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Cassazione civile sez. III, 06/03/2023, n. 6607

Massima

In tema di risarcimento del danno da fatto illecito, il calcolo degli interessi compensativi a titolo di lucro cessante deve tenere conto degli acconti versati prima della liquidazione definitiva. Tali interessi vanno infatti calcolati sull’intero capitale risarcitorio (rivalutato anno per anno) per il periodo che intercorre tra la data dell’illecito e il pagamento dell’acconto; successivamente al versamento dell’acconto, gli interessi vanno calcolati unicamente sulla somma residua (anch’essa rivalutata anno per anno), previa omogeneizzazione e detrazione dell’acconto dal credito complessivo, al fine di simulare il vantaggio finanziario che il creditore avrebbe potuto ricavare dall’investimento della somma a lui dovuta se gli fosse stata tempestivamente pagata.

Supporto alla lettura

RISARCIMENTO DANNO

Quando si parla di risarcimento del danno ci si riferisce alla compensazione, prevista dalla legge, in favore di chi ha subito un danno ingiusto.

Per danno ingiusto si intende la lesione di una situazione giuridica soggettiva protetta dalla legge.

Il danno può essere costituito dalla lesione di:

  • un diritto soggettivo e quindi di una situazione giuridica tutelata dalla legge in modo diretto, può essere leso da chiunque se si tratta di un diritto assoluto che quindi deve essere rispettato da tutti gli altri soggetto o da un soggetto determinato se si tratta di un diritto relativo ovvero di un diritto che deve essere rispettato solo da un determinato soggetto legato al titolare del diritto da un rapporto giuridico;
  • un interesse legittimo vale a dire di una situazione giuridica soggettiva tutelata dalla legge in modo indiretto ovvero nella misura in cui l’interesse del privato coincide con l’interesse pubblico, può essere leso dalla Pubblica Amministrazione che nell’esercizio del proprio potere non rispetta le norme di buona amministrazione.

Il diritto al risarcimento del danno sorge quando il danno patito è conseguenza immediata e diretta del comportamento del danneggiante. Questa regola è stabilita dall’art. 1223 del codice civile. Per questo motivo è necessario dimostrare che il pregiudizio si trova in rapporto di causa-effetto rispetto alla condotta del danneggiante.

Il risarcimento del danno si distingue dall’indennizzo anche se in entrambi i casi il soggetto danneggiato riceve un ristoro economico per il danno che ha subito:

  • risarcimento: quando il danno è stato causato da una condotta illecita;
  • indennizzo: quando il danno è conseguente ad una condotta lecita cioè ad una condotta consentita e in alcuni casi imposta dalla legge.

Ambito oggettivo di applicazione

Svolgimento del processo

1. Nel 1994, (omissis), vedova di (omissis), deceduto a seguito di sinistro verificatosi nel 1991, convenne in giudizio, dinanzi al Tribunale di Frosinone, (omissis), conducente dell’autocarro coinvolto nel sinistro, (omissis), locatario del mezzo, la Sofil Spa , proprietaria dello stesso mezzo, e la compagnia (omissis) Spa (oggi UnipolSai Assicurazioni Spa ), assicuratrice per la r.c. auto, chiedendo il risarcimento di tutti i danni patiti a seguito della perdita del marito.

Con autonomo atto di citazione, sempre nel 1994, (omissis), trasportata sul veicolo condotto dal (omissis), conveniva in giudizio le medesime parti, al fine di sentirle condannare al risarcimento di tutti i danni subiti nel sinistro.

In entrambi i giudizi, si costituivano la Sofil, la (omissis) e il (omissis), mentre il (omissis) rimaneva contumace.

Riunite le cause, il Tribunale di Frosinone ordinava la chiamata in causa di (omissis), della Tras Car Srl e della Team Car Sas , ai quali la controversia doveva ritenersi comune, siccome sia (omissis) che i legali rappresentanti delle due società erano stati condannati, dal pretore di (omissis) nel 1998, per il reato di omicidio colposo e lesioni colpose in danno di (omissis) e di (omissis), per lo stesso sinistro che ha originato il presente giudizio.

Avendo provveduto la (omissis) alla chiamata in causa, si costituirono in giudizio (omissis), la Tras Car, il legale rappresentante di quest’ultima, (omissis), e (omissis), in qualità di socio accomandatario e legale rappresentante della cessata Team Car Sas .

Il Tribunale di (Omissis), con la sentenza n. 153-2006, riconosciuta la esclusiva responsabilità del (omissis) nella produzione del sinistro, rigettò le domande nei confronti dei convenuti.

Tale decisione fu riformata dalla Corte di Appello di Roma con la sentenza n. 450-2012. La Corte d’appello dichiarò che la responsabilità dell’incidente doveva essere addebitata, nella misura dell’80% a carico dei convenuti Sofil, (omissis), (omissis), Tras Car, (omissis), (omissis) Snc e (omissis), in solido tra loro, condannandoli al risarcimento del danno nei confronti della (omissis) e della (omissis).

La sentenza di appello fu successivamente impugnata innanzi alla Corte di Cassazione.

Nelle more del giudizio, in data 24 aprile 2012, la (omissis) e Unipol Sai conclusero un atto di transazione, in forza del quale la (omissis) ricevette a titolo di risarcimento dei danni subiti l’importo di Euro 950.000,00, rinunciando ad ogni ulteriore pretesa risarcitoria nei confronti della compagnia assicurativa. La Sofil dichiarò di voler profittare dell’accordo transattivo ai sensi dell’art. 1304, comma 1, c.c..

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 17240/2015 del 27 agosto 2015, dopo aver dichiarata cessata la materia del contendere tra la (omissis), la (omissis), la Sofil, il (omissis) e il (omissis), cassò con rinvio la sentenza della Corte di appello di Roma n. 450/2012, disponendo che la causa venisse rinviata alla medesima Corte di Appello in diversa composizione, la quale avrebbe dovuto provvedere ad una nuova delibazione in punto di graduazione della responsabilità concorrente del (omissis) nella causazione del sinistro ed alla conseguente rideterminazione del quantum debeatur, oltre che alla ripartizione interna delle colpe tra i vari corresponsabili del sinistro.

2. Per quel che qui ancora rileva, la Corte d’appello di Roma, con la sentenza n. 542/2020, depositata il 24 gennaio 2020, ha rideterminato la percentuale di colpa di (omissis) nel 40% ed ha riconosciuto il diritto della B.B. al risarcimento del danno biologico temporaneo e permanente sofferto iure proprio, nella misura del 25%, del danno morale derivante dalla perdita del coniuge, del danno patrimoniale derivante dal venir meno del contributo economico del coniuge, nonchè del danno all’autovettura.

Il giudice del rinvio ha inoltre disposto la corresponsione di interessi compensativi a titolo di lucro cessante sull’importo complessivo derivante dalla liquidazione dei suddetti danni, pari ad Euro 652.887,00, devalutato alla data dell’incidente.

Pertanto, la Corte d’Appello, tenuto conto di quanto già pagato dalla Unipol in conseguenza della transazione (che aveva definito in maniera tombale i rapporti tra la (omissis), l’assicurazione e i condebitori solidali (omissis), (omissis), Sofil), ha condannato gli altri corresponsabili al pagamento in favore della (omissis) dell’importo residuo spettante.

3. Avverso tale sentenza propongono ricorso per cassazione, sulla base di un unico motivo, il signor (omissis) e la Tras Car Srl .

Resistono con controricorso la signora (omissis) e la UnipolSai Assicurazioni Spa .

Gli intimati (omissis), (omissis), (omissis) Snc (omissis), (omissis), Sofil Srl e (omissis) non hanno svolto difese.

Motivi della decisione

4. Con l’unico motivo di ricorso i ricorrenti lamentano la “violazione e falsa ed erronea applicazione degli artt. 12181223122612922056 e 1282 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c. n. 3″.

La Corte d’Appello avrebbe erroneamente quantificato ‘il danno complessivo spettante all’appellante in riassunzione sig.ra B.B. essendo incorsa in violazione e falsa applicazione delle norme e dei principi statuiti dalla Suprema Corte relativi alla liquidazione degli interessi compensativi riconosciuti all’appellante a titolo di lucro cessante sulle somme attribuite a titolo di risarcimento dei dannì.

La Corte, infatti, non avrebbe tenuto conto delle somme già ricevute dalla (omissis) (per effetto della transazione intervenuta con (omissis) nell’aprile del 2012 e pari ad Euro 950.000) prima della pronuncia dell’impugnata sentenza e da imputare a titolo di acconto sulla liquidazione del danno, con la conseguenza che a decorrere da quella data, sino alla concorrenza dell’importo ricevuto per effetto della transazione, la (omissis) non avrebbe subito alcun danno da ritardato pagamento.

Pertanto, gli interessi compensativi avrebbero dovuto essere calcolati solo sulla somma eventualmente residua, una volta detratto l’acconto versato (debitamente rivalutato alla data della liquidazione).

La Corte territoriale, pur avendo dato atto del fatto che l’obbligazione di pagamento adempiuta da (omissis) Sai aveva estinto fino alla concorrenza dell’importo di 950.000 Euro l’obbligazione solidale gravante su tutti i condebitori in solido, in adempimento a quanto statuito dall’art. 1292 c.c., avrebbe finito per violare tale norma omettendo di tenerne conto nel procedimento di calcolo degli interessi compensativi.

5. Il motivo è fondato.

Il debitore dell’obbligo di risarcire il danno causato da un fatto illecito è in mora ex re dal giorno del fatto illecito (art. 1219 c.c.).

Come da tempo stabilito da questa Corte, il ritardato adempimento dell’obbligo di risarcimento del danno impone al debitore di pagare al creditore, oltre all’equivalente monetario del bene perduto espresso in moneta dell’epoca della liquidazione attraverso la rivalutazione del credito, il lucro cessante finanziario, ovvero i frutti che il denaro dovutogli a titolo di risarcimento sin dal giorno del sinistro avrebbe prodotto, in caso di tempestivo pagamento; e questo danno si può liquidare applicando un saggio di interessi equitativamente scelto dal giudice sul credito risarcitorio rivalutato anno per anno (Cass. Sez. Un., Sentenza n. 1712 del 17/02/1995). Queste regole trovano applicazione anche quando il debitore (o, come nel caso di specie, uno dei condebitori solidali), prima della liquidazione definitiva, abbia versato degli acconti.

I criteri di defalco degli acconti dal credito risarcitorio vanno individuati alla luce della ratio della soluzione adottata da Sez. Un. 1712/95, cit., secondo cui la liquidazione del danno da mora nelle obbligazioni di valore deve “simulare” il vantaggio che il creditore avrebbe potuto ricavare dall’investimento della somma a lui dovuta, se gli fosse stata tempestivamente pagata.

Nel caso di pagamenti in acconto, il creditore:

(a) nel periodo compreso tra il danno e il pagamento dell’acconto, a causa della mora ha perduto la possibilità di investire e far fruttare l’intero capitale dovutogli: e dunque il danno da mora deve, per questo periodo, corrispondere al lucro che gli avrebbe garantito l’investimento dell’intero capitale;

(b) dopo il pagamento dell’acconto, e per effetto di quest’ultimo, il creditore non può più dolersi di avere perduto i frutti finanziari teoricamente derivanti dall’investimento dell’intero capitale dovutogli; infatti, il lucro cessante del creditore si riduce alla perduta possibilità di investire e far fruttare il capitale che residua, dopo il pagamento dell’acconto.

Da ciò consegue che, nel caso di pagamento di acconti, tale pagamento va sottratto dal credito risarcitorio attraverso le seguenti operazioni:

(a) rendere omogenei il credito risarcitorio e l’acconto (devalutandoli entrambi alla data dell’illecito, ovvero rivalutandoli entrambi alla data della liquidazione);

(b) detrarre l’acconto dal credito;

(c) calcolare gli interessi compensativi applicando un saggio scelto in via equitativa: (i) sull’intero capitale rivalutato anno per anno, per il periodo che va dalla data dell’illecito al pagamento dell’acconto; (ii) sulla somma che residua dopo la detrazione dell’acconto (anche in questo caso rivalutata anno per anno), per il periodo che va dal suo pagamento fino alla liquidazione definitiva (cfr. ex multis, Cass. civ., Sez. 3, n. 29031 del 13.11.2018Cass. civ., Sez. 3, n. 27477 del 30.10.2018Cass. civ., Sez. 3, n. 20795 del 20.8.2018Cass. civ., Sez. 3, n. 25817 del 31.10.2017Cass. civ., Sez. 3, n. 9950 del 20.04.2017Cass. civ., Sez. 3, n. 6347 del 19.03.2014).

La Corte d’appello, nella sentenza impugnata, non ha fatto applicazione dei suddetti principi.

La sentenza va dunque cassata con rinvio alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, la quale provvederà a defalcare la somma pagata dalla UnipolSai secondo i criteri sopra indicati.

6. Pertanto, la Corte accoglie l’unico motivo del ricorso principale, come in motivazione, cassa in relazione la sentenza impugnata e rinvia anche, per le spese del presente giudizio, alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione.

P.Q.M.

La Corte accoglie l’unico motivo del ricorso principale, come in motivazione, cassa in relazione la sentenza impugnata e rinvia anche, per le spese del presente giudizio, alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte suprema di Cassazione, il 10 gennaio 2023.

Depositato in Cancelleria il 6 marzo 2023

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