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Cassazione civile sez. II, 30/09/2019, n. 24379

Massima

L’impugnazione dell’ordinanza conclusiva del giudizio sommario di cui all’art. 702-ter c.p.c. può essere proposta esclusivamente nella forma ordinaria dell’atto di citazione, non essendo espressamente prevista dalla legge l’adozione del rito sommario per il secondo grado di giudizio. Nè è possibile, nel caso di appello introdotto mediante ricorso, la salvezza degli effetti dell’impugnazione, mediante lo strumento del mutamento del rito, previsto dall’art. 4, comma 5, d.lgs. n. 150 del 2011.

Supporto alla lettura

PROCEDIMENTO SOMMARIO DI COGNIZIONE

Nel procedimento sommario di cognizione (introdotto dall’art. 51, comma 1 della legge del 18 giugno 2009), la sommarietà si riferisce al rito e non alla cognizione, che è invece piena.

In altri termini, la sommarietà si riferisce alla strutturale semplicità dell’oggetto del processo e alla natura “non complessa” della sua istruttoria, che si risolvono in una trattazione della causa “semplificata”.

Inizialmente, la scelta di ricorrere al rito in esame in luogo di quello ordinario era rimessa solo all’attore attore (secondo il primo comma dell’art. 702 bis c.p.c.) con la sola previsione di un vaglio di ammissibilità del giudice.  Successivamente, il legislatore ha previsto la possibilità per il giudice di disporre la modifica del rito da ordinario a sommario, introducendo, con l’art. 14, comma 1  del decreto legge 12 settembre 2014, l’art. 183bis c.p.c..

Il giudice, in caso di ricorso proposto ex art. 702 bis ed ai sensi dell’art. 702 ter c.p.c., possa:

  •  dichiararsi incompetente, o dichiarare l’inammissibilità del ricorso e dell’eventuale domanda riconvenzionale, perché non rientranti nell’ambito di applicazione dell’art. 702 bis c.p.c.;
  • fissare l’udienza ex art. 183 c.p.c. nell’ipotesi in cui ritenga che la questione oggetto del ricorso necessiti un’accurata istruzione probatoria;
  • separare con ordinanza la domanda presentata nel ricorso dalla domanda riconvenzionale, qualora ritenga che quest’ultima necessiti di un’istruzione non sommaria.

Il procedimento in esame è definito con ordinanza (di accoglimento o di rigetto delle domande) provvisoriamente esecutiva che costituisce titolo per l’iscrizione di ipoteca giudiziale e per la trascrizione e con la quale il giudice provvede in ogni caso sulle spese, ai sensi degli artt. 91 ss. c.p.c. (art. 702 ter, commi 5, 6 e 7 c.p.c.).

Tale provvedimento, ai sensi dell’art. 702 quater c.p.c., gli effetti previsti dall’art. 2909 c.c. (ossia il passaggio in giudicato della pronuncia, con la cristallizzazione dei suoi effetti), “se non è appellata entro trenta giorni dalla sua comunicazione o notificazione”.

Si ritiene che il provvedimento che ne scaturisce, formalmente qualificato, appunto, come ordinanza, abbia la natura di sentenza per diverse ragioni:

  • sul piano funzionale, si evidenzia la sua idoneità decisoria del giudizio di primo grado, anche alla luce dell’obbligo per il giudice di provvedere sulle spese processuali in applicazione del principio di soccombenza;
  • sul piano degli effetti, si evidenziano l’idoneità a costituire titolo per l’iscrizione di ipoteca giudiziale e l’attitudine alla formazione del giudicato

Ambito oggettivo di applicazione

Fatto

RILEVATO

che:

il presente giudizio di legittimità trae origine dal ricorso notificato il 17/7/2015 dall’avvocato (omissis) a (omissis) e a (omissis) s.r.l. contro la sentenza n. (omissis) emessa dalla Corte d’appello di Roma e depositata il 10/2/2015;

la corte capitolina aveva dichiarato inammissibile l’appello proposto dalla stessa (omissis) avverso l’ordinanza ex artt. 702 bis c.p.c. e segg., emessa il 21/10/2014 con cui il tribunale aveva rigettato per difetto di prova la sua domanda di condanna del (omissis) e di (omissis) s.r.l. al pagamento di compensi professionali per l’attività stragiuziale svolta nell’ambito di alcuni incarichi affidatile;

la decisione qui impugnata aveva rilevato che l’appello, proposto con ricorso anzichè con atto di citazione, era stato passato per la notifica il 3/12/2014 (notifica che era stata effettuata il 10/12/2014) oltre il termine di 30 giorni dall’emissione dell’ordinanza impugnata;

la cassazione della sentenza d’appello è chiesta sulla base di un unico motivo cui resiste con tempestivo controricorso (omissis) che ha pure depositato memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

con l’unico motivo si censura la violazione e falsa applicazione dell’art. 702 quater c.p.c., dell’art. 159 c.p.c., comma 3 e dell’art. 111 Cost., dovendosi ritenere che, per il principio dell’ultrattività del rito ed atteso che il rito sommario si instaura con ricorso (cfr. art. 702 bis c.p.c.), anche l’appello previsto dall’art. 702 quater c.p.c., doveva proporsi con ricorso, in ossequio anche al principio di conservazione dell’impugnazione;

il motivo è infondato alla stregua dei consolidati principi affermati in materia che non subiscono la ipotizzata forzatura” anzi, trovano nella sentenza impugnata puntuale ed argomentata conferma;

l’impugnazione dell’ordinanza conclusiva del giudizio sommario di cui all’art. 702-ter c.p.c., può, infatti, essere proposta esclusivamente nella forma ordinaria dell’atto di citazione, non essendo espressamente prevista dalla legge l’adozione del rito sommario per il secondo grado di giudizio;

nè è possibile, nel caso di appello introdotto mediante ricorso, la salvezza degli effetti dell’impugnazione, mediante lo strumento del mutamento del rito, previsto dal D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 4, comma 5 (Cass. 8757/2018);

opera, tuttavia, analogamente a quanto affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte nella sentenza n. 2907/2014 in relazione ai giudizi di opposizione ad ordinanza-ingiunzione, che si introducono con ricorso ai sensi dell’art., L. n. 689 del 1981, come modificato dalla L. n. 40 del 2006, ma prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 150 del 2011 – la generale sanatoria per cui, ove l’appello sia stato erroneamente introdotto con ricorso anzichè con citazione, è suscettibile di sanatoria, a condizione che nel termine previsto dalla legge l’atto sia stato non solo depositato nella cancelleria del giudice, ma anche notificato alla controparte;

come peraltro evidenziato nella sentenza sopra richiamata, la giurisprudenza di questa Corte è saldamente orientata nel senso che, dovendosi nel rito ordinario proporre l’appello con citazione, nel caso in cui l’impugnazione sia stata, invece, proposta mediante ricorso, la sanatoria è ammissibile solo se l’atto sia stato non solo depositato nella cancelleria del giudice competente, ma anche notificato alla controparte nel termine perentorio di cui all’art. 325 c.p.c. (cfr. Cass. 11657/1998; 23412/2008; 4498/2009; da ultimo, Cass. S.U. n. 21675 e n. 22848/2013);

specularmente, quando l’appello deve essere proposto mediante ricorso, la giurisprudenza di questa Corte ha costantemente ritenuto ammissibile la sanatoria dell’impugnazione introdotta mediante citazione purchè questa risulti non solo notificata, ma anche depositata in cancelleria nel termine perentorio di legge (cfr. Cass. S.U. 4876/1991, 17645/2017; 21161/2011);

la diversa conclusione adottata in tema di sanatoria dell’impugnazione condominiale nella sentenza delle Sezioni Unite n. 8491/2011 non inficia la conclusione poichè trova giustificazione nella specificità morfologica e funzionale dell’atto impugnato, Delibera di assemblea condominiale, e della relativa opposizione, rispetto alla quale l’imposizione del termine di cui all’art. 1137 c.c., comma 3, risponde ad esigenze di certezza facenti capo al condominio ed attinenti a materia sottratta alla disponibilità delle parti;

pertanto, tornando ai dubbi prospettati dalla ricorrente anche con riguardo alle asserite incertezze normative e giurisprudenziali, la doglianza non appare fondata poichè la corte d’appello ha fatto applicazione di un radicato orientamento già affermato dalle Sezioni Unite che la parte ricorrente doveva conoscere (la sentenza Sez. Un. 2907/2014 veniva depositata il 10/2/2014 e quindi diversi mesi prima dell’appello proposto con ricorso del 21/11/2014, vedi narrativa della sentenza impugnata);

conclusivamente, dunque, il ricorso deve essere respinto e, in applicazione del principio di soccombenza, parte ricorrente condannata alla rifusione delle spese di lite nella misura liquidate in dispositivo;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite a favore di parte controricorrente e liquidate in Euro 3200,00 di cui Euro 200,00 per spese, 15% per rimborso spese generali ed oltre accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 12 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2019

Allegati

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