• Home
  • >
  • Cassazione civile sez. II, 31/07/2024, n.21506

Cassazione civile sez. II, 31/07/2024, n.21506

Massima

Il secondo comma dell’art. 1131 c.c. stabilisce che l’amministratore del condominio è legittimato passivamente in tutte le controversie relative agli interessi comuni dei condomini, senza distinguere tra azioni di accertamento, costitutive o di condanna. Questa disposizione semplifica la procedura per i terzi, evitando la necessità di citare tutti i condomini. Pertanto, l’amministratore è legittimato anche nelle azioni negatorie e confessorie di servitù, compreso il caso in cui si chieda la rimozione di opere comuni.

Supporto alla lettura

Condominio

1.La natura giuridica del Condominio.
Quella della natura giuridica del condominio è una questione che ha fatto sorgere numerosi contrasti in dottrina e in giurisprudenza. La giurisprudenza di legittimità si è più volte espressa sostenendo che il condominio non può considerarsi un soggetto giuridico distinto dai singoli condomini che lo compongono. Secondo la giurisprudenza di legittimità, il condominio è un ente di gestione sfornito di personalità distinta da quella dei suoi partecipanti.
In questo contesto dottrina e giurisprudenza hanno elaborato diverse teorie alle volte in contraddittorio tra loro. S’è detto che il condominio è:
a) un ente di gestione sprovvisto di personalità giuridica e autonomia patrimoniale distinta da quella dei suoi partecipanti (Cass n. 7891/2000);
b) un centro d’imputazione d’interessi distinto dai singoli partecipanti (Cass. 19 marzo 2009, n. 6665);
c) una organizzazione pluralistica (Cass. SS.UU. n. 9148/08).
La legge di riforma n. 220/2012 non ha preso posizione sul problema ma, come evidenziato dalle Sezioni unite della Suprema corte nella sentenza n. 19663/2014, ha introdotto una serie di disposizioni che sembrerebbero confermare la tendenza alla progressiva configurabilità “di una sia pur attenuata personalità giuridica”. In merito si rimanda all’ammissione della pignorabilità da parte dei fornitori del conto corrente condominiale, nonostante il nuovo disposto dell’art. 63 disp. att. c.c. sulla responsabilità dei singoli condomini per le obbligazioni comuni. Ma con la sentenza n. 10934/2019, le medesime Sezioni unite hanno escluso che il condominio possa configurarsi come un autonomo soggetto di diritto.

2. Condominio consumatore
È utile ricordare che ai sensi dell’art. 3 del codice del consumo (d.lgs n. 206/2005), consumatore o utente è “la persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta” (art. 3 lett. a) Codice del consumo), mentre il professionista è “la persona fisica o giuridica che agisce nell’esercizio della propria attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale, ovvero un suo intermediario” (art. 3 lett. c) Codice del consumo).
L’orientamento che si è finora delineato, sia di merito che di legittimità, ha valorizzato in via pressoché esclusiva l’assunto secondo il quale, essendo il condominio ente di gestione privo di personalità giuridica, «l’amministratore agisce quale mandatario con rappresentanza dei vari condomini, i quali devono essere considerati consumatori in quanto persone fisiche operanti per scopi estranei ad attività imprenditoriale o professionale» (Cassazione, sentenze 10679/2015 e 452/2005). Di recente il tribunale di Milano, con ordinanza sospensiva del giudizio, ha rimesso alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea la seguente questione pregiudiziale: “Se la nozione di consumatore quale accolta dalla direttiva 93/13/CEE osti alla qualificazione come consumatore di un soggetto (quale il condominio nell’ordinamento italiano) che non sia riconducibile alla nozione di “persona fisica” e di “persona giuridica”, allorquando tale soggetto concluda un contratto per scopi estranei all’attività professionale e versi in una situazione di inferiorità nei confronti del professionista sia quanto al potere di trattativa, sia quanto al potere di informazione …” (Trib. Milano, ord. 1 aprile 2019).
La corte di Giustizia si è pronunciata affermato che il Condominio è consumatore “L’articolo 1, paragrafo 1, e l’articolo 2, lettera b), della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, devono essere interpretati nel senso che non ostano a una giurisprudenza nazionale che interpreti la normativa di recepimento della medesima direttiva nel diritto interno in modo che le norme a tutela dei consumatori che essa contiene siano applicabili anche a un contratto concluso con un professionista da un soggetto giuridico quale il condominio nell’ordinamento italiano, anche se un simile soggetto giuridico non rientra nell’ambito di applicazione della suddetta direttiva” (Corte giustizia UE , 02 aprile 2020, n.329, sez. I).

Ambito oggettivo di applicazione

Fatto
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione ritualmente notificato i Condomini di Via (omissis) in persona dei rispettivi amministratori pro tempore, evocavano in giudizio il Condominio di via (omissis)innanzi il Tribunale di Bologna invocando l’accertamento dell’esistenza di un diritto di servitù di passaggio, pedonale e carrabile, e la condanna del convenuto a rimuovere le opere limitative dell’esercizio del transito.

Nella resistenza del condominio convenuto, e con l’intervento di numerosi condomini facenti parte dei condomini attori, i quali aderivano alla domanda di questi ultimi, il Tribunale, con sentenza n. 20611/2016, accoglieva la domanda.

Con la sentenza impugnata, n. 2182/2020, la Corte di Appello di Bologna riformava la decisione di prime cure, rigettando la domanda formulata dagli originari attori e condannando questi ultimi alle spese del doppio grado del giudizio di merito.

Propongono ricorso per la cassazione di detta decisione i Condomini di via (omissis), unitamente ai partecipanti intervenuti in giudizio, affidandosi a quattro motivi.

Resiste con controricorso il Condominio di via (omissis), spiegando ricorso incidentale condizionato e subordinato, affidato a tre motivi, a sua volta resistito con controricorso.

In prossimità dell’adunanza camerale, ambo le parti hanno depositato memoria.

Diritto
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente, va scrutinata l’eccezione di tardivo deposito della delibera dell’assemblea condominiale contenente l’autorizzazione alla proposizione del ricorso in Cassazione, sollevata dal condominio di via (omissis), controricorrente, a pag. 6 della memoria. Tale eccezione è infondata, dovendosi ribadire il principio secondo cui “La delibera condominiale con la quale si autorizza l’amministratore a promuovere un giudizio vale per tutti i gradi del giudizio stesso e conferisce quindi, implicitamente, la facoltà di proporre ogni genere di impugnazione, compreso il ricorso per cassazione” (Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 11863 del 02/05/2024, Rv. 670800; conf. Cass. Sez. 5, Sentenza n. 2584 del 04/02/2010, Rv. 611372).

Va quindi esaminato, per motivi di priorità logica, il ricorso incidentale, poiché esso, ancorché proposto in forma subordinata e condizionata, pone questioni attinenti la legittimazione ad agire della parte ricorrente principale la cui impugnazione, come si vedrà a breve, è fondata.

Con il primo motivo del ricorso incidentale, si lamenta la violazione o falsa applicazione degli artt. 1130,1131 c.c., 75 e 77 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente ritenuto solo formalmente riproposta, ma non argomentata, e comunque infondata nel merito, la doglianza con la quale l’odierna parte ricorrente incidentale aveva contestato l’inesistenza della legittimazione ad agire degli amministratori dei condomini attori. Ad avviso dell’odierno ricorrente incidentale, invece, la censura era stata riproposta ritualmente ed era fondata, non potendo l’amministratore agire a tutela di un diritto reale costituito a favore del condominio, se non sulla base di un mandato conferitogli da tutti i partecipanti all’ente di gestione, all’unanimità.

La censura è infondata.

Questa Corte ha affermato che deve essere esclusa la necessità di integrazione del contraddittorio in un giudizio per la costituzione della servitù di passaggio coattivo, instaurato da un comproprietario del fondo dominante, sia perché ogni partecipante alla comunione può chiedere la costituzione di detta servitù a favore del fondo intercluso, sia per il principio dell’indivisibilità della servitù, dato che una volta riconosciute le condizioni per l’imposizione della servitù stessa, questa deve intendersi costituita attivamente e passivamente a favore ed a carico dei rispettivi fondi, con effetti che, concretandosi in una qualitas fundi, non possono essere circoscritti al solo condomino che richiese di ottenere il passaggio (Cass. Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 4399 del 20/03/2012, Rv. 621650; conf. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 247 del 29/01/1969, Rv. 338216).

Il vizio lamentato dall’odierno ricorrente incidentale non sussiste, posto che l’amministratore del condominio ha pieno diritto – ed anzi, è espressamente obbligato dalla legge (cfr. artt. 1130 ed 1131 c.c.) – a compiere tutti gli atti conservativi dei beni e dei diritti comuni. Inoltre, va ribadito, con specifico riferimento alle azioni a difesa dei diritti spettanti all’intera compagine condominiale, che poiché il diritto di ciascun condomino investe la cosa comune nella sua interezza sia pure con il limite del concorrente diritto degli altri condomini, anche un solo condomino può promuovere le azioni reali a difesa della proprietà comune senza che sia necessario integrare il contradditorio nei confronti di tutti i partecipanti alla comunione. Pertanto tali azioni possono essere deliberate anche a maggioranza dall’assemblea dei condomini la quale può conferire all’amministratore o ad altri il potere di agire nel comune interesse (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 6119 del 25/06/1994, Rv. 487199; conf. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 3751 del 06/11/1975, Rv. 377954; nonché Cass. Sez. 2, Sentenza n. 6396 del 06/12/1984, Rv. 437968, secondo cui l’esigenza di assicurare il litisconsorzio di tutti i partecipanti al condominio sussiste soltanto nel caso in cui… l’azione negatoria sia diretta a conseguire anche la rimozione di opere comuni, attraverso le quali la servitù venga esercitata, è necessaria la partecipazione al giudizio di tutti i condomini in quanto, in tale ipotesi, gli effetti di detta azione sono destinati a riflettersi sulle situazioni giuridiche dei singoli condomini considerati come espressioni di interessi individuali (ipotesi, quest’ultima, che evidentemente non ricorre nel caso di specie).

Con il secondo motivo, il ricorrente incidentale denunzia la violazione dell’art. 105 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente attribuito rilievo all’intervento spiegato dai partecipanti ai condomini attori, poiché esso avrebbe dovuto essere qualificato sub specie di intervento adesivo dipendente, e dunque inidoneo a superare l’eccezione di carenza di legittimazione ad agire in capo agli amministratori dei condomini attori.

La censura è infondata.

Alla luce dei precedenti richiamati in occasione dello scrutinio del primo motivo del ricorso incidentale, va affermata la sussistenza ab origine della legittimazione ad agire in capo agli amministratori dei condomini attori, i quali, nell’ambito del potere-dovere loro attribuito dagli artt. 1130 e 1131 c.c., hanno promosso actio confessoria servitutis a protezione di un diritto di servitù di passaggio costituito a favore degli enti di gestione da loro amministrati, sulla base di delibere autorizzative debitamente approvate a maggioranza dei presenti.

Il successivo intervento adesivo spiegato dai soggetti partecipanti ai condomini attori (lo stesso ricorrente incidentale riconosce che sono intervenuti in giudizio, aderendo alla posizione dei condomini originari attori, n. 46 partecipanti su un totale di 54: cfr. pag. 34 del ricorso) corrobora, ove necessario, l’azione proposta dal rappresentante dell’ente di gestione. Gli intervenienti, infatti, hanno evidentemente fatta propria la domanda spiegata dal loro rappresentante. Né sussiste alcun profilo di dipendenza tra la domanda spiegata dal condominio e quella proposta dagli intervenienti, poiché, non sussistendo una soggettività autonoma in capo all’ente di gestione, la domanda rimane la stessa, e consiste nella protezione di un diritto reale costituito a favore del condominio attore, e dunque di tutti i partecipanti ad esso, pro quota.

Con il terzo motivo, il ricorrente incidentale lamenta la violazione degli artt. 102 c.p.c. e 1079 c.c., in relazione all’art, 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente affermato che la domanda proposta nei confronti del condominio di via T non investiva dal lato passivo i suoi partecipanti, nei cui confronti, quindi, non ha ravvisato l’esigenza di integrare il contraddittorio.

La censura è infondata.

Va ribadito, sul punto, il principio secondo cui il secondo comma dell’art. 1131 c.c., nel prevedere la legittimazione passiva dell’amministratore in ordine ad ogni lite avente ad oggetto interessi comuni dei condomini (senza distinguere tra azioni di accertamento ed azioni costitutive o di condanna), deroga alla disciplina valida per le altre ipotesi di pluralità di soggetti passivi, soccorrendo, così, all’esigenza di rendere più agevole ai terzi la chiamata in giudizio del condominio, senza la necessità di promuovere il litisconsorzio passivo nei confronti dei condomini. Pertanto, riguardo ad azioni negatorie e confessorie di servitù, la legittimazione passiva dell’amministratore del condominio sussiste anche nel caso in cui l’azione sia diretta ad ottenere la rimozione di opere comuni (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1485 del 26/02/1996, Rv. 496027). A tale orientamento va assicurata continuità, non potendosi confondere il caso in cui la actio confessoria servitutis implichi la rimozione degli ostacoli frapposti, da chi non ne aveva diritto, al legittimo esercizio del diritto reale, alla diversa ipotesi in cui la actio negatoria servitutis, proposta contro il condominio, implichi la rimozione delle opere comuni, attraverso le quali la servitù venga esercitata. Solo in quest’ultimo caso, infatti, è necessaria la partecipazione al giudizio di tutti i condomini, alla luce del principio affermato da Cass. Sez. 2, Sentenza n. 6396 del 06/12/1984, Rv. 437968, già richiamato in relazione allo scrutinio del primo motivo del ricorso incidentale.

L’impugnazione incidentale va quindi rigettata.

Passando all’esame dei motivi del ricorso principale, con il primo di essi viene denunziato l’omesso esame di fatto decisivo, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente ritenuto carente la prova dell’esistenza della servitù, sul presupposto che agli atti del giudizio di merito fossero stati allegati soltanto i titoli con i quali i singoli partecipanti ai condomini attori avevano acquistato le porzioni immobiliari di loro proprietà, senza considerare che la parte attrice aveva invece allegato anche la convenzione di lottizzazione del 18.9.1962, trascritta il 16.10.1962, intercorsa tra gli originari proprietari delle aree di cui è causa ed il Comune di (omissis), con la quale era stata istituita la servitù di passaggio oggetto di contestazione.

Va preliminarmente esaminata, e rigettata, l’eccezione di parte controricorrente, secondo cui tale doglianza sarebbe stata rinunciata (cfr. pag. 7 della memoria depositata in prossimità dell’adunanza camerale). Non risulta infatti alcuna rinuncia al mezzo di impugnazione in esame, né, del resto, il condominio di via (omissis) indica in qual modo tale rinunzia sarebbe stata formalizzata, ma si limita a valorizzare alcune espressioni, contenute nel controricorso in resistenza al ricorso incidentale, le quali, oltre a non evidenziare alcuna inequivoca volontà di rinunciare alla doglianza di cui si discute, hanno evidente contenuto descrittivo, a confutazione degli argomenti -peraltro, come visto, infondati – proposti dal ricorrente incidentale.

La censura è fondata.

La parte ricorrente ha indicato, nella censura in esame, di aver prodotto il documento erroneamente ritenuto assente dalla Corte felsinea, indicando specificamente il momento del giudizio di merito e lo strumento processuale con il quale esso era stato introdotto, nonché riportandone il passaggio fondamentale, contenuto in particolare a pag. 3, con il quale veniva istituita la servitù di passaggio oggetto di causa (cfr. pag. 13 del ricorso).

La Corte di Appello ha dunque errato nell’affermare che non risultava agli atti il titolo costitutivo del diritto reale di godimento anzidetto, il quale, peraltro, risultava richiamato -come afferma lo stesso giudice di secondo grado; cfr. pag. 11 della sentenza impugnata – in tutti gli atti di acquisto con i quali i singoli condomini avevano acquistato le unità immobiliari di loro rispettiva proprietà.

Infondata, quindi, è l’eccezione mossa dal controricorrente alle pagg. 13 e ss. della memoria, secondo cui non sussisterebbe il vizio di omesso esame denunciato dai ricorrenti principali, poiché la Corte distrettuale avrebbe esaminato i titoli allegati a sostegno dell’esistenza del diritto di servitù oggetto di causa. Dall’esame degli atti risulta infatti che l’esistenza della convenzione di lottizzazione del 1962, dalla quale il diritto in re aliena di cui è causa trae origine, era stata dedotta dagli odierni ricorrenti principali (cfr. pagg. 1 e 2 dell’atto di citazione, pagg. 5 e 6 dell’atto di costituzione in appello, pag. 5 della comparsa conclusionale depositata in appello, nonché pag. 4 della sentenza impugnata).

La sentenza va dunque cassata per rimediare all’omesso esame.

L’accoglimento del primo motivo del ricorso principale implica l’assorbimento dei rimanenti, con i quali i ricorrenti lamentano, rispettivamente:

– con il secondo motivo, la violazione o falsa applicazione degli artt. 1058 e 1079 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe dovuto ritenere comunque sufficiente, ai fini della prova dell’esistenza del diritto di transito di cui è causa, il richiamo all’originario titolo costitutivo, operato nei contratti con i quali i partecipanti ai condomini attori avevano acquistato le unità immobiliari di loro proprietà individuale;

– con il terzo motivo, la violazione o falsa applicazione degli artt. 1158,1159 c.c. e 112 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte distrettuale avrebbe omesso di esaminare la domanda formulata dalle originarie parti attrici nella sua interezza, trascurando in particolare di considerare la natura autodeterminata del diritto reale oggetto di causa;

– con il quarto motivo, infine, l’omessa pronuncia sulla istanza di ammissione di C.T.U., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c.

In definitiva, rigettato il ricorso incidentale, va accolto il primo motivo del ricorso principale, e vanno dichiarati assorbiti i restanti.

La sentenza impugnata va dunque cassata, in relazione alla censura accolta, e la causa rinviata alla Corte di Appello di Bologna, in differente composizione, anche per le spese del presente giudizio di legittimità.

Stante il tenore della pronuncia, va dato atto – ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002- della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente incidentale, di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.

P.Q.M.
la Corte accoglie il primo motivo del ricorso principale, dichiarando assorbiti gli altri, e rigetta il ricorso incidentale. Cassa la sentenza impugnata, in relazione alla censura accolta, e rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte di Appello di Bologna, in differente composizione.Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione Civile, addì 28 maggio 2024.

Depositato in Cancelleria il 31 luglio 2024.

Allegati

    [pmb_print_buttons]

    Accedi