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Cassazione civile sez. II, 23/06/2023, n.18061

Massima

Il difetto di costruzione può consistere in qualsiasi alterazione che, pur non riguardando parti essenziali dell’opera, incida considerevolmente sul godimento dell’immobile.

Supporto alla lettura

CONTRATTO DI APPALTO
Si tratta dunque di un contratto di risultato e non di attività. Inoltre, si distingue dal contratto d’opera in quanto l’appaltatore non deve personalmente occuparsi del compimento delle opere commissionate, ma servirsi della propria organizzazione e gestirla a tal fine. Tale contratto può avere ad oggetto tanto il compimento di un’opera quanto essere un appalto di servizi. Il contratto d’appalto ha forma libera. Può quindi essere concluso anche oralmente, salvo nella circostanza in cui abbia ad oggetto la realizzazione di navi od aeromobili o in cui si tratti di un appalto pubblico. Il corrispettivo dell’appaltatore, salvo patto contrario, si matura soltanto al compimento ed al collaudo dell’opera. Il contratto di appalto consente al committente l’utilizzo dei rimedi risolutori generali, così come previsti dagli articoli 1453 e seguenti del codice civile, non senza qualche particolarità. La natura indivisibile della prestazione dell’appaltatore determina infatti che anche un inadempimento parziale dell’appaltatore corrisponda di fatto ad un inadempimento totale. Anche al di fuori dei casi di inadempimento, i rimedi risolutori specificamente previsti dal legislatore nell’ambito del contratto di appalto presentano delle peculiarità. L’articolo 1668 del codice civile prevede infatti un rimedio per il caso di difformità o vizi dell’opera. Nel caso questi non siano tali da rendere l’opera del tutto inadatta alla sua destinazione, l’appaltatore dovrà, alternativamente, eliminarli a proprie spese o ridurre il proprio corrispettivo. Nel caso invece le difformità o i vizi siano tali da renderla inadatta alla propria funzione, il committente potrà legittimamente domandare la risoluzione dell’appalto. Per ciò che invece riguarda il recesso unilaterale “ad nutum”, del committente, lo stesso, non è tuttavia privo di conseguenze giuridiche. L’esercizio di tale diritto potestativo non lo dispensa infatti dal dover tenere indenne l’appaltatore dalle spese sostenute, dalla parte dell’opera eseguita ed anche dal mancato guadagno. In sintesi la possibilità di recedere del committente è controbilanciata dal legislatore che, di fatto, prende in considerazione questo recesso alla stregua di un inadempimento. Le conseguenze pratiche non sono infatti dissimili.

Ambito oggettivo di applicazione

Osserva

  1. T.M. convenne in giudizio innanzi al Giudice di pace la s.r.l. (Omissis) e la s.r.l. (Omissis).

Espose l’attore ei essere proprietario d’un appartamento facente parte di un complesso condominiale costruito dalla (Omissis), successivamente incorporata nella s.r.l. (Omissis), con appalto alla s.r.l. (Omissis); che a diversi anni di distanza dalla conclusione dei lavori, a causa della rottura di un tubo di adduzione idrica, la ingente dispersione d’acqua protrattasi nel tempo aveva procurato un abnorme consumo idrico, per il quale l’esponente aveva dovuto corrispondere la somma di Euro 3.551,35, oltre ad avere dovuto affrontare il costo per il ripristino del guasto, ammontante a Euro 188,76.

Chiese, pertanto, condannarsi le convenute a risarcire il danno patito.

L’adito Giudice rigettò la domanda, avendo escluso che il vizio riscontrato potesse qualificarsi grave difetto ai sensi dell’art. 1669 c.c.

  1. Il Tribunale di Forlì, investito dall’impugnazione del T., sovvertì l’epilogo di primo grado e condannò la (Omissis) a risarcire il danno.
  2. (Omissis) s.r.l. ricorre avverso la sentenza d’appello sulla base di quattro motivi.

Resiste con controricorso T.M..

Entrambe le parti hanno depositato memorie.

  1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 116 c.p.c. e 1669 c.c., in quanto i fatti accertati (rottura di un manicotto esterno di adduzione dell’acqua potabile) non integravano i gravi difetti di cui all’art. 1669 cd. civ., dai quali la costruzione era esente. Trattavasi di un modesto guasto riparato con poca spesa dagli idraulici.
  2. Con il secondo motivo denuncia l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo, consistito nel fatto che l’attore non aveva mai patito limitazione alcuna al godimento del bene, né mai aveva dimostrato una tale circostanza.
  3. I due motivi sopra sunteggiati, tra loro correlati, sono fondati.

La Corte d’Appello ha reputato che “la rottura del giunto ha comportato un’alterazione che ha inciso in modo considerevole sul godimento dell’immobile e sulla normale utilizzazione“.

In punto di diritto va richiamato il condiviso principio, secondo il quale in tema di responsabilità extracontrattuale dell’appaltatore, il difetto di costruzione che, ai sensi dell’art. 1669 c.c., legittima il committente alla relativa azione, può consistere in una qualsiasi alterazione, conseguente ad un’insoddisfacente realizzazione dell’opera, che, pur non riguardando parti essenziali della stessa (e perciò non determinandone la “rovina” od il “pericolo di rovina“), bensì quegli elementi accessori o secondari che ne consentono l’impiego duraturo cui è destinata (quali, ad esempio, le condutture di adduzione idrica, i rivestimenti, l’impianto di riscaldamento, la canna fumaria), incida negativamente ed in modo considerevole sul godimento dell’immobile medesimo (Sez. 2, n. 11740, 01/08/2003, Rv. 565595; conf. Cass. n. 8140/2004).

L’esposto principio presuppone, come si è visto, che il difetto incida negativamente sul godimento dell’immobile.

Nel caso in esame, per vero, non consta esservi stata alcun riflesso negativo sul godimento dell’immobile, il quale ha regolarmente goduto della fruizione dell’acqua potabile, stante che il guasto consistito, in una lesione di un giunto esterno del tubo d’adduzione, sebbene ebbe a procurare dispersione idrica, senza tuttavia causare danni all’immobile (non vengono segnalati fenomeni d’infiltrazioni), allo stesso tempo, non impedì, e neppure limitò, l’afflusso d’acqua per i servizi idrici dell’immobile. Inoltre, si ebbe a trattare di un guasto del tutto marginale, riparato con l’esborso di poche decine di Euro.

Pertanto, enunciato il seguente principio diritto: “il danno alle condutture esterne, ove non incida negativamente ed in modo considerevole sul godimento dell’immobile, non costituisce difetto costruttivo ai sensi dell’art. 1669 c.c.“, la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio.

  1. Con il terzo motivo viene denunciata nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c.: poiché il danno, derivato dal consumo idrico, era dipeso dalla condotta dell’attore, la ricorrente aveva chiesto al Giudice che, in via di subordine, fosse accertata, ai sensi dell’art. 1227 c.c., la responsabilità dell’appellante; ma sul punto non vi era traccia di decisione.
  2. Con il quarto motivo viene denunciata la nullità della sentenza, ancora una volta, per violazione dell’art. 112 c.p.c., per non essersi la Corte di merito pronunciata sull’eccezione di tardività della denuncia, avvenuta oltre l’anno dalla scoperta.
  3. Le esposte due ultime doglianze restano assorbite dall’accoglimento delle prime due.
  4. Il Giudice del rinvio regolerà anche le spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

accoglie i primi due motivi del ricorso, dichiara assorbiti il terzo e il quarto, cassa la sentenza impugnata, in relazione agli accolti motivi, e rinvia al Tribunale di Forlì, in persona di altro magistrato, anche per il regolamento delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 27 aprile 2023.

Allegati

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