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Cassazione civile sez. II, 31/01/2023, n.2818

Massima

Incorre in responsabilità disciplinare il notaio che riceve un atto espressamente proibito dalla legge (nella specie, una vendita affetta da nullità per indeterminatezza e indeterminabilità di alcuni degli immobili alienati).

Supporto alla lettura

Responsabilità notaio

Tra notaio e le parti roganti si instaura un rapporto contrattuale. Il notaio, nel svolgere la propria attività verso il cliente che assiste, è tenuto sia alla prestazione espressamente richiesta sia ai compiti ulteriori che siano necessari a garantire il buon esito del risultato. Tra questi vi è il c.d. obbligo di consiglio ribadito di recente da Cass. civ., sez. III, 18-05-2017, n. 12482, per il quale il notaio incaricato della redazione ed autenticazione di un contratto preliminare per la compravendita di un immobile, non può limitarsi a procedere al mero accertamento della volontà delle parti ed a sovraintendere alla compilazione dell’atto, occorrendo anche che egli si interessi delle attività preparatorie e successive necessarie ad assicurare la serietà e la certezza degli effetti tipici dell’atto medesimo e del risultato pratico perseguito ed esplicitato dalle parti stesse (nella specie, in cui le parti avevano pattuito un termine di nove anni per la stipula del definitivo, la suprema corte ha ritenuto che rientrava nel c.d. «dovere di consiglio», gravante sul notaio ex art. 42, 1º comma, lett. a), del codice di deontologia notarile, avvertire le parti della durata triennale degli effetti della trascrizione del preliminare, ai sensi dell’art. 2645 bis, 3º comma, c.c., e, conseguentemente, degli ulteriori adempimenti necessari a garantire la sicurezza dell’operazione).

La regola è che l’opera demandata al notaio richiesto della preparazione e stesura di un atto pubblico non si riduce al mero compito di accertare la volontà delle parti, ma si estende a quelle attività preparatorie e successive necessarie affinché sia assicurata la serietà e la certezza dell’atto giuridico da rogarsi, per effetto del conseguimento dello scopo tipico di esso, con la conseguenza che l’inosservanza dei menzionati obblighi accessori da parte del notaio, salvo espresso esonero delle parti, comporta responsabilità ex contractu per inadempimento dell’obbligazione di prestazione d’opera intellettuale, a nulla rilevando che la legge professionale non contenga alcun esplicito riferimento a tale peculiare forma di responsabilità: Cass. civ., sez. I, 29-11-2007, n. 24939.

Deve anche accertare la capacità di disporre delle parti stesse; infatti per Cass. civ., sez. III, 19-12-2014, n. 26908, sussiste la responsabilità contrattuale del notaio che abbia rogato un atto di trasferimento di immobile allorché il venditore sia stato in precedenza dichiarato fallito, risultando per tale ragione l’atto privo di effetti verso i creditori; il bene, pertanto, deve essere restituito e l’acquirente ha diritto al risarcimento del danno patito, il cui ammontare è pari al valore monetario dell’immobile al momento dell’effettivo rilascio, detratto l’importo corrispondente al vantaggio economico tratto nel periodo in cui l’acquirente ne ha avuto il godimento quale proprietario. Deve altresì consigliare alle parti l’atto più conveniente sotto il profilo fiscale, come ricorda Cass. civ., sez. II, 13-01-2003, n. 309: il notaio, chiamato a stipulare un atto in cui le parti interessate si dichiarano «coltivatori», ha l’obbligo, ai sensi dell’art. 1176 c.c., di svolgere un’adeguata ricerca legislativa, al fine di far conseguire alle parti il regime fiscale più favorevole, sul presupposto, pacifico nella giurisprudenza della suprema corte, secondo il quale la funzione del notaio non si esaurisce nella mera registrazione delle dichiarazioni delle parti, ma si estende all’attività di indirizzo anche fiscale, nei limiti delle conoscenze che devono far parte del normale bagaglio di un professionista che svolge la sua attività principale nel campo della contrattazione immobiliare. Quanto agli altri suoi compiti, il notaio deve effettuare le verifiche sulle trascrizioni pregiudizievoli che gravino sul bene, essendo altrimenti tenuto al risarcimento del danno Così Cass. civ., sez. III, 26-8-2014, n. 18244: il notaio incaricato di un atto avente per oggetto la vendita di un immobile, ove non abbia compiuto diligentemente le necessarie visure ipocatastali, è responsabile dei danni subiti dal compratore del bene, che risulti gravato da iscrizioni o trascrizioni pregiudizievoli non dichiarate, ma soltanto nei limiti di quella parte del prezzo che non sia stata già versata in precedenza al venditore.

Peraltro, secondo Cass. civ., sez. III, 21-06-2012, n. 10297, qualora le parti, pur avvertite dal notaio dell’obbligo di trascrivere l’atto, abbiano escluso la trascrizione o disposto che essa avvenga in ritardo, tanto nel caso di previsione della esenzione del notaio da responsabilità, quanto in mancanza di tale espressa esenzione, deve escludersi che al professionista possa addebitarsi una responsabilità per il danno subìto in conseguenza della mancata o tardiva trascrizione, atteso che il comportamento del notaio è stato da loro consentito e anzi, sul piano del contratto di prestazione d’opera, imposto.

Ambito oggettivo di applicazione

RAGIONI IN FATTO DELLA DECISIONE

Il notaio A.F. con atto del 30 gennaio 2017, n. rep. 338/283, stipulava una compravendita immobiliare con la quale la Insar S.r.l. alienava con patto di riservato dominio alla Italiana Alberghi S.r.l. la piena proprietà di alcuni immobili in (Omissis), atto il cui art. 1 faceva seguire all’indicazione dei riferimenti catastali di determinati immobili, la precisazione che “La descrizione catastale degli immobili in oggetto deve intendersi come meramente indicativa, restando comunque inteso e convenuto che la presente compravendita ha per oggetto tutti i cespiti immobiliari posseduti dalla società venditrice nel territorio del Comune di (Omissis), frazione (Omissis)”.

Con successivo rogito del 3 agosto 2017, il notaio A. stipulava altro atto, definito come di rettifica ed identificazione catastale del precedente atto del 30 gennaio 2017, nel quale si specificava che per mero errore materiale non erano stati specificamente descritti alcuni dei beni alienati, e che a tal fine si rettificava il precedente atto nel senso che la vendita aveva ad oggetto anche un appezzamento di terreno ed un tratto di cortile pertinenziale, di cui erano riportati gli identificativi catastali, con la precisazione che la corte era pervenuta alla venditrice sulla base del medesimo titolo già menzionato nel primo atto e che l’appezzamento di terreno era stato acquistato dalla venditrice per usucapione, sebbene non accertata giudizialmente.

Al contratto era altresì allegato il certificato di destinazione urbanistica dell’appezzamento di terreno in esame.

A seguito di ispezione periodica dell’Archivio Notarile Distrettuale di Viterbo, era instaurato procedimento disciplinare nei confronti del notaio A. per:

la violazione dell’art. 28, comma 1 e art. 138, comma 2 della Legge Notarile, per avere inserito la clausola sopra riportata negli atti del 30 gennaio e del 3 agosto 2017, con ciò rendendo i relativi atti privi del requisito dell’accordo richiesto dall’art. 1325 c.c., n. 1, e dunque nulli ai sensi dell’art. 1418 c.c., comma 2;

della violazione dell’art. 28, n. 1 e art. 138, comma 2 della Legge Notarile per avere inserito la detta clausola nei menzionati atti, con ciò rendendo privi i contratti del requisito della determinatezza e della determinabilità richiesto dall’art. 1346 c.c., e dunque nulli ex art. 1418 c.c., comma 2;

della violazione dell’art. 28, comma 1 e art. 138, comma 2 della Legge Notarile per avere inserito la detta clausola nei menzionati atti, rendendo i contratti idonei a comprendere anche beni non commerciabili, indipendentemente dalla causa dell’incommerciabilità, e quindi anche potenzialmente abusivi e quindi privi del requisito della liceità richiesto dall’art. 1346 c.c.;

per la violazione dell’art. 28, comma 1 e art. 138, comma 2 della Legge Notarile per avere stipulato la vendita del 30 gennaio 2017, nella quale era ricompreso anche un terreno della superficie di circa mq. 9100, senza avere allegato la prescritta certificazione di destinazione urbanistica, in violazione del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 30, comma 2; certificazione poi allegata all’atto del 3 agosto 2017, ma in maniera inidonea a sanare la precedente nullità, in quanto il certificato prodotto era stato rilasciato in data 15 giugno 2017 e non riportava le prescrizioni urbanistiche riguardanti le aree interessate al giorno in cui era stato stipulato il primo atto di compravendita.

Il notaio A. ha quindi proposto reclamo avverso la decisione disciplinare della Commissione Amministrativa Regionale di Disciplina (COREDI) del Lazio del 6 maggio 2019, con cui gli era stata irrogata la sanzione della sospensione per otto mesi dall’esercizio delle funzioni notarili, ritenendo che il primo atto fosse affetto da nullità per violazione degli artt. 1325 e 1346 c.c., mentre quanto al secondo atto che non potesse operare la sanatoria, atteso che il certificato di destinazione urbanistica prodotto non era riferito alla data del primo atto.

Nelle more, e precisamente in data 9 maggio 2019, il notaio A. stipulava un nuovo atto di rettifica e conferma di compravendita n. rep. 750/619, nel quale le medesime parti del primo atto confermavano e ripetevano la vendita del complesso edilizio in (Omissis), provvedendo alla descrizione obiettiva e catastale dei singoli immobili venduti, convenendo che la descrizione de qua non era meramente indicativa, ma definitiva, certa ed autosufficiente, eliminando la clausola precedentemente apposta alla vendita.

Confermavano altresì l’avvenuto pagamento del prezzo ed allegavano al contratto un certificato di destinazione urbanistica risalente alla data del primo atto.

La Corte d’Appello di Roma, decidendo sul reclamo del notaio, con ordinanza n. 8975 del 3 dicembre 2020 lo ha rigettato.

Quanto alle contestazioni del reclamante circa la determinabilità dell’oggetto del contratto, già sulla base delle previsioni di cui al primo atto del 30 gennaio 2017, la Corte distrettuale riteneva che le medesime non erano idonee a soddisfare il requisito di determinabilità dell’oggetto del contratto, con specifico riferimento all’ipotesi in cui l’oggetto sia rappresentato da beni immobili, essendo in tal caso preclusa la possibilità di far ricorso ad elementi estrinseci all’atto stesso, ovvero al comportamento successivo delle parti. La clausola in base alla quale la descrizione catastale degli immobili era meramente indicativa, restando inteso che la compravendita aveva comunque ad oggetto tutti i cespiti immobiliari posseduti dall’alienante in (Omissis), con il richiamo alla situazione di possessore dei beni interessati dalla compravendita era da ritenersi del tutto insoddisfacente ai fini imposti dall’art. 1346 c.c., né poteva farsi riferimento alla successiva specificazione contenuta nell’atto di rettifica del 3 agosto 2017, nel quale per la prima volta era precisato che nella vendita erano inclusi anche altri immobili di cui non era stata fornita la descrizione catastale, non potendosi a tal fine invocare la mera circostanza che si trattava, per uno di tali beni, di immobile oggetto di acquisto per usucapione non accertata in via giudiziaria.

Inoltre, era condivisibile quanto rilevato dalla COREDI circa il fatto che l’atto di rettifica era a sua volta affetto da nullità, atteso che il certificato di destinazione urbanistica allegato era riferito ad una data diversa da quella del primo atto di vendita, in contrasto con quanto prescritto del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 30.

Doveva quindi confermarsi che gli atti rogati erano affetti da nullità, essendo inequivocamente contrari a norme imperative, ed idonei come tali a determinare la violazione dell’art. 28 della Legge Notarile.

Quanto alla misura della sanzione, avendo il notaio reclamante invocato l’attenuante di cui all’art. 144 della Legge Notarile, la decisione osservava che l’atto di rettifica non poteva essere correttamente inteso quale ravvedimento operoso, trattandosi a ben vedere di atto posto in essere al fine di perfezionare la condotta illecita, non senza osservare che la violazione dell’art. 28, si ha nel momento stesso in cui viene rogato un atto nullo, senza che possa spiegare efficacia sanante o estintiva la possibilità accordata dal legislatore di porre in essere atti idonei a conservare la validità dell’atto a fini privatistici.

Quanto invece al successivo atto del 9 maggio 2019, la Corte d’Appello, dopo avere richiamato la corretta individuazione delle condotte idonee a dare vita ad un ravvedimento operoso ai sensi dell’art. 144 citato, rilevava che l’atto di rinnovazione in esame era stato posto in essere dopo la conclusione del procedimento disciplinare dinanzi alla COREDI.

Sebbene quest’ultima sia un organo amministrativo, ed ancorché il giudizio dinanzi alla Corte d’Appello non sia qualificabile in senso proprio come giudizio di secondo grado, tuttavia la presenza di connotati impugnatori per il giudizio di reclamo, impediva di poter valutare, ai fini del riconoscimento delle attenuanti generiche, atti posti in essere dopo la pronuncia reclamata, e quindi non esaminati dalla stessa COREDI, la quale è stata investita della valutazione della complessiva condotta del notaio, valutazione che sarebbe inficiata ove potesse poi tenersi conto in sede di reclamo anche di circostanze sopravvenute alla sua decisione.

La cassazione dell’ordinanza è chiesta da A.F. sulla base di tre motivi di ricorso.

L’Archivio notarile del distretto di Roma, e dei distretti riuniti di Viterbo e Rieti, il Consiglio Notarile dei distretti riuniti di Viterbo e Rieti e dei distretti riuniti di Roma, Velletri e Civitavecchia hanno depositato controricorso.

La Procura Generale della Repubblica presso la Corte d’Appello di Roma è rimasta intimata.

Diritto

RAGIONI IN DIRITTO DELLA DECISIONE

1. Evidenti ragioni di ordine logico impongono la previa disamina del terzo motivo di ricorso con il quale il ricorrente denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.

In tal senso rileva la circostanza che, in assenza di un’univoca volontà di condizionamento dei successivi motivi al rigetto del primo, la questione relativa alla manata concessione delle attenuanti, oggetto del primo motivo, presuppone a monte che resti confermata la valutazione di illiceità della condotta sanzionata, valutazione che è attinta dal secondo e terzo motivo di ricorso.

Si sostiene che la Corte d’Appello ha confermato la genericità della clausola di cui all’art. 1 dell’atto di vendita del 31 gennaio 2017, quanto alla individuazione dei beni oggetto dell’atto, avendo trascurato del tutto di prendere in esame le deduzioni difensive svolte nell’atto di reclamo.

Il ricorrente aveva ribadito che la vendita concerneva l’intero complesso alberghiero, costituito da vari immobili, e che la clausola aveva la funzione di prevenire ogni contestazione circa la puntuale individuazione dell’oggetto della vendita stessa.

La decisione gravata ha però omesso di considerare come nello stesso art. 1 vi fosse la precisa indicazione dei dati catastali degli immobili, così che doveva reputarsi che l’oggetto del contratto fosse pacificamente determinabile sulla base degli stessi elementi forniti dalle parti nel contratto.

Il motivo deve essere rigettato.

In primo luogo, appare evidentemente inammissibile nella parte in cui deduce il vizio di cui dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, senza avere provveduto ad individuare il preciso fatto storico di cui sarebbe stata omessa la disamina, ma in realtà lamentando la mancata motivazione dei giudici di merito circa alcuni argomenti e tesi difensive spesi nell’atto di reclamo.

Occorre far richiamo alla giurisprudenza di questa Corte che ha ribadito che l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella formulazione risultante dalle modifiche introdotte dal D.L. n. 83 del 2012, conv. dalla L. n. 143 del 2012, prevede l'”omesso esame” come riferito ad “un fatto decisivo per il giudizio” ossia ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico – naturalistico, non assimilabile in alcun modo a “questioni” o “argomentazioni” che, pertanto, risultano irrilevanti, con conseguente inammissibilità delle censure irritualmente formulate (Cass. n. 2268/2022; Cass. S.U. n. 8053/2014).

Il ricorrente si duole del fatto che la Corte d’Appello, pur pervenendo al rigetto della censura che investiva la pretesa insussistenza della indeterminabilità dell’oggetto del contratto, ha però trascurato le deduzioni difensive svolte già nell’atto di reclamo e volte a valorizzare la diversa portata che la parte ha inteso annettere alla clausola oggetto di causa, il che denota in maniera evidente come la formulazione del motivo esuli dall’ambito di applicazione della norma sulla base della quale il motivo è formulato.

Ma in ogni caso la deduzione è anche infondata nel merito.

Come sopra riportato, l’atto di vendita del 31 gennaio 2017, all’art. 1, riferiva che la vendita aveva ad oggetto un bene immobile, articolantesi in vari corpi di fabbrica ed in terreni, dei quali era effettivamente riportata la descrizione catastale. Lo stesso articolo però recava anche la seguente specificazione: La descrizione catastale degli immobili in oggetto deve intendersi come meramente indicativa, restando comunque inteso e convenuto che la presente compravendita ha per oggetto tutti i cespiti immobiliari posseduti dalla società venditrice nel territorio del Comune di (Omissis), frazione (Omissis).

I giudici di merito, aderendo alle conclusioni dell’organo incaricato di applicare la sanzione disciplinare, hanno ritenuto che tale clausola, valutata unitamente alla restante formulazione dell’articolo specificamente destinato ad individuare gli immobili oggetto della compravendita, avesse un contenuto tale da rendere del tutto generica la medesima individuazione dell’oggetto della vendita.

Al riguardo, occorre richiamare i costanti principi di questa Corte in base ai quali, nei contratti in cui è richiesta la forma scritta ” ad substantiam “, l’oggetto del contratto deve essere determinato o determinabile sulla base degli elementi risultanti dal contratto stesso, non potendo farsi ricorso ad elementi estranei ad esso (Cass. n. 21352/2014; Cass. n. 5028/2007). Per la validità di una compravendita immobiliare è necessario che il requisito della determinabilità sia assicurato dalla inequivocabile identificazione dell’immobile compravenduto per il tramite dell’indicazione dei confini o di altri dati oggettivi incontrovertibilmente idonei allo scopo e ad impedire, perciò, che rimangano margini di dubbio suil’identità del suddetto immobile, essendosi altresì specificato che il relativo accertamento – così come quello relativo alla valutazione circa la sufficienza delle indicazioni riportate nella nota di trascrizione per l’esatta individuazione del bene oggetto della vendita – integra la risultante di un apprezzamento di fatto, come tale rimesso al giudice di merito ed incensurabile in sede di legittimità se sorretto da adeguata motivazione ed immune da vizi logici ed errori di diritto (Cass. n. 1165/2000; Cass. n. 12506 del 29/05/2007; Cass. n. 17906/2008; Cass. n. 3925/2010).

Ad avviso della Corte la valutazione del giudice di merito si presenta incensurabile.

In primo luogo, è stato sottolineato come, pur a fronte di una iniziale indicazione dei dati catastali degli immobili che si affermava essere oggetto della compravendita, la parte finale dell’articolo specificava che la descrizione catastale fosse in realtà meramente indicativa, quasi a voler sottendere che in realtà l’oggetto della vendita fosse più ampio. Tale indicazione che appare sicuramente elusiva del requisito della determinabilità dell’oggetto del contratto come sopra specificato, trovava poi conforto nel riferimento ai fini dell’individuazione dei beni alienati alla circostanza che gli stessi coincidevano con tutti quelli posseduti dalla alienante, con il rinvio quindi ad una situazione di fatto, quale appunto quella del possesso, esterna al contenuto formale dell’atto, ed idonea ad ingenerare un’obiettiva e insuperabile incertezza circa il reale oggetto della compravendita, residuando il dubbio più che fondato, sulla scorta del solo contenuto del primo atto di vendita, su quali fossero i beni effettivamente venduti, e precisamente se fossero solo quelli di cui erano riportati gli estremi catastali, ovvero se dovessero includersi anche altri, solo in ragione della situazione di possesso sui medesimi esercitata dalla venditrice.

Ne’ appare idoneo a risolvere tale incertezza il richiamo alla destinazione alberghiera dei beni, potendo la stessa fungere da valido criterio di individuazione dell’oggetto del contratto per eventuali beni mobili o attrezzature ricomprese nella detta destinazione, ma non anche per le componenti immobiliari, per i quali la specificazione dell’oggetto ex art. 1346 c.c., è sottoposta a ben più rigorosi criteri.

L’incertezza in merito alla corretta individuazione dell’oggetto della compravendita, quale scaturente dalla formulazione della clausola in esame trova poi conferma proprio nel successivo atto di rettifica del 5 agosto 2017, nel quale si specificava che in realtà la vendita concerneva non solo i beni di cui era stata data la precisa identificazione catastale” ma altresì un terreno non edificabile ed un tratto di corte pertinenziale, non specificamente indicati nel primo atto, aggiungendosi quanto al primo che in realtà l’alienante era divenuta proprietaria per intervenuta usucapione, sebbene non dichiarata giudizialmente.

Trattasi della conferma che la dizione “posseduti” di cui al primo atto sottintendeva una volontà di estendere l’oggetto della compravendita anche a beni diversi da quelli dei quali era data puntuale descrizione con il riferimento ai dati catastali, e precisamente a beni appunto solo posseduti dalla venditrice, che, in ragione del possesso protratto, reputava di esserne divenuta proprietaria.

Non è qui in discussione la possibilità di alienare beni di cui si assuma essere intervenuto l’acquisto per usucapione, anche in assenza di una sentenza che accerti lo stesso (Cass. n. 2485/2007; Cass. n. 7853/2018), quanto piuttosto l’inidoneità dell’originaria formulazione del contratto a permettere la puntuale individuazione dell’oggetto della compravendita, oggetto che lo stesso ricorrente, con la successiva stipula dell’atto di rettifica, ha esteso anche a beni diversi da quelli catastalmente individuati nel primo atto.

Ne’ infine deve trascurarsi l’ulteriore considerazione, del pari formulata nella decisione gravata, secondo cui, ove anche si volesse annettere al contratto originario l’idoneità a permettere l’individuazione dei beni immobili interessati dalla vendita, ed a far includere anche quelli inizialmente non menzionati in maniera specifica, ma indicati nell’atto dell’agosto del 2017, quest’ultimo non avrebbe assolto alla funzione di conferma del primo atto (essendo in ogni caso la nullità derivante dalla mancata allegazione del certificato di destinazione urbanistica relativo al bene asseritamente usucapito), posto che in tale occasione sarebbe stato allegato un certificato di destinazione urbanistica riferito però ad una data diversa da quella cui risaliva l’atto da confermare.

Trattasi di argomentazione che non risulta specificamente attinta dal ricorrente, e che quindi lascerebbe in ogni caso confermata la nullità degli atti per contrarietà a norma imperativa, con la corretta sussunzione della fattispecie nella previsione di cui all’art. 28 della Legge Notarile.

2. Il secondo motivo di ricorso, da esaminare in via successiva, sempre per ragioni di ordine logico, denuncia ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione dell’art. 112 c.p.c..

Assume il ricorrente che, essendo consentito dedurre anche violazioni di carattere processuale in sede di impugnazione di decisione disciplinare notarile (come appunto chiarito da Cass. S.U. n. 1415/20189), anche facendo richiamo al vizio di cui dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 (come appunto esposto in occasione dell’illustrazione del primo motivo di ricorso), nella fattispecie, in sede di reclamo era stata contestata anche la valutazione della COREDI circa la nullità dell’atto del gennaio 2017 quanto alla diversa violazione dell’art. 1325 c.c., sul presupposto della mancanza di accordo tra le parti.

Deduce l’ A. che tale conclusione era stata oggetto di specifica censura, evidenziandosi che in realtà nella vicenda non poteva negarsi che vi fosse stato il perfetto incontro della volontà delle parti, e che quindi fosse erronea la decisione reclamata, nella parte in cui aveva ritenuto che la descrizione assolutamente sommaria dell’oggetto del contratto inficiava pericolosamente il principio volontaristico che è alla base del negozio giuridico e che presuppone una corrispondenza necessaria tra ciò che le parti vogliono e ciò che è l’oggetto del contratto.

Il motivo è inammissibile, atteso il rigetto del terzo motivo.

Ed, infatti, una volta disattesa la censura che investe specificamente la ratio della sentenza impugnata, che ha ravvisato la nullità del contratto e la conseguente violazione dell’art. 28 della Legge Notarile, per l’assoluta indeterminatezza dell’oggetto del contratto di vendita (nonché per la carenza dei requisiti formali prescritti per la successiva conferma, stante la divergenza cronologica tra la data delVatto da confermare e quella del certificato di destinazione urbanistica), risulta intangibile la conclusione in punto di nullità degli atti del 30 gennaio e del 5 agosto 2017, e quindi la ricorrenza dei presupposti per l’applicazione della norma sanzionatoria invocata, risultando quindi il ricorrente privo di interesse a dolersi del mancato esame delle critiche ad una concorrente causa di nullità, posto che, ove anche reputata insussistente, in ogni caso non verrebbe meno la nullità per la diversa causa di invalidità accertata nella decisione impugnata.

3. Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione dell’art. 148 della Legge Notarile, nonché dell’art. 144 della medesima Legge e dell’art. 112 c.p.c..

Evidenzia la censura che, successivamente alla pubplicazione della decisione della COREDI, il ricorrente aveva posto in essere in data 9 maggio 2019 un atto di rettifica e conferma della compravendita, con il quale le originarie parti contraenti precisavano la descrizione obiettiva e catastale dei beni alienati, eliminando la clausola oggetto di contestazione disciplinare e, confermando anche l’effettiva corresponsione del prezzo, procedevano alla conferma del D.P.R. n. 380 del 2001, ex art. 30, previa allegazione del certificato di destinazione urbanistica risalente alla data del primo atto.

Tale accordo era stato invocato ai sensi dell’art. 144 della Legge Notarile quale circostanza attenuante, in quanto atto idoneo ad eliminare le conseguenze dannose dell’illecito commesso, a la Corte d’Appello ne ha ritenuto preclusa la disamina, osservando che, pur essendo il giudizio di reclamo un giudizio di primo grado, poiché l’atto era stato posto in essere dopo la decisione della COREDI, ne era stata impedita a quest’ultima la possibilità di esame, il che comportava una preclusione alla valutazione anche in sede di reclamo.

Ad avviso del ricorrente tale conclusione è erronea, in quanto contrasta con l’affermazione della natura del giudizio dinanzi alla Corte d’Appello quale giudizio di primo grado. Da tale premessa deve quindi trarsi la conseguenza che il giudice del reclamo, essendo investito della decisione del rapporto, può altresì tenere conto delle circostanze eventualmente sopravvenute.

A ciò deve aggiungersi che l’attenuante invocata è suscettibile di applicazione automatica, il che comporta che l’averne ritenuto preclusa la deduzione in sede di reclamo implica anche una violazione dell’art. 144 della Legge Notarile, che contempla l’automatica riduzione della sanzione, ove se ne ravvisi la sussistenza.

Inoltre, si sostiene che tale omessa valutazione ha altresì implicato una violazione dell’art. 112 c.p.c., atteso che l’applicazione dell’attenuante era stata espressamente sollecitata con i motivi di reclamo, dovendosi ribadire che anche le violazioni di carattere processuale sono suscettibili di censura avverso le decisioni in materia disciplinare notarile.

Il motivo è fondato.

Rileva la Corte che con la riforma apportata nel 2006 all’art. 144, sia venuta meno la discrezionalità applicativa della riduzione ovvero della sostituzione della sanzione, posto che l’attuale testo dell’articolo in esame prevede che “la sanzione pecuniaria è diminuita” ovvero che “il notaio è assoggettato ad un’unica sanzione pecuniaria”, essendo quindi la discrezionalità del giudice disciplinare limitata al riconoscimento della sussistenza delle attenuanti (Cass. n. 11790/2011), ed essendo invece automatiche le conseguenze sull’entità o sulla natura della sanzione applicabile (cfr. Cass. n. 7051/2021).

Cass. n. 12672/2014 ha altresì precisato che, come già sostenuto da Cass. n. 14238/1999, l’annotazione tardiva di atti che il notaio abbia ricevuto anteriormente alla numerazione e vidimazione del repertorio, determina (soltanto) la cessazione della condotta vietata e costituisce comportamento suscettivo di valutazione per la concessione delle attenuanti, ai sensi dell’art. 144, della Legge Notarile.

Dalla motivazione di Cass. n. 3203 del 2014 deve ricavarsi che l’attenuante rappresentata dall’essersi il notaio adoperato per eliminare le conseguenze dannose della violazione è tendenzialmente applicabile ad ogni tipo di illecito disciplinare che non abbia prodotto in concreto un danno patrimoniale, e segnatamente agli illeciti di tipo permanente, soltanto rispetto ai quali si può configurare una condotta di “eliminazione” e non già di riparazione. Da ciò deriva, e per distinguere l’attenuante in esame da quella correlata all’integrale riparazione del danno, che l’eliminazione delle conseguenze dannose dell’illecito si riferisce ai pregiudizi di natura non patrimoniale, e ciò sulla scorta della prevalente dottrina penalistica e della giurisprudenza penale di questa Corte sull’omologa attenuante prevista dall’art. 62 c.p., n. 6, secondo cui l’elisione o l’attenuazione delle conseguenze del reato si riferiscono al danno in senso penalistico, inerente alla lesione del bene giuridico tutelato, e non riguarda, quindi, i reati contro il patrimonio o che comunque offendano il patrimonio (cfr. Cass. penale n. 5996 del 1989).

Ne consegue che l’eliminazione contemplata dalla norma si realizza mediante ogni condotta idonea a rimediare alla lesione del bene protetto dall’ordinamento notarile, non essendo di ostacolo l’eventuale carattere omissivo di questa (ed anzi tenendo in conto il fatto che la gran parte degli illeciti disciplinari previsti dalla Legge Notarile ha, appunto, natura omissiva).

Negli illeciti commissivi la rimozione delle conseguenze dannose consiste nel compimento di un’attività uguale e contraria a quella integrante la violazione, sicché essa non può esaurirsi nella condotta doverosa mancata, ma richiede un comportamento diverso e ulteriore, volto a modificare la situazione di fatto e di diritto prodottasi in contrasto con quella che, rispettando la prescrizione deontologica e professionale, si sarebbe verificata.

Una volta posta tale premessa, va poi ricordato che in tema di responsabilità disciplinare a carico dei notai, la conformazione del procedimento, nel quale è previsto un unico grado in sede giurisdizionale, non è in contrasto con i principi o le disposizioni della Costituzione e della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, poiché queste fonti di rango primario non impongono il doppio grado di giudizio, come evidenziato anche dalla Corte costituzionale nella sentenza del 30 luglio 1997, n. 288, né può ritenersi violato il principio di uguaglianza, perché anche altri ordinamenti disciplinari professionali (come quello forense) prevedono un’articolazione analoga a quella fissata per i notai (Cass. Sez. U., Sentenza n. 13617 del 31/07/2012), affermazione che, come peraltro riconosciuto anche nell’ordinanza impugnata, porta a negare che il giudizio dinanzi alla COREDI abbia natura giurisdizionale e che quello svolto in sede di reclamo abbia natura di giudizio di secondo grado.

In tal senso è stato affermato che (Cass. n. 12732/2015) la promozione dell’azione disciplinare implica la cognizione sul diritto soggettivo, essendo per sua natura piena (nel senso del merito processuale), che esaurisce ogni aspetto del rapporto, sul quale non possono evidentemente confluire più giurisdizioni. Inoltre, deve ritenersi che la giurisdizione ordinaria in materia disciplinare non è di tipo impugnatorio ma avviene, appunto, a livello di rapporto (conf. Cass. n. 3458/2020).

Ritiene la Corte che l’affermazione del giudice di merito secondo cui non sarebbe possibile, esaminare condotte asseritamente idonee a rientrare nella previsione di cui all’art. 144 citato, ove poste in essere dopo la decisione della COREDI, non possa essere condivisa.

Rileva a tal fine la necessità di dover ribadire la natura non impugnatoria del giudizio di reclamo, e la devoluzione al relativo giudice del potere di poter valutare funditus il rapporto che è alla base della sanzione disciplinare irrogata, dovendo questi quindi tenere conto (essendo peraltro legittimato anche a rideterminare la sanzione eventualmente irrogata dalla COREDI, come si ricava dall’art. 135, comma 3 L.N.), di tutte le circostanze, eventualmente anche sopravvenute, che possano incidere sulla corretta determinazione del quantum della sanzione disciplinare.

Ciò vale a maggior ragione nel caso in cui, come nella fattispecie, la condotta asseritamente idonea ad eliminare le conseguenze dannose dell’illecito disciplinare sia sopravvenuta rispetto alla decisione della COREDI, in assenza peraltro di una limitazione temporale posta dal legislatore alla possibilità di intervento del ravvedimento operoso da parte del notaio.

Ne’ appare risolutivo il richiamo alla pretesa natura impugnatoria del giudizio in relazione al dettato dell’art. 158, in quanto sebbene il giudizio di reclamo sia appunto volto ad impugnare un provvedimento – di natura amministrativa della COREDI, la disciplina è dettata del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 26, che prevede l’applicazione delle norme del processo sommario di cognizione, le quali non appaiono di per sé sole idonee a legittimare una preclusione alla deduzione di fatti sopravvenuti.

La soluzione della Corte d’Appello che ha ritenuto insuscettibile di valutazione l’atto del maggio del 2019, sol perché posto in essere dopo la conclusione del procedimento dinanzi alla COREDI si palesa quindi erronea e la decisione gravata deve quindi essere cassata in relazione a tale motivo.

4. Il giudice del rinvio, che si designa nella Corte d’Appello di Roma, in diversa composizione, valuterà quindi l’incidenza ai fini dell’applicazione dell’art. 144 L.N. anche dell’atto del 19 maggio (rectius 9 maggio), provvedendo altresì sulle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

Accoglie il primo motivo di ricorso nei limiti di cui in motivazione, rigetta gli altri motivi, e cassa la decisione impugnata in relazione al motivo accolto con rinvio alla Corte d’Appello di Roma, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 12 ottobre 2022.

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