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Cassazione civile sez. II, 31/05/2023, n.15278

Massima

L’assemblea condominiale non può decidere la rimozione della canna fumaria di proprietà esclusiva di un condomino

Supporto alla lettura

1. La natura giuridica del Condominio.
Quella della natura giuridica del condominio è una questione che ha fatto sorgere numerosi contrasti in dottrina e in giurisprudenza. La giurisprudenza di legittimità si è più volte espressa sostenendo che il condominio non può considerarsi un soggetto giuridico distinto dai singoli condomini che lo compongono. Secondo la giurisprudenza di legittimità, il condominio è un ente di gestione sfornito di personalità distinta da quella dei suoi partecipanti.
In questo contesto dottrina e giurisprudenza hanno elaborato diverse teorie alle volte in contraddittorio tra loro. S’è detto che il condominio è:
a) un ente di gestione sprovvisto di personalità giuridica e autonomia patrimoniale distinta da quella dei suoi partecipanti (Cass n. 7891/2000);
b) un centro d’imputazione d’interessi distinto dai singoli partecipanti (Cass. 19 marzo 2009, n. 6665);
c) una organizzazione pluralistica (Cass. SS.UU. n. 9148/08).
La legge di riforma n. 220/2012 non ha preso posizione sul problema ma, come evidenziato dalle Sezioni unite della Suprema corte nella sentenza n. 19663/2014, ha introdotto una serie di disposizioni che sembrerebbero confermare la tendenza alla progressiva configurabilità “di una sia pur attenuata personalità giuridica”. In merito si rimanda all’ammissione della pignorabilità da parte dei fornitori del conto corrente condominiale, nonostante il nuovo disposto dell’art. 63 disp. att. c.c. sulla responsabilità dei singoli condomini per le obbligazioni comuni. Ma con la sentenza n. 10934/2019, le medesime Sezioni unite hanno escluso che il condominio possa configurarsi come un autonomo soggetto di diritto.
2. Condominio consumatore
È utile ricordare che ai sensi dell’art. 3 del codice del consumo (d.lgs n. 206/2005), consumatore o utente è “la persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta” (art. 3 lett. a) Codice del consumo), mentre il professionista è “la persona fisica o giuridica che agisce nell’esercizio della propria attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale, ovvero un suo intermediario” (art. 3 lett. c) Codice del consumo).
L’orientamento che si è finora delineato, sia di merito che di legittimità, ha valorizzato in via pressoché esclusiva l’assunto secondo il quale, essendo il condominio ente di gestione privo di personalità giuridica, «l’amministratore agisce quale mandatario con rappresentanza dei vari condomini, i quali devono essere considerati consumatori in quanto persone fisiche operanti per scopi estranei ad attività imprenditoriale o professionale» (Cassazione, sentenze 10679/2015 e 452/2005). Di recente il tribunale di Milano, con ordinanza sospensiva del giudizio, ha rimesso alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea la seguente questione pregiudiziale: “Se la nozione di consumatore quale accolta dalla direttiva 93/13/CEE osti alla qualificazione come consumatore di un soggetto (quale il condominio nell’ordinamento italiano) che non sia riconducibile alla nozione di “persona fisica” e di “persona giuridica”, allorquando tale soggetto concluda un contratto per scopi estranei all’attività professionale e versi in una situazione di inferiorità nei confronti del professionista sia quanto al potere di trattativa, sia quanto al potere di informazione …” (Trib. Milano, ord. 1 aprile 2019).
La corte di Giustizia si è pronunciata affermato che il Condominio è consumatore “L’articolo 1, paragrafo 1, e l’articolo 2, lettera b), della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, devono essere interpretati nel senso che non ostano a una giurisprudenza nazionale che interpreti la normativa di recepimento della medesima direttiva nel diritto interno in modo che le norme a tutela dei consumatori che essa contiene siano applicabili anche a un contratto concluso con un professionista da un soggetto giuridico quale il condominio nell’ordinamento italiano, anche se un simile soggetto giuridico non rientra nell’ambito di applicazione della suddetta direttiva” (Corte giustizia UE , 02 aprile 2020, n.329, sez. I).

Ambito oggettivo di applicazione

 

FATTI DI CAUSA

D.T.V. e D.T.G. hanno proposto ricorso articolato in quattro motivi avverso la sentenza n. 355-2018 del Tribunale di Pescara, pubblicata l’8 marzo 2018.

Resiste con controricorso D.F.G..

Il Tribunale di Pescara ha accolto l’appello proposto dall’avvocato D.F.G. contro la sentenza n. 133-2015 resa dal Giudice di pace di Pescara ed ha respinto l’appello proposto da D.T.V. e D.T.G..

Il giudizio ha ad oggetto le domande proposte da D.T.V. e D.T.G. con citazione del 12 marzo 2014, volta ad accertare la responsabilità dell’avvocato D.F.G. per aver indotto in errore gli attori, dichiarando nel corso dell’assemblea del condominio di viale (Omissis) svoltasi l’11 luglio 2008 che il condomino P.P. “lo aveva incaricato di esprimere la sua volontà favorevole alla rimozione” di tre canne fumarie in uso ai condomini P. e D.F., i cui comignoli erano collocati sul lastrico solare di proprietà esclusiva D.T.. Si riferisce che all’epoca il condominio di viale (Omissis) era composto da cinque condomini: D.T.V. e D.T.G., E. D.F. e M.R., genitori di D.F.G., e P.P.. L’assemblea “totalitaria” dell’11 luglio 2008 (vi erano presenti i D.T. e D.F.G., per delega sia dei propri genitori che del P.) aveva, invero, “autorizzato” i D.T., i quali avevano in corso la realizzazione di un tetto di copertura in sostituzione del lastrico, a chiudere le canne fumarie. Stante il successivo divieto di rimuovere le canne fumarie comunicato dal P., l’impresa appaltatrice delle opere inerenti al tetto ripristinò la canna fumaria e la somma occorrente per tale intervento (dell’importo di Euro 1.823,25) fu “anticipata” dai D.T.. Costoro avevano agito con una prima citazione del 18 maggio 2010 nei confronti di P.P., chiedendone il rimborso; tale domanda era stata tuttavia rigettata dal Giudice di pace di Pescara, con sentenza del 15 novembre 2012, la quale ipotizzava una possibile responsabilità di D.F.G. per il danno procurato quale falsus procurator. Con la citazione del 12 marzo 2014, D.T.V. e D.T.G. chiesero così di condannare D.F.G. al risarcimento dei danni pari all’importo della spesa di ripristino della canna fumaria (Euro 1.823,25) e delle spese processuali pagate per il giudizio concluso con la prima sentenza del 15 novembre 2012 (Euro 2.021,76). Il Giudice di pace accolse la domanda limitatamente alla somma di Euro 1.823,25, in quanto D.F.G., presente nel verbale dell’assemblea dell’11 luglio 2008 come delegato di P.P., non aveva manifestato alcun dissenso in ordine alla autorizzazione alla chiusura delle canne fumarie.

Il Tribunale di Pescara, dopo aver riportato il testo dell’art. 67 disp. att. c.c. come modificato dalla L. n. 220 del 2012, non applicabile tuttavia nel caso in esame ratione temporis, ed aver escluso che in base al testo previgente la delega assembleare necessitasse della forma scritta, ha evidenziato che nell’ordine del giorno dell’assemblea dell’11 luglio 2008 non fosse ricompresa la questione della chiusura delle canne fumarie e che risultava accertata nella sentenza del Giudice di pace di Pescara del 15 novembre 2012, resa tra i D.T. e il P., che la canna fumaria abbattuta era di proprietà esclusiva P., sicché non vi era al riguardo competenza deliberativa dell’assemblea. Il Tribunale ha così ritenuto non diligente, ex art. 1227, comma 2, c.c., la condotta dei D.T., i quali avevano proceduto immediatamente all’abbattimento della canna fumaria di proprietà P. sulla scorta di una delibera di assemblea adottata in materia estranea alle attribuzioni del collegio, su punto nemmeno all’ordine del giorno e in assenza di delega scritta di D.F.G., pur trattandosi di “dimissione di diritti reali”.

Il ricorso è stato deciso in camera di consiglio procedendo nelle forme di cui al D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8-bis, convertito con modificazioni dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176 (applicabile a norma del D.L. 29 dicembre 2022, n. 198, art. 8, comma 8, convertito con modificazioni nella L. 24 febbraio 2023, n. 14).

I ricorrenti hanno presentato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.Il primo motivo del ricorso di D.T.V. e D.T.G. deduce la violazione dell’art. 112 c.p.c., sostenendo che l’appello di D.F.G. si era “limitato a ventilare la presunta invalidità della delibera assembleare per attenere essa a diritti di proprietà esclusiva e a richiamare quanto statuito nella sentenza n. 1694/2012 del Giudice di pace di Pescara”, senza censurare minimamente la decisione di primo grado nella parte in cui aveva accertato la sussistenza della sua responsabilità e l’incolpevole affidamento dei D.T., essendosi così formato il giudicato sul punto. A fronte di ciò, il Tribunale avrebbe “finito per imbarcarsi” in questioni estranee ai motivi di gravame, quali la necessità della forma scritta della delega, l’ordine del giorno dell’assemblea, la competenza della stessa sull’abbattimento della canna fumaria, la mancanza di diligenza dei D.T..

1.1. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.

L’appello proposto da D.F.G. aveva censurato la erroneità e contraddittorietà della sentenza di primo grado in relazione all’accoglimento della richiesta di pagamento avanzate dagli attori, e concerneva l’oggetto della delibera assembleare dell’11 luglio 2008 e i limiti delle competenze dell’assemblea in relazione ai diritti individuali di proprietà.

A fronte della sentenza di primo grado, recante la condanna del D.F. al risarcimento dei danni sofferti da D.T.V. e D.T.G. per aver confidato senza colpa nel consenso di P.P., falsamente rappresentato dal D.F., alla rimozione della canna fumaria, il conseguente appello del D.F., che deduceva l’invalidità della delibera assembleare ove tale consenso sarebbe stato espresso, apriva il riesame del giudice del gravame sull’intera questione della sussistenza e della validità del potere rappresentativo e dell’affidamento incolpevole dei D.T., non configurando tali questioni una “parte della sentenza”, agli effetti dell’art. 329, comma 2, c.p.c., dettato in tema di acquiescenza implicita e cui si ricollega la formazione del giudicato interno (cfr. Cass. Sez. 2, n. 16583 del 2012; Sez. L, n. 2217 del 2016).

  1. Il secondo motivo del ricorso di D.T.V. e D.T.G. denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1135 e 1137 c.c., sottolineandosi che la deliberazione assembleare dell’11 luglio 2008 era stata assunta all’unanimità (sia pure “col dubbio della necessità della delega scritta o meno”), sicché il consenso espresso dai proprietari delle canne fumarie rivestiva un valore negoziale.

Il terzo motivo del ricorso di D.T.V. e D.T.G. denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 67 disp. att. c.c., nella formulazione applicabile ratione temporis. Così i ricorrenti evidenziano che non occorreva delega scritta.

Il quarto motivo del ricorso di D.T.V. e D.T.G. denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1227, comma 2, 2056 e 1175 c.c. Essendosi in presenza di una delibera approvata all’unanimità e sottoscritta da tutti i presenti, essa era “opponibile” anche ai D.T., obbligati ad eseguirla.

2.1. Il secondo, il terzo ed il quarto motivo di ricorso vanno esaminati congiuntamente, giacché connessi, e si rivelano del tutto non fondati, pur dovendosi correggere la motivazione parzialmente erronea in diritto della sentenza impugnata, a norma dell’art. 384, comma 4, c.p.c..

Si ha riguardo, per quanto risulta accertato dai giudici di merito, alla vicenda della rimozione di una canna fumaria di proprietà di P.P. dal lastrico solare di proprietà esclusiva D.T..

Ciò basta già a rivelare l’erroneità dei presupposti normativi su cui sono fondate le censure del ricorso, in quanto esulano dal tema di lite le questioni afferenti alla obbligatorietà delle deliberazioni dell’assemblea dei condomini, all’ordine del giorno ed all’intervento dei condomini all’assemblea a mezzo di rappresentante di delega.

2.2. E’ pacifico in giurisprudenza, con riguardo ad edifici in condominio, che una canna fumaria, sia pure appoggiata alla facciata del fabbricato, non è necessariamente di proprietà comune, ben potendo appartenere ad uno solo dei condomini, ove sia destinata a servire esclusivamente l’unità immobiliare di proprietà esclusiva cui afferisce (Cass. Sez. 6-2, n. 4499 del 2020; n. 18350 del 2013; n. 9231 del 1991).

Non spetta, peraltro, all’assemblea accollare ad uno o ad alcuni dei condomini la spesa necessaria per la rimozione di una canna fumaria dalle parti condominiali, sia pure in ottemperanza ad ordine della pubblica autorità, in quanto il collegio dei partecipanti non può ascrivere spese ai singoli, ove non ne sia accertata in sede giudiziale la responsabilità, che comporti l’onere individuale del relativo ripristino (Cass. Sez. 2, n. 10053 del 2013; n. 7890 del 1999).

2.3. Altrettanto consolidata è l’interpretazione secondo cui l’assemblea, quale organo deliberativo della collettività condominiale, può occuparsi solo della gestione dei beni e dei servizi comuni e non dei beni appartenenti in proprietà esclusiva ai singoli condomini o a terzi. Qualsiasi decisione che non attenga alle parti comuni dell’edificio non può, quindi, essere adottata seguendo il metodo decisionale dell’assemblea, che è il metodo della maggioranza, ma esige il ricorso al metodo contrattuale, fondato sul consenso dei singoli proprietari esclusivi (Cass. Sez. 6 – 2, n. 16953 del 2022). Uno dei casi in cui la deliberazione dell’assemblea dei condomini deve ritenersi affetta da nullità è quella della “impossibilità dell’oggetto, in senso materiale o in senso giuridico, da intendersi riferito al contenuto (c.d. decisum) della deliberazione”, ovvero in relazione alle “attribuzioni” proprie dell’assemblea (Cass. Sez. Unite, n. 9839 del 2021), dalle quali esulano gli interventi di manutenzione di beni di proprietà individuale.

2.4. Quando effettivamente si verte in tema di deliberazioni di competenza dell’assemblea condominiale, e si deduce che la stessa sia stata adottata in forza del voto di un “falso” (o “infedele”) delegato, voto che abbia inciso sulla regolare costituzione dell’assemblea o sul raggiungimento della maggioranza deliberativa prescritta dalla legge o dal regolamento, i rapporti tra il rappresentante intervenuto in assemblea ed il condomino rappresentato trovano disciplina in base alle regole sul mandato, con la conseguenza che solo il condomino delegante si ritiene legittimato a far valere gli eventuali vizi della delega, e non anche gli altri condomini estranei a tale rapporto (Cass. Sez. 2, n. 22958 del 2022; n. 2218 del 2013; n. 12466 del 2004). Incombe sul condomino che dal verbale dell’assemblea risulti rappresentato su delega l’onere di provare in sede di impugnazione che nessuna delega era stata rilasciata, ovvero che la stessa doveva ritenersi invalida.

2.5. Poiché il caso in esame atteneva, tuttavia, alla espressione del consenso del proprietario di una canna fumaria alla rimozione dell’impianto collocato sul lastrico solare di proprietà esclusiva posto a copertura dell’edificio condominiale, la fattispecie deve essere qualificata come rinuncia del titolare della servitù di attraversamento e fuoriuscita di canna fumaria, esistente a carico del lastrico medesimo ed in favore dell’immobile sottostante, la quale deve risultare da atto scritto, ai sensi dell’art. 1350, numeri 4 e 5, c.c. (cfr. Cass. Sez. 2, n. 5302 del 1977). Nel caso in cui il proprietario della canna fumaria si faccia rappresentare al fine di esprimere il proprio consenso alla estinzione della servitù gravante sull’immobile altrui, è necessario che il conferimento della procura risulti da atto scritto secondo la previsione di cui all’art. 1392 c.c. Il proprietario del fondo gravato dalla servitù non può perciò invocare il principio dell’apparenza del diritto e dell’affidamento incolpevole, al fine di affermare la responsabilità del falsus procurator ex art. 1398 c.c. ove, come nella specie, abbia confidato nella sussistenza del potere rappresentativo del delegato che abbia speso il nome del titolare della servitù, pur in assenza di una procura rilasciata in forma scritta.

2.6. Per il resto, la valutazione operata dal Tribunale di Pescara sulla colpa dei D.T., per aver proceduto immediatamente all’abbattimento della canna fumaria di proprietà P. confidando in una delibera di assemblea condominiale adottata in materia estranea alle attribuzioni del collegio, su punto nemmeno all’ordine del giorno e in assenza di delega scritta in capo a D.F.G., costituisce apprezzamento di fatto, incensurabile in sede di legittimità per violazione di norme di diritto.

  1. Può enunciarsi il seguente principio di diritto:

l’espressione del consenso del proprietario di una canna fumaria alla rimozione dell’impianto collocato sul lastrico solare di altrui proprietà esclusiva posto a copertura dell’edificio condominiale non rientra tra le attribuzioni dell’assemblea di condominio, configurandosi come rinuncia del titolare della servitù di attraversamento e fuoriuscita di canna fumaria, esistente a carico del lastrico medesimo ed in favore dell’immobile sottostante, la quale deve risultare da atto scritto, ai sensi dell’art. 1350, numeri 4 e 5, c.c. Ne consegue che, ove il proprietario della canna fumaria si faccia rappresentare al fine di esprimere il proprio consenso alla estinzione di detta servitù, è necessario che il conferimento della procura risulti da atto scritto secondo la previsione di cui all’art. 1392 c.c., non potendo perciò il proprietario del fondo gravato dalla servitù invocare il principio dell’apparenza del diritto, agli effetti dell’art. 1398 c.c., ove abbia confidato nella sussistenza del potere rappresentativo del delegato che abbia speso il nome del titolare della servitù, pur in assenza di una procura rilasciata in forma scritta.

  1. Il ricorso va perciò rigettato e i ricorrenti vanno condannati in solido a rimborsare al controricorrente le spese del giudizio di cassazione nell’importo liquidato in dispositivo.

Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.

PQM

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna in solido i ricorrenti a rimborsare al controricorrente le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 1.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 16 maggio 2023.

Depositato in Cancelleria il 31 maggio 2023

 

 

Allegati

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