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Cassazione civile sez. III, 05/12/1994, n.10437

Massima

La morte della parte attrice intervenuta prima della notificazione della citazione o del deposito del ricorso determina, secondo la regola generale dell’art. 1722 n. 4 c.c., l’estinzione del mandato conferito al difensore e, conseguentemente la nullità della “vocatio in ius” e dell’intero eventuale giudizio che ne è seguito, restando esclusa, in mancanza della valida costituzione di un rapporto processuale, l’applicabilità del principio, che ha carattere eccezionale, dell’ultrattività della procura, che riguarda il caso di morte della parte costituita, fin tanto che l’evento interruttivo non sia dichiarato in udienza dal procuratore (art. 300 c.p.c.). (Nella specie, si è ritenuto che in caso di decesso nel corso del processo esecutivo del creditore istante, il difensore non poteva avvalersi della procura anteriormente rilasciatagli per proporre opposizione agli atti esecutivi).

Supporto alla lettura

INTERRUZIONE DEL PROCESSO

L’interruzione è un arresto temporaneo del processo, giustificato dalla necessità di ripristinare il regolare contraddittorio, qualora il verificarsi di determinati eventi, che potrebbero riguardare le parti, i loro rappresentanti e/o procuratori, determini il venir meno della loro partecipazione in giudizio.

Le ipotesi di interruzione del processo (artt.299, 300 e 301 del codice di procedura civile) possono riguardare:

  • la morte o la perdita della capacità di stare in giudizio, prima della costituzione, di una delle parti o del rappresentante legale, o la cessazione di tale rappresentanza;
  • la morte o la perdita della capacità della parte costituita o del contumace;
  • la morte, la radiazione o la sospensione del procuratore

Se gli eventi che determinano l’interruzione si verificano prima della costituzione delle parti in giudizio, l’interruzione si produce ipso iure, indipendentemente dal provvedimento del giudice, che avrà dunque natura dichiarativa. Analogamente per gli eventi che colpiscono il procuratore della parte costituita. Al contrario, se gli eventi interruttivi si verificano in corso di causa, l’interruzione potrà essere dichiarata solo dopo che il procuratore abbia dichiarato in udienza l’evento interruttivo o lo abbia notificato alle altre parti. In caso di interruzione del processo trovano applicazione le stesse regole viste per l’ipotesi di sospensione: non potranno,
cioè, essere compiuti atti del procedimento.

Il processo deve essere proseguito o riassunto entro il termine perentorio di 3 mesi dall’interruzione, altrimenti si estingue. Il processo interrotto prosegue con la costituzione in udienza, o con il deposito della comparsa di costituzione in cancelleria. Se non è fissata alcuna udienza, la parte può chiedere con ricorso al giudice istruttore o al presidente del tribunale la fissazione dell’udienza.

Ricorso e decreto sono notificati all’altra parte dall’istante. Se non avviene la prosecuzione, l’altra parte può chiedere la fissazione dell’udienza, notificando ricorso e decreto a coloro che devono costituirsi per proseguirlo. Nell’ipotesi di morte della parte, il ricorso dovrà contenere gli estremi della domanda e la notificazione potrà essere effettuata, entro un anno dalla morte, collettivamente e impersonalmente agli eredi, nell’ultimo domicilio del defunto. Se la parte che ha ricevuto la notificazione non compare all’udienza fissata, si procederà in sua contumacia.

Ambito oggettivo di applicazione

Fatto
Svolgimento del processo
Con ricorso depositato il 15.10.1988 l’avv. (omissis), quale procuratore di (omissis), creditore procedente nella procura esecutiva instaurata nei confronti di (omissis) e di (omissis), proponeva opposizione avverso l’ordinanza del Pretore di Melfi (sede distaccata di Venosa) in data 6.8.1988, con la quale, su istanza dei debitori, era stata determinata, a norma dell’art. 495 c.p.c., la somma da sostituire ai beni pignorati, da depositarsi per la conversione del pignoramento.

Instauratori il contraddittorio, il Pretore, con la sentenza ora impugnata, del 3.11.1990, accogliendo l’eccezione degli esecutati, dichiarava inammissibile il ricorso, condannando l’opponente al rimborso delle spese, essendo “pacifico” che il Coppola era deceduto prima del suo deposito in cancelleria, con il seguente venir meno della procura ad litem rilasciata anteriormente, ai sensi dell’art. 1722 c.c., ed in considerazione “del rapporto di autonomia strutturale e di mera coordinazione funzionale tra le opposizioni ed il processo esecutivo che le occasiona”.

Avverso la sentenza ricorre per Cassazione (omissis), coniuge ed erede del (omissis).

Nè il (omissis) nè la (omissis) hanno svolto, in questa sede, attività difensiva.

Diritto
Motivi della decisione
Con l’unico motivo di ricorso si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1722 e 2697 c.c., in relazione agli artt. 115, 299 e 300 c.p.c..

La ricorrente sostiene, anzitutto, che l’opposizione agli atti esecutivi era stata proposta in forza delle procure apposte a margine degli atti di precetto e non di quella a margine del ricorso, alla quale, infatti, non si faceva alcun riferimento nell’atto. Ciò premesso, sostiene che il principio dell’estinzione del mandato per morte del mandante, ci cui all’art. 1722 n. 4 c.p.c. (NDR: così nel testo), cui ha fatto riferimento il pretore, si applica esclusivamente alla rappresentanza sostanziale, e non alla rappresentanza processuale, in cui, per gli artt. 299 e 300 c.p.c., l’efficacia del mandato permane fino all’esaurimento del processo per il quale è stato conferito, salvo che il procuratore dichiari la morte del proprio rappresentato, provocandone l’interruzione: circostanza, questa, che non si è realizzata nel caso di specie.

Apoditticamente, inoltre, il pretore avrebbe ritenuto pacifico tra le parti che il decesso del (omissis) fosse avvenuto prima del deposito del ricorso in cancelleria, non esistendo concordanza sul punto, espressamente contestato.

Il ricorso è destituito di fondamento.

È opportuno rilevare che, contestandosi la validità e l’efficacia della procura alle liti, compete a questa Corte il potere (e l’onere) di esaminare gli atti di causa che la contengono o che vi si riferiscono.

È necessario premettere, in fatto, che col ricorso per opposizione “l’avv. (omissis)” ha agito – come si legge espressamente – “nella qualità di procuratore domiciliatario di (omissis), ricorrente nella procedura esecutiva, pendente avanti la Pretura di Venosa, instaurata contro (omissis)  e (omissis), debitori resistenti, da Venosa,…”. Sullo stesso non è richiamata alcuna prova.

A margine dell’atto risulta apposto un mandato col quale l’avvocato Ferrenti viene nominato “difensore e rappresentante nel presente giudizio”, con sottoscrizione regolarmente autenticata dallo stesso difensore.

È noto che l’atto introduttivo del giudizio (e quindi sia la citazione che il ricorso) devono contenere, fra l’altro, il nome e il cognome del procuratore e l’indicazione della procura, qualora questa sia stata già rilasciata (art. 163 c. 3 , n. 6 c.p.c.).

Il mancato richiamo alla procura non comporta, peraltro, nullità dell’atto di citazione, come del ricorso, allorché la stessa risulti apposta a margine dell’atto, dovendosi ritenere che il difensore abbia agito in forza di tale conferimento di poteri.

Non può esservi dubbio, quindi, che nella specie il difensore del dante causa dell’attuale ricorrente abbia agito in forza della procura apposta a margine del ricorso (la cui apposizione ed autenticazione non avrebbe avuto, diversamente, alcun significato), e non, come si afferma nel ricorso, in forza di quelle conferite con gli atti di precetto, cui, del resto, non si fa alcun riferimento.

Il ricorso in opposizione risulta depositato in Cancelleria il 15.10.1988; e la sua notifica è avvenuta il 5.11.1988.

Diversamente da quanto si sostiene col ricorso in esame, la morte del (omissis) anteriormente al deposito del ricorso non risulta contestata dai debitori esecutati: costoro, costituendosi all’udienza del 17.11.1988, mediante deposito del fascicolo e della comparsa (la cui copia non è in atti), cui si sono riportati, si sono limitati ad “impugna(re) e contesta(re) l’avverso dedotto perché infondato in diritto” e non, quindi, le circostanze di fatto dedotte dalla controparte. Nella stessa comparsa conclusionale dell’opponente non si avanza alcuna eccezione circa la morte del  (omissis) e la data della stessa, sostenendosi che il ricorso è stato proposto in forza della procura apposta a margine di ogni atto di precetto. Esattamente, quindi – e non apoditticamente -, il pretore ha ritenuto non contestata la data della morte del (omissis) (dal certificato di morte esistente agli atti della stessa ricorrente risulta, del resto, che lo stesso è deceduto il 27.9.1988, anteriormente, quindi, al deposito del ricorso ed alla stessa emissione dell’ordinanza impugnata).

È noto che, per l’art. 1722 n. 4 c.c., il mandato si estingue, fra l’altro, “per la morte… del mandante”. Inesattamente si afferma, in proposito, che la norma attiene esclusivamente al rapporto sostanziale, contenendo viceversa un principio di carattere generale. Nell’ambito del processo esiste tuttavia, in forza dell’art. 300 c.p.c., il principio della ultrattività del mandato, fino a tanto che il procuratore costituito non dichiari in udienza l’evento interruttivo (l’interruzione si verifica ipso iure se la parte è costituita personalmente; se la stessa è contumace, il fatto interruttivo non esplica effetti finché non sia notificato o certificato dall’ufficiale giudiziario nella relazione di notificazione di uno dei provvedimenti di cui all’art. 292 c.p.c. – art. 300, c. 3 4 ).

L’art. 300 c.p.c. trova applicazione allorché la morte si verifichi dopo la costituzione in giudizio, mentre se sia avvenuta prima della costituzione, il processo è immediatamente interrotto, salvo che coloro cui spetta di proseguirlo si costituiscano volontariamente, oppure l’altra parte provveda a citarli in riassunzione (art. 299 c.p.c.).

La stessa applicabilità dell’art. 299 c.p.c. presuppone, peraltro, che vi sia già stata la vocatio in ius, che, cioè, l’atto di citazione sia stato già notificato alla controparte o che il ricorso sia stato già depositato in cancelleria. Ai fini di una valida vocatio in ius è necessaria, viceversa, l’esistenza attuale delle parti; la morte dell’attore intervenuta anteriormente, comporta l’estinzione del mandato, in forza del principio generale di cui all’art. 1722 c. 4 c.c., determinando la nullità della citazione o del ricorso (e dell’eventuale intero giudizio che ne è seguito); resta esclusa in tal caso, in mancanza dell’instaurazione di un valido rapporto processuale, l’applicabilità dell’art. 111 c.p.c., nonché dell’istituto dell’interruzione del processo (Cass. 1.10.1985, n. 4758; Cass. 14.4.1988, n. 2951; arg. anche Cass. 20.11.1980, n. 6187; Cass. 14.5.1981, n. 3178; Cass. 22.10.1993, n. 10.504). Le norme sulla interruzione del processo, in quanto costituenti deroga al principio generale richiamato, contenuto nell’art. 1722 n. 4 c.c., sono, infatti, di stretta interpretazione e non possono estendersi oltre i casi previsti (Cass., sent. n. 2951-1988 e n. 10.504-93, già citate).

A non diversa conclusione si perverrebbe quand’anche il difensore dell’opponente avesse agito in forza delle procure rilasciate a margine dell’atto di precetto e del principio per cui “la procura speciale del creditore procedente, apposta in calce o a margine del precetto, abilita il difensore, in difetto di esplicita limitazione, a rappresentare la parte fino alla realizzazione della pretesa esecutiva e, perciò, anche nei giudizi di opposizione che vengano via via ad inserirsi nel processo di esecuzione, ivi comprese le opposizioni di terzo” (Cass. 21.1.1980, n. 474).

È noto che l’istituto dell’interruzione non trova applicazione nel procedimento esecutivo (Cass. 8.10.1968, n. 3164), anche se non possono ritenersi del tutto ininfluenti, nell’ambito dello stesso, i mutamenti soggettivi relativi all’esecutante ed all’esecutato.

L’affermazione non assume particolare rilievo per la parte in cui il procedimento esecutivo procede su impulso ufficiale, bensì nei casi in cui debba procedersi a comunicazioni alle parti od alla loro comparizione, anche se non è qui il luogo per approfondire una tale problematica.

Dall’inapplicabilità degli artt.i 299-300 c.p.c., discende il venir meno, nel procedimento esecutivo strictu senso del principio dell’ultrattività del mandato, e l’estinzione del mandato con la morte del mandate, in forza del principio generale contenuto nell’art. 1722 n. 4 c.c.. Con la conseguenza – ed è ciò che qui, soprattutto, interessa, che il difensore non potrà più avvalersi della procura anteriormente rilasciatagli per proporre opposizione all’esecuzione od agli atti esecutivi.

Il ricorso dev’essere, pertanto, rigettato

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.Così deciso il 23 maggio 1994, nella Camera di Consiglio.

Allegati

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