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Cassazione civile sez. III, 04/09/2025, n. 24541

Massima

Per la prescrizione del danno da emotrasfusione, la piena consapevolezza del nesso causale non si presume da indizi incerti; l’onere di provare una conoscenza anteriore spetta a chi eccepisce la prescrizione e richiede fatti certi, non una catena di presunzioni.

Supporto alla lettura

Responsabilità medica

Il 17 marzo 2017 è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale la legge 8 marzo 2017 n. 24, recante “Disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie.

Il legislatore ha inteso tipizzare la responsabilità in campo sanitario e certamente ciò non costituisce una novità nell’ambito della responsabilità civile (si pensi alla responsabilità per danno ambientale disciplinata dal d.lgs 152/2006 e s.m.i. ovvero ai profili speciali già tratteggiati dal codice civile negli artt. 2049 e s.s. c.c.). L’art. 7  della legge di riforma prevede che la struttura sanitaria o sociosanitaria pubblica o privata che nell’adempimento della propria obbligazione si avvalga dell’opera di esercenti la professione sanitaria, anche se scelti dal paziente e anche se non dipendenti dalla struttura, risponde delle loro condotte dolose e colpose ai sensi degli artt. 1218 (Responsabilità del debitore) e 1228 (Responsabilità per fatto degli ausiliari) del codice civile. Viene recepito dal legislatore l’approdo della giurisprudenza sull’inquadramento della natura della responsabilità sanitaria della struttura nel solco del contratto atipico di spedalità (Cass., sez. un. 11.1.2008 n. 577; Cass. civ., 20.1.2014, n. 993). L’art. 7 comma 3 della legge 24/17 costituisce il cuore della riforma laddove individua nella responsabilità extracontrattuale la regola generale mentre la natura contrattuale della responsabilità del sanitario costituisce l’eccezione. Dunque sembrerebbe che il legislatore abbia estromesso la regola del contatto sociale dal suo ambito di elezione ma non chiuso definitivamente alla possibilità di configurare una responsabilità contrattuale. Al fine di poter inquadrare le situazioni tipo in cui si potrebbe qualificare il rapporto medico – paziente dal punto di vista contrattuale, in assenza di uno schema negoziale formale, potenzialmente ripiegano sulle regole del consenso informato.

L’art. 8 prevede, invece, un meccanismo finalizzato a ridurre il contenzioso per i procedimenti di risarcimento da responsabilità sanitaria mediante un tentativo obbligatorio di conciliazione da espletare da chi intende esercitare in giudizio un’azione risarcitoria attraverso la mediazione ovvero un ricorso 696-bis c.p.c.. La Cassazione con ben dieci sentenze l’11 novembre 2019, ha provato a ricostruire il sistema della responsabilità medica cercando di dare risposte tra i dubbi interpretativi alimentati dall’inerzia del legislatore che non ha dato piena attuazione alla legge 24/17 (Cass. 28985/2019; Cass. 28986/2019; Cass. 28987/2019; Cass. 28988/2019; Cass. 28989/2019; Cass. 2990/2019; Cass. 28991/2019; Cass. 28992/2019; Cass. 28993/2019; Cass. 28994/2019). Gli argomenti affrontati dalla Cassazione attengono a temi centrali della responsabilità medica ed in particolare: 1. Il limite all’applicazione retroattiva della legge Gelli Bianco; 2. Il consenso informato; 3. La rivalsa della struttura sanitaria; 4. Il principio distributivo dell’onere probatorio nella responsabilità contrattuale; 5. L’accertamento e la liquidazione del danno differenziale da aggravamento della patologia preesistente; 6. Il danno da perdita di chance; 7. La liquidazione del danno.

Ambito oggettivo di applicazione

Rilevato che:

Con atto di citazione notificato il 21 gennaio 2014, (omissis) conveniva in giudizio dinanzi al Tribuna le di Napoli il Ministero della Salute, chiedendone la condanna al risarcimento di tutti i danni, patrimoniali e non patrimoniali, subiti per aver contratto l’infezione da virus HCV a seguito di emotrasfusioni cui era stato sottoposto in data 22 giugno 1984 presso la Divisione di Ortopedia dell’Università di (omissis). A sostegno della propria domanda, deduceva di aver acquisito la consapevolezza del nesso di causalità tra l’emotrasfusione e la patologia contratta soltanto in data 18 gennaio 2010, a seguito degli accertamenti compiuti dalla Commissione Medica Ospedaliera del Dipartimento militare di Medicina Legale di (omissis).

Si costituiva in giudizio il Ministero della Salute, il quale eccepiva in via preliminare l’intervenuta prescrizione del diritto al risarcimento del danno e, nel merito, contestava la fondatezza della domanda.

Il Tribunale di Napoli, con sentenza n. 9942/2017, pur avendo una consulenza tecnica d’ufficio accertato la sussistenza del nesso causale tra le trasfusioni e l’infezione epatica, rigettava la domanda, accogliendo l’eccezione di prescrizione quinquennale. Il giudice di primo grado individuava il dies a quo del termine prescrizionale nella data del 2 gennaio 2006, giorno delle dimissioni del (omissis) dall’Azienda Ospedaliera (omissis).

In tale occasione, la cartella clinica riportava la diagnosi di “Ab Anti HCV positivo” , dava atto della consapevolezza del paziente di aver subìto in passato emotrasfusioni e conteneva la prescrizione di una visita epatologica. Il Tribunale riteneva che, a far data da quel momento, il (omissis) usando l’ordinaria diligenza e tenuto conto delle conoscenze scientifiche dell’epoca, avrebbe potuto e dovuto percepire la riconducibilità causale della patologia all’emotrasfusione subita, e che il primo atto interruttivo, risalente al 7 gennaio 2013, era pertanto tardivo.

Avverso tale decisione, (omissis) proponeva appello.

La Corte d’Appello di Napoli, nella contumacia del Ministero della Salute, con sentenza n. 214/2024, rigettava il gravame.

La Corte territoriale, pur riconoscendo che la presentazione della domanda di indennizzo a i sensi della L. n. 210 del 1992, avvenuta in data 3 settembre 2008, costituisce il momento dal quale si presume la consapevolezza del danneggiato, riteneva che il Ministero avesse fornito la prova di una conoscibilità anteriore. In particolare, il giudice di secondo grado argomentava che, sebbene non vi fosse prova che i sanitari dell’Ospedale (omissis) avessero fornito informazioni esplicite sulla genesi della malattia, la prescrizione di una visita epatologica “non avrebbe avuto alcun senso se non accompagnata, secondo l’id quod plerumque accidit, da informazioni sulla genesi della malattia, e dunque, sulla sua presumibile derivazione dalla pregressa trasfusione di sangue risultante dagli atti”. La Corte concludeva che, in ogni caso, tramite detta prescrizione, il (omissis) era stato messo “in condizioni di potere reperire tali informazioni”, e che la mancata prova dell’effettuazione di tale visita o del suo esito non poteva gravare sul Ministero, configurandosi un’inerzia colpevole del danneggiato.

Per la cassazione di tale sentenza, (omissis) ha proposto ricorso, affidato a un unico, articolato motivo.

Il Ministero della Salute ha resistito con controricorso.

Il ricorrente ha depositato memoria.

Considerato che:

con l’unico motivo di ricorso, il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2935, 2947, 2727, 2729 e 2697 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. Sostiene che la Corte territoriale abbia erroneamente dichiarato prescritto il diritto al risarcimento del danno, individuando il dies a quo del termine prescrizionale in un momento anteriore alla presentazione della domanda di indennizzo, sulla ba se di un ragionamento presuntivo viziato. In particolare, la Corte avrebbe desunto la conoscenza o conoscibilità del nesso causale tra l’infezione e la trasfusione da un’altra presunzione, ossia che la prescrizione di una visita epatologica fosse stata ne cessa ria mente a ccom pa gna ta da in formazioni idonee ad illuminare il paziente sulla possibile eziologia della patologia, incorrendo così nel divieto di praesumptio de praesumpto e violando le regole di riparto dell’onere probatorio.

Il motivo è fondato.

Questa Corte ha da tempo consolidato, a partire dalla pronuncia delle Sezioni Unite n. 576 del 2008, il principio secondo cui, in materia di danno alla salute da emotrasfusione con sangue infetto, il termine di prescrizione quinquennale del diritto al risarcimento del danno decorre non dal giorno in cui il terzo determina la modificazione causativa del danno o dal momento in cui la malattia si manifesta all’esterno, bensì da quello in cui la malattia viene percepita o può essere percepita, qua le danno ingiusto conseguente al comportamento doloso o colposo di un terzo, usando l’ordinaria diligenza e tenendo conto della diffusione delle conoscenze scientifiche. Tale percezione postula la consapevolezza non solo dell’esistenza della patologia, ma anche della sua riconducibilità causale a un fatto illecito altrui.

La presentazione della domanda amministrativa per l’indennizzo previsto dalla L. 25 febbraio 1992, n. 210, costituisce, secondo un criterio di regolarità statistica, il momento a partire da I quale si presume, iuris tantum, che il danneggiato abbia acquisito una sufficiente e completa percezione della fattispecie illecita. Grava, pertanto, su chi eccepisce la prescrizione, l’onere di prova re che il danneggiato abbia acquisito, o avrebbe potuto acquisire con l’ordinaria diligenza, tale consapevolezza in un momento anteriore.

La prova di una siffatta conoscenza o conoscibilità anteriore può essere fornita anche tramite presunzioni semplici, ai sensi degli artt. 2727 e 2729 c.c., a condizione, tuttavia, che queste siano gravi, precise e concordanti. Il ragionamento presuntivo deve muovere da un fatto noto e certo per inferire il fatto ignorato, e non può risolversi in una mera congettura o in una illazione fondata su ipotesi.

Nel caso di specie, la Corte d’Appello ha disatteso tali principi. Il giudice del merito ha fondato la propria decisione non su un fatto certo, ma su una catena di presunzioni. Dal fatto noto della prescrizione di una visita epatologica, la Corte ha presunto un primo fatto ignoto, ossia che tale prescrizione fosse stata accompagnata da “informazioni sulla genesi della malattia”. Successivamente, ha utilizzato questo primo fatto, mera mente presunto, come premessa per inferire un secondo fatto ignoto: l’acquisizione, da parte del paziente, di una conoscenza sufficiente a collega re la patologia contratta a Ila trasfusione risa lente a oltre vent’anni prima.

Un tale percorso argomentativo viola il requisito fondamenta le della prova presuntiva, che esige che l’inferenza logica muova da una premessa certa e non da un’altra presunzione. L’affermazione secondo cui la prescrizione di una visita specialistica non avrebbe “senso” senza una contestuale spiegazione eziologica, costituisce una mass ima di esperienza non assoluta e, in ogni ca so, inidonea a fondare, nel caso concreto, la certezza probatoria richiesta dalla legge. Come questa Corte ha già avuto modo di affermare, “incorre in un errore di sussunzione e di falsa applicazione dell’art. 2935 c.c. il giudice di merito che, ai fini della decorrenza del termine di prescrizione, ritenga tale conoscenza conseguita o conseguibile da parte del paziente pur in difetto di informazioni idonee a con sentirgli di collegare causalmente la propria patologia alla trasfusione” (Cass., n. 24164 del 2019, Cass. n. 10190 del 2022, Cass., 3, n. 29140 del 2024).

La mera diagnosi di una patologia, infatti, anche se nota nella com unità scientifica come potenziale conseguenza di una trasfusione, non implica di per se , che il paziente, privo di specifiche competenze mediche, sia posto in condizione di comprendere autonomamente il nesso causale. Il livello delle conoscenze scientifiche deve essere apprezzato con riferimento al sanitario o alla struttura cui il paziente si rivolge, i quali hanno il dovere di fornirgli le informazioni necessarie o, quantomeno, di metterlo in condizione di acquisirle (cfr. Cass., n. 22045 del 2017). Nel caso in esame, è incontestato che nessuna informazione diretta sia stata fornita al (omissis) al momento della diagnosi del 2006. La Corte territoriale, anziché accertare l’adempimento di tale onere informativo da parte dei sanitari, ha finito per invertire l’onere della prova, addebitando al paziente di non aver dimostrato di essersi attivato per ricercare la causa della malattia, così violando il principio stabilito dall’art. 2697 c.c. (cfr. Cass., n. 17421 del 2019).

In definitiva, il ragionamento della Corte d’Appello si fonda su una ricostruzione ipotetica e congetturale, che non soddisfa i requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dall’art. 2729 c.c. per superare la presunzione legata alla data di presentazione della domanda di indennizzo. La carenza probatoria circa l’acquisizione di una consapevolezza anteriore da parte del danneggiato non può che ridondare a carico della parte che ha eccepito la prescrizione.

Il ricorso deve, pertanto, essere accolto, con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio della causa alla Corte d’Appello di Napoli, in diversa composizione, la quale dovrà procedere a un nuovo esame del merito, attenendosi ai principi di diritto sopra enunciati, e provvedere altresì alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa l’impugnata sentenza e rinvia alla Corte d’Appello di Napoli, in diversa com posizione, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella ca mera di consiglio della Terza Sezione Civile del 29 aprile 2025.

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