Svolgimento del processo
Con atto notificato il 27 ottobre 1995 (omissis) convenne innanzi al Pretore di Sant’Elpidio a Mare (omissis), e chiese la risoluzione del contratto d’appalto con il quale lo aveva incaricato della costruzione di un lucernaio, e la sua condanna alla restituzione di quanto gli aveva già pagato, sostenendo che l’opera realizzata era difettosa, e priva delle qualità promesse; in via subordinata chiese la riduzione del prezzo; ed in ogni caso il risarcimento dei danni subiti.
Il convenuto si costituì ed eccepì preliminarmente la prescrizione biennale di cui all’art. 1667 comma 3 cod. proc. civ.; sostenne poi che i vizi del manufatto erano conseguenza degli errori di altri, che, fuori del suo controllo, avevano contribuito alla sua realizzazione; e chiese quindi il rigetto della domanda.
Il Pretore, istruita la causa, ed acquisita una consulenza tecnica, con sentenza del 23 dicembre 1997 accolse la domanda, provvedendo di conseguenza.
Il soccombente propose appello; con il quale eccepì nuovamente la prescrizione, ma questa volta quella annuale, di cui all’art. 2226 cod. civ., e ribadì di non aver dato causa ai vizi dell’opera.
Con la sentenza indicata in epigrafe il Tribunale di Fermo ha rigettato il gravame.
Ha in particolare dichiarato inammissibile, perché “nuova”, l’eccezione di prescrizione proposta in appello da (omissis), evidenziandone la diversità rispetto a quella proposta in primo grado, e rilevando che si contravviene al “divieto di proporre in appello nuove domande e nuove eccezioni non soltanto ogni qual volta si amplia il petitum, ma anche quando si introduce nel giudizio una domanda avente presupposti distinti da quelli di fatto della domanda originaria”.
Il Tribunale ha poi ribadito, sulla scorta di quanto riferito dal consulente tecnico di ufficio, che l’opera commissionata non era stata realizzata a regola d’arte, ed in conformità di quanto convenuto tra le parti.
(omissis) ha chiesto la cassazione di tale sentenza per due motivi.
(omissis) ha resistito con controricorso.
Motivi della decisione
Con il primo motivo del suo ricorso (omissis) sostiene che l’eccezione di prescrizione da lui proposta in appello non è nuova, rispetto a quella proposta in primo grado, perché pur sempre di prescrizione si tratta, e perché essa non “introduce una ragione di indagine diversa”, dal momento che suppone solo una diversa qualificazione giuridica del rapporto, che il giudice può anche effettuare di ufficio, prescindendo dalle indicazioni delle parti.
Denunzia pertanto violazione dell’art. 345 cod. proc. civ. (novellato), e dell’art. 2226 cod. civ..
La censura è infondata.
Il contratto d’appalto e il contratto d’opera si differenziano per il fatto che nel primo l’esecuzione dell’opera commissionata avviene mediante un’organizzazione di media o grande impresa cui l’obbligato è preposto, e nel secondo con il prevalente lavoro di quest’ultimo, pur se adiuvato da componenti della sua famiglia o da qualche collaboratore, secondo il modulo organizzativo della piccola impresa, desumibile dall’art. 2083 cod. civ. (vedi le sentenze di questa Corte e di questa sezione, 17 settembre 1997 n. 9237, 4 giugno 1999 n. 5451, 17 luglio 1999 n. 7606).
Ne deriva che, non essendo stata ragione di contesa tra parti in primo grado la qualificazione giuridica del contratto che avevano stipulato, il giudice d’appello, per poterlo qualificare diversamente, avrebbe dovuto affrontare e risolvere questioni non solo di diritto, ma anche di fatto del tutto nuove, con conseguente ampliamento della materia del contendere, che l’art. 345 cod. proc. civ. non consente.
Con il secondo motivo del suo ricorso (omissis) allega l’inadeguatezza della motivazione della sentenza impugnata, laddove ha affermato che il lucernaio da lui realizzato ha caratteristiche diverse da quelle specificate nel contratto, e presenta vizi, per l’inidoneità dei materiali impiegati e per la inadeguatezza della tecnica costruttiva impiegata. Il ricorrente lamenta in particolare che il giudice d’appello non ha preso in considerazione le sue argomentazioni con le quali aveva sostenuto che gli inconvenienti lamentati dal committente non erano a lui imputabili, e le sue richiesta di rinnovazione della consulenza tecnica espletata.
La censura è inammissibile.
Quel che viene censurato è l’accertamento di un fatto, che il giudice del merito ha effettuato dandone conto con motivazione adeguata (giusta quanto risulta da quel che si è riferito in narrativa) e priva di errori logici o giuridici, peraltro neppure specificamente denunziati.
Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso, e condanna (omissis) a rifondere a (omissis) le spese del giudizio di legittimità, che liquida in lire 267.400, oltre lire 2.000.000 per onorari.
Roma, 6 aprile 2001
