• Home
  • >
  • Cassazione civile sez. II, 31/07/2023, n. 23153

Cassazione civile sez. II, 31/07/2023, n. 23153

Massima

Ai fini della costituzione di un supercondominio, non è necessaria né la manifestazione di volontà dell’originario costruttore né quella di tutti i proprietari delle unità immobiliari di ciascun condominio, essendo sufficiente che i singoli edifici, abbiano, materialmente, in comune alcuni impianti o servizi, ricompresi nell’ambito di applicazione dell’art. 1117 c.c. (quali, ad esempio, il viale d’ingresso, l’impianto centrale per il riscaldamento, i locali per la portineria, l’alloggio del portiere).

Supporto alla lettura

Condominio

1.La natura giuridica del Condominio.
Quella della natura giuridica del condominio è una questione che ha fatto sorgere numerosi contrasti in dottrina e in giurisprudenza. La giurisprudenza di legittimità si è più volte espressa sostenendo che il condominio non può considerarsi un soggetto giuridico distinto dai singoli condomini che lo compongono. Secondo la giurisprudenza di legittimità, il condominio è un ente di gestione sfornito di personalità distinta da quella dei suoi partecipanti.
In questo contesto dottrina e giurisprudenza hanno elaborato diverse teorie alle volte in contraddittorio tra loro. S’è detto che il condominio è:
a) un ente di gestione sprovvisto di personalità giuridica e autonomia patrimoniale distinta da quella dei suoi partecipanti (Cass n. 7891/2000);
b) un centro d’imputazione d’interessi distinto dai singoli partecipanti (Cass. 19 marzo 2009, n. 6665);
c) una organizzazione pluralistica (Cass. SS.UU. n. 9148/08).
La legge di riforma n. 220/2012 non ha preso posizione sul problema ma, come evidenziato dalle Sezioni unite della Suprema corte nella sentenza n. 19663/2014, ha introdotto una serie di disposizioni che sembrerebbero confermare la tendenza alla progressiva configurabilità “di una sia pur attenuata personalità giuridica”. In merito si rimanda all’ammissione della pignorabilità da parte dei fornitori del conto corrente condominiale, nonostante il nuovo disposto dell’art. 63 disp. att. c.c. sulla responsabilità dei singoli condomini per le obbligazioni comuni. Ma con la sentenza n. 10934/2019, le medesime Sezioni unite hanno escluso che il condominio possa configurarsi come un autonomo soggetto di diritto.
2. Condominio consumatore
È utile ricordare che ai sensi dell’art. 3 del codice del consumo (d.lgs n. 206/2005), consumatore o utente è “la persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta” (art. 3 lett. a) Codice del consumo), mentre il professionista è “la persona fisica o giuridica che agisce nell’esercizio della propria attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale, ovvero un suo intermediario” (art. 3 lett. c) Codice del consumo).
L’orientamento che si è finora delineato, sia di merito che di legittimità, ha valorizzato in via pressoché esclusiva l’assunto secondo il quale, essendo il condominio ente di gestione privo di personalità giuridica, «l’amministratore agisce quale mandatario con rappresentanza dei vari condomini, i quali devono essere considerati consumatori in quanto persone fisiche operanti per scopi estranei ad attività imprenditoriale o professionale» (Cassazione, sentenze 10679/2015 e 452/2005). Di recente il tribunale di Milano, con ordinanza sospensiva del giudizio, ha rimesso alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea la seguente questione pregiudiziale: “Se la nozione di consumatore quale accolta dalla direttiva 93/13/CEE osti alla qualificazione come consumatore di un soggetto (quale il condominio nell’ordinamento italiano) che non sia riconducibile alla nozione di “persona fisica” e di “persona giuridica”, allorquando tale soggetto concluda un contratto per scopi estranei all’attività professionale e versi in una situazione di inferiorità nei confronti del professionista sia quanto al potere di trattativa, sia quanto al potere di informazione …” (Trib. Milano, ord. 1 aprile 2019).
La corte di Giustizia si è pronunciata affermato che il Condominio è consumatore “L’articolo 1, paragrafo 1, e l’articolo 2, lettera b), della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, devono essere interpretati nel senso che non ostano a una giurisprudenza nazionale che interpreti la normativa di recepimento della medesima direttiva nel diritto interno in modo che le norme a tutela dei consumatori che essa contiene siano applicabili anche a un contratto concluso con un professionista da un soggetto giuridico quale il condominio nell’ordinamento italiano, anche se un simile soggetto giuridico non rientra nell’ambito di applicazione della suddetta direttiva” (Corte giustizia UE , 02 aprile 2020, n.329, sez. I).

Ambito oggettivo di applicazione

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Lecce, con sentenza n. 103 del 23 gennaio 2018, ha rigettato l’appello proposto da F.G., C.G. e P.D. contro la sentenza del Tribunale della stessa città, che aveva a sua volta rigettato la domanda degli appellanti, volta a inibire a Pe.Ma.An. il transito su spazi di pertinenza, destinati a posti auto, delle loro unità immobiliari, facenti parte di un complesso di otto villette a schiera: in particolare l’inibitoria aveva ad oggetto lo spazio scoperto posto a nord del corpo di fabbrica, destinato a quattro posti auto a loro riservati dai rispettivi atti di provenienza. Gli attori avevano denunziato che la Pe., proprietaria di una unità immobiliare estranea al complesso, aveva cominciato ad attraversare, nel corso dell’anno (Omissis), lo spazio scoperto destinato ai posti auto dei ricorrenti, mentre in precedenza percorreva i due vialetti interni. La diversa scelta della Pe. si spiegava in quanto lo spazio, diversamente dai vialetti interni, era in immediato collegamento con la via pubblica.

Per quanto qui interessa, la Corte territoriale ha ritenuto: a) che i ricorrenti non erano proprietari dei posti auto, essendo gli stessi posti auto collocati su un viale comune, ma solo titolari di un diritto di uso, che non comprendeva il potere di escludere il transito carrabile da parte degli altri condomini, compresa la Pe.; b) che i posti auto costituivano solo una parte del viale comune, che non esauriva l’intero spazio a nord del complesso (quello oggetto di lite); c) che occorreva poi considerare quanto prevedeva il regolamento condominiale, che comprendeva i vialetti interni fra le parti comuni del complesso; d) che lo spazio oggetto di lite era tale da consentire il passaggio e/o il parcheggio di due macchine affiancate; e) che, in presenza di tali univoche indicazioni, la prova orale richiesta dagli appellanti era superflua.

Avverso questa decisione F.G., C.G. e P.D. hanno proposto ricorso sulla base di quattro motivi. Ha resistito con controricorso Pe.Ma.An.. Le parti hanno depositato memorie.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – I motivi di ricorso possono essere così sintetizzati:

1) violazione degli artt. 832,841 e 117 c.c., in quanto la corte territoriale ha ingiustamente negato il diritto degli attuali ricorrenti, nella loro qualità di comproprietari, di utilizzare in modo pieno ed esclusivo lo spazio di pertinenza delle loro abitazioni, destinato a parcheggio. I ricorrenti ripercorrono le vicende dei fabbricati delle parti in causa, rilevando che il complesso, nel quale sono comprese le loro unità immobiliari e il complesso del quale fa parte l’unità delle Pe., sono distinti, benché edificati su progetto del medesimo tecnico ing. Pa.Gi.. Essi precisano che il tecnico aveva edificato in proprio il complesso dei ricorrenti e per conto altrui l’edificio nel quale era compresa l’unità del dante causa della Pe. ( D.I.M.R.). La genesi dei più edifici aveva determinato una gestione comune della totalità delle unità immobiliari, come se si trattasse di un condominio, fermo restando, però, l’assetto proprietario. In forza di tali considerazioni i ricorrenti sostengono che essi, subentrati nella proprietà di unità comprese nelle porzioni edificate dal Pa. in proprio, hanno acquistato e sono rimasti i soli esclusivi titolari delle relative aree di pertinenze, con esclusione di qualsiasi diritto di comunione in favore dei proprietari di unità comprese nel diverso complesso.

2) Violazione, sotto altro profilo, dei principi in materia diproprietà immobiliare, e dell’art. 2697 c.c., in quanto la Corte territoriale ha riconosciuto alla Pe. una qualità (quella di condomina relativamente al viale di accesso del complesso Pa.), insussistente in base ai titoli, in assenza di qualsiasi previsione intesa a rendere comune il viale. La circostanza che negli atti di compravendita, sia di quelli in forza dei quali la Pe. è divenuta proprietaria della unità acquistata, sia di quelli degli attuali ricorrenti, il viale fosse indicato comune, mancando un preesistente atto di trasferimento, è pertanto del tutto irrilevante.

3) Violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., e dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4. I ricorrenti riprendono la ragione di censura proposta con il motivo precedente, cui aggiungono una censura sulla mancata ammissione dei mezzi di prova, che erano volti a dare dimostrare una situazione di fatto tale da escludere, fino a un certo momento, la possibilità del passaggio della Pe. attraverso la porzione in contesa.

4) Violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., in quanto la corte di merito ha deciso sulla base di prove inesistenti, assumendo un diritto condominiale della controricorrente inesistente in base ai titoli.

2. – I motivi di ricorso, nel loro insieme, pongono una sola e unica censura, giustificata in forza delle seguenti considerazioni. Gli edifici delle parti in causa sono stati edificati su particelle catastali di proprietà di soggetti distinti, i quali avevano conseguentemente acquistato, separatamente, la proprietà di quanto edificato su di esse, inclusi gli spazi comuni. La edificazione avvenne su progetto di un unico tecnico, il quale era anche il proprietario del terreno dove fu edificato uno dei due complessi. Il collegamento iniziale fra le diverse iniziative costruttive si tradusse in una gestione condominiale unitaria, tuttavia inidonea a rendere comuni gli spazi di rispettiva pertinenza dei due complessi: in particolare i vialetti di accesso. A tal fine sarebbe stato necessario un atto costitutivo di comunione, che non c’e’ stato. In assenza di tale atto, la circostanza che i vialetti interni fossero stati indicati come comuni anche al complesso nel quale è ubicata l’unità della Pe. è naturalmente irrilevante. Le prove orali avrebbero potuto accertare che fino a un certo punto, nella zona in contesa, non esisteva un viale comune, in quanto lo spazio era accessibile dalla via pubblica per una parte soltanto, mentre per l’altra parte si accedeva dai vialetti interni.

3.- I motivi, da esaminare congiuntamente, sono infondati.

L’inesistenza del condominio è fatta discendere dai ricorrenti dal fatto che gli edifici sono stati edificati separatamente da soggetti distinti, i quali avevano poi venduto separatamente le singole unità edificate. Tale impostazione non tiene conto del principio, acquisito nella giurisprudenza della Corte già da prima che fosse introdotto l’art. 1117-bis c.c., che “singoli edifici costituiti in altrettanti condomini vengono a formare un “supercondominio” quando talune cose, impianti e servizi comuni (viale d’ingresso, impianto centrale per il riscaldamento, parcheggio, locali per la portineria o per l’alloggio del portiere, ecc.) contestualmente legati, attraverso la relazione di accessorio a principale, con più edifici, appartengono ai proprietari delle unità immobiliari comprese nei diversi fabbricati e sono regolati, se il titolo non dispone altrimenti, in virtù di interpretazione estensiva o analogica, dalle norme dettate per il condominio negli edifici” (Cass. n. 7286/1996; n. 14791/2003). Si applica conseguentemente la presunzione legale di comunione di talune parti, stabilita dall’art. 1117 c.c., purché si tratti di beni oggettivamente e stabilmente destinati all’uso od al godimento di tutti gli edifici (Cass. n. 13883/2010).

E’ stato chiarito che, ai fini della costituzione di un supercondominio, non è necessaria né la manifestazione di volontà dell’originario costruttore né quella di tutti i proprietari delle unità immobiliari di ciascun condominio, essendo sufficiente che i singoli edifici, abbiano, materialmente, in comune alcuni impianti o servizi, ricompresi nell’ambito di applicazione dell’art. 1117 c.c. (quali, ad esempio, il viale d’ingresso, l’impianto centrale per il riscaldamento, i locali per la portineria, l’alloggio del portiere), in quanto collegati da un vincolo di accessorietà necessaria a ciascuno degli stabili, spettando, di conseguenza, a ciascuno dei condomini dei singoli fabbricati la titolarità pro quota su tali parti comuni e l’obbligo di corrispondere gli oneri condominiali relativi alla loro manutenzione (Cass. n. 2305/2008). Insomma è principio acquisito che “al pari del condominio negli edifici, regolato dagli artt. 1117 c.c. e segg., anche il c.d. supercondominio, viene in essere ipso iure et facto, se il titolo non dispone altrimenti, senza bisogno d’apposite manifestazioni di volontà o altre esternazioni e tanto meno d’approvazioni assembleari, sol che singoli edifici, costituiti in altrettanti condomini, abbiano in comune talune cose, impianti e servizi legati, attraverso la relazione di accessorio e principale, con gli edifici medesimi e per ciò appartenenti, pro quota, ai proprietari delle singole unità immobiliari comprese nei diversi fabbricati” (Cass. n. 17332/2011; n. 27094/2017; n. 2279/2019; n. 32237/2019).

4. – In rapporto a questi principi le considerazioni proposte dai ricorrenti, ancora riprese con la memoria, dove si insiste, da un lato, sulla diversa originaria appartenenza dei fabbricati, dall’altro, sulla gestione condominiale attuata solo per comodità, non inficiano la correttezza delle decisione. Infatti, al fine di escludere il carattere comune dei vialetti affermato nella sentenza impugnata, occorreva attingere il giudizio di fatto, in linea di principio incensurabile in cassazione (Cass. n. 5143/2011), sulla esistenza della relazione di servizio nei termini sopra indicati, in guisa da paralizzare l’operatività della presunzione ex art. 1117 c.c., o l’esistenza di un titolo contrario. La censura, invece, come appena chiarito, è incentrata sulla diversa originaria appartenenza dei diversi fabbricati, inidonea, di per sé, ad escludere il carattere condominiale dei viali di accesso. Neanche la mancata ammissione della prova orali evidenzia alcun errore del giudizio di diritto espresso dalla Corte di merito. Con le prove, i ricorrenti avrebbero inteso dimostrare che la pregressa presenza di un muro nello spazio in contesa, fino a un certo momento, non aveva consentito il transito verso la proprietà della resistente. In questo senso, la censura è stata innanzitutto proposta in modo improprio. Essa, attenendo alla mancata ammissione di una prova, avrebbe dovuto essere veicolata con il motivo di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, con il correlativo onere dei ricorrenti di illustrare il carattere decisivo della circostanza. I ricorrenti pongono invece la questione sotto il profilo della violazione del diritto alla prova o del vizio motivazionale, che non sussistono. La Corte di merito ha operato una valutazione complessiva degli elementi di causa, ritenendo la prova irrilevante, rispetto al fatto da provare, identificato nel diritto dei ricorrenti di escludere il transito della condomina. A ciò si deve aggiungere che il fatto, costituito dalla esistenza di un impedimento fisico al transito, attiene a una circostanza palesemente non decisiva, non potendosi desumere da essa che la porzione in contesa fosse, per le sue caratteristiche, adibita a servizio esclusivo degli immobili dei ricorrenti, in guisa da escludere la presunzione ex art. 1117 c.c. (cfr. Cass. n. 791/2020).

5. – In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, con addebito di spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello richiesto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

P.Q.M.

rigetta il ricorso; condanna i ricorrenti al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Suprema Corte di Cassazione, il 28 aprile 2023.

Depositato in Cancelleria il 31 luglio 2023

Allegati

    [pmb_print_buttons]

    Accedi