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Cassazione civile sez. III, 04/08/2017, n. 19496

Massima

In materia di affitto agrario e contestazioni ereditarie, il ricorso per cassazione è inammissibile qualora si fondi su motivi aspecifici, omessa riproposizione di prove, mancata costituzione in mora secondo le modalità di legge e impugnazione di provvedimenti ordinatori con strumenti non idonei.

Supporto alla lettura

CONTRATTO AGRARIO

E’ considerato agrario quel contratto che, attraverso il conferimento del fondo o del bestiame, è diretto a dar vita all’impresa agricola e a disciplinarne l’attività.

All’interno della categoria dei contratti agrari si distingue tra:

 affitto di fondo rustico (contratto di scambio o a natura commutativa): il proprietario cede il godimento del fondo in cambio di un corrispettivo;

 mezzadria, sòccida, colonia parziaria (contratti di natura associativa): la responsabilità della gestione dell’attività agricola ricade sul proprietario che concede il godimento del fondo sia sul concessionario che approva la propria capacità lavorativa. La L. 203/1982 ha vietato la stipulazione di nuovi contratti associativi, prevedendone la conversione in contratti di affitto.

L’affitto di fondo rustico è una speciale forma di affitto a tutela dell’affittuario (coltivatore diretto del fondo o meno), infatti il canone di affitto non può superare un certo limite, periodicamente stabilito da una commissione, relativamente a zone agrarie aventi uguali caratteristiche. Due sono gli elementi fondamentali della normativa sui fondi rustici:

 la previsione di bassissimi canoni di affitto;

 un lungo termine di durata di tali contratti (almeno 15 anni, ulteriormente aumentabile di altri 3 anni, ove l’affittuario lo richieda al locatore.

Nel caso in cui l’affittuario abbia migliorato il fondo, magari rendendolo più produttivo, allo scadere del contratto avrà inoltre diritto a una indennità, e se ha impiegato dei capitali per migliorare il fondo avrà diritto a una proroga di 12 anni della durata del contratto.

Se l’affittuario è un coltivatore diretto (cioè se coltiva il fondo personalmente e con l’aiuto dei familiari) la sua posizione è ulteriormente tutelata, infatti, negli ultimi decenni sono stati ripetutamente prorogati oltre la scadenza da varie leggi speciali. Nel caso di morte dell’affittuario, la proroga è concessa anche ai suoi eredi. Se il proprietario del fondo intende venderlo, spetta al coltivatore diretto (e anzi, anche ai coltivatori diretti dei fondi confinanti con quello in vendita) il diritto di prelazione sul fondo, cioè il coltivatore, a parità di prezzo offerto, andrà comunque preferito agli altri soggetti intenzionati ad acquistare il fondo.

La colonia parziaria è un contratto in cui il concedente e uno o più coloni si associano per la coltivazione di un fondo e per l’esercizio delle attività connesse, al fine di dividerne i prodotti e gli utili. La durata della colonia parziaria è stabilita per il tempo necessario affinché il colono possa svolgere e portare a compimento un ciclo normale di rotazione delle colture praticate nel fondo.

La mezzadria è l’associazione per la coltivazione di un podere e per l’esercizio delle attività connesse, al fine di dividere a metà i prodotti e gli utili. Colui che concede il fondo partecipa in misura uguale al mezzadro alle spese di conduzione, comprese anche quelle relative ai contributi previdenziali a favore di quest’ultimo; il concedente ha diritto soltanto al 36% della produzione vendibile; il resto è attribuito al mezzadro il quale si accolla anche il restante 50% delle spese di conduzione (oggi la conduzione a mezzadria non è più praticata ed è scomparsa dalla nostra agricoltura).

La sòccida è il contratto col quale il soccidante e il soccidario si associano per l’allevamento e lo sfruttamento di una certa quantità di bestiame e per l’esercizio delle attività connesse, al fine di ripartire l’accrescimento del bestiame e degli altri prodotti e utili che ne derivano. Esistono tre tipologie di sòccida:

 semplice:  il soccidante conferisce il bestiame e il soccidario provvede al suo allevamento e all’esercizio delle attività connesse;

 con conferimento di pascolo: quando il soccidario conferisce il bestiame e il soccidante conferisce il terreno e il pascolo;

 parziaria:  il bestiame è conferito da entrambi gli associati.

Ambito oggettivo di applicazione

RITENUTO
La motivazione del presente provvedimento può essere redatta in forma semplificata.

(omissis) ha convenuto in giudizio, innanzi alla sezione specializzata agraria del Tribunale di Rovigo, il fratello (omissis), chiedendo l’accertamento della simulazione di un contratto di affitto agrario di un fondo sito in località (omissis), stipulato da quest’ultimo con il padre (omissis) pochi mesi prima della morte di quest’ultimo.

Esponeva inoltre che la madre, anch’essa deceduta e usufruttuaria del fondo, nel proprio testamento olografo aveva dichiarato di non aver mai ricevuto il canone dal figlio (omissis), disponendo che tale credito per metà fosse trasferito mortis causa alla figlia (omissis). Pertanto, in via subordinata rispetto all’azione di simulazione assoluta del contratto di affitto del fondo di (omissis), l’attrice ne chiedeva la risoluzione per grave inadempimento dell’obbligo di pagamento dei canoni e quindi la restituzione immediata del fondo stesso, oltre alla condanna del fratello al pagamento del dovuto; in via ulteriormente subordinata, chiedeva la determinazione della durata dell’affitto con condanna di rilascio alla scadenza. Analoghe domande venivano proposte in ordine ad altro fondo sito in località (omissis).

Il tribunale sospendeva il giudizio relativamente alle domande aventi ad oggetto il fondo in località (omissis). Quanto a quello in località (omissis), respingeva la domanda di accertamento della simulazione per difetto di prova e dichiarava l’improcedibilità domanda di risoluzione del contratto per inadempimento per mancanza della contestazione di cui alla L. n. 203 del 1982, art. 5.

La Corte d’appello, con sentenza del 21 aprile 2015, ha confermato la decisione di primo grado. Ricorre per cassazione (omissis), allegando quattro motivi. Resiste con controricorso (omissis).

CONSIDERATO
Il ricorso è inammissibile per le seguenti ragioni:- primo motivo (violazione e falsa applicazione degli artt. 1417 e 2729 c.c.): la ricorrente sostiene che, avendo agito quale erede della madre e non del padre, non avrebbe incontrato, nella prova della simulazione assoluta del contratto di affitto del fondo, i limiti previsti dall’art. 1417 c.c.; la corte d’appello osserva che “in realtà, (omissis) agiva quale erede del padre, proprio perchè la madre risultava mera legataria del bene (…). Nè, peraltro, nel presente grado la (omissis) riproponeva dette prove per testi, in relazione alle quali, quindi, ogni quaestiones circa la prova è superata”; il motivo, quindi, è aspecifico in quanto non si confronta in alcun modo con l’accertamento svolto dal giudice d’appello circa l’impossibilità che l’attrice agisse quale erede della madre, essendo quest’ultima mera legataria del bene; va rilevata altresì la carenza di interesse all’impugnazione, dal momento che la ricorrente ha totalmente omesso di contestare la seconda ratio decidendi, costituita dall’omessa riproposizione in grado d’appello delle richieste istruttorie ritenute inammissibili dal tribunale;

– secondo motivo (omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio): l’elemento di cui sarebbe stata omessa la valutazione è costituito da una lettera di costituzione in mora spedita con raccomandata del 29 agosto 2012; sennonchè il documento non costituisce una costituzione in mora ai sensi della L. n. 203 del 1982, art. 5, bensì la richiesta di convocazione della commissione di conciliazione prevista dall’art. 46 della medesima Legge; nè può dirsi – come sostiene la ricorrente – che nella medesima nota possano cumularsi le due distinte funzioni, poichè in tema di risoluzione di contratto agrario, la contestazione delle inadempienze, prevista dalla L. 3 maggio 1982, n. 203, art. 5, comma 3 e costituente condizione di proponibilità della domanda giudiziale, avendo lo scopo di porre l’affittuario in condizione di provvedere, entro tre mesi dalla comunicazione, alle relative sanatorie, fissa una fase pregiudiziale che deve necessariamente precedere la convocazione dinanzi all’Ispettorato dell’agricoltura per il tentativo di conciliazione previsto dall’art. 46 della medesima Legge, e, quindi, formare oggetto di un atto separato ed autonomo, posto che tale tentativo si giustifica solo dopo l’inadempienza effettuata dal locatore ex art. 5 cit. e comunque dopo che, attraverso eventuali contestazioni dell’affittuario in ordine alle inadempienze addebitategli, si siano chiariti i termini della controversia; ne consegue che la domanda giudiziale di risoluzione proposta senza il preventivo adempimento di cui alla L. n. 203 del 1982, art. 5, nelle forme ivi previste, non si sottrae alla sanzione di improponibilità, quand’anche l’azione sia stata sperimentata dopo l’espletamento del tentativo di conciliazione, di cui al successivo art. 46 ed ancorchè questo sia stato promosso mediante comunicazione di un atto contenente l’indicazione degli addebiti contestati all’affittuario (Sez. U, Sentenza n. 633 del 19/01/1993, Rv. 480335);

– terzo motivo (violazione e falsa applicazione della L. n. 203 del 1982, art. 5): la doglianza concerne la domanda di risoluzione del contratto per inadempimento ed è assorbita dall’improcedibilità della stessa per le ragioni appena esposte;

– quarto motivo (violazione e falsa applicazione della L. n. 203 del 1982, art. 49, art. 295 c.p.c. e degli artt. 457 e 556 c.c.): la censura si rivolge contro il provvedimento di sospensione del processo per pregiudizialità, limitatamente al fondo in località (omissis); trattasi tuttavia di provvedimento ordinatorio, impugnabile con lo strumento del regolamento di competenza, ai sensi dell’art. 42 c.p.c., solo nel caso in cui la sospensione sia disposta (ex plurimis: Sez. 2, Sentenza n. 15353 del 25/06/2010, Rv. 613940; Sez. L, Ordinanza n. 9540 del 23/04/2007, Rv. 596417; Sez. 3, Sentenza n. 5246 del 10/03/2006, Rv. 588257.

In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico del ricorrente, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 1, nella misura indicata nel dispositivo.

Dagli atti il processo risulta esente, sicchè non trova applicazione il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater.

P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.800,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge.Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, il 7 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 4 agosto 2017

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