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Cassazione civile sez. II, 24/08/2017, n.20347

Massima

La consulenza di parte è una difesa senza valore probatorio autonomo e, essendo regolata dalle norme che disciplinano tali atti, può essere presentata anche in appello, nonostante il divieto di cui all’art. 345 c.p.c.

Supporto alla lettura

PROVE ATIPICHE 

In tempi recenti, dottrina e giurisprudenza hanno discusso sull’ammissibilità e sull’efficacia probatoria delle cosiddette “prove atipiche” nel processo civile. A differenza del processo penale, che prevede norme generali che legittimano l’uso di prove non espressamente previste dalla legge, l’ordinamento processual-civilistico non contempla una norma simile, sollevando dubbi sulla validità di queste prove nel contesto civile. Orbene, l’ orientamento prevalente ritiene che, in ambito civile, non ricorra un numerus clausus delle prove e, quindi, siano ammissibili le prove atipiche. L’ingresso delle suddette prove nel processo avviene nel rispetto del contraddittorio tra le parti e soggiace ai limiti temporali posti a pena di decadenza per la loro produzione. Dunque, le prove atipiche sono ammissibili, sono assimilate a prove documentali e la loro efficacia probatoria è pari a quella delle presunzioni semplici ex art. 2729 c.c. o argomenti di prova.

Tra le prove atipiche si citano:

  • verbali di prova espletati in altri giudizi,
  • la perizia resa in altro procedimento civilistico,
  • la sentenza resa in altro procedimento civilistico

In particolare, la perizia di parte stragiudiziale, quale esempio di prova atipica, rappresenta uno strumento fondamentale nel processo civile capace di influenzare in modo significativo l’ esito del contenzioso, pur non avendo valore probatorio di per sé. In altri termini, il giudice del merito può porre a fondamento della propria decisione, quale prova atipica, una perizia stragiudiziale, anche se contestata dalla controparte, purché fornisca adeguata motivazione di questa sua valutazione.

Ambito oggettivo di applicazione

Fatto
FATTI DI CAUSA
(omissis) e (omissis), tutti condomini di un fabbricato sito in (OMISSIS), con atto di citazione del 24 giugno 1996 convenivano in giudizio davanti al Tribunale di Avezzano (omissis) che aveva realizzato l’immobile ed aveva venduto loro gli appartamenti, deducendo di avere acquistato anche i diritti di comproprietà sulle parti comuni dell’edificio tra le quali doveva essere compreso il locale stenditoio posto nel sottotetto, locale dal quale il (omissis) aveva invece ricavato 12 stenditoi individuali che aveva poi alienato solo ad alcuni condomini, chiedevano dichiararsi la nullità di quegli atti di compravendita sul rilievo che avevano ad oggetto beni di cui era comproprietari essi attori. Chiedeva, altresì che venisse accertata la natura condominiale di un secondo locale posto al pian o seminterrato ed accertarsi che il (omissis) aveva preteso per la vendita degli appartamenti somme superiori a quelle che erano state stabilite con la convenzione ripassata tra lo stesso (omissis) ed il comune di Avezzano, e dunque venisse dichiarato nulla la clausola con la quale veniva stabilito un prezzo maggiorato per la compravendita.

Nel giudizio intervenivano volontariamente altri condomini (omissis) che aderivano alle richieste degli attori.

Si costituiva il (omissis) il quale chiedeva il rigetto di tutte le domande.

Il Tribunale di Avezzano con una prima sentenza non definitiva accertava la natura condominiale del locale sito al piano seminterrato, accertava, inoltre, che gli acquirenti avevano corrisposto un prezzo maggiore rispetto a quello che sarebbe dovuto esser secondo la Convenzione con il comune di Avezzano. Veniva disposto l’integrazione del contraddittorio nei confronti dei condomini che avevano acquistato i locali siti nel sottotetto, ma la relativa domanda è stata abbandonata ed il tribunale dichiarava la cessata materia del contendere. Entrambe le decisioni sono state impugnate e la Corte di Appello dell’Aquila, con sentenza n. 721 del 2011 in parziale accoglimento dell’appello, dichiarava inammissibile la domanda di restituzione di una parte del prezzo, confermava nel resto la sentenza impugnata. Secondo la Corte distrettuale, la domanda proposta dai terzi intervenuti relativa alla restituzione delle somme corrisposte in eccesso, erano inammissibili perchè i condomini di cui si dice erano intervenuti nel giudizio, dopo che si erano tenute le udienze ex artt. 183 e 184 c.p.c.. La natura condominiale del locale seminterrato emergeva proprio dai documenti formati dallo stesso (omissis) e, tale prova non sembra possa essere sovvertita dalla successiva condotta tenuta dall’appellante che ha accatastato il locale a proprio nome.

La cassazione di questa sentenza è stata chiesta da (omissis) con ricorso affidato ad un motivo articolato su due profili. (omissis) hanno resistito con controricorso, illustrato con memoria. Hanno resistito con lo stesso controricorso (omissis), e, questi ultimi, hanno proposto ricorso incidentale per un motivo.

Diritto
RAGIONI DELLA DECISIONE
A.= Ricorso principale.

1.= Con il primo motivo D.A.M. lamenta violazione di legge violazione art. 345 c.p.c., omessa contraddittoria motivazione ed insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia, violazione art. 360 c.p.c., n. 5.

Secondo il ricorrente, la Corte distrettuale immotivatamente ed ingiustamente avrebbe qualificato come doglianze nuove non decisive e, dunque, non utilizzabili ex art. 345 c.c., le argomentazioni portate nell’atto di appello e corroborate da una consulenza tecnica di parte, perchè non avrebbe tenuto conto che i motivi di appello e la consulenza tecnica di parte andavano presi in considerazione dal giudice. Piuttosto, il giudice qualora non ritenga di accogliere il gravame o disporre la rinnovazione di indagini tecniche a dare sufficiente e congrua motivazione delle ragioni per le quali ritiene di dover respingere le osservazioni e le richieste della parte, restando escluso che tali motivazioni possono essere fatte in modo esclusivo per relationem alla consulenza tecnica d’ufficio.

Tuttavia, la Corte distrettuale avrebbe errato:

a) nel confermare la sentenza di primo grado, secondo la quale il prezzo dovuto per gli appartamenti, quantificato sulla base della convenzione ripassata tra il (omissis) ed il Comune, avrebbe dovuto essere inferiore al prezzo poi, effettivamente, pagato dagli acquirenti (condannando il (omissis) a restituire la differenza), perchè non avrebbe tenuto conto (e neppure il CTU ne avrebbe tenuto conto) che la Convenzione di cui si dice prevedeva il costo degli appartamenti, se gli stessi fossero stati alienati nell’anno 1982, ma, se fossero stati venduti successivamente, la stessa Convezione (art. 10) prevedeva dei criteri di adeguamento sulla base dei decreti ministeriali che il Ministero (omissis) avrebbe emanato per l’aggiornamento annuale del costo totale dell’intervento di edilizia economica e popolare. In definitiva, secondo il ricorrente. Se la Corte distrettuale avesse tenuto conto di quanto riportato nella Convenzione avrebbe accertato che gli acquirenti avevano corrisposto somme addirittura inferiori a quelle contrattualmente dovute.

b) nel ritenere che le unità immobiliari non esplicitamente alienate tra cui il locale seminterrato sarebbero condominiali. Piuttosto, la Corte distrettuale non avrebbe tenuto conto che a norma di legge sono parti comuni i muri comuni indivisibili, le facciate, gli androni e porticati, le corti comuni, le colonne montanti degli impianti, gli allacci, gli scarichi fognari ecc. Altra cosa sarebbero invece le parti accessorie che possono essere indivise (quindi di proprietà comune) o divise (quindi di uso individuale). Rientrerebbero tra le parti accessorie: le autorimesse di uso e/o proprietà indivisa o di uso e/o proprietà individuale, gli stenditoi di uso e/ o di proprietà comune o individuale.

1.1.= Il motivo, nonostante alcune imprecisioni nell’indicazione dei vizi enunciati, alla cui rubrica questa Corte, comunque, non può ritenersi vincolata, è in parte fondato per le ragioni di cui si dirà.

Va qui osservato che nessuna novità può ritenersi verificata, allorchè la critica sia mossa alla consulenza tecnica presupposta dalla decisione di merito, anche laddove essa non sia stata contestata nel primo grado, dovendo ritenere che qualunque critica riferita alla consulenza tecnica presupposta dalla decisione di merito integra gli estremi di una censura riferita alla sentenza impugnata. A sua volta, la Corte distrettuale ha errato nel considerare una consulenza di parte un documento nuovo non ammissibile, per la prima volta, nel giudizio di secondo grado, perchè una consulenza di parte deve essere considerata un mero atto difensivo, la cui produzione non può ricondursi in alcun modo al divieto di cui all’art. 345 c.p.c., e la cui allegazione al procedimento deve ritenersi regolata dalle norme che disciplinano tali atti. La natura tecnica del documento non vale, infatti, ad alterarne la natura, che resta quella di atto difensivo.

Questa Corte ha già affermato, con la sentenza an. 13902 del 2013 il principio che qui si richiama e si conferma dandone continuità, quello secondo cui “La consulenza tecnica di parte costituisce una semplice allegazione difensiva a contenuto tecnico, priva di autonomo valore probatorio, sicchè la sua produzione, in quanto sottratta al divieto di cui all’art. 345 c.p.c., è ammissibile anche in appello”.

1.2. = Infondata è, invece, la censura relativa alla natura condominiale del locale seminterrato.

Va qui osservato che la natura condominiale di un bene, elencato o no nell’art. 1117 c.c., deriva sia dall’attitudine oggettiva del bene al godimento comune, sia dalla concreta destinazione di esso al servizio comune. Con la conseguenza che, per vincere la natura di condominialità, il soggetto che ne rivendichi la proprietà esclusiva ha l’onere di fornire la prova di tale diritto; a tal fine, è necessario un titolo d’acquisto dal quale si desumano elementi tali da escludere in maniera inequivocabile la comunione del bene, mentre non sono determinanti le risultanze del regolamento di condominio, nè l’inclusione del bene nelle tabelle millesimali come proprietà esclusiva di un singolo condomino. Come, correttamente, ha evidenziato la Corte distrettuale, sia pure con motivazione sintetica, la “(…) prova della natura condominiale di quel locale emergeva proprio dai documenti formati dallo stesso (omissis) e, tale prova non pare possa essere sovvertita dalla successiva condotta tenuta dall’appellante che ha accatastato il locale a proprio nome, l’ha fatto risultare di sua proprietà esclusiva nelle tabelle condominiali atteso che si tratta di circostanze che, per giurisprudenza assolutamente pacifica, non risultano decisive ai fini qui considerati (…)”.

B. Ricorso incidentale.

3.= Con l’unico motivo del ricorso incidentale (omissis) lamentano la violazione dell’art. 268 c.p.c.. Secondo i ricorrenti incidentali, la Corte distrettuale nell’aver ritenuta tardiva la costituzione in giudizio degli interventi non avrebbe tenuto conto che i sensi dell’art. 268 c.p.c., il terzo può intervenire fino all’udienza di precisazione delle conclusioni col solo divieto di compiere non più consentiti ad alcuna altra parte. Eccepiscono ancora gli intervenienti che per iniziativa del Giudice ex officio era stata disposta un supplemento di consulenza tecnica per verificare il prezzo degli appartamenti dovuto dai condomini ai sensi dell’art. 10 della Convenzione D.A. Comune di Avezzano, che non poteva qualificarsi quale nuovo mezzo di prova e tale consulenza rappresentava la pura e semplice estensione agli interventori di una indagine contabile eseguita negli interessi degli attori che non implica l’esame di domanda od eccezioni nuove.

3.1. = Il motivo è fondato

La Corte di appello ritenendo tardivo l’intervento, che a suo giudizio aveva in parte introdotto una richiesta del tutto nuova di pagamento di somme ulteriori, si è posta in contrasto con la giurisprudenza di questa Corte la quale, in più occasioni, ed, in particolare, con la sentenza n. 25798 del 2015, ha precisato che “La formulazione della domanda costituisce l’essenza stessa dell’intervento principale e litisconsortile, sicchè la preclusione sancita dall’art. 268 c.p.c., non si estende all’attività assertiva del volontario interveniente, nei cui confronti non opera il divieto di proporre domande nuove ed autonome in seno al procedimento “fino all’udienza di precisazione delle conclusioni”, configurandosi solo l’obbligo, per l’interventore stesso ed avuto riguardo al momento della sua costituzione, di accettare lo stato del processo in relazione alle preclusioni istruttorie già verificatesi per le parti originarie”. Nè, ed è bene precisarlo anche in questa sede, tale interpretazione dell’art. 268 c.p.c., viola il principio di ragionevole durata del processo od il diritto di difesa delle parti originarie del giudizio: infatti l’interveniente, dovendo accettare il processo nello stato in cui si trova, non può dedurre – ove sia già intervenuta la relativa preclusione – nuove prove e, di conseguenza non vi è nè il rischio di riapertura dell’istruzione, nè quello che la causa possa essere decisa sulla base di fonti di prova che le parti originarie non abbiano potuto debitamente contrastare.

In definitiva, va accolto il ricorso principale per quanto di ragione e il ricorso incidentale. La sentenza impugnata va cassata e la causa rinvia alla Corte di Appello dell’Aquila in diversa composizione, la quale provvederà al regolamento delle spese giudiziali, anche per il presente giudizio di cassazione.

P.Q.M.
La Corte accoglie entrambi i ricorsi (principale ed incidentale) per quanto di ragione. Cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di Appello dell’Aquila in diversa composizione, la quale provvederà al regolamento delle spese giudiziali, anche per il presente giudizio di cassazione.Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Seconda Sezione Civile di questa Corte di Cassazione, il 5 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 24 agosto 2017

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