Con atto 2, 4, 6 dicembre 1972 (omissis) conveniva dinanzi al Tribunale di Patti i germani (omissis), (omissis), (omissis) e (omissis) esponendo che in data (omissis) 1972 era deceduta in Ficarra la madre (omissis) la quale aveva donato tutto il suo patrimonio ai convenuti; chiedeva quindi che, dichiarandosi aperta la successione della madre, gli fosse assegnata sull’eredità una quota pari ad un quinto, detratti i beni di cui essa aveva disposto come anteparte e con la condanna dei germani al rilascio della stessa e al pagamento dei frutti.
Si costituivano (omissis), (omissis) e (omissis); la prima resisteva alla domanda deducendo che la donazione disposta dalla madre in suo favore non era soggetta a riduzione perché non eccedeva la quota disponibile; la seconda si dichiarava disposta a cedere quanto ricevuto dalla madre a titolo di legato; la terza chiedeva l’integrazione della sua quota di legittima con i relativi frutti;
(omissis) rimaneva contumace.
Espletata una consulenza tecnica, con sentenza non definitiva 23 – 31 dicembre 1974 il Tribunale dichiarava aperta la successione di (omissis), dichiarava che la quota di legittima spettante a ciascuno dei coeredi era pari ad un quinto dei due terzi della massa; che (omissis) e (omissis) avevano diritto a conseguire beni ereditari per un determinato valore ad integrazione della loro quota di legittima; riduceva le disposizioni testamentarie della (omissis) a favore di (omissis) e (omissis) che condannava a restituire ai germani (omissis) o (omissis) alcuni beni; disponeva con separata ordinanza consulenza tecnica per il distacco delle quote spettanti a (omissis) e (omissis) e per la valutazione dei frutti naturali di esse.
Quindi, con sentenza definitiva 11 aprile – 9 maggio 1988, assegnava a (omissis) e (omissis) le quote loro spettanti con il pagamento a carico di (omissis) e (omissis) dei frutti e delle spese del giudizio.
Proponeva impugnazione avverso entrambe le sentenze, non definitiva e definitiva, con atto del 17 – 19 giugno 1989 (omissis) lamentando che il tribunale, avrebbe dovuto dichiarare cessata la materia del contendere essendo intervenuta una transazione con entrambi i coeredi (omissis) e (omissis); che era erronea la condanna al pagamento dei frutti con gli interessi legali dalle singole scadenze annuali.
Resistevano (omissis) e (omissis); quest’ultimo proponeva anche appello incidentale; non si costituivano (omissis) e (omissis).
Con sentenza 13.4.1991 la Corte d’Appello di Messina dichiarava inammissibili perché tardive, le impugnazioni, principale, di (omissis) avverso la sentenza non definitiva del Tribunale e, incidentale, di (omissis) avverso la sentenza definitiva dello stesso Tribunale e nei confronti di (omissis); rigettava l’impugnazione principale di (omissis) avverso la sentenza definitiva del Tribunale; accoglieva in parte quella incidentale di (omissis) nei confronti di (omissis) relativa all’ammontare dei frutti e delle spese del giudizio; poneva a carico di (omissis) quelle della fase di impugnazione dovute a (omissis) e (omissis).
La sentenza veniva notificata ad istanza di (omissis) il 19.6.1991 a (omissis); questi con atto del 16 – 17 luglio 1991 l’impugnava per revocazione ai sensi dell’art. 395 n. 4 C.P.C. -.
Con sentenza 12 luglio 1993 notificata al difensore di (omissis) il 6.9.1993 la Corte d’Appello di Messina rigettava l’impugnazione.
Avverso la sentenza 13 aprile 1991 ricorre per cassazione con atto del 4, 11 e 13 gennaio 1994 e con quattro motivi di censura (omissis); resistono con controricorso (omissis) e (omissis) che hanno eccepito la tardività dell’impugnazione.
Il ricorrente ha depositato memoria.
Motivi della decisione
Il ricorso è inammissibile, perché tardivo, nei confronti di (omissis).
La sentenza 13.4.1991 venne notificata al ricorrente ad istanza di (omissis) il 19.6.1991; l’impugnazione per revocazione seguì in data 16, 17 luglio 1991; in quel momento erano decorsi sui 60 giorni previsti dall’art. 325 ultimo comma C.P.C., per ricorrere per cassazione gg. 27; sospendendo la proposizione della revocazione il termine per il ricorso per cassazione o il procedimento relativo fino alla comunicazione della sentenza che abbia pronunziato sulla revocazione (art. 398 ultimo comma C.P.C.), gli altri 33 giorni del termine indicato devono computarsi dalla data di notificazione di quest’ultima sentenza avvenuta il 6.9.1993 e, per la sospensione nel periodo feriale (art. 1 legge 7.10.1969 n. 742) dal 16.9.1993; essi scadevano quindi il 19.10.1993; il ricorso è stato invece proposto il 4, 11 e 13 gennaio 1994.
La decadenza dall’impugnazione non opera nei confronti di (omissis) alla quale la sentenza 13.4.1991 non era stata notificata.
Nel momento in cui si era proposta la revocazione, sul termine di un anno dell’art. 327, primo comma, C.P.C., erano decorsi mesi tre e giorni 4; restavano da computare dal 16.9.1993 mesi otto e giorni 26; il termine per ricorrere scadeva 3.6.1994 ed è stato osservato.
Si deve precisare che per l’assoluta autonomia del diritto di ciascun legittimario di esercitare l’azione (personale) di reintegrazione della propria quota di riserva, non è configurabile litisconsorzio necessario fra i vari legittimari in relazione alla medesima successione mortis causa; è richiesta soltanto la presenza in causa del legittimario e della persona che ha beneficiato dell’atto di liberalità o della disposizione testamentaria (v. Cass. 2.3.1983 n. 1979; Cass. 11.7.1969 n. 2546; Cass. 28.7.1968 n. 2006).
E, dando luogo l’esercizio dell’azione di riduzione a cause scindibili, è inapplicabile l’art. 332 ultimo comma C.P.C., secondo cui l’impugnazione proposta contro una parte fa decorrere nei confronti dello stesso soccombente il termine per proporla contro le altre parti; non è quindi rilevante per il giudizio la questione di incostituzionalità della norma, perché violerebbe il diritto di difesa, prospettata dal difensore del ricorrente nella discussione.
Passando all’esame del ricorso nei soli rapporti fra (omissis) e (omissis), con il primo motivo denunciando violazione degli artt. 101, 292 e 293 C.P.C.; falsa applicazione dell’art. 327 C.P.C. in relazione all’art. 360 nn. 3 e 4 C.P.C. il ricorrente lamenta che la sentenza impugnata dichiarando inammissibile l’appello avverso la sentenza non definitiva del Tribunale, perché proposto oltre l’anno dalla sua pubblicazione, non ha considerato che la domanda riconvenzionale di (omissis) non gli era stata notificata essendo egli rimasto contumace; questo comportava la nullità di entrambe le pronunzie, non definitiva e definitiva del Tribunale di Patti.
Il motivo è inammissibile perché prospetta una questione nuova.
Con l’appello alla sentenza non definitiva 23 – 31 dicembre 1974 che aveva accolto la domanda di reintegrazione della quota di legittima proposta da (omissis) al momento della sua costituzione in giudizio (omissis) non sollevò questioni in ordine alla mancata notificazione di tale domanda; e, convertendosi i motivi di nullità della sentenza in motivi di gravame (art. 161, primo comma C.P.C.) non può egli dolersi in questa sede di una violazione dell’art. 294 C.P.C. -.
Con il secondo motivo denunciando violazione dell’art. 51 n. 4 C.P.C. in relazione all’art. 360 nn. 1 e 4 C.P.C. e 111 Cost., il ricorrente lamenta che nel giudizio di appello il consigliere relatore dott. (omissis) doveva astenersi avendo conosciuto la causa in primo grado come giudice istruttore ed essendo stato l’estensore della sentenza non definitiva.
Il motivo è infondato.
Non costituisce nullità della sentenza d’appello per vizio inerente alla costituzione del giudice il fatto che essa sia stata deliberata da un collegio cui abbia partecipato un giudice che aveva già conosciuto della causa in primo grado qualora le parti non siano avvalse del rimedio della ricusazione nei modi prescritti dalla legge processuale (v. Cass. 7.11.1983 n. 6567; Cass. 7.7.1981 n. 4444; Cass. 8.7.1959 n. 2189).
Con il terzo motivo denunciando violazione dell’art. 1362 C.C. in relazione all’art. 360 nn. 3 e 5 C.P.C. il ricorrente lamenta che la sentenza impugnata ha erroneamente escluso che con la scrittura privata 10.2.1978 intervenuta con il coerede (omissis) si fosse definita la lite mediante permuta transattiva.
Il motivo riguarda i rapporti fra il ricorrente e (omissis) e non può essere esaminato per l’inammissibilità dell’impugnazione nei confronti di quest’ultimo.
Con il quarto motivo denunciando violazione degli artt. 230, 356 e 359 C.P.C. in relazione all’art. 360 nn. 3 e 5 C.P.C. il ricorrente lamenta che la Corte di merito non si è pronunciata sulle sue richieste di mezzi istruttori: interrogatorio formale di (omissis) e (omissis), prova per testimoni.
Il motivo, esaminato solo nei riguardi di (omissis), non può essere accolto.
La mancata ammissione di un mezzo di prova è denunziabile in cassazione sotto il profilo del difetto di motivazione solo se i fatti dedotti costituiscano punto decisivo della controversia e il ricorrente deduca specificamente nel ricorso le circostanze che formavano oggetto di prova e il nesso di causalità fra l’asserita omissione e la decisione (v. Cass. 2.2.1994 n. 1037; Cass. 22.3.1993 n. 3356; Cass. 18.9.1986 n. 5656).
Il ricorrente non ha tale onere osservato.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso nei confronti di (omissis); lo rigetta nei riguardi di (omissis); condanna il ricorrente alle spese liquidate in Lit. 103.400 oltre Lit. 1 milione cinquecentomila in favore di (omissis) e in Lit. 171.200 oltre Lit. 1 milione duecentomila in favore di (omissis).
Roma, 18.4.1996.
