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Cassazione civile sez. II, 28/05/2025, n. 14192

Massima

La “dicatio ad patriam” è uno dei possibili titoli costitutivi di una servitù di uso pubblico su un fondo privato, in alternativa ad altri modi come convenzioni, provvedimenti ablativi, atti di ultima volontà o l’usucapione. La “dicatio” non è una manifestazione di volontà formale, ma il mero fatto di mettere volontariamente un bene a disposizione del pubblico.

Supporto alla lettura

DIRITTI REALI

I diritti reali sono diritti soggettivi su un bene, che permettono al titolare di esercitare un potere immediato e assoluto sulla cosa, senza la necessità della cooperazione di altri soggetti. Sono diritti “assoluti” perché sono opponibili a tutti e non solo a soggetti determinati, come invece i diritti di credito.

Le caratteristiche principali di questi diritti sono:

  • tipicità;
  • immediatezza;
  • assolutezza;
  • diritto di seguito.

I diritti reali si distinguono ulteriormente in:

diritti reali di godimento (diritti reali di godimento su cosa altrui o diritti minori):

  • proprietà: ha per contenuto la facoltà di godere e di disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo, entro i limiti e con l’osservanza degli obblighi previsti dall’ordinamento giuridico;
  • uso: disciplinato dagli artt. 1201 e ss. c.c., si disngue dall’usufrutto per la limitata misura della facoltà di godimento che attribuisce sulla cosa e per le specifiche modalità di godimento consentite all’usuario;
  • usufrutto: regolato dagli artt. 978 e ss. c.c., consiste nel diritto (sempre temporaneo) di un soggetto (c.d. usufruttario) di godere di un bene di proprietà di un altro soggetto (nudo proprietario) e di raccoglierne i frutti, ma con l’obbligo di rispettarne la destinazione economica;
  • enfitèusi: diritto reale di godimento su un fondo di proprietà altrui (generalmente agricolo) secondo il quale l’enfiteuta (possessore) ha la facoltà di godimento pieno (dominio utile) sul fondo stesso, ma per contro deve migliorare il fondo stesso e pagare inoltre al proprietario un canone annuo in denaro o in derrate;
  • superficie: disciplinato dagli artt. 952 e 956 c.c., consiste nel diritto del superficiario di edificare e di mantenere una costruzione al di sopra o al di sotto del fondo altrui, acquistando la sola proprietà della costruzione stessa (c.d. proprietà superficiaria);
  • abitazione:  disciplinato dagli artt. 1201 e ss. c.c., è più circoscritto del diritto di uso, ha per oggetto una casa e consiste nel diritto di abitarla solo per i bisogni del titolare e della sua famiglia, inoltre la casa gravata da questo diritto non può essere data in locazione;
  • servitù: o servitù prediale, consiste  nel peso o limitazione imposta ad un fondo (c.d. servente) per l’utilità di un altro fondo (c.d. dominante) appartenente ad un’altra persona.

diritti reali di garanzia:

  • pegno: funge da garanzia di un credito;
  • ipoteca: riguarda principalmente i beni immobili e non comporta la perdita del possesso da parte del debitore del bene stesso che è oggetto di garanzia.

Ambito oggettivo di applicazione

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Premesso che l’impugnata sentenza ha confermato il rigetto della domanda di usucapione avanzata dal Comune di Patù, quale ente esponenziale degli interessi dei cittadini di Patù, nei confronti di (omissis), (omissis), (omissis) e (omissis) relativamente al monumento denominato (omissis) (una costruzione megalitica in blocchi di pietra squadrati risalente all’età preistorica, riconosciuta di rilevante interesse storico con decreto del Ministero dell’Educazione Nazionale del 30.11.1910, identificata a foglio (omissis) particella (omissis) del catasto del Comune di Patù) ed all’area circostante di mq 284, adibita anche a sagrato della chiesa parrocchiale di San Giovanni Battista, sottoposta a vincolo di interesse culturale in base alla II parte del D.Lgs. n. 42/2004 (particella (omissis) del foglio (omissis) del catasto del Comune di Patù), considerando la nota inviata il 30.12.2003 dal Sindaco di Patù a (omissis) come riconoscimento della proprietà degli (omissis) e (omissis) sui suddetti beni, interruttiva della prescrizione acquisitiva iniziata nel 1952, ha invece accolto la domanda subordinata del Comune di Patù;

rilevato invece che la sentenza impugnata ha accertato l’avvenuta costituzione sui suddetti beni di proprietà degli (omissis) e (omissis), per dicatio ad patriam, della servitù di uso pubblico a favore della collettività del Comune di Patù, sulla base della volontà manifestata nel 1952 dall’allora proprietaria, (omissis), desunta da quanto riportato nella nota del Sindaco di Patù dell’epoca alla Sovrintendenza in data 26.3.1968, di cedere bonariamente un pezzetto di suolo di sua proprietà, sul quale sorgeva il monumento (omissis) per rendere libero l’accesso ad esso della collettività e per dare spazio al sagrato della vicina chiesa di San Giovanni Battista;

rilevato che col primo motivo i ricorrenti lamentano, in relazione all’art. 360 comma primo n. 3) c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 1168 cod. civ. e dei principi generali espressi dalla giurisprudenza della Suprema Corte in materia di dicatio ad patriam, sostenendo che la Corte d’Appello di Lecce avrebbe erroneamente considerato la dicatio ad patriam come un autonomo modo di acquisto di una servitù di uso pubblico, o più propriamente, data la mancanza di un fondo dominante, di un diritto di uso pubblico, il diritto della collettività di Patù di visitare il monumento megalitico (omissis) e di accedere, attraverso il sagrato, alla chiesa di San Giovanni Battista di Patù, ritenendo quindi non necessario per l’acquisto del diritto di uso pubblico, tramite dicatio ad patriam, l’esercizio dell’uso pubblico per oltre venti anni, richiesto dall’art. 1158 cod. civ. per l’usucapione;

considerato che, secondo la sentenza delle sezioni unite di questa Corte del 3.2.1988 n. 1072, perché una strada privata sia assoggettata a servitù di uso pubblico (ad essa è assimilabile un fondo privato gravato da altro uso pubblico) – in difetto di una convenzione o di un provvedimento amministrativo di natura ablativa o di un atto di ultima volontà o di protrazione dell’uso da tempo immemorabile o di usucapione – occorre che vi sia stata almeno una “dicatio ad patriam”;

rilevato che siffatto titolo costitutivo della servitù, secondo le sezioni unite ed in base ad un uniforme indirizzo giurisprudenziale, consiste, non già in una manifestazione di volontà del privato titolare del cosiddetto fondo servente, bensì nel mero fatto giuridico di mettere volontariamente, con carattere di continuità e non di precarietà o di tolleranza, una cosa propria – oggettivamente idonea al soddisfacimento, in astratto, di un’esigenza comune a una collettività indeterminata di cittadini – a disposizione del pubblico, assoggettandola quindi all’uso pubblico;

rilevato che, sempre secondo la citata pronuncia delle sezioni unite, a dar vita alla servitù di uso pubblico basta, oltre che l’effettivo inizio di tale uso, un comportamento concludente del proprietario del bene, che non possa cioè essere interpretato se non come intenzione di porre il bene stesso a disposizione della collettività e tale comportamento può essere sia attivo sia omissivo, ma nella prima ipotesi, la messa a disposizione del bene precede il concreto esercizio dell’uso consentito, che rende irrevocabile la “dicatio”, mentre nella seconda ipotesi, si realizza dapprima il concreto esercizio dell’uso e, successivamente, interviene il comportamento omissivo del soggetto che, pur potendo agire per farlo cessare, attraverso “facta concludentia” dimostra invece di consentire all’uso che, inizialmente illegittimo, diviene, per ciò solo, legittimo;

considerato che nel panorama delle sentenze di questa Corte e del Consiglio di Stato, che dopo l’arresto delle sezioni unite, si sono pronunciate su domande specificamente intese ad ottenere il riconoscimento della costituzione di servitù di uso pubblico, o di altri diritti di uso pubblico, iscrivibili nella previsione dell’art. 825 cod. civ., per dicatio ad patriam, si è potuta riscontrare una dicotomia di orientamenti;

rilevato infatti che, mentre alcune sentenze hanno ritenuto, che sia necessario per l’insorgenza del diritto di uso pubblico sul bene privato, il protrarsi dell’uso pubblico per oltre venti anni, come previsto per l’usucapione dei diritti reali immobiliari dall’art. 1158 cod. civ., al fine di escludere che quell’uso pubblico sia semplicemente tollerato dal privato proprietario del fondo sul quale viene esercitato (vedi in tal senso in particolare Cass. 29.11.2017 n. 28632Cass. 22.3.2012 n. 4597Cass. 24.3.2005 n. 6401Cons. Stato 21.6.2007 n. 3316), altre sentenze hanno invece ritenuto sufficiente la messa a disposizione del fondo di proprietà privata per l’esercizio dell’uso pubblico con continuità, senza richiedere la decorrenza del termine ventennale proprio del diverso modo di acquisto dell’usucapione (vedi in tal senso in particolare Cass. 16.3.2012 n. 4207Cass. 13.2.2006 n. 3075Cass. 21.5.2001 n. 6924Cass. 19.9.1995 n. 9903Cons. Stato 21.8.2020 n. 5161);

considerato che per verificare se il suddetto contrasto sia effettivo, o meramente apparente, in rapporto alla diversa struttura, attiva od omissiva, che può assumere il fatto giuridico della condotta volontaria di messa a disposizione del fondo per l’uso pubblico del proprietario del fondo medesimo, nella fattispecie delineata dalle sezioni unite della dicatio ad patriam, si ritiene necessario approfondimento, previa fissazione di pubblica udienza;

visto l’art. 375 c.p.c.;

P.Q.M.

La Corte rinvia alla udienza pubblica.

Così deciso in Roma, il 20 maggio 2025.

Depositato in Cancelleria il 28 maggio 2025.

Allegati

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