Svolgimento del processo – Motivi della decisione
1. Il Tribunale di Marsala, con sentenza n. 949 dell’8 novembre 2017, decidendo sulla domanda di scioglimento della comunione ereditaria di (omissis), cui erano succeduti la moglie (omissis) (deceduta a sua volta nel corso del giudizio di primo grado) ed i figli (omissis), (omissis), (omissis), (omissis) e (omissis), con l’intervento della creditrice ipotecaria (omissis), previa collazione delle donazioni effettuate in vita dal de cuius, approvava il progetto di divisione, come riportato in dispositivo, che disponeva l’attribuzione di determinati beni a (omissis) e (omissis) ed alla quota della defunta (omissis). Disponeva invece l’estrazione a sorte tra le sorelle (omissis) delle restanti tre quote; inoltre disponeva il versamento dei conguagli necessari per perequare le differenze tra le quote in natura ed il valore delle quote ideali e condannava gli eredi che avevano goduto in via esclusiva dei beni caduti in successione al rendiconto dei frutti percetti in favore degli altri coeredi che ne avevano fatto domanda.
Avverso tale sentenza proponeva appello (omissis), cui resistevano con appello incidentale (omissis) e (omissis).
L’odierno ricorrente si costituiva aderendo all’appello principale.
La Corte d’Appello di Palermo, con la sentenza n. 378 del 4 marzo 2020, rigettava tutti i gravami, limitandosi a disporre la correzione dell’errore materiale consistito nell’omessa previsione degli interessi legali dalle singole scadenze al soddisfo sulle somme dovute a titolo di rendiconto, compensando integralmente le spese di lite.
Per quanto rileva ancora in questa sede, la Corte disattendeva l’appello di (omissis) che si doleva che si fosse provveduto ad alcune attribuzioni dirette delle quote, senza disporre il sorteggio per tutte, osservando che in realtà la norma di cui all’art. 729 c.c. detta una regola cui il giudice deve tendenzialmente attenersi, e che è però derogata nel caso in cui si sia in presenza di quote di diverso valore.
Nella specie le quote oggetto di attribuzione avevano un valore differente rispetto a quelle delle tre sorelle (omissis) sicché non poteva riscontrarsi alcuna violazione della norma richiamata.
Passando alla censura proposta da (omissis) che lamentava che il progetto avesse contemplato la formazione di quote con dei conguagli in denaro di entità differenti per le varie quote da estrarre a sorte tra le sorelle, la sentenza di appello rilevava che nella specie era stato rispettato il parametro per il quale i conguagli non devono essere sproporzionati rispetto al valore di quanto si riceve in natura e ciò rendeva il progetto immune dalle critiche mosse.
Inoltre, andava ribadita la decisione di sorteggiare le quote tra le tre sorelle, non potendo avere seguito la richiesta di (omissis) di attribuire in natura alla sorella (omissis) la quota n. 4.
In relazione alle critiche mosse da (omissis), in merito alla mancata attribuzione alla defunta madre della villa in c.da (omissis), la Corte d’Appello rilevava che non era vero che non si fosse tenuto conto dei costi che ne comportava la divisione fisica, atteso che il progetto di divisone aveva provveduto alla valutazione di tale cespite, decurtando la percentuale del 40% sia in ragione dello stato attuale di manutenzione nonché della necessità di regolarizzarlo dal punto di vista urbanistico, sia delle spese da affrontare per procedere alla divisione fisica del bene.
In merito poi al bene alla via (omissis), era condivisibile l’assunto del CTU che aveva ritenuto che si trattasse in realtà di un’unica consistenza immobiliare, non ravvisandosi, quindi, alcun errore nella sua stima.
Pertanto, rigettava tutte le censure a vario titolo mosse in ordine alla condanna alla restituzione in favore dei condividenti del valore dei frutti percetti dagli occupanti degli immobili comuni, in ragione del godimento esclusivo, ritenendosi corretto il richiamo al parametro costituito dal canone di locazione percepibile per effetto della concessione del godimento a terzi a titolo oneroso.
Infine, disposta la correzione della sentenza impugnata con l’indicazione della debenza degli interessi legali sulle somme dovute a titolo di rendiconto dalle singole scadenze, era disattesa anche la censura che investiva la corretta attuazione della collazione della donazione della vettura in favore di (omissis) (avendo questi ricevuto in donazione solo la metà del veicolo) e la mancata inclusione del valore dei beni mobili, e ciò in quanto l’individuazione di tali beni era carente sia sul piano dell’allegazione che su quello della prova.
2. Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso (omissis), sulla base di tre motivi.
Gli intimati non hanno svolto difese in questa fase.
Il ricorrente ha depositato memorie in prossimità dell’adunanza.
3. Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione dell’art. 729 c.p.c., che dispone che l’assegnazione delle porzioni eguali è fatta mediante estrazione a sorte, procedendosi ad attribuzione solo per quelle diseguali.
Si riporta il contenuto della sentenza di primo grado, confermata in appello, che aveva stabilito quale fosse l’entità delle quote tra i germani (omissis), anche all’esito della collazione delle donazioni ricevute in vita dal de cuius, e si evidenzia che alla fine la differenza di valore tra le tre quote eguali delle sorelle, e quella del ricorrente era di circa un migliaio di euro, il che non legittimava la deroga alla regola dell’estrazione a sorte.
Il motivo è evidentemente destituito di fondamento.
La stessa esposizione in fatto contenuta nel motivo in esame denota come in realtà, e per effetto dell’operare del meccanismo della collazione, non tutte le quote dei condividenti avevano pari valore, e ciò sia in ragione della diversa quota ereditaria vantata dal coniuge superstite, ma anche del fatto che i due figli maschi avevano ricevuto delle donazioni la cui imputazione aveva determinato un differente ammontare della quota ereditaria vantata sui beni comuni.
Ancorché le differenze, in termini monetari, non siano eccessive tra il valore delle quote delle germane (omissis) e quelle dei fratelli maschi, resta però incontestabile che si tratti di quote di valore differente, e che pertanto non sia censurabile l’applicazione che il giudice di merito ha fatto dell’art. 729 c.c. alla fattispecie in esame, avendo limitato il sorteggio alle sole quote di eguale valore, procedendo alla necessaria attribuzione per le quote invece diseguali.
L’affermazione del ricorrente contrasta con l’oggettività del dato matematico e quindi si fonda su un erroneo presupposto concettuale che inficia la fondatezza della censura.
Né la sentenza contiene l’errore asseritamente individuato dal ricorrente di avere attribuito all’istituto della rappresentazione rispetto all’eredità materna, l’idoneità ad incidere sulla quota di (omissis) e (omissis), in quanto il passaggio argomentativo della Corte d’Appello (“Ed invero, accertato che nella specie ricorre l’ipotesi di concorso di condividenti aventi diritto a porzioni equivalenti ((omissis), (omissis) ed (omissis)) con altri ((omissis) – e per essa gli eredi in rappresentazione – (omissis) e (omissis)) aventi diritto a porzioni diseguali…”) evidenzia che l’espressione riportata tra i trattini dopo il nominativo del coniuge superstite, mira solo a sottolineare che la quota alla medesima assegnata è stata devoluta congiuntamente ai suoi eredi, ma che erano state correttamente individuate le tre quote diseguali, come quelle spettanti alla H.H. ed ai due figli maschi.
4. Il secondo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 720 c.c. in relazione all’art. 727 c.c., laddove si prevede che se vi sono immobili comodamente divisibili devono preferibilmente essere compresi nell’intero, dovendosi formare porzioni di eguale natura e quantità in proporzione dell’entità di ciascuna quota.
La critica si appunta sulla valutazione dell’immobile di via (omissis), e ciò in quanto si tratterebbe di due distinte unità immobiliari che avrebbero potuto essere inserite in due diverse quote.
Ciò avrebbe determinato una grave lacuna nell’operato del CTU.
Peraltro, alla defunta madre sarebbe stato possibile attribuire, in alternativa ai detti immobili, la villa di c.da (omissis) nella sua interezza.
Non va poi trascurata l’illogicità della decisione di frazionare in quattro quote la villa di c.da (omissis), con costi cospicui ed esosi. Il motivo è inammissibile.
Va richiamato il principio per il quale (Cass. n. 17862/2020) nella divisione ereditaria non si richiede necessariamente, in sede di formazione delle porzioni, una assoluta omogeneità delle stesse, ben potendo, nell’ambito di ciascuna categoria di beni immobili, mobili e crediti da dividere, taluni di essi essere assegnati per l’intero ad una quota ed altri, sempre per l’intero, ad altra quota, salvi i necessari conguagli, giacché il diritto dei condividenti ad una porzione in natura di ciascuna delle categorie di beni in comunione non consiste nella realizzazione di un frazionamento quotistico delle singole entità appartenenti alla stessa categoria, ma nella proporzionale divisione dei beni compresi nelle tre categorie degli immobili, mobili e crediti, dovendo evitarsi un eccessivo frazionamento dei cespiti in comunione che comporti pregiudizi al diritto preminente dei coeredi e dei condividenti in genere di ottenere in sede di divisione una porzione di valore proporzionalmente corrispondente a quello della massa ereditaria, o comunque del complesso da dividere. Pertanto, nell’ipotesi in cui nel patrimonio comune vi siano più immobili da dividere, il giudice del merito deve accertare se l’anzidetto diritto del condividente sia meglio soddisfatto attraverso il frazionamento delle singole entità immobiliari oppure attraverso l’assegnazione di interi immobili ad ogni condividente, salvo conguaglio.
Inoltre, è stato anche di recente ribadito che (Cass. n. 726/2018) in tema di divisione ereditaria, il giudice, nello scegliere, fra più progetti di divisione, quale approvare, ben può privilegiare quello che limita al massimo la misura dei conguagli, così assicurando che la quota sia prevalentemente formata in natura.
La valutazione resa sul punto dal giudice di merito costituisce però evidentemente un apprezzamento di fatto che è insuscettibile di sindacato in sede di legittimità, anche alla luce della novellata previsione di cui all’art. 360 co. 1 n. 5 c.p.c., tenuto conto che nella specie la Corte d’Appello ha riconsiderato, per effetto dei vari motivi di appello proposti la congruenza e correttezza della soluzione divisionale fatta propria dal Tribunale, anche, e ciò in relazione ad una delle doglianze mosse con il motivo in esame, alla possibilità di una divisione in natura della villa di c.da Spagnola ed all’incidenza sul valore dei beni dei costi necessari per il suo frazionamento in quattro distinte unità immobiliari.
La censura difetta altresì di specificità, nella parte in cui, pur denunciando la mancata considerazione della possibilità di valutare separatamente gli immobili di via Italia, omette però di individuare come la diversa valutazione dei beni possa effettivamente incidere sulla formazione di un diverso progetto di divisione, e ciò anche alla luce del fatto che la soluzione suggerita, consistente nell’attribuire alla quota della (omissis) la villa di contrada Spagnola, implicherebbe la previsione di un conguaglio di valore notevolmente superiore a quello invece previsto nel progetto approvato in sentenza, in violazione della regola che vieta di imporre conguagli di ammontare sproporzionato o eccessivo.
Né coglie nel segno l’affermazione secondo cui la scelta di attribuire il bene di via Italia alla defunta madre porrebbe il problema della nascita di una ulteriore comunione ereditaria, posto che trattasi di un effetto che si verrebbe a creare a prescindere dall’individuazione del bene destinato a comporre la quota della defunta, concorrendo alla sua successione tutti i germani I.I. e trattandosi di beni destinati a formare una nuova comunione ereditaria, per la quale si imporrà una nuova divisione.
Nella specie, peraltro, l’inammissibilità della censura, una volta ricondotta la stessa, alla luce del suo contenuto sostanziale, alla ipotesi di cui al n. 5 dell’art. 360 co. 1 c.p.c., discende ancor più a monte dell’applicabilità alla fattispecie dell’art. 348 ter ultimo comma c.p.c., vertendosi in un caso di cd. doppia conforme, avendo la Corte d’Appello confermato la sentenza di primo grado sulla base delle medesime ragioni inerenti alle questioni di fatto su cui si fonda la sentenza impugnata.
5. Il terzo motivo di ricorso denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2043 e 2056 c.c., in relazione agli art. 1223, 1226 e 2697 c.c., perché la sentenza ha condannato il ricorrente al pagamento di una somma in conseguenza della detenzione esclusiva di alcuni beni immobili caduti in successione, ignorando le regole in tema di onere della prova, ed accordando un danno in assenza di prova, quasi come se si trattasse di un danno in re ipsa.
Il motivo è manifestamente infondato ed inammissibile ex art. 360 bis n. 1 c.p.c., alla luce della giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 39/2021) che ha statuito che nel caso di occupazione illegittima di un immobile, il danno subito dal proprietario, essendo collegato all’indisponibilità di un bene normalmente fruttifero, è oggetto di una presunzione relativa, che onera l’occupante della prova contraria dell’anomala infruttuosità di quello specifico immobile.
Il principio è stato ribadito dalla Corte nella sua più autorevole composizione, essendosi affermato che in caso di occupazione senza titolo di un bene immobile da parte di un terzo, il fatto costitutivo del diritto del proprietario al risarcimento del danno da perdita subita è la concreta possibilità, andata perduta, di esercizio del diritto di godimento, diretto o indiretto, mediante concessione a terzi dietro corrispettivo, restando, invece, non risarcibile il venir meno della mera facoltà di non uso, quale manifestazione del contenuto del diritto sul piano astratto, suscettibile di reintegrazione attraverso la sola tutela reale (Cass. S.U. n. 33645/2022).
Inoltre, nella medesima occasione si è anche precisato che, se il danno da perdita subita di cui il proprietario chiede il risarcimento non può essere provato nel suo preciso ammontare, esso è liquidato dal giudice con valutazione equitativa, se del caso mediante il parametro del canone locativo di mercato, il tutto conformemente a quanto operato nella specie dal giudice di appello.
La consulenza ha, infatti, accertato l’idoneità dei beni a produrre frutti, avendo quantificato il canone di locazione suscettibile di essere ritratto dalla concessione a terzi del godimento, sicché era onere del ricorrente, al fine di andare indenne dalla condanna, dimostrare che il bene detenuto non era idoneo a generare frutti.
Risultano, infine, inammissibili le deduzioni svolte solo in memoria secondo cui il bene non sarebbe stato fruito dal ricorrente, in quanto privo di utenza elettrica, ovvero che fosse stato nella disponibilità anche degli altri coeredi contrastando con quanto accertato in sentenza, anche sulla base del principio di non contestazione, e dovendo invece costituire oggetto di una specifica censura in occasione della formulazione del ricorso, che si limita in parte qua solo a contestare la liquidazione del danno, ma senza negare il godimento del bene.
Il ricorso deve pertanto essere rigettato.
6. Nulla a disporre per le spese non avendo gli intimati svolto attività difensiva in questa fase.
7. Poiché il ricorso è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1 – quater dell’art. 13 del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso;
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del D.P.R. n. 115/2002, inserito dall’art. 1, co. 17, l. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore somma pari al contributo unificato dovuto per il ricorso a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma il 30 maggio 2024.
Depositata in Cancelleria il 21 giugno 2024.
