Con atto di citazione, notificato il 10 aprile 1990, i predetti – tanto premesso e premesso, altresì, che, dopo la stipulazione del contratto preliminare, essi si erano avveduti che l’immobile presentava una serie di lesioni e microlesioni, per le quali avevano promosso, nei confronti dei promittenti venditori, giudizio di risoluzione contrattuale per inadempimento – convennero dinanzi al Pretore di Catania la società mediatrice e ne chiesero la condanna alla restituzione della somma versatale, oltre interessi legali.
La domanda, cui la convenuta resistette, venne accolta dall’adito Pretore, con la compensazione delle spese del giudizio.
In riforma di tale decisione – emessa il 13 dicembre 1990 ed appellata dalla società e, in via incidentale, anche dagli attori -, con la sentenza:, ora gravata, il Tribunale ha respinto la domanda ed ha condannato questi ultimi, in solido, al pagamento delle spese del doppio grado del giudizio.
Per quel che qui ancora rileva, detto giudice ha ritenuto che il contratto preliminare di compravendita, validamente stipulato dagli attori con i terzi proprietari, era titolo sufficiente a giustificare La provvigione, corrisposta alla convenuta società mediatrice, senza che spiegassero rilevanza nè la mancata conclusione del contratto definitivo, nè la pendenza del giudizio di risoluzione, non avendo le parti nell’esercizio dell’autonomia contrattuale, derogato alla disciplina legale, espressamente pattuendo che il diritto alla provvigione era subordinato al buon esito finale dell’affare inteso in senso globale.
Era parimenti infondata la domanda subordinata di indebito arricchimento, trovando la corrisposta provvigione la sua ragione giustificatrice nel rapporto contrattuale, validamente instauratosi.
Per la cassazione di tale decisione il (omissis) e la (omissis) hanno congiuntamente proposto ricorso, affidato a due motivi. Resiste con controricorso la società.
Non poteva poi trascurarsi di considerare la prassi, per la quale molte agenzie di mediazione usano prevedere espressamente l’obbligo del cliente di pagare la provvigione anche in caso di conclusione del solo preliminare.
La prospettata ipotesi dell’indebito arricchimento era quella “maggiormente considerabile”, dal momento che la società Monti aveva trattenuto la provvigione può in mancanza di stipulazione del contratto definitivo di compravendita.
Con il secondo motivo, allegano la violazione dell’art. 116 c.p.c. nonché omessa valutazione dei documenti in atti, e precisamente del contenuto della quietanza, rilasciata dalla società, e degli annunci pubblicitari anzidetti.
I due motivi, strettamente connessi, possono essere esaminati congiuntamente.
In contrasto con la tesi principale, svolta dai ricorrenti, ha affermato questa C.S. che, al fine di riconoscere il diritto del mediatore alla provvigione, l’affare deve ritenersi concluso quando tra le parti, poste in relazione dal mediatore, si sia validamente costituito un vincolo giuridico che abiliti ciascuna di esse ad agire per la esecuzione del contratto, e che, pertanto, anche un contratto preliminare di compravendita deve essere considerato atto conclusivo dell’affare (in tal senso, da ultimo, sez. III nn. 2905-95 e 7400-92).
L’art. 1755 c.c. è – bensì – norma non imperativa ma dispositiva, la quale, come tale, abilitò le parti a regolare diversamente i loro rapporti, e così, ad esempio, ad attribuire il diritto alla provvigione alla sottoscrizione del contratto definitivo di compravendita.
È, tuttavia, questione di fatto, come tale rimessa al giudice del merito ed insindacabile in sede di legittimità se congruamente e logicamente motivata, accertare se le parti abbiano inteso derogare o meno alla disciplina legale.
La soluzione negativa, cui il Tribunale è pervenuto, sfugge ad ogni censura in assenza chi vizi motivazionali: il fatto che la provvigione venne effettivamente versata all’atto della sottoscrizione del preliminare, dimostra infatti, a logico giudizio del Tribunale, che le parti intesero adeguarsi alla previsione normativa.
Non vizia la motivazione l’asserito omesso esame di documenti, avendo lo stesso Tribunale annesso decisivo rilievo alla circostanza, dianzi indicata.
Manifestamente infondata, infine, è la censura che investe il denegato riconoscimento dell’indebito arricchimento, dal momento che la provvigione venne versata e riscossa non indebitamente, ma, appunto, in forza del contratto di mediazione, stipulato dalle parti.
Non rilevano, agli effetti in esame, le vicende relative all’esercizio dell’azione di risoluzione per inadempimento del contratto preliminare anzidetto: al contrario, se essa sarà riconosciuta fondata, gli attuali ricorrenti potranno far valere in quella sede, a titolo di risarcimento del danno (art. 1453 c.c.) e nei confronti dei promittenti. venditori, la provvigione in questione.
Il ricorso va, pertanto, respinto, con le conseguenze di legge (art. 91 c.p.c.) quanto alle spese.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte, il 20 maggio 1997.
