Massima

In tema di mediazione immobiliare, il diritto del mediatore alla provvigione sorge al momento della conclusione dell’affare, inteso come la stipula di un contratto preliminare che vincola le parti, salvo diverso accordo tra le stesse. La successiva risoluzione del contratto preliminare per inadempimento non incide sul diritto alla provvigione già maturato, che può essere fatto valere a titolo di risarcimento del danno nei confronti della parte inadempiente.

Supporto alla lettura

MEDIAZIONE IMMOBILIARE

Si tratta di una pratica professionale che coinvolge un mediatore qualificato con il compito di facilitare la compravendita di beni immobiliari. Questo servizio è volto a semplificare il processo di vendita, dalla ricerca di acquirenti interessati alla conclusione del contratto, assicurando che entrambe le parti siano soddisfatte dell’accordo.

La mediazione immobiliare si articola in diverse fasi:

  1. contatto iniziale: viene stabilito il primo contatto tra il mediatore e il cliente;
  2. valutazione: il professionista valuta l’immobile da vendere o da acquistare;
  3. promozione: segue la fase di promozione dell’immobile attraverso varie strategie;
  4. proposta di acquisto: in caso di interesse, l’acquirente presenta una proposta;
  5. trattativa: si negozia il prezzo e le condizioni di vendita;
  6. preliminare di vendita: redatto il contratto preliminare, o compromesso;
  7. atto finale: si conclude con la firma dell’atto di vendita.

Il contratto di mediazione immobiliare è un contratto scritto che formalizza l’incarico al mediatore di collegare le parti per la vendita o l’acquisto di un immobile. È necessario per regolamentare i diritti e gli obblighi del mediatore, e per stabilire l’ammontare della provvigione a seguito della conclusione dell’affare.

Le clausole nel contratto di mediazione immobiliare devono precisare i termini dell’incarico, inclusi la durata del mandato e le modalità di recesso. La durata della mediazione è solitamente definita nel contratto e varia a seconda della specificità dell’incarico, mentre il diritto alla provvigione nasce al momento della conclusione dell’accordo, indipendentemente dall’effettiva stipula dell’atto di compravendita.

Ambito oggettivo di applicazione

Svolgimento del processo
Con scrittura privata, (omissis) e (omissis), prossimi alle nozze, promisero di acquistare, per il prezzo di lire 115.000.000, l’immobile, che intendevano destinare ad abitazione coniugale, e corrisposero alla società (omissis) Immobiliare di (omissis) e C., a titolo di mediazione, la somma di lire 4.000.000, comprensiva di i.v.a.

Con atto di citazione, notificato il 10 aprile 1990, i predetti – tanto premesso e premesso, altresì, che, dopo la stipulazione del contratto preliminare, essi si erano avveduti che l’immobile presentava una serie di lesioni e microlesioni, per le quali avevano promosso, nei confronti dei promittenti venditori, giudizio di risoluzione contrattuale per inadempimento – convennero dinanzi al Pretore di Catania la società mediatrice e ne chiesero la condanna alla restituzione della somma versatale, oltre interessi legali.

La domanda, cui la convenuta resistette, venne accolta dall’adito Pretore, con la compensazione delle spese del giudizio.

In riforma di tale decisione – emessa il 13 dicembre 1990 ed appellata dalla società e, in via incidentale, anche dagli attori -, con la sentenza:, ora gravata, il Tribunale ha respinto la domanda ed ha condannato questi ultimi, in solido, al pagamento delle spese del doppio grado del giudizio.

Per quel che qui ancora rileva, detto giudice ha ritenuto che il contratto preliminare di compravendita, validamente stipulato dagli attori con i terzi proprietari, era titolo sufficiente a giustificare La provvigione, corrisposta alla convenuta società mediatrice, senza che spiegassero rilevanza nè la mancata conclusione del contratto definitivo, nè la pendenza del giudizio di risoluzione, non avendo le parti nell’esercizio dell’autonomia contrattuale, derogato alla disciplina legale, espressamente pattuendo che il diritto alla provvigione era subordinato al buon esito finale dell’affare inteso in senso globale.

Era parimenti infondata la domanda subordinata di indebito arricchimento, trovando la corrisposta provvigione la sua ragione giustificatrice nel rapporto contrattuale, validamente instauratosi.

Per la cassazione di tale decisione il (omissis) e la (omissis) hanno congiuntamente proposto ricorso, affidato a due motivi. Resiste con controricorso la società.

Motivi della decisione
Con il primo motivo del ricorso, i ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione degli artt. 1754 e 1755 c.c., e sostengono che l’affare, fonte del diritto del mediatore alla provvigione, è il contratto definitivo – e non preliminare, quale nella specie concluso – di compravendita.Nè poteva ritenersi che le parti avessero inteso far riferimento, nell’esercizio della loro autonomia, a detto preliminare, dal momento che una biffata volontà era smentita dagli annunci commerciali di vendita dello stesso immobile pubblicati dopo la sottoscrizione di esso.

Non poteva poi trascurarsi di considerare la prassi, per la quale molte agenzie di mediazione usano prevedere espressamente l’obbligo del cliente di pagare la provvigione anche in caso di conclusione del solo preliminare.

La prospettata ipotesi dell’indebito arricchimento era quella “maggiormente considerabile”, dal momento che la società Monti aveva trattenuto la provvigione può in mancanza di stipulazione del contratto definitivo di compravendita.

Con il secondo motivo, allegano la violazione dell’art. 116 c.p.c. nonché omessa valutazione dei documenti in atti, e precisamente del contenuto della quietanza, rilasciata dalla società, e degli annunci pubblicitari anzidetti.

I due motivi, strettamente connessi, possono essere esaminati congiuntamente.

In contrasto con la tesi principale, svolta dai ricorrenti, ha affermato questa C.S. che, al fine di riconoscere il diritto del mediatore alla provvigione, l’affare deve ritenersi concluso quando tra le parti, poste in relazione dal mediatore, si sia validamente costituito un vincolo giuridico che abiliti ciascuna di esse ad agire per la esecuzione del contratto, e che, pertanto, anche un contratto preliminare di compravendita deve essere considerato atto conclusivo dell’affare (in tal senso, da ultimo, sez. III nn. 2905-95 e 7400-92).

L’art. 1755 c.c. è – bensì – norma non imperativa ma dispositiva, la quale, come tale, abilitò le parti a regolare diversamente i loro rapporti, e così, ad esempio, ad attribuire il diritto alla provvigione alla sottoscrizione del contratto definitivo di compravendita.

È, tuttavia, questione di fatto, come tale rimessa al giudice del merito ed insindacabile in sede di legittimità se congruamente e logicamente motivata, accertare se le parti abbiano inteso derogare o meno alla disciplina legale.

La soluzione negativa, cui il Tribunale è pervenuto, sfugge ad ogni censura in assenza chi vizi motivazionali: il fatto che la provvigione venne effettivamente versata all’atto della sottoscrizione del preliminare, dimostra infatti, a logico giudizio del Tribunale, che le parti intesero adeguarsi alla previsione normativa.

Non vizia la motivazione l’asserito omesso esame di documenti, avendo lo stesso Tribunale annesso decisivo rilievo alla circostanza, dianzi indicata.

Manifestamente infondata, infine, è la censura che investe il denegato riconoscimento dell’indebito arricchimento, dal momento che la provvigione venne versata e riscossa non indebitamente, ma, appunto, in forza del contratto di mediazione, stipulato dalle parti.

Non rilevano, agli effetti in esame, le vicende relative all’esercizio dell’azione di risoluzione per inadempimento del contratto preliminare anzidetto: al contrario, se essa sarà riconosciuta fondata, gli attuali ricorrenti potranno far valere in quella sede, a titolo di risarcimento del danno (art. 1453 c.c.) e nei confronti dei promittenti. venditori, la provvigione in questione.

Il ricorso va, pertanto, respinto, con le conseguenze di legge (art. 91 c.p.c.) quanto alle spese.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in lire 68.000 Oltre lire 1.000.000 (un milione) di onorari in favore della resistente.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte, il 20 maggio 1997.

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