di cassazione, come, la società che propone ricorso per cassazione avverso la sentenza di appello emessa nei confronti di un’altra società, della quale affermi di essere successore, a titolo universale o particolare, è tenuta a fornire la prova documentale della propria legittimazione, nelle forme previste dall’art. 372 cod. proc. civ., a meno che il resistente non l’abbia – nel controricorso, e non successivamente, nella memoria ex art. 378 cod. proc. civ. – esplicitamente o implicitamente riconosciuta, astenendosi dal sollevare qualsiasi eccezione in proposito e difendendosi nel merito dell’impugnazione);

fermo il carattere decisivo e assorbente di tali rilievi, varrà peraltro sottolineare la sufficienza, al fine di legittimare la trasferibilità per via negoziale della posizione di impresa designata per il Fondo di garanzia per le vittime della strada, dell’autorizzazione di tale trasferimento da parte dell’autorità amministrativa cui è rimesso il compito della designazione delle imprese ad agire per il Fondo di garanzia;

una volta, infatti, che l’autorità competente abbia preso atto di tale trasferimento, l’autorizzazione al trasferimento della posizione di impresa designata per il Fondo da un soggetto ad un altro deve ritenersi tale da superare ogni dubbio, potendo ritenersi, l’autorizzazione a tale trasferimento, equivalente all’approvazione dell’attribuzione, all’impresa cessionaria, della qualità di designata al posto della prima in relazione ai rapporti pendenti;

esaminando il contenuto del Bollettino ISVAP del 31/7/2013 n. 6/13 (richiamato da Generali Italia Spa) che ha disposto l’autorizzazione, ai sensi dell’art. 201 del D.Lgs. n. 209/2005 e del Regolamento Isvap n. 14 del 18 febbraio 2009, al conferimento, mediante scorporo, di un ramo dell’azienda assicurativa di Assicurazione Generali Spa a favore di Assitalia Spa si trova scritto, tra l’altro, che “con lettera del 18 marzo 2013 e successive integrazioni del 3 aprile e del 7 giugno, Ina Assitalia Spa ed Assicurazioni Generali Spa hanno presentato istanza di autorizzazione, ai sensi dell’art. 201 del D.Lgs. 7 settembre 2005 n. 209 e dell’art. 26 del Regolamento ISVAP n. 14/2008, al conferimento, mediante scorporo, di un ramo dell’azienda assicurativa di Assicurazioni Generali Spa a favore di Ina Assitalia Spa che, ad esito del conferimento, assumerà la denominazione di Generali Italia Spa. L’operazione in oggetto comprende il complesso di attività, passività e rapporti contrattuali inerenti l’attività assicurativa facente capo alla Direzione per l’Italia” (dove l’onnicomprensività del richiamo non può non estendersi anche ai rapporti pendenti connessi al Fondo di garanzia);

nel medesimo testo si legge che “al riguardo, avuto presente l’esito dell’istruttoria, si accerta, ai sensi dell’art. 201 del D.Lgs. 7 settembre 2005 n. 209 e del Regolamento ISVAP n. 14/2008, la sussistenza dei requisiti per l’autorizzazione al conferimento in oggetto. In relazione a ciò, questa Autorità autorizza, ai sensi dell’art. 201 del D.Lgs. 7 settembre 2005 n. 209 e del Regolamento ISVAP n. 14 del 18 febbraio 2008, il conferimento, mediante scorporo, di un ramo dell’azienda assicurativa di Assicurazioni Generali Spa, denominato ‘Direzione per l’Italia’, a favore di Ina Assitalia Spa, che ad esito del conferimento assumerà la denominazione di Generali Italia Spa”;

ritiene pertanto il Collegio come non vi sia alcun dubbio che il trasferimento del ramo d’azienda in esame da Assicurazioni Generali Spa ad Ina Assitalia Spa (poi Generali Italia Spa) ebbe, attraverso l’autorizzazione IVASS (già Isvap), tra i suoi effetti, anche quello di individuare, in Generali Italia Spa, il soggetto titolare dei rapporti già costituiti da Assicurazioni Generali Spa per il Fondo di garanzia per le vittime della strada, per effetto di successione a titolo particolare, con la conseguente positiva affermabilità, sul piano generale, dell’idoneità della cessione di ramo d’azienda autorizzata dall’Ivass a determinare anche la successione della cessionaria nel diritto già controverso in sede processuale con la cedente (ai sensi dell’art. 111 c.p.c.) (sul tale punto v. anche Cass., ordinanza n. 29635 del 12 dicembre 2017, da vedere in motivazione, pagg. 5-6);

è appena il caso di sottolineare, al riguardo, l’irrilevanza, rispetto alle argomentazioni sin in cui illustrate, di quanto affermato da Sez. 3, Sentenza n. 157 del 09/01/1991, Rv. 470424 – 01 (secondo cui “alla successione di una ad altra impresa, nella posizione di impresa obbligata – in distinti trienni – alla liquidazione ed al pagamento di quanto dovuto agli aventi diritto a seguito di sinistri provocati da veicolo non identificato e non coperto da assicurazione, non corrisponde altresì una successione della seconda impresa alla prima, nella posizione passiva di obbligata, nel caso in cui la prima impresa, nel triennio di sua competenza, non abbia provveduto alla estinzione della obbligazione gravante ratione temporis a proprio diretto carico, e sia pertanto tuttora pendente, e controverso, il relativo rapporto obbligatorio, verso la vittima della strada, accesosi nel triennio di operatività della prima designazione”, con la conseguenza che “non essendosi verificato per legge alcun fenomeno di successione a titolo particolare nel diritto sostanziale per cui si controverte, ex art. 111 c.p.c., deve negarsi la legittimazione della soc. Le Assicurazioni generali, quale terza, a ricorrere per cassazione; con conseguente inammissibilità della sua impugnazione” );

tale precedente, infatti, risulta riferito a un caso del tutto diverso, relativo, non già al trasferimento di uno specifico diritto controverso da un’impresa ad un’altra avvenuto per via negoziale (previa autorizzazione da parte dall’autorità amministrativa competente) (come nel caso in esame), bensì al rilievo della mancata successione nel diritto controverso per effetto della sostituzione, da parte dell’ISVAP, nella designazione di un’impresa assicurativa a un’altra senza alcun riferimento ai rapporti contrattuali pendenti (rimasti, pertanto, di pertinenza della precedente impresa);

con il secondo motivo, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per “scorretto uso del potere equitativo e motivazione apparente sul metodo adottato dalla Corte veneta”, per avere la corte territoriale ridotto l’entità del risarcimento del danno non patrimoniale spettante agli odierni istanti in ragione della premorienza della vittima avvenuta dopo la pubblicazione della sentenza di primo grado, avendo il giudice d’appello proceduto a tale riduzione sulla base di un criterio del tutto autoreferenziale, neppure sottoposto al contraddittorio delle parti, in tal modo incorrendo nella violazione dell’art. 132 co. 2 n. 4 e dell’art. 1226 c.c. (in relazione all’art. 360 co. 1 nn. 3 e 4 c.p.c.);

il motivo è fondato;

osserva il Collegio come, se è certamente vero che la liquidazione del danno biologico patito da persona deceduta per cause indipendenti dal fatto lesivo oggetto del giudizio vada correlata al tempo, noto, trascorso dal sinistro alla morte, in cui il soggetto ha effettivamente sopportato le conseguenze non patrimoniali della lesione alla sua integrità psicofisica, e non invece alla durata della vita futura, rapportata al momento del sinistro e valutata secondo criteri di probabilità statistica (cfr. Sez. 3, Ordinanza n. 4551 del 15/02/2019, Rv. 652827 – 01), è altresì vero che, ai fini della liquidazione di tale danno, il giudice di merito è comunque tenuto a seguire un opportuno criterio di proporzionalità, assumendo come punto di partenza il risarcimento spettante, a parità di età e di percentuale di invalidità permanente, alla persona offesa che sia rimasta in vita fino al termine del giudizio, e diminuendo quella somma in proporzione agli anni di vita residua effettivamente vissuti (cfr. Sez. 3, Ordinanza n. 41933 del 29/12/2021, Rv. 663500 – 01);

tale necessario criterio correttivo d’indole equitativa impone pertanto di disattendere il metodo di liquidazione accolto nella sentenza impugnata e di ritenere fondata la censura in esame, avendo la corte veneziana erroneamente proceduto a un’applicazione pedissequa del criterio tabellare milanese (censurato dalla giurisprudenza di questa Corte), con la conseguente cassazione sul punto della sentenza impugnata;

con il terzo motivo, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione dell’art. 112 c.p.c. (in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c.), per avere la corte territoriale erroneamente omesso di provvedere, a seguito dell’accoglimento dell’appello principale proposto dagli odierni istanti, alla condanna della controparte al pagamento delle somme dovute per quelle poste di danno, ulteriori rispetto al danno biologico permanente (e dunque a titolo di danno biologico temporaneo, di spese mediche e medico-legali e di lucro cessante lavorativo), da riliquidare con una riduzione, non più del 50%, bensì solo del 20%, in ragione della diversa valutazione della concorrente responsabilità di XX nella causazione del danno; il motivo è fondato;

osserva il Collegio come la corte territoriale (cfr. pag. 10 della sentenza impugnata), nel riportare i contenuti della sentenza di primo grado, abbia evidenziato che, secondo il primo giudice, all’attrice spettasse “anche il rimborso delle spese mediche e il risarcimento del danno da riduzione di reddito” (pag. 10 n. 5), con un danno totale pari ad euro 355.477,66 (da ridurre del 50% in ragione del concorso di colpa della danneggiata) (cfr. pag. 10 cit.);

nella stessa sentenza, la corte territoriale ha evidenziato come il tribunale ebbe a liquidare a titolo di danno non patrimoniale permanente l’importo di euro 319.831,60 (al lordo della detrazione per il concorso di colpa della danneggiata) (cfr. pag. 22 della sentenza impugnata);

dunque, dalla differenza tra l’importo di euro 355.477,66 (danno totale liquidato dal tribunale) e quello di euro 319.831,60 (danno non patrimoniale permanente liquidato dal tribunale) risulta un importo liquidato in favore della danneggiata (sempre al lordo della detrazione per il concorso di colpa) verosimilmente imputabile a rimborso di spese mediche e di risarcimento del danno da riduzione di reddito;

dalla lettura del dispositivo della sentenza d’appello emerge che l’unica voce di danno rideterminata è stata solo quella relativa al danno non patrimoniale per invalidità permanente (ridotta in ragione della premorienza della danneggiata), mentre nessuna rideterminazione è stata operata (stavolta in aumento, in ragione della minore entità della partecipazione causale della danneggiata alla determinazione del danno) in relazione a quella parte dell’importo risarcitorio liquidato dal primo giudice non imputabile al danno non patrimoniale per invalidità permanente (e dunque imputabile a rimborso di spese mediche e risarcimento del danno da riduzione di reddito);

tali rilievi impongono di riconoscere la fondatezza, e il conseguente accoglimento, del motivo in esame, con la conseguente cassazione sul punto della sentenza impugnata;

con il quarto motivo, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per errata applicazione dell’art. 1223 c.c. (in relazione all’articolo 360 numero tre c.p.c.), per avere la corte territoriale accolto l’impugnazione incidentale della controparte, dichiarando non dovute le spese sostenute dalla danneggiata per l’assistenza stragiudiziale già liquidate dal giudice di primo grado; e tanto, sulla base dell’erroneo assunto secondo cui il preventivo di spesa prodotto in giudizio non costituisse una prova certa dell’esborso e non valesse conseguentemente a giustificare il riconoscimento di una voce di danno risarcibile;

il motivo è inammissibile;

osserva il Collegio come, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità, le spese di assistenza legale stragiudiziale, diversamente da quelle giudiziali vere e proprie, hanno natura di danno emergente e la loro liquidazione, pur dovendo avvenire nel rispetto delle tariffe forensi, è soggetta agli oneri di domanda, allegazione e prova secondo le ordinarie scansioni processuali (Sez. U, Sentenza n. 16990 del 10/07/2017, Rv. 644917 – 01 e successive conformi);

ciò posto, le considerazioni critiche contenute nella censura in esame devono ritenersi limitate a una mera contestazione delle modalità con le quali il giudice ha proceduto alla valutazione della prova del danno emergente considerato: si tratta, pertanto, di una prospettazione avente a oggetto la rivalutazione in merito dei fatti di causa e delle prove, secondo un’impostazione critica non consentita in sede di legittimità;

con il quinto motivo, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. (in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.), per avere il giudice d’appello disposto la compensazione delle spese di entrambi i gradi del giudizio sulla base di una valutazione distinta degli esiti del primo e del secondo grado di giudizio, in violazione del principio secondo cui la soccombenza dev’essere individuata dal giudice con una valutazione globale ed unitaria degli esiti dell’intero giudizio da effettuarsi secondo il criterio della causalità;

con il sesto motivo, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione degli artt. 91, 92, co. 2, 112 e 324 c.p.c. (in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c.), per avere la corte territoriale erroneamente disposto la compensazione delle spese del giudizio di primo grado, riformando la condanna già disposto in favore degli odierni istanti dal primo giudice, nonostante l’accoglimento dell’appello proposto da questi ultimi (con riguardo all’esatta determinazione dell’entità della partecipazione causale di XX alla verificazione dell’evento dannoso), mentre l’accoglimento dell’appello della controparte era valso unicamente a dar rilievo a un fatto sopravvenuto (senza incidere sulla correttezza della sentenza impugnata), e malgrado sul punto si fosse formato il giudicato interno in mancanza di impugnazione del relativo capo di sentenza ad opera delle controparti;

con il settimo motivo, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione dell’art. 17 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, per avere la corte territoriale violato, nel condannare gli eredi di XX alla restituzione degli importi già ricevuti dalla stessa a titolo risarcitorio, la relativa proprietà di XX su detti importi, avuto riguardo al principio euro-unitario del vulneratus ante omnia reficiendus e all’insensata durata del processo di primo grado, con la conseguenza che gli eredi della danneggiata si troverebbero inopinatamente a restituire gran parte del risarcimento già percepito dalla propria dante causa, con la paradossale conseguenza che l’eventuale decesso della vittima prima della definitiva conclusione del giudizio verrebbe a tradursi in una sostanziale perdita della proprietà del denaro legittimamente ottenuto dalla danneggiata quale risarcimento delle conseguenze dannose effettivamente subite;

il quinto, il sesto e il settimo motivo devono ritenersi assorbiti dall’accoglimento del secondo e del terzo che, imponendo una nuova liquidazione del danno, rendono, da lato, ancora indeterminata l’entità dell’eventuale obbligo di restituzione degli odierni ricorrenti e, dall’altro, destinata a una complessiva riformulazione la regolazione delle spese di lite;

sulla base di tali premesse, rilevata la fondatezza del secondo e del terzo motivo, l’inammissibilità del primo e del quarto (assorbiti il quinto, il sesto e il settimo), dev’essere disposta la cassazione della sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti, con il conseguente rinvio ad altra Sezione della Corte d’appello di Venezia, comunque in diversa composizione, cui è altresì rimesso di provvedere alla regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il secondo e il terzo motivo; dichiara inammissibile il primo e il quarto motivo; dichiara assorbiti il quinto, il sesto e il settimo motivo; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia ad altra Sezione della Corte d’appello di Venezia, comunque in diversa composizione, cui è altresì rimesso di provvedere alla regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione civile della Corte di cassazione, addì 4 aprile 2024.

Depositata in Cancelleria il 7 giugno 2024.

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