Precisava l’attrice che con rogito (omissis) del 26.2.1978 aveva già trasferito ai convenuti l’azienda di panificazione esercitata nell’immobile promesso in vendita; l’aveva agli stessi locato per due anni con diritto di prelazione; che in base a successiva convenzione del 12.1.1979 essi si erano obbligati a rilasciarlo entro il mese di settembre dello stesso anno; che alla vendita era stata indotta dalla sua esposizione debitoria tale farle accettare un prezzo inferiore a quello di mercato.
Poiché i (omissis) e la (omissis) si erano resi inadempienti abbandonando la domanda di prestito artigianale e rifiutando una riconduzione ad equità del prezzo, chiedeva la (omissis) la risoluzione del contratto con diritto a ritenere la caparra; in subordine, la rescissione per lesione “ultra dimidium”, il risarcimento dei danni, un compenso per il godimento dell’immobile.
I convenuti resistevano alle domande deducendo che con raccomandata 27.10.1982 e con atto stragiudiziale 6.12.1982 avevano diffidato l’attrice a stipulare il contratto definitivo; si dichiaravano pronti a versare in contanti il residuo prezzo indipendentemente dalla concessione del mutuo rifiutato dall’istituto di credito per una serie di ipoteche e pignoramenti iscritti sull’immobile e ignorati al momento della stipulazione del preliminare; in via riconvenzionale ne chiedevano il trasferimento della proprietà ex art. 2932 c.c.; prospettavano l’eventualità che il bene avesse formato oggetto di una donazione dalla (omissis) al figlio. Con sentenza 27.11.1989 il tribunale dichiarava la risoluzione del contratto preliminare per inadempimento della (omissis); la condannava alla restituzione della caparra con rivalutazione e interessi legali e alle spese.
Proponevano impugnazione i (omissis) e la (omissis); resisteva la (omissis) anche con appello incidentale.
Con sentenza 6.10.1995 la Corte d’Appello di Messina, accogliendo in parte solo l’impugnazione principale, trasferiva ai (omissis) e alla (omissis) l’immobile promesso in vendita, subordinatamente al pagamento del residuo prezzo di 33 milioni; li autorizzava ad impiegare detta somma per la cancellazione delle iscrizioni ipotecarie e per eliminare i pignoramenti trascritti; condannava la (omissis) alle spese.
Osservava la Corte, per quanto ancora rileva, che inadempiente era stata solo la (omissis); i promissari oltre ad avere ignorato l’esistenza delle ipoteche e dei pignoramenti gravanti sull’immobile, avevano manifestato la volontà di stipulare il contratto definitivo nonostante la mancata concessione del prestito, dipesa da tali vincoli; che la domanda della (omissis) di risoluzione del contratto in conseguenza dello stesso evento era inammissibile, perché nuova; che andava esclusa per lo stesso motivo la possibilità per i (omissis) e la (omissis) di provvedere a proprie spese, oltre l’importo del prezzo ancora dovuto, alla cancellazione delle ipoteche e delle trascrizioni.
Avverso la sentenza, non notificata, ha proposto ricorso con atto del 21.11.1996 e con tre motivi di censura (omissis); resistono con controricorso e propongono ricorso incidentale in base ad un motivo (omissis), (omissis) e (omissis).
La ricorrente ha depositato memoria.
La sentenza, ritenendo non concluso il contratto definitivo per la mancata concessione del mutuo fondiario dovuta all’esistenza di una trascrizione pregiudizievole, non ha considerato che i promissari ne avevano avuto sempre conoscenza tanto che nel preliminare si faceva menzione di una precedente richiesta di mutuo inoltrata alla Cassa Centrale di Risparmio (omissis) ; essa, ritenendo che tale inconveniente poteva superarsi con l’inserimento nel contratto di una clausola di accantonamento del prezzo onde provvedere alla cancellazione delle iscrizioni e trascrizioni pagando i creditori analogamente a quanto era avvenuto con la scrittura privata 26.2.1978 di vendita dell’azienda di panificazione e dei macchinari, non ha considerato che questa era stata consensualmente risolta con atto del gennaio 1979.
Il motivo è infondato avendo la sentenza basato la pronunzia d’inadempimento della (omissis) su considerazioni diverse da quelle che essa prospetta.
Gli elementi utilizzati al riguardo dalla Corte d’Appello sono stati infatti i seguenti: la mancata concessione del mutuo a favore dei promissari non perché gli stessi non l’avessero richiesto, ma perché l’istituto di credito aveva preteso che sull’immobile oggetto del contratto fosse iscritta a garanzia un’ipoteca di primo grado mentre vi era già un precedente pignoramento; i promissari, contrariamente a quanto la (omissis) assume, non conoscevano l’esistenza dei vincoli che gravavano sull’immobile come risultava da una lettera inviata loro dal legale della ricorrente il 12.11.1982; da qui la sentenza ha tratto il convincimento che se le iscrizioni o trascrizioni fossero state conosciute prima se ne sarebbe fatta menzione analogamente a quanto era avvenuto per la scrittura privata 26.2.1978; nella lettera 12.11.1982 si faceva menzione di un’iscrizione ipotecaria conosciuta ma in relazione alla stessa i promissari avevano preteso che il residuo prezzo da pagare fosse depositato presso un notaio per estinguere i debiti ipotecari. La sentenza ha rilevato, ancora, che la prova testimoniale fatta espletare dalla (omissis) su tale conoscenza aveva avuto esito negativo; che il rifiuto dei promissari a stipulare il contratto definitivo quando erano comparsi il 29.11.1982 davanti al notaio in (omissis) era stato giustificato dalla pretesa dell’attrice, contraria ai principi di correttezza e buona fede, di un aumento del prezzo per il tempo trascorso da 1979 che non teneva conto dell’addebitabilità a lui soltanto del ritardo nella stipulazione.
Con il secondo motivo denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 sgg. c.c.; 345 c.p.c.; insufficiente e contraddittoria motivazione (art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c.) la ricorrente lamenta che la sentenza impugnata ritenendo domanda nuova, come tale inammissibile, quella di risoluzione automatica del contratto preliminare per la mancata concessione del mutuo avente i caratteri di una presupposizione non ha considerato che il preliminare era stato concluso esclusivamente nella prospettiva dell’accoglimento della richiesta di mutuo con la conseguenza che una volta rifiutato, la risoluzione era automatica; questi fatti non erano nuovi perché importavano solo una diversa qualificazione dell’originaria domanda (*) Ugualmente erronea, prosegue la ricorrente, è la dichiarazione di inammissibilità, perché nuova, della domanda di risoluzione del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta in conseguenza della svalutazione monetaria che negli anni 1979-1982 aveva raggiunto un livello pari al 70%; non si è tenuto conto al riguardo del fatto che l’eccessiva onerosità può essere prospettata anche in via di eccezione (Cass. 13.12.1980 n. 6470); che era stato fatto valere il diritto ad un adeguamento del prezzo con la domanda subordinata di rescissione per lesione.
Anche questo motivo è infondato.
La concessione del mutuo ai promissari segnava nella scrittura privata 28.6.1979 il momento della stipulazione del contratto definitivo; questa sarebbe avvenuta “quando” i (omissis) e la (omissis) avessero ottenuto la somma di 33 milioni necessaria per pagare il residuo prezzo; aveva quindi gli effetti non di una condizione ma di un termine.
La presupposizione, dedotta in secondo grado, non lasciava inalterata la “causa petendi” della originaria domanda di risoluzione della (omissis) indicata nell’ingiustificato rifiuto dei promissari a stipulare il contratto definitivo, perché richiedeva un’indagine sulla volontà delle parti intesa ad elevare anche implicitamente la concessione del mutuo a requisito di esistenza ed efficacia del contratto (v. Cass. 24.3.1998 n. 3083; Cass. 5.1.1995 n. 191); introduceva quindi una domanda nuova (v. Cass. 28.1.1998 n. 8580).
L’eccessiva onerosità sopravvenuta dedotta non come eccezione ma come domanda, importava ugualmente una modificazione della causa petendi rispetto alla domanda di rescissione per lesione (dichiarata prescritta dal Tribunale) richiedendo quest’ultima la simultanea ricorrenza di tre requisiti e cioè l’eccedenza di oltre la metà della prestazione rispetto alla controprestazione, l’esistenza di uno stato di bisogno inteso non come assoluta indigenza ma come una situazione di difficoltà economica che incide sulla libera determinazione a contrattare e funzioni cioè come motivo dell’accettazione della sproporzione fra le prestazioni da parte del contraente danneggiato ed, infine, l’avere il contraente avvantaggiato tratto profitto dell’altrui stato di bisogno (v. Cass. 1.3.1995 n. 2347; Cass. 5.9.1981 n. 9374): l’eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione per poter invece determinare, ai sensi dell’art. 1467 c.c., la risoluzione dei contratti con prestazioni corrispettive ad esecuzione continuata periodica ovvero ad esecuzione differita dev’essere causata da avvenimenti straordinari ed imprevedibili (v. Cass. 9.4.1994 n. 3342).
Con il terzo motivo denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 2932 c.c.; insufficiente e contraddittoria motivazione, la ricorrente lamenta che la sentenza impugnata ritenendo che ai promissari fosse consentito di trattenere sul prezzo ancora dovuto le somme occorrenti alla cancellazione delle iscrizioni ipotecarie e delle trascrizioni dei pignoramenti, non ha considerato che entrambe non sono equiparabili ai vizi della cosa; che l’ordinamento (art. 2900 c.c.) prevede l’azione sostitutiva del creditore al debitore per il mancato esercizio di diritti, non per il mancato adempimento di doveri in pregiudizio dei creditori; al terzo è solo consentito dall’art. 1180 c.c. di adempiere liberamente esercitando poi un’autonoma azione di rivalsa; nè si è considerato che per l’art. 2913 c.c. il trasferimento giudiziale del bene essendo inefficace nei confronti dei creditori pignoranti non può incidere nei rapporti fra questi ultimi e il promittente alienante neanche con riguardo alla determinazione del convenuto.
Il motivo è infondato.
Nel preliminare di vendita immobiliare l’inadempienza del promittente all’obbligo di provvedere alla cancellazione di pregresse ipoteche, ovvero la sopravvenienza di iscrizioni o trascrizioni implicanti pericolo di evizione non osta a che il promissario possa chiedere l’esecuzione in forma specifica a norma dell’art. 2932 c.c. e comporta che il promissario medesimo ove si avvalga di tale facoltà è dispensato dall’onere del pagamento o della formale offerta del prezzo (del quale sia previsto il versamento all’atto della stipulazione del definitivo), potendo chiedere che il giudice, con la pronuncia che tenga luogo del contratto non concluso fissi condizioni e modalità di versamento idonee ad assicurare l’acquisto del bene libero da vincoli e a garantirlo dell’eventualità dell’evizione (v. Cass. 30.1.1997 n. 936; Cass. 22.12.1988 n. 7013; Cass. S.U. 27.2.1985 n. 1720).
La sentenza impugnata ben poteva quindi consentire ai promissari di impiegare la somma ancora dovuta di 33 milioni nella cancellazione delle iscrizioni e trascrizioni gravanti sull’immobile attuando un legittimo intervento riequilibrativo delle contrapposte prestazioni.
Questa possibilità è fuori dello schema dell’azione surrogatoria dell’art. 2900 c.c. e rientra in quello della compensazione giudiziale (art. 1243 c.c.) del credito della promittente con il debito dei promissari che adempiono ex art. 1180 c.c., un’obbligazione altrui. Nè l’accoglimento della domanda dell’art. 2932 c.c. rimane precluso della disposizione dell’art. 2913 c.c. secondo cui non hanno effetto in pregiudizio del creditore pignorante e dei creditori che intervengono nell’esecuzione gli altri di alienazione dei beni sottoposti a pignoramento trattandosi nella specie di trasferimento non volontario che non pregiudica nei rapporti tra promissari e creditori esecutanti l’anteriorità delle rispettive trascrizioni (art. 2644 c.c.).
Passando all’esame del ricorso incidentale, con l’unico motivo denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 1223 sgg. c.; 1482, 1479 c.c.; 278 e 345 c.p.c.; omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione (art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c.) i ricorrenti lamentano che la sentenza impugnata ha erroneamente qualificato domanda nuova, come tale inammissibile, quella di condanna della Calabrese al pagamento a titolo di risarcimento dei danni per le maggiori somme rispetto al prezzo ancora dovuto che essi fossero stati costretti a pagare per eliminare tutti i vincoli pregiudizievoli esistenti; la domanda, proposta in via riconvenzionale in primo grado era stata ribadita in appello e non era condizionata perché solo da determinare nel suo preciso ammontare previa esibizione delle ricevute degli esborsi effettuati.
Il ricorso espone nella prima parte un rilievo fondato, perché la domanda in esame risulta proposta almeno in appello (lettera d) delle conclusioni dell’epigrafe della sentenza); esso va comunque respinto, perché le sentenze condizionali di condanna non sono ammesse quando l’evento futuro ed incerto al quale è condizionato l’obbligo attuale di una determinata prestazione richieda altri accertamenti di merito da effettuare in un ulteriore giudizio di cognizione, diverso da quello relativo all’avvenuto verificarsi o meno di tale evento (v. Cass. 10.4.1998 n. 3734; Cass. 25.1.1984 n. 604).
E, in un separato giudizio dovrebbe accertarsi se i promissari per eliminare le iscrizioni e trascrizioni gravanti sull’immobile saranno costretti a pagare somme maggiori del residuo prezzo.
Le spese del giudizio, col rigetto di entrambi i ricorsi, vengono interamente compensate.
Roma 1.12.1998 (*) ndr: così nel testo.
