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Cassazione civile sez. III, 06/06/2019, n. 15317

Massima

Un provvedimento giudiziario, quale una decisione di convalida di sfratto, che venga depositato nel solo dispositivo senza la successiva redazione e deposito della motivazione, è da considerarsi inesistente. Tale radicale vizio ne comporta l’annullamento e la necessità di riassumere la causa nel giudizio di rinvio.

Supporto alla lettura

SFRATTO

Lo sfratto è un provvedimento previsto dalla legge per tutelare i proprietari di immobili in affitto.

Si distinguono quindi quattro tipologie di sfratto:

  • sfratto per morosità: quando l’inquilino ritarda il pagamento anche di un solo mese di canone di locazione, per più di 20 giorni dalla data stabilita (lo stesso vale se non versa gli oneri accessori, es. le spese condominiali, accumulando un debito superiore a due mensilità del canone). E’ l’unica tipologia in cui l’inquilino moroso può presentarsi all’udienza e chiedere al giudice il c.d. termine di grazia, cioè un periodo di tempo aggiuntivo (90 giorni, estesi a 120 giorni in caso di dimostrate condizioni precarie a livello economico o di salute) che il giudice concede all’inquilino moroso per pagare al proprietario l’affitto arretrato, gli interessi e le spese legali;
  • sfratto per finita locazione: quando l’inquilino rifiuta di lasciare l’abitazione al termine del contratto. La normativa prevede la possibilità di richiedere lo sfratto per finita locazione in forma preventiva, c.d. “intimazione di licenza per finita locazione”, funge da disdetta (sempre entro 6 mesi dalla scadenza del contratto per evitare il rinnovo automatico). Se l’inquilino non dovesse liberare l’immobile al termine della locazione, l’intimazione rappresenta un vero e proprio titolo esecutivo e diventa utilizzabile;
  • sfratto per necessità: a livello giuridico non si tratta di un vero e proprio sfratto, ma di un diniego di rinnovo del contratto di affitto. A seconda del tipo di contratto di affitto, cambiano le tempistiche per il rinnovo della locazione alla prima scadenza (4 anni in caso di canone libero e 3 anni per gli affitti a canone concordato). I motivi che consentono questa tipologia di sfratto (sempre inviando un preavviso scritto di almeno 6 mesi) sono tutti quei casi in cui il proprietario vuole destinare l’immobile a uso abitativo, commerciale, artigianale o professionale per se stesso o per un familiare fino al secondo grado. Se entro l’anno successivo alla riconsegna dell’immobile i motivi della disdetta non vengono rispettati, l’inquilino ha diritto di riattivare il precedente contratto di affitto, o, in alternativa, può richiedere un risarcimento non inferiore a 36 mensilità di canone;
  • sfratto per inadempienza contrattuale: quando l’inquilino commetta violazioni al contratto tali da richiedere una risoluzione dell’accordo (es.  il cambio di destinazione d’uso dell’appartamento, attività illegali condotte nell’immobile, disturbo dei vicini, o sublocazione non autorizzata). Anche la grave inadempienza non rientra tecnicamente nelle tipologie di sfratto in senso stretto, infatti in questo caso si parla di risoluzione del contratto, anche se il procedimento giudiziario è il medesimo dello sfratto.

Qualora dovesse presentarsi il caso in cui si cumulino le domande di sfratto per morosità e finita locazione, è possibile richiedere una convalida di sfratto per morosità se precedentemente ci si è avvalsi della licenza per finita locazione, in questo modo si velocizzano anche i tempi di risoluzione del rapporto. Per recuperare eventuali crediti successivi alla scadenza del contratto, con la riforma Cartabia è stato stabilito un risarcimento forfettario, richiedibile in concomitanza allo sfratto o col procedimento “sfratto per finita locazione e decreto ingiuntivo”.

Ambito oggettivo di applicazione

Svolgimento del processo

La ricorrente ha preso in locazione un immobile dalla società C. Costruzioni s.r.l., con l’intento di esercitarvi attività di ristorazione. Poco dopo la stipula, la ricorrente ha subito una verifica da parte dei vigili, che, accertato il difetto di autorizzazioni amministrative, per lo svolgimento di quell’attività di ristorazione, ha emesso sanzioni a carico della società. Quest’ultima ha dunque interrotto il pagamento dei canoni, ed ha subito azione di sfratto per morosità. In quel giudizio si è costituita la società conduttrice, ed in via riconvenzionale, ha chiesto il risarcimento dei danni che il locatore avrebbe provocato non assicurando l’esistenza delle autorizzazioni, nonchè l’indennità per i miglioramenti, ed infine il risarcimento dei danni per alcuni beni, di sua proprietà, andati perduti dopo l’esecuzione dello sfratto. Il Tribunale, in primo grado, considerato che la conduttrice aveva chiesto il termine di grazia per sanare la morosità, e che non lo aveva peraltro rispettato, ha ritenuto implicitamente fatta acquiescenza alla questione del suo inadempimento, ed ha convalidato lo sfratto. Tuttavia, ha depositato il solo dispositivo senza mai depositare la motivazione. Detto provvedimento è stato, dunque, annullato sul presupposto che fosse da ritenersi inesistente una decisione simile, del tutto priva dei motivi. Riassunta la causa, a seguito del rinvio in primo grado, la conduttrice ha riproposto le domande di risarcimento e di indennizzo, che però sono state dichiarate improcedibili perchè coperte da giudicato. Secondo il giudice del rinvio, poichè nel precedente giudizio, convalidato lo sfratto, erano state rigettate tutte le eccezioni, istanze e difese dell’intimata, si doveva ritenere che anche la riconvenzionale lo fosse, e che dunque non potesse essere riproposta nel giudizio di rinvio.

La conduttrice ha proposto appello avverso tale decisione, riproponendo le iniziali pretese.

La Corte di appello ha innanzitutto ritenuto ammissibili le domande, in quanto non coperte da giudicato; nel merito ha rigettato sia la domanda di risarcimento fatta sul presupposto dell’inadempimento degli obblighi di procurare l’autorizzazione, sia quella per il rimborso dei miglioramenti, accogliendo la domanda di risarcimento dei danni per i beni andati perduti.

Ricorre ora avverso tale decisione la conduttrice, con due motivi di doglianza, cui si oppone la locatrice, che propone ricorso incidentale sulla questione della improcedibilità per violazione del giudicato.

Motivi della decisione

Il ricorso contiene una lunga esposizione dei fatti, e si chiude con l’enunciazione dei motivi nelle sole ultime tre pagine.

Con il primo motivo si denuncia sia violazione dell’art. 1592 c.c. che omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione circa un punto decisivo.

Il motivo contiene in sè dunque due censure, la prima delle quali attiene al difetto di motivazione, ma nei termini in cui era inteso nella vecchia formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, e dunque, come tale, inammissibile, trovando ormai il difetto di motivazione rilievo solo nell’ipotesi in cui la sua gravità integri una nullità della sentenza ex art. 360 c.p.c., n. 4.

Con la seconda censura (sempre posta all’interno del secondo motivo) la società ricorrente contesta la decisione di merito secondo la quale non era emerso un valido consenso del locatore ai miglioramenti sulla cosa locata, in quanto il consenso, per essere tale, deve essere conscio della entità anche economica e della convenienza dei lavori.

La ricorrente contrasta questa tesi ritenendo che l’art. 1592 c.c. non richieda un consenso cosi esplicito ed informato, essendo sufficiente una preventiva autorizzazione ad effettuare lavori di ordinaria e straordinaria manutenzione.

Il motivo è infondato.

A prescindere dal rilievo che l’autorizzazione alla effettuazione di lavori di ordinaria e straordinaria manutenzione non è consenso alla effettuazione di miglioramenti, che sono altra cosa rispetto alla manutenzione, sia pure straordinaria, della cosa locata; a prescindere da ciò, è regola secondo cui nel contratto di locazione, il diritto del conduttore alla indennità per i miglioramenti della cosa locata presuppone, ai sensi dell’art. 1592 c.c., che le relative opere siano state eseguite con il consenso del locatore, e tale consenso, importando cognizione dell’entità, anche economica, e della convenienza delle opere, non può essere implicito, nè può desumersi da atti di tolleranza, ma deve concretarsi in una chiara ed inequivoca manifestazione di volontà volta ad approvare le eseguite innovazioni, così che la mera consapevolezza (o la mancata opposizione) del locatore riguardo alle stesse non legittima il conduttore alla richiesta dell’indennizzo (Cass. 2494/ 2009; Cass. 5541/2012).

Ne consegue che correttamente la corte di appello ha ritenuto che la preventiva e generica autorizzazione ad effettuare lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria non fosse sufficiente a costituire valido consenso ad effettuare miglioramenti sulla cosa locata.

Con il secondo motivo la ricorrente denuncia omessa o insufficiente motivazione su un fatto decisivo.

Il motivo è però inammissibile in quanto, a parte che è formulato in relazione al vecchio testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, ed è persino privo delle ragioni che lo dovrebbero illustrare; a parte ciò anche sotto la nuova formulazione del n. 5 dell’art. 360 c.p.c. non coglie la ratio della decisione, in quanto le attribuisce omesso esame del quantum del danno, ma appare evidente (ed anche dallo stesso motivo di ricorso) che la corte di appello ha bensì esaminato la questione dell’ammontare del pregiudizio, ma ritenendolo di difficile stima, lo ha liquidato equitativamente, mostrando cosi di avere preso in considerazione il fatto controverso.

E ciò a prescindere dal rilievo per cui la ricorrente, pur denunciando omesso esame del quantum, non dice in che modo sarebbe stata violata la regola che, nel giudizio di merito, ha presieduto alla stima equitativa del danno.

2.- Partimenti infondato è il ricorso incidentale.

Esso è basato su tre motivi, i primi due attinenti alla questione della procedibilità delle domande del conduttore, il terzo relativo proprio al danno che la corte di appello ha liquidato al conduttore per la perdita dei beni contenuti nell’immobile poi rilasciato.

I primi due motivi posso dunque esaminarsi congiuntamente.

Il primo denuncia violazione dell’art. 2909 c.c., in tema di giudicato.

Sostiene la locatrice che in realtà il giudice di primo grado si era pronunciato sulle domande riconvenzionali del conduttore, e le aveva rigettate, con la conseguenza che, non essendovi impugnazione sul punto, quelle domande erano passate in giudicato e non potevano essere riproposte in altro giudizio.

L’argomento su cui la controricorrente fonda tale assunto è che il giudice di primo grado, nel convalidare lo sfratto, ha espressamente detto che ogni contraria istanza, eccezione e deduzione doveva intendersi disattesa.

Il motivo è però infondato.

E’ evidente che tale formula (“ogni contraria istanza ed eccezione disattesa”) non costituisce affatto decisione di rigetto delle domande riconvenzionali, in quanto una pronuncia di rigetto non solo presuppone un esplicito dispositivo in tal senso, ma altresì un minimo di motivazione a supporto. Nella espressione in questione v’è da identificare solo una formula di stile fatta per ritenere l’assorbimento delle eccezioni che il conduttore ha rivolto contro la convalida, accolta la quale, quelle sono respinte. Non è una formula sufficiente a costituire capo autonomo di rigetto della domanda riconvenzionale, che invece, presuppone che sia individuabile una motivazione relativa.

Con il secondo motivo la locatrice, ricorrente incidentale, denuncia violazione dell’art. 1460 c.c., attribuendo alla corte di merito di avere male inteso una clausola del contratto che imponeva alla conduttrice di pagare i canoni prima di poter intraprendere ogni azione, pena la risoluzione di diritto del contratto.

La corte di appello avrebbe invece disatteso questa indicazione contrattuale ritenendo ammissibili le domande di risarcimento e di indennizzo della conduttrice.

Il motivo è infondato in quanto non attribuisce alla decisione impugnata una erronea interpretazione dell’art. 1460 c.c., bensì una erronea interpretazione della clausola contrattuale (artt. 7 e 8) che, a dire del controricorrente, impediva alla conduttrice di agire in giudizio per i danni.

Inoltre, le previsioni contrattuali richiamate prevedono l’obbligo del conduttore di pagare i canoni prima di intraprendere azioni a tutela dei suoi diritti, e non già quale condizione per l’esercizio di quelle azioni. Prova ne sia che, in caso contrario, quelle clausole non prevedono (e del resto non potrebbero farlo) l’improponibilità di eventuali domande del conduttore aventi causa nel contratto, ma prevedono la risoluzione del medesimo. Se il conduttore non paga prima di intraprendere azioni in giudizio per sue rivendicazioni, il contratto si risolve, ma non è previsto che quelle azioni siano inammissibili o non proponibili in giudizio.

Con la conseguenza che è corretta la tesi del giudice di merito circa l’ammissibilità delle domande di risarcimento avanzate dal conduttore, che non sono condizionate dal previo pagamento del canone.

Il ricorso va pertanto respinto, e con esso quello incidentale, con compensazione delle spese, attesa la reciproca soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta sia il ricorso principale che quello incidentale. Compensa le spese. Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento del doppio del contributo unificato da parte del ricorrente incidentale.

Così deciso in Roma, il 8 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 6 giugno 2019

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