Massima

In tema di responsabilità aquiliana (extracontrattuale), l’acquirente di un quadro che si sia determinato all’acquisto facendo ragionevole affidamento sull’autenticità dell’opera desumibile dalla circostanza che il pittore aveva apposto la propria firma sul retro del dipinto, può agire per risarcimento del danno subito nei confronti del pittore. Tale responsabilità si configura ove si accerti che il quadro era falso e che la firma era stata apposta senza il previo diligente controllo sull’autenticità dell’opera.

Supporto alla lettura

RESPONSABILITA’ CIVILE

La responsabilità civile si riferisce a comportamenti illeciti che violano le norme del codice civile. Può essere di due tipi: contrattuale o extracontrattuale. Come conseguenza il responsabile deve effettuare un risarcimento del danno causato.

Ambito oggettivo di applicazione

Rilevato in fatto

(omissis) ha convenuto in giudizio il 30 gennaio 1974 dinanzi il Tribunale di Roma il pittore (omissis) e — premesso che il 22 ottobre 1970 aveva acquista to una tela ad olio dal titolo «(omissis)» recante sul dipinto la firma del convenuto e sul retro un’altra firma del medesimo, autenticata dal notaio (omissis); che il (omissis) aveva visto il dipinto confermando l’autenticità della firma apposta sul retro, ma disconoscendo la paternità dell’opera; che, promosso procedimento penale contro il (omissis) per simulazione di reato, il Pretore di Roma aveva accertato la falsità del dipinto, prosciogliendo l’imputato in istruttoria per insussistenza del fatto; che il comportamento del (omissis) aveva leso i suoi diritti in quanto egli aveva acquistato il quadro facendo affidamento sulla autenticità di esso — ha chiesto, in via principale, l’accertamento dell’autenticità del quadro con la condanna del convenuto al risarcimento del danno e, in via subordinata, ove fosse accertata la falsità, la condanna del convenuto al risarcimento del danno conseguente al rilascio di una erronea dichiarazione di autenticità. Il (omissis) ha con testato la fondatezza della pretesa.

Con sentenza del 6 dicembre 1974 il tribunale ha accolto la domanda subordinata del (omissis) ed ha condannato il (omissis) al risarcimento dei danni, da liquidarsi in prosieguo di giudizio, derivanti dal rilascio della dichiarazione di autenticità di un quadro risultato falso. Con successiva sentenza del 22 gennaio 1976 il tribunale ha liquidato il danno in lire 11.800.000.

Le sentenze sono state impugnate dal (omissis) in via principale e dal (omissis) in via incidentale.

Con decisione del 26 luglio 1978 (Foro it., 1979, I, 1053) la Corte d’appello di Roma ha ritenuto fra l’altro: a) che l’atto di autenticazione della firma di (omissis), apposta sul retro del quadro, non rientra nella previsione dell’art. 72 1. notarile; b) che ammessa comunque la regolarità dell’autentica e attribuito alla firma del pittore il valore di assunzione di pater nità dell’opera, una responsabilità del pittore per l’ipotesi di accertamento della falsità del quadro, è configurarle solo nei confronti del soggetto che abbia rischiesto la firma sul retro e non anche nei confronti di qualsiasi successivo acquirente del dipinto; c) che infatti l’apposizione della firma sul retro non può essere considerata fatto ingiusto idoneo a ledere un diritto del successivo acquirente ed a fondare un’azione risarcitoria proposta ai sensi dell’art. 2043 c. c.; d) che inoltre manca nella specie un nesso causale fra la colpa consistente nell’apposizione della firma con imprudenza o negligenza da parte del (omissis) e il danno subito dal (omissis); e) che l’esclusione di un diritto al risarcimento comporta l’assorbimento della questione relativa alla prescrizione eccepita dal (omissis) con l’atto di appello.

Contro questa sentenza, notificata il 30 settembre 1978, il (omissis) ha proposto ricorso per cassazione con atto notificato il 4 dicembre 1978. Essendo (omissis) deceduto il 20 novembre 1978 l’erede (omissis) vedova (omissis) ha resistito con controricorso ed ha proposto ricorso incidentale condizionato. Le parti hanno depositato memorie illustrative.

Considerato in diritto

(omissis)

3. – Con il primo motivo del ricorso principale deducendo violazione degli art. 2702 e 2703 c. c. in riferimento all’art. 360, n. 3, e. p. c. il ricorrente (omissis) critica la sentenza sul punto relativo all’esclusione di una responsabilità del (omissis), ed afferma che la corte d’appello (accertato che il pittore, apponendo la propria firma sul retro del quadro, aveva dichiarato autentico un dipinto poi risultato falso) avrebbe dovuto far discendere la sua responsabilità nei confronti del successivo acquirente del quadro dalle citate dispo sizioni del codice civile.

Con il secondo motivo il ricorrente formula due distinte censure. Da un lato, deducendo violazione dell’art. 72 1. 16 febbraio 1913 n. 89, in riferimento all’art. 360, n. 3, c.p.c., ritiene che la sentenza impugnata abbia erroneamente negato validità all’autentica notarile della sola firma, mentre l’« autentica minore » o « vera di firma » è prevista da una nutrita serie di testi legislativi. Dall’altro, deducendo un vizio della moti vazione su un punto decisivo della controversia, in riferimento all’art. 360, n. 5, c. p. c., lamenta che la corte d’appello non abbia dato sufficiente rilievo alla « prassi generalizzata » sorta per la produzione artistica « del maestro (omissis), in relazione ai turbamenti che si registrano sul mercato intorno alla sua opera » dando una contraddittoria motivazione sulle ragioni che avevano giustificato l’apposizione della firma.

Con il terzo motivo, deducendo violazione dell’art. 2043 c. c., il ricorrente afferma che la corte d’appello ha erroneamente escluso la configurabilità di un illecito extracontrattuale nel comportamento del pittore che appone una sua firma sul retro di un quadro, cosi dichiarandone la paternità, senza con trollare con la dovuta diligenza l’autenticità del dipinto, in siffatto comportamento invero essendo riscontrabili gli estremi del fatto ingiusto produttivo di danni al terzo che abbia acquistato il quadro fidando sulla verità della dichiarazione di autenticità e pagando perciò un prezzo correlato alla apparente qualità di quadro d’autore ed abbia poi accertato che nel suo patrimonio era entrato un quadro falso. I tre motivi — per la connessione fra essi esistente — possono essere esaminati congiuntamente.

4. – Nella parte in cui fa valere la violazione degli art. 2702 e 2703 c.c. nonché dell’art. 72 1. notarile del 1913, il ricorso non può essere accolto perché non inerisce al procedimento logico che ha portato i giudici d’appello alla loro decisione.

Gli art. 2702 e 2703 c.c. dispongono che la scrittura privata fa piena prova, fino a querela di falso, della provenienza da colui che l’ha sottoscritta, in una serie di ipotesi fra le quali è esplicitamente menzionata l’autentica notarile della firma. Ma nel caso di specie la questione sottoposta ai giudici non concerneva il punto se la dichiarazione di paternità del quadro, ravvisabile nell’apposizione della firma sul retro del dipinto, provenisse o meno dal sottoscrittore (omissis), essendo assolutamente pa cifico che la firma era stata apposta dal pittore. Il dubbio riguardava invece gli effetti eventualmente derivanti a carico del sottoscrittore dalla circostanza (altrettanto pacifica) che il quadro era invece falso. Un problema di riferibilità della dichiarazione a colui che aveva apposto la firma era quindi estraneo alla con troversia e quindi ogni riferimento agli art. 2702 e 2703 c. c. è del tutto ingiustificato.

Del pari irrilevante è il richiamo alla disciplina detatta dalla l. del 1913 all’autenticazione della firma da parte del notaio. L’accenno contenuto nella sentenza impugnata alla questione del la validità dell’autentica notarile della (sola) firma (e quindi di una firma non apposta in calce ad una dichiarazione) è certamente marginale nel contesto generale della motivazione. Poiché era pacifico che la firma proveniva dal (omissis), l’esclusione della responsabilità di costui verso l’attuale ricorrente è stata dalla corte d’appello ricollegata non alla questione sulla validità dell’autentica notarile, ma alla soluzione estremamente restrittiva data sia al quesito dell’identificazione dei destinatari cui la dichiarazione di paternità dell’opera era indirizzata, sia alla nozione di danno ingiusto risarcibile a norma dell’art. 2043 c.c.

5. – Il ricorso è invece fondato nella parte in cui afferma che la sentenza impugnata ha erroneamente negato la responsabilità aquiliana del (omissis) nei confronti del (omissis), derivante dall’apposizione con negligenza di una firma sul retro di un quadro, per dichiarare l’autenticità del dipinto poi risultato falso.

A sostegno della sua tesi la corte d’appello ha anzitutto ritenuto che la configurabilità di un comportamento produttivo di un danno ingiusto al terzo acquirente del quadro è esclusa dalla mancanza nella specie della violazione di un diritto assoluto e primario, senza la quale non è possibile ipotizzare applicazioni dell’art. 2043 c.c. Il ricorrente a questo proposito esattamente rileva che la corte d’appello ha accolto una nozione erronea di danno ingiusto.

L’opinione secondo cui l’art. 2043 c.c. — obbligando al risarcimento colui che con un fatto doloso o colposo cagioni ad altri un danno ingiusto — pone l’equazione « danno ingiusto = lesione del diritto assoluto o primario » è stata da tempo abbandonata dalla giurisprudenza di questa corte, che ormai, a partire dalla sentenza delle sezioni unite n. 174 del 1971 (id., 1971, I, 342), ammette la risarcibilità della lesione inferta al diritto di credito, che certamente non presenta i caratteri dell’as solutezza o primarietà. E non può essere ignorato un processo di ulteriore ampliamento dell’area della risarcibilità, se è vero che talora è stata considerata « ingiusta » la lesione (non di un diritto soggettivo, ma) di una aspettativa, sia pure legittima (cfr. sentenza n. 4137 del 1981, id., 1981, I, 2951; ma in precedenza, per una nozione di aspettativa ancora più ampia, cfr. sentenze n. 814 del 1969, id., Rep. 1970, voce Responsabilità civile, n. 196, e n. 2951 del 1966, id., Rep. 1967, voce cit., n. 238).

Nella specie — sebbene con formulazione non esente da incertezze — l’attuale ricorrente ha sempre affermato che in tanto si era deciso ad acquistare il quadro al prezzo che gli veniva richiesto, in quanto aveva fatto affidamento sull’esistenza di una seconda firma del (omissis) sul retro del dipinto e sulla dichiarazione di paternità dell’opera da tale firma agevolmente desumibile. Sembra chiaro quindi che — agendo contro il pittore per il risarcimento del danno subito in conseguenza dell’accettata (e non più discussa) falsità del quadro — il (omissis) ha inteso dedurre la lesione che egli assume inferta al diritto all’in tegrità del proprio patrimonio, e più specificamente al diritto di determinarsi liberamente nello svolgimento dell’attività negoziale relativa al patrimonio (costituzionalmente garantito entro i limiti di cui all’art. 41 Cost.) facendo ragionevole affidamento sulla veridicità delle dichiarazioni, da chiunque rese, comunque con cernenti quella attività, e senza essere pregiudicato da dichiarazioni non veritiere, rese per dolo e per colpa (in violazione dei doveri inderogabili di solidarietà sociale predicati dall’art. 2 Cost.).

Sulla risarcibilità — in principio — della lesione di tale diritto, e quindi sulla configurabilità di questa lesione come « danno ingiusto » ai sensi dell’art. 2043 c.c., la corte non ha dubbi. Naturalmente l’azione aquiliana non esclude quella con trattuale spettante all’acquirente nei confronti del venditore; ma siffatta questione esula dalla presente controversia, non risultando se e con quale esito la seconda sia stata esercitata.

La sentenza impugnata — in quanto ha escluso la risarcibilità del danno lamentato dal (omissis) sulla base di una nozione erronea e restrittiva di danno ingiusto — deve perciò essere cassata.

6. – Spetterà al giudice di rinvio accertare se il danno ingiusto che il (omissis) sostiene di aver subito esista veramente e se sia ricollegabile con nesso causale ad un comportamento doloso o colposo del (omissis).

La corte d’appello peraltro — dopo aver escluso il requisito dell’ingiustizia del danno — ha negato altresì l’esistenza del nesso causale, per la mancanza di un rapporto diretto fra l’ac quirente ed il pittore, e ha soggiunto che « questi avrebbe ben potuto consegnare il dipinto in regalo, per amicizia o per benevolenza, senza volersi formalmente impegnare verso i futuri possessori del dipinto, con la consapevolezza cioè che il dipinto non sarebbe stato destinato alla circolazione ».

Nessuna di queste argomentazioni sfugge alle critiche del ricorrente.

In primo luogo l’individuazione della finalità dell’apposizione della seconda firma è inficiata da una contraddittorietà di fondo.

La sentenza ha esplicitamente ritenuto « notorio che negli ultimi tempi, con il diffondersi delle opere contraffatte, è stato praticato l’uso di apporre la firma del pittore anche sul retro dei dipinti accompagnandola con una dichiarazione di autenticità della firma stessa da parte del notaio », ed ha precisato che « questa apposizione della seconda firma avviene solitamente non su richiesta del primo acquirente, ma dell’ultimo possessore del quadro che vuole in tal modo avere conferma dell’autenticità dell’opera ».

Peraltro — dopo avere accertato che l’apposizione della se conda firma ha la funzione di garantire l’autenticità di un quadro, ossia di un bene per sua natura destinato a circolare entro il non ristretto ambito del mercato delle opere d’arte — i giudici d’appello hanno poi affermato che tale firma nella specie « avrebbe potuto » essere stata apposta dal pittore soltanto « per amicizia o per benevolenza » verso chi gliela aveva richiesta.

La contraddittorietà lamentata dal ricorrente non può essere negata.

L’uso del condizionale rivela senza possibilità di dubbio che quella della firma apposta per amicizia o benevolenza è una mera ipotesi e non una conclusione desunta da puntuali risultanze processuali. È perciò evidente come un’illazione priva di qualsiasi supporto probatorio sia stata contrapposta ad un dato dagli stessi giudici di merito qualificato come notorio, con implicito ma necessario riferimento all’art. 115, 2° comma, c.p.c. Orbene — se si riconosce che rientra nella comune esperienza che la seconda firma ha in generale la funzione di garantire l’autenticità del quadro — non si può, senza cadere in contraddizione, ritenere che in un singolo caso la firma « potrebbe » invece avere avuto la sola funzione di compiacere qualcuno e non addurre a fondamento di questa ricostruzione alcun elemen to di prova. Ed è irrazionale basare sull’esclusione di un dolo specifico il negativo accertamento di ogni elemento di colpa. Ne deriva la conseguenza che l’unico punto della sentenza impugnata esente da critiche è quello concernente il riferimento al notorio e l’individuazione della funzione di garanzia di autenticità del quadro come sola finalità cui la seconda firma era preordinata.

Ma allora la corte d’appello avrebbe dovuto avvertire che questa premessa conduceva inevitabilmente alla conclusione di considerare come destinatari di siffatta dichiarazione di paternità dell’opera tutti coloro che nel tempo con l’opera sarebbero venuti a contatto ed avrebbero avuto interesse a sapere che autore del quadro era colui che aveva apposto la firma.

L’affermazione secondo cui il pittore potrebbe aver avuto la consapevolezza che il dipinto non sarebbe stato destinato alla circolazione non ha — contrariamente a quanto ritiene la sen tenza impugnata — alcun rilievo al fine di escludere il nesso causale. A questo scopo la corte d’appello avrebbe invece dovuto compiere la diversa indagine — del tutto omessa — sul punto se, indipendentemente dai soggettivi convincimenti del pittore, l’apposizione della seconda firma da parte di costui avesse o meno (e nell’affermativa in quale misura) spiegato efficacia causale sull’acquisto del quadro da parte dell’attuale ricorrente.

Sotto altro aspetto il riferimento all’opinione del (omissis) che il quadro potesse non circolare non sembra utilizzato dalla sentenza allo scopo di escludere l’imputabilità della condotta, sia perché l’argomento è svolto in sede di esame sull’esistenza del nesso causale, sia perché la stessa sentenza considera pacifica la circostanza che il (omissis) aveva apposto la seconda firma senza previamente accertare con la dovuta diligenza se si tratta va davvero di una sua opera.

Per quanto concerne poi l’affermazione che era mancato un rapporto diretto fra il pittore e l’acquirente, essa non basta certo a negare il nesso eziologico fra condotta e danno ingiusto, in quanto ogni fattispecie di responsabilità aquiliana non solo postula per definizione la mancanza di un rapporto contrattuale fra danneggiante e danneggiato, ma nemmeno necessariamente richiede che fra i due soggetti intervenga un incontro sul piano dei meri accadimenti di fatto.

7. – In conclusione la sentenza impugnata è incorsa in errori di diritto circa la nozione di danno ingiusto risarcibile ai sensi dell’art. 2043 c. c. ed in vizi di motivazione sul punto decisivo dell’accertamento del nesso causale. Essa deve quindi essere cassata, con il rinvio della causa ad altro giudice, identificato in dispositivo, il quale: a) si uniformerà al seguente principio di diritto: « l’acquirente di un quadro che si sia determinato al l’acquisto facendo ragionevole affidamento sull’autenticità dell’opera desumibile dalla circostanza che il pittore aveva apposto la propria firma sul retro del dipinto, può agire per responsabilità extracontrattuale nei confronti del pittore per ottenere il risarcimento del danno subito nel caso si accerti che il quadro era falso e la firma era stata apposta senza previo diligente controllo sull’autenticità dell’opera »; b) riesaminerà il punto relativo all’e sistenza del rapporto causale fra il comportamento del (omissis), quale risulta dagli atti, e l’acquisto del quadro da parte del (omissis); c) provvederà sulle spese del giudizio di cassazione.

(omissis)

Allegati

    [pmb_print_buttons]

    Accedi