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Cassazione civile sez. II, 22/10/2021, n.29581

Massima

In tema di esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto preliminare di compravendita su un terreno, è preclusa al giudice la possibilità di disporre il trasferimento coattivo della proprietà (o di altri diritti reali) in assenza del relativo certificato di destinazione urbanistica, trattandosi di condizioni dell’azione, la cui mancanza è rilevabile d’ufficio. Le indicazioni circa la cd. conformità catastale oggettiva, ovvero l’identificazione catastale del bene, il riferimento alle planimetrie depositate in catasto, la dichiarazione o attestazione di conformità dei dati catastali e delle planimetrie allo stato di fatto, previste dall’art. 29, comma 1 bis, della L. n. 52 del 1985, aggiunto dall’art. 19, comma 14, del d.l. n. 78 del 2010 convertito, con modificazioni, dalla L. n. 122 del 2010, a pena di nullità del contratto di trasferimento immobiliare, devono sussistere, quali condizioni dell’azione, nel giudizio di trasferimento giudiziale della proprietà degli immobili mediante sentenza emessa ai sensi dell’art. 2932 c.c.

Supporto alla lettura

Contratto preliminare

Il contratto preliminare (anche detto compromesso) è un vero e proprio contratto che obbliga entrambe le parti alla stipula del contratto definitivo. Il preliminare deve indicare gli elementi principali della vendita quali il prezzo e la casa da acquistare, l’indirizzo e una precisa descrizione (piani, stanze etc.) con i dati aggiornati del Catasto e la data del contratto definitivo. È opportuno, inoltre, definire tutti gli obblighi reciproci da adempiere prima della consegna dell’immobile. In caso di vendita di immobili in corso di costruzione sono previste dalla legge regole particolari per la redazione del contratto preliminare. È obbligatorio che il contratto preliminare sia stipulato da un notaio nella forma dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata. Per garantire la massima tutela al futuro acquirente è molto opportuno che il contratto preliminare sia stipulato dal notaio, mediante scrittura privata autenticata o atto pubblico, in modo che venga trascritto nei Registri Immobiliari. Nelle altre ipotesi, l’opportunità della trascrizione può essere valutata con l’assistenza del notaio.

La trascrizione vale come una vera e propria prenotazione dell’acquisto dell’immobile. Non è più soltanto un accordo privato tra acquirente e venditore, viene reso legalmente valido verso chiunque (tecnicamente è “opponibile nei confronti dei terzi”) e il venditore, di conseguenza, non potrà vendere l’immobile a qualcun altro, né concedere un’ipoteca sull’immobile, né costituire una servitù passiva o qualsiasi altro diritto pregiudizievole. Gli eventuali creditori del venditore non potranno iscrivere un’ipoteca sull’immobile promesso in vendita, né pignorarlo. Dal momento della trascrizione del contratto preliminare, l’immobile è “riservato” al futuro acquirente, e qualsiasi trascrizione o iscrizione non avrebbe effetto nei suoi confronti.
Con la sentenza n. 4628 del 2015 la Corte di Cassazione a Sezioni unite ha riconosciuto validità al cosiddetto preliminare di preliminare. Si tratta di quell’accordo con cui le parti formalizzano il contenuto di una prima fase della trattativa contrattuale e con cui si obbligano a proseguire nella stessa. In questo modo danno spazio alla formazione progressiva del contratto e puntualizzano con un successivo accordo il contenuto giuridico dell’affare.

Ambito oggettivo di applicazione

FATTI DI CAUSA

1.1. D.D.G., F.A. e D.D.S. hanno convenuto in giudizio, innanzi al tribunale di Nocera Inferiore, C.R., D.P.A., D.P.A.R., D.P.G., Di.Pa.As. e V.C. e, dopo aver dedotto di aver sottoscritto con questi ultimi, il 5/8/1999, un contratto preliminare avente ad oggetto l’acquisto di un fabbricato e di un terreno per il prezzo quasi interamente corrisposto di Lire 185.000.000 e di aver sollecitato i promittenti venditori alla stipula del contratto definitivo senza aver mai avuto riscontro, hanno chiesto al tribunale di accertare l’inadempimento dei convenuti e di emettere la sentenza prevista dall’art. 2932 c.c., oltre alla condanna delle controparti al risarcimento dei danni.

1.2. Il tribunale, con sentenza del 22/1/2008, per quanto ancora rileva, ha rigettato la domanda proposta dagli attori sul rilievo che non erano stati depositati né il certificato di destinazione urbanistica del bene, né l’atto di frazionamento del terreno, con la conseguente impossibilità di emettere la sentenza richiesta.

1.3. D.D.G., F.A. e D.D.S. hanno proposto appello.

1.4. C.R. ha resistito al gravame, chiedendone il rigetto. Gli altri appellati sono rimasti contumaci.

2.1. La corte d’appello, con la sentenza in epigrafe, ha rigettato l’appello.

2.2. La corte, in particolare, dopo aver premesso che:

l’oggetto di un contratto preliminare di vendita immobiliare può essere determinato attraverso atti e fatti storici esterni al negozio, anche successivi alla sua conclusione, nella sola ipotesi in cui l’identificazione del bene da trasferire avvenga in sede di conclusione consensuale del contratto definitivo su base negoziale e non quando, invece, afferisca ad una pronuncia giudiziale ai sensi dell’art. 2932 c.c., caso nel quale occorre che l’esatta individuazione dell’immobile, con l’indicazione dei confini e dei dati catastali, risulti dal preliminare, dovendo la sentenza corrispondere esattamente al contenuto del contratto, senza poter attingere da altra documentazione i dati necessari alla specificazione del bene oggetto del trasferimento, trattandosi di contratto per il quale è imposta la forma scritta;

negli atti traslativi, costitutivi e modificativi di diritti reali immobiliari, a norma della L. n. 52 del 1985, art. 29, comma 1 bis, così come modificata del D.L. n. 78 del 2010, art. 19, comma 14, conv. in L. n. 122 del 2010, l’identificazione catastale, il riferimento alla planimetria depositata in catasto e la dichiarazione di conformità dei dati catastali e delle planimetrie allo stato di fatto sono prescritti a pena di nullità e tale requisito vale anche per la sentenza ex art. 2932 c.c., che tiene luogo del contratto di vendita non concluso;

la disposizione della L. 28 febbraio 1985, n. 47, art. 18, comma 2, che sancisce la nullità degli atti tra vivi aventi ad oggetto il trasferimento, la costituzione o lo scioglimento della comunione di diritti reali relativi a terreni, quando ad essi non sia allegato il certificato di destinazione urbanistica contenente le prescrizioni urbanistiche riguardanti l’area interessata, comporta l’esigenza di allegazione del detto certificato per la stipulazione del contratto definitivo o per la sentenza di esecuzione specifica dell’obbligo di concludere il contratto definitivo, di cui all’art. 2932 c.c., per cui, poiché la sentenza emessa a norma dell’art. 2932 c.c., postula l’accertamento dei requisiti di validità del contratto non concluso, incombe sull’attore l’onere di provare la sussistenza delle condizioni richieste per un valido trasferimento, producendo il certificato in parola;

la pronuncia della sentenza ex art. 2932 c.c., relativamente ai fabbricati, richiede che l’attore produca in giudizio la concessione edilizia o il permesso di costruire o la licenza edilizia o la concessione in sanatoria o, in alternativa, per gli immobili abusivi realizzati prima del 17/3/1985, l’allegazione della domanda di concessione in sanatoria con gli estremi del versamento ovvero, per gli edifici realizzati prima dell’1/9/1967, la dichiarazione sostitutiva del proprietario o di altro avente titolo attestante l’anteriorità rispetto a tale data dell’inizio dell’opera e la mancanza di modifiche richiedenti concessione o autorizzazione, nonché l’attestazione di conformità dello stato dell’immobile ai dati catastali e non solo alla planimetria e il certificato di agibilità o di abitabilità dell’immobile; ha ritenuto che, nel caso in esame, gli attori non avessero adempiuto all’onere della prova gravante sugli stessi nei termini esposti.

2.3. La corte, infatti, dopo aver osservato che:

il contratto preliminare ha descritto il terreno promesso in vendita come “appezzamento di terreno… da distaccarsi dal fondo di maggior estensione di proprietà dei promittenti venditori e che dovrà corrispondere agli esistenti primo e secondo terrapieno a terrazza posti a meridione del fabbricato rurale…” aggiungendo che “il terreno frazionato si estenderà ad est fino all’ideale prolungamento del muro di cinta posto ad oriente del predetto fabbricato” e che “il cespite promesso dovrà quindi confinare per tre lati (sud, est e nord) con beni di proprietà della parte venditrice e ad ovest con proprietà già della parte acquirente.

Attualmente riportato in catasto alla partita (OMISSIS) fol. (OMISSIS) n. (OMISSIS)”; – nel corso del giudizio, è stato depositato un atto di frazionamento catastale attestante l’intervenuta separazione, all’interno del terreno censito al fg. (OMISSIS), part. (OMISSIS), N.C.T., di due terreni ora censiti al foglio (OMISSIS), partt. (OMISSIS); ha rilevato che, a parte la mancata indicazione di quale delle due predette particelle debba formare oggetto della sentenza, “non vi è corrispondenza fra gli estremi del fondo indicato nel contratto preliminare con quello dal quale avrebbe dovuto essere separata la particella oggetto della compravendita (riportata in catasto alla partita (OMISSIS), fol. 5, part. n. (OMISSIS), N. C.T.) e quelli del fondo indicato, indicato, nel frazionamento, come fondo “madre” (censito al fg. (OMISSIS), part. (OMISSIS), N.C.T.)” e che “la difformità in questione pregiudica la certa identificazione del bene, in assenza di una visura storica catastale, il cui esame consenta alla Corte di accertare quali siano stati i passaggi intermedi che hanno determinato tale mutamento di classificazione”, tanto più che il frazionamento è stato eseguito senza il consenso degli attuali proprietari. Quanto, infine, alla destinazione urbanistica, la corte ha osservato che il certificato prodotto in giudizio dagli appellanti non è attuale, sia perché risalente al 14/10/2008, sia in quanto riferito, ancora una volta, al fondo indicato nel contratto preliminare e non a quelli enunciati nell’atto di frazionamento: gli attori avrebbero dovuto farsi rilasciare, e quindi allegare, un certificato relativo al terreno, come frazionato a seguito dell’aggiornamento eseguito dall’Agenzia del territorio.

2.4. La corte d’appello, inoltre, per ciò che riguarda la domanda relativa al fabbricato, ha rilevato che non risultavano depositati i documenti relativi a:

l’individuazione specifica dell’immobile con l’indicazione dei dati catastali;

l’indicazione dei titoli di provenienza della proprietà dell’alienante;

la mancanza di iscrizioni e trascrizioni pregiudizievoli nell’ultimo ventennio;

la concessione edilizia o il permesso di costruire o la licenza edilizia o la concessione in sanatoria o, in alternativa, per gli immobili abusivi realizzati prima del 17/3/1985, l’allegazione della domanda di concessione in sanatoria con gli estremi del versamento ovvero, per gli edifici realizzati prima dell’1/9/1967, la dichiarazione sostitutiva del proprietario o di altro avente titolo attestante l’anteriorità rispetto a tale data dell’inizio dell’opera e la mancanza di modifiche richiedenti concessione o autorizzazione;

l’attestazione di conformità dello stato dell’immobile ai dati catastali e non solo alla planimetria;

il certificato di agibilità o di abitabilità dell’immobile.

I promissari acquirenti, al contrario, ha osservato la corte, si sono limitati ad allegare la pendenza di una procedura per la sanatoria di taluni abusi edilizia consumati su una parte del fabbricato rurale, a seguito di domanda n. 4318 del 21/3/1986: solo che, a prescindere dall’insussistenza della prova del buon esito della procedura di sanatoria in questione, non risulta alcuna certificazione circa la regolarità del restante compendio urbanistico (ovvero un’idonea dichiarazione dei promittenti venditori circa l’avvenuta edificazione dello stesso in data antecedente al 1/9/1967), rimanendo al riguardo irrilevante la dichiarazione di conformità edilizia resa, nell’atto rogato in data 24/3/1985, dai danti causa dei promissari acquirenti, in quanto risalente nel tempo e non adeguatamente confermata da analoga dichiarazione degli appellati, che avrebbe potuto essere rilasciata anche in corso di causa. In definitiva, ha concluso la corte, manca, con riguardo al fabbricato, la prova circa la conformità urbanistica del bene alle disposizioni urbanistiche ed edilizie vigenti e tale fatto è ostativo alla possibilità di trasferire il bene.

3.1. D.D.G., F.A. e D.D.S., con ricorso notificato il 30/11/2016, hanno chiesto, per tre motivi, la cassazione della sentenza.

3.2. C.R., D.P.A., D.P.A.R., D.P.G., Di.Pa.As. e V.C. sono rimasti intimati.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

4.1. Con il primo motivo, i ricorrenti, denunciando la violazione e la falsa applicazione della L. n. 47 del 1985, art. 40 e della L. n. 662 del 1996, art. 2, nonché degli artt. 1346 e 2932 c.c. e art. 115 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, hanno censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha escluso la possibilità di poter procedere al trasferimento del fabbricato rurale per la mancanza di prova del buon esito della procedura in sanatoria riguardante l’ampliamento subito dal fabbricato nel 1983, per la mancanza di una dichiarazione che attestasse la costruzione della restante parte prima del 1967 e per la mancanza di individuazione catastale, di visura ipoteche e trascrizioni, di attestazione di conformità e del certificato di agibilità e di abitabilità.

4.2. Così facendo, però, hanno osservato i ricorrenti, la corte d’appello non ha considerato che il fabbricato rurale, pur essendo stato costruito prima del 1967, aveva subito un ampliamento in assenza del necessario permesso nel 1983, e che tale intervento lo aveva reso, limitatamente al lieve ampliamento realizzato, in parte abusivo. Gli attori, quindi, nel corso del giudizio di primo grado, hanno prodotto in giudizio la domanda di condono, presentata in data 21/3/1985, ai sensi della L. n. 47 del 1985, e il bollettino attestante il versamento a titolo di oblazione.

4.3. Inoltre, hanno aggiunto i ricorrenti, l’atto pubblico

con il quale, in data 26/3/1986, gli originari proprietari avevano venduto il fabbricato ai promittenti venditori dimostra tanto la dichiarazione che lo stesso era stato costruito in epoca anteriore all’1/9/1967, quanto la domanda di condono presentata in data 21/3/1986 ai sensi della L. n. 47 del 1985.

4.4. I dati catastali del fabbricato, infine, risultano chiaramente dal preliminare, che li indica come N.C.E.U., partita (OMISSIS), f. (OMISSIS), n. (OMISSIS), mentre la visura ipotecaria e il certificato di agibilità o abitabilità non costituiscono documenti necessari ai fini della validità della compravendita.

4.5. Il motivo è infondato.

4.6. I ricorrenti, intanto, non si confrontano con la sentenza che hanno impugnato: la quale, in effetti, lungi dal negare che il contratto preliminare contenesse l’espressa indicazione dei dati catastali identificativi del fabbricato, ha, più semplicemente, ritenuto, con statuizione rimasta del tutto incensurata, che gli attori non avevano prodotto la documentazione attestante la conformità tra i predetti dati catastali e lo stato di fatto dell’immobile (v. la sentenza impugnata, p. 8 e 10).

4.7. Nel giudizio di esecuzione in forma specifica dell’obbligo di concludere un contratto di trasferimento immobiliare relativo ad un fabbricato già esistente, del resto, la conformità catastale oggettiva di cui alla L. n. 52 del 1985, art. 29, comma 1 bis, costituisce una condizione dell’azione e deve formare oggetto di accertamento da parte del giudice, che non può accogliere la domanda ove la presenza delle menzioni catastali difetti al momento della decisione.

4.8. Peraltro, le indicazioni circa la cd. conformità catastale oggettiva, ovvero l’identificazione catastale del bene, il riferimento alle planimetrie depositate in catasto, la dichiarazione o attestazione di conformità dei dati catastali e delle planimetrie allo stato di fatto, previste dalla L. n. 52 del 1985, art. 29, comma 1 bis, aggiunto dal D.L. n. 78 del 2010, art. 19, comma 14, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 122 del 2010, a pena di nullità del contratto di trasferimento immobiliare, devono sussistere, quali condizioni dell’azione, nel giudizio di trasferimento giudiziale della proprietà degli immobili mediante sentenza emessa ai sensi dell’art. 2932 c.c., anche in relazione ai processi instaurati, come quello di specie, prima dell’entrata in vigore del D.L. n. 78 del 2010 (Cass. n. 20526 del 2020).

4.9. Ne’, del resto, può invocarsi in senso contrario l’anteriorità del contratto preliminare dedotto in giudizio (5/8/1999) rispetto all’entrata in vigore del D.L. n. 78 del 2010.

Questa Corte, sul punto, ha compiutamente osservato “… che la disposizione introdotta dall’art. 19, comma 14, di tale decreto riguarda i contratti traslativi e non i contratti ad effetti obbligatori, come fatto palese dalla lettera della legge, che contempla esclusivamente “gli atti pubblici e le scritture private autenticate tra vivi aventi ad oggetto il trasferimento, la costituzione o lo scioglimento di comunione di diritti reali”.

Sulla scorta di tale premessa, il Collegio osserva che, in mancanza di una disciplina transitoria, tale disposizione trova applicazione, ai sensi dell’art. 11 preleggi (“la legge non dispone che per l’avvenire”), a tutti i contratti di trasferimento conclusi dopo la sua entrata in vigore.

La legge, infatti, non pone alcuna distinzione tra contratti traslativi conclusi spontaneamente e contratti traslativi conclusi in esecuzione di una pregressa obbligazione di contrarre e pertanto, con riferimento questi ultimi, nessun rilievo può attribuirsi all’epoca di insorgenza dell’obbligazione di contrarre; va quindi data continuità al principio, già espresso da questa Corte con la sentenza n. 4522/08, che, nel caso di contratto preliminare di compravendita, l’effetto traslativo è determinato soltanto dal contratto definitivo, sicché la ricorrenza dei 5 requisiti di forma e sostanza necessari ai fini della validità del contratto traslativo non possono che fare riferimento alla legge vigente al momento della stipula di questo”.

4.10. E neppure, ha proseguito questa Corte, può rilevare il fatto che il termine contrattualmente fissato per la stipula dell’atto di trasferimento era già scaduto alla data di entrata in vigore del D.L. n. 78 del 2010: “la scadenza del termine pattuito per il rogito determina l’esigibilità del diritto al trasferimento dell’immobile nonché, quando si tratti di termine essenziale, il diritto della parte adempiente di chiedere la risoluzione del contratto preliminare per l’inadempimento della controparte; ma non esclude, nel caso in cui le parti pervengano egualmente alla conclusione dell’atto di trasferimento, che la relativa stipula soggiaccia alle regole vigenti nel momento in cui essa viene compiuta”.

4.11. Ne’, infine, ha aggiunto questa Corte, importa il fatto che il giudizio di esecuzione in forma specifica era stato introdotto prima dell’entrata in vigore del D.L. n. 78 del 2010, posto che:

“in tema di esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto, la sentenza di trasferimento coattivo prevista dall’art. 2932 c.c., non può essere emanata in assenza della dichiarazione – contenuta nel preliminare o successivamente prodotta in giudizio – avente ad oggetto gli estremi della concessione edilizia; dichiarazione che costituisce requisito richiesto a pena di nullità del contratto traslativo della L. n. 47 del 1985, già menzionati artt. 17 e 40 e, ora, D.P.R. n. 380 del 2001, art. 46 (sentt. nn. 1199/97, 5902/02, 9647/06, 13225/08, 8489/16, 1505/18, 21721/19)”;

“tale orientamento – che discende dalla considerazione che la pronuncia giudiziale, avendo funzione sostitutiva di un atto negoziale dovuto, non può realizzare un effetto maggiore e diverso da quello che sarebbe stato possibile alle parti, né, comunque, un effetto che eluda le norme di legge che governano, nella forma e nel contenuto, l’autonomia negoziale delle parti – implica, come corollario, che la presenza della dichiarazione sugli estremi della concessione edilizia integra una condizione dell’azione ex art. 2932 c.c. e non un presupposto della domanda, cosicché la produzione di tale dichiarazione può intervenire anche in corso di causa e altresì nel corso del giudizio d’appello, purché prima della relativa decisione, giacché essa è sottratta alle preclusioni che regolano la normale attività di deduzione e produzione delle parti (in termini, con specifico riferimento alla dichiarazione sostitutiva di atto notorio di cui alla L. n. 47 del 1985, art. 40, attestante l’inizio dell’opera in data anteriore al 2 settembre 1967, Cass. 6684/19)”;

“i suddetti principi, elaborati dalla giurisprudenza di legittimità con riferimento alla c.d. “conformità edilizia ed urbanistica”, devono ritenersi operanti anche con riferimento alla c.d. “conformità catastale oggettiva”, attesa l’evidente analogia, strutturale e teleologica, delle rispettive discipline”; per cui, in definitiva, la “conformità catastale oggettiva” rappresenta, al pari della “conformità edilizia ed urbanistica”, una condizione dell’azione; con la conseguenza che essa soggiace al principio generale che, ai fini dell’accertamento della sussistenza delle condizioni dell’azione, rileva non il momento della domanda, bensì quello della decisione (cfr. SSUU n. 23825/09; da ultimo, Cass. 16068/19).

D’altra parte, proprio la riconosciuta specularità tra la sentenza ex art. 2932 c.c., ed il contratto di cui essa è destinata a produrre gli effetti impone di ritenere che, come i contratti ad effetti reali conclusi sotto la vigenza della L. n. 52 del 1985, art. 29, comma 1 bis, vanno soggetti alle disposizioni ivi dettate, parimenti a tali disposizioni vanno soggette le sentenza traslative ex art. 2932 c.c., emessa dopo l’entrata in vigore del D.L. n. 78 del 2010″; dovendosi, quindi, dare continuità “ai principi già recentemente enunciati da questa Corte con la sentenza n. 12654/20, secondo cui:

il disposto della L. 27 febbraio 1985, n. 52, art. 29, comma 1 bis, aggiunto dal D.L. 31 maggio 2010, n. 78, art. 19, comma 14, convertito, con modificazioni, con la L. 30 luglio 2010, n. 122, trova applicazione anche in ordine al trasferimento giudiziale della proprietà degli immobili con sentenza emessa ai sensi dell’art. 2932 c.c.;

il suddetto disposto si applica anche nei giudizi aventi ad oggetto l’adempimento in forma specifica di un contratto preliminare ex art. 2932 c.c., instaurati prima dell’entrata in vigore del D.L. n. 78 del 2010”, per cui è infondata la tesi “… che pretende di escludere l’applicabilità delle disposizioni introdotte della L. n. 78 del 2010, art. 19, comma 14, nei processi già pendenti alla data di entrata in vigore di detto decreto legge” (Cass. n. 20526 del 2020, in motiv.).

4.12. Quanto al resto, la Corte osserva che, in tema di esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto preliminare di compravendita su di un immobile, è preclusa al giudice la possibilità di disporre il trasferimento coattivo della proprietà (o di altri diritti reali) in assenza della dichiarazione degli estremi della concessione edilizia o degli altri titoli abilitanti previsti dalla legge, trattandosi di condizione dell’azione, la cui mancanza è rilevabile d’ufficio (cfr. Cass. n. 21721 del 2019).

In effetti, la L. n. 47 del 1985, con riferimento agli atti aventi per oggetto diritti reali (esclusi quelli riguardanti i diritti di garanzia e di servitù) riferiti a costruzioni realizzate prima dell’entrata in vigore della detta legge, ha stabilito, all’art. 40, comma 2, che tali atti “sono nulli e non possono essere rogati se da essi non risultano, per dichiarazione dell’alienante, gli estremi della licenza o della concessione ad edificare o della concessione rilasciata in sanatoria ai sensi dell’art. 31, ovvero se agli stessi non viene allegata la copia per il richiedente della relativa domanda, munita degli estremi dell’avvenuta presentazione, ovvero copia autentica di uno degli esemplari della domanda medesima, munita degli estremi dell’avvenuta presentazione e non siano indicati gli estremi dell’avvenuto versamento delle prime due rate dell’oblazione di cui dell’art. 35, comma 6.

Per le opere iniziate anteriormente al 10 settembre 1967, in luogo degli estremi della licenza edilizia può essere prodotta una dichiarazione sostitutiva di atto notorio, rilasciata dal proprietario o altro avente titolo, ai sensi e per gli effetti della L. 4 gennaio 1968, n. 15, art. 4, attestante che l’opera risulti iniziata in data anteriore al 1 settembre 1967”.

Le Sezioni Unite di questa Suprema Corte hanno recentemente statuito che la nullità comminata, tra gli altri, dalla L. n. 47 del 1985, art. 40, “va ricondotta nell’ambito dell’art. 1418 c.c., comma 3, di cui costituisce una specifica declinazione, e deve qualificarsi come nullità “testuale”, con tale espressione dovendo intendersi, in stretta adesione al dato normativo, un’unica fattispecie di nullità che colpisce gli atti tra vivi ad effetti reali elencati nelle norme che la prevedono, volta a sanzionare la mancata inclusione in detti atti degli estremi del titolo abilitativo dell’immobile, titolo che, tuttavia, deve esistere realmente e deve esser riferibile, proprio, a quell’immobile” (Cass. SU n. 8230 del 2019).

Si tratta di una nullità che costituisce la sanzione di una norma imperativa di “ordine pubblico”, dettata nell’interesse generale e non disponibile dalle parti, dovendosi ritenere, pertanto, preclusa, per le parti di un preliminare di compravendita immobiliare, la possibilità di rivolgersi al giudice onde ottenere quel trasferimento della proprietà dell’immobile promesso in vendita che essi non potrebbero conseguire per via negoziale per difetto di concessione edilizia o di titolo abilitativo equipollente, così come il giudice non può emanare sentenza di trasferimento coattivo prevista dall’art. 2932 c.c., in assenza della dichiarazione, contenuta nel preliminare o successivamente prodotta in giudizio, circa gli estremi della concessione edilizia e di uno degli altri titoli abilitativi previsti dalla legge.

In definitiva, in tema di esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto, non può essere emanata sentenza di trasferimento coattivo prevista dall’art. 2932 c.c., in assenza della dichiarazione, contenuta nel preliminare o successivamente prodotta in giudizio, sugli estremi della concessione edilizia (o di titolo abilitativo equipollente, come nel caso in cui il promittente venditore non abbia provveduto, con dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà, ad attestare che le relative opere fossero state eseguite prima del 1/9/1967: Cass. n. 9647 del 2006), che costituisce il requisito richiesto a pena di nullità dalla L. n. 47 del 1985, art. 40, ed integra una condizione dell’azione di cui all’art. 2932 c.c., non potendo tale pronuncia realizzare un effetto maggiore e diverso da quello possibile alle parti nei limiti della loro autonomia negoziale, e la relativa mancanza è rilevabile d’ufficio, atteso l’interesse pubblico all’ordinata trasformazione del territorio e le peculiarità della sentenza ex art. 2932 c.c. (Cass. n. 8489 del 2016; Cass. n. 1505 del 2018; sulla rilevabilità d’ufficio, in ogni stato e grado del giudizio, degli estremi della concessione edilizia o di titolo equipollente, cfr. Cass. SU n. 23825 del 2009; Cass. n. 6684 del 2019; Cass. n. 21721 del 2019).

4.13. La sentenza impugnata, pertanto, lì dove, con apprezzamento non censurato per omesso esame di fatto decisivo risultante dagli atti di causa, ha rilevato, per un verso, che i promissari acquirenti si erano limitati ad allegare, relativamente agli abusi realizzati su parte del fabbricato, la domanda di condono n. 4318 del 21/3/1986, e, per altro verso, che gli stessi non avevano prodotto, con riguardo al restante compendio urbanistico, alcuna certificazione attestante la sua regolarità edilizia né un’idonea dichiarazione circa l’avvenuta edificazione dello stesso in data antecedente all’1/9/1967, ed ha, per l’effetto, rigettato la domanda di esecuzione in forma specifica del contratto preliminare, si è attenuta ai principi esposti e si sottrae, quindi, alle censure svolte sul punto dai ricorrenti.

4.14. Ne’, del resto, può rilevare la dichiarazione resa nell’atto di vendita in data 24/3/1985 dai danti causa dei promissari acquirenti, posto che la legge “per le opere iniziate anteriormente al 10 settembre 1967”, prevede che “in luogo degli estremi della licenza edilizia può essere prodotta una dichiarazione sostitutiva di atto notorio, rilasciata dal proprietario o altro avente titolo, ai sensi e per gli effetti della L. 4 gennaio 1968, n. 15, art. 4, attestante che l’opera risulti iniziata in data anteriore al 1 settembre 1967”: e tale dichiarazione (la cui carenza è parimenti rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio: Cass. SU n. 23825 del 2009) non ammette equipollenti per cui non è consentito al giudice “di attribuire elementi di certezza a delle situazioni che il legislatore – nell’ambito di una scelta discrezionale e non irrazionale (tale certo non essendo quella del coinvolgimento diretto dell’alienante in una responsabilità anche di ordine penale per delle false attestazioni: come dimostra l’esplicito richiamo alla L. n. 15 del 1968, art. 4) – ha ritenuto comprovabili soltanto con specifiche modalità” (Cass. n. 9647 del 2006, in motiv.).

4.15. E neppure, infine, rileva il fatto che, come emerge dalla sentenza, l’abuso edilizio ha riguardato solo una parte del fabbricato rurale. In effetti, se, da un lato, è vero che, in tema di esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto di compravendita, ai sensi della L. n. 47 del 1985, art. 40, può essere pronunciata sentenza di trasferimento coattivo ex art. 2932 c.c., nel caso in cui l’immobile abbia un vizio di regolarità urbanistica non oltrepassante la soglia della parziale difformità rispetto alla concessione, dovendosi distinguere, anche quando sia stata presentata istanza di condono edilizio con versamento della somma prevista per l’oblazione e la pratica non sia stata definita, tra ipotesi di abuso primario, relativo a beni immobili edificati o resi abitabili in assenza di concessione, e abuso secondario, caratterizzato dalla circostanza che solo una parte di unità immobiliare già esistente abbia subito modifica o mutamento di destinazione d’uso (Cass. n. 11659 del 2018); è anche vero, però, che, nel caso in esame, non emerge in alcun modo (né dalla sentenza né dalla riproduzione in ricorso delle corrispondenti emergenze degli atti del processo) che tale parziale difformità rispetto all’originaria struttura non abbia comportato un aumento consistente della volumetria realizzata, né consta che non abbia dato luogo ad un organismo integralmente diverso o autonomamente utilizzabile, realizzando, cioè, una parziale difformità dalla concessione che, per le ragioni esposte, non impedisce l’emanazione della sentenza ex art. 2932 c.c., perché il corrispondente negozio di trasferimento non sarebbe nullo (Cass. n. 8081 del 2014).

Del resto, la questione relativa alla natura solo parziale della difformità e alla conseguente possibilità di procedere senz’altro alla pronuncia ex art. 2932 c.c., non risulta dedotta, per quanto emerge dalla sentenza impugnata e dallo stesso ricorso, nel giudizio di merito.

Ed e’, invece, noto che i motivi del ricorso per cassazione, dovendo investire questioni che abbiano formato oggetto del thema decidendum del giudizio di secondo grado, come fissato dalle impugnazioni e dalle richieste delle parti, non possono riguardare nuove questioni di diritto se esse postulano, come quella in esame, accertamenti in fatto non compiuti dal giudice del merito ed esorbitanti dai limiti funzionali del giudizio di legittimità (Cass. n. 20694 del 2018; Cass. n. 16742 del 2005; Cass. n. 22154 del 2004; Cass. n. 2967 del 2001).

5.1. Con il secondo motivo, i ricorrenti, denunciando la violazione degli artt. 1346 e 2932 c.c., nonché dell’art. 115 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, hanno censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha escluso la possibilità di procedere al trasferimento coattivo del terreno in difetto di esatta individuazione del bene e per mancanza di individuazione catastale, della visura ipoteche e trascrizioni e del certificato di destinazione urbanistica.

5.2. La corte d’appello, però, hanno osservato i ricorrenti, così facendo, non ha considerato che il bene risulta sufficientemente individuato già in forza dei dati contenuti nel contratto preliminare in questione, vale a dire i dati catastali ed i confini perimetrali dello stesso.

D’altra parte, nel corso del giudizio d’appello, è stato prodotto l’atto di frazionamento, eliminando ogni dubbio circa l’esatta identificazione del terreno promesso in vendita, identificato come particella n. (OMISSIS) e cioè la sola che, per ubicazione e confini perimetrali, corrispondeva esattamente alla parte di terreno che, per come descritta nel preliminare, era stata promessa in vendita.

5.3. La visura ipotecaria, poi, hanno aggiunto i ricorrenti, non costituisce un documento necessario ai fini della validità della compravendita.

5.4. Il certificato di destinazione urbanistica, infine, è stato ritualmente prodotto nel corso del giudizio d’appello, non rilevando, sul punto, il fatto che lo stesso non fosse più attuale perché risalente al 14/10/2008 e, quindi, a data anteriore al frazionamento, che non incide di per sé sulla destinazione urbanistica del bene, rimasta immutata.

5.5. Con il terzo motivo, i ricorrenti, denunciando l’omesso esame del fatto storico decisivo rappresentato dalla evoluzione del numero identificativo della particella catastale madre, dal cui frazionamento derivava la particella da trasferirsi con sentenza, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, hanno censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello, pur a fronte del deposito dell’atto di frazionamento catastale attestante la separazione della parte di terreno promessa dalla maggiore estensione di proprietà dei promittenti venditori, ha ritenuto che fosse ancora incerta l’identificazione del terreno da trasferirsi, omettendo, così, di esaminare il fatto costituito dall’evoluzione del numero identificativo della particella catastale madre, indicata nel preliminare, per effetto del frazionamento, da quale veniva generata la particella da trasferirsi con sentenza, e cioè la n. (OMISSIS).

Contrariamente a quanto affermato dalla corte, dagli atti depositati in giudizio risulta agevolmente che la particella madre indicata nel frazionamento con il n. (OMISSIS) corrisponde alla particella madre 621a, che è quella indicata nel preliminare come quella dalla quale distaccare la parte promessa di minore estensione.

La corte d’appello, quindi, hanno concluso i ricorrenti, se avesse esaminato i documenti indicati, avrebbe escluso la difformità tra la particella n. (OMISSIS), di cui al frazionamento del 2014, e la particella 621a, di cui al preliminare.

6.1. Il secondo ed il terzo motivo, da trattare congiuntamente, sono infondati.

6.2. Intano, dev’essere ribadito il principio per cui l’oggetto di un contratto preliminare di vendita immobiliare può essere determinato attraverso atti e fatti storici esterni al negozio, anche successivi alla sua conclusione, nella sola ipotesi in cui l’identificazione del bene da trasferire avvenga in sede di conclusione consensuale del contratto definitivo su base negoziale e non anche quando, invece, afferisca ad una pronuncia giudiziale ai sensi dell’art. 2932 c.c.: in quest’ultimo caso, infatti, occorre che l’esatta individuazione dell’immobile, con l’indicazione dei confini e dei dati catastali, risulti dal preliminare, dovendo la sentenza corrispondere esattamente al contenuto del contratto, senza poter attingere da altra documentazione i dati necessari alla specificazione del bene oggetto del trasferimento, trattandosi di contratto per il quale è imposta la forma scritta; e l’accertamento della presenza dei requisiti necessari per una sicura identificazione dell’oggetto del preliminare contratto è riservato al giudice di merito ed è soggetto al sindacato di legittimità solo sotto il profilo della logicità e congruità della motivazione (Cass. n. 21449 del 2017; Cass. n. 952 del 2013, la quale ha confermato la sentenza di merito, la quale aveva rigettato una domanda di esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto preliminare avente ad oggetto un lotto di terreno, del quale era ricavabile la sola superficie complessiva, genericamente descritta come parte di un mappale, ma non la sagoma e l’esatta collocazione dell’area, assumendosi perciò la carenza dei parametri di determinabilità del bene promesso in vendita; Cass. n. 11874 del 2002).

6.3. La corte d’appello, pertanto, lì dove ha ritenuto che il contratto preliminare, essendosi limitato a descrivere il terreno promesso in vendita come “appezzamento di terreno… da distaccarsi dal fondo di maggior estensione di proprietà dei promittenti venditori e che dovrà corrispondere agli esistenti primo e secondo terrapieno a terrazza posti a meridione del fabbricato rurale…”, aggiungendo che “il terreno frazionato si estenderà ad est fino all’ideale prolungamento del muro di cinta posto ad oriente del predetto fabbricato” e che “il cespite promesso dovrà quindi confinare per tre lati (sud, est e nord) con beni di proprietà della parte venditrice e ad ovest con proprietà già della parte acquirente. Attualmente riportato in catasto alla partita (OMISSIS) fol. (OMISSIS) n. (OMISSIS)”, non conteneva gli elementi necessari per consentire “la certa identificazione del bene” promesso in vendita, ed ha, quindi, rigettato (pur a fronte del deposito, nel corso del giudizio, dell’atto di frazionamento catastale attestante l’intervenuta separazione, all’interno del terreno censito al fg. (OMISSIS), part. (OMISSIS), N.C.T., di due terreni ora censiti al foglio (OMISSIS), partt. (OMISSIS)) la domanda di esecuzione in forma specifica proposta dai promissari acquirenti, non ha violato gli esposti principi, sottraendosi, quindi, alle censure articolate sul punto dai ricorrenti.

6.4. La corte, per il resto, ha rilevato che il certificato prodotto in giudizio dagli appellanti non fosse utilizzabile ai fini della pronuncia della sentenza di cui all’art. 2932 c.c., sia perché risalente al 14/10/2008, sia in quanto riferito al fondo indicato nel contratto preliminare e non a quelli emergenti dall’atto di frazionamento, e ne ha, in definitiva, escluso (con apprezzamento in fatto non censurato utilmente per omesso esame di fatti decisivi risultanti dagli atti del giudizio: cfr. Cass. SU n. 8053 del 2014) la sussistenza, rigettando la domanda di esecuzione in forma specifica che gli attori avevano proposto.

Ed e’, in effetti, noto che, in tema di esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto preliminare di compravendita su un terreno, è preclusa al giudice la possibilità di disporre il trasferimento coattivo della proprietà (o di altri diritti reali) in assenza del relativo certificato di destinazione urbanistica, trattandosi di condizioni dell’azione, la cui mancanza è rilevabile d’ufficio (Cass. n. 21721 del 2019).

Invero, con riferimento agli atti aventi ad oggetto il trasferimento dei diritti reali su terreni, della L. n. 47 del 1985, art. 18, comma 2 (poi abrogato dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 136, ma riprodotto con il medesimo testo nel D.P.R. n. 380 cit., art. 30), allo scopo di prevenire il fenomeno della c.d. lottizzazione abusiva, ha stabilito che “gli atti tra vivi, sia in forma pubblica, sia in forma privata, aventi ad oggetto trasferimento o costituzione o scioglimento della comunione di diritti reali relativi a terreni sono nulli e non possono essere stipulati né trascritti nei pubblici registri immobiliari ove agli atti stessi non sia allegato il certificato di destinazione urbanistica contenente le prescrizioni urbanistiche riguardanti l’area interessata”.

Analogamente, deve ritenersi preclusa al giudice la possibilità di disporre ai sensi dell’art. 2932 c.c., il trasferimento coattivo della proprietà di un terreno (o di altri diritti reali su di esso) in assenza di certificato di destinazione urbanistica (Cass. n. 13221 del 2006; Cass. n. 17436 del 2011; Cass. n. 22077 del 2011; Cass. n. 16068 del 2019). Questa Corte, del resto, ha ritenuto che, in materia di validità degli atti di alienazione o divisione di immobili, della L. n. 47 del 1985, art. 18, comma 3 (al pari del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 30, comma 3), prescrivendo, sotto pena di nullità, l’allegazione del certificato di destinazione urbanistica e stabilendo che lo stesso conserva validità per un anno dalla data del rilascio se, per dichiarazione dell’alienante o del condividente, non siano intervenute modificazioni degli strumenti urbanistici, configura tale dichiarazione come elemento essenziale di validità del certificato fino alle scadenza del detto termine (da considerare perentorio) di un anno, con esclusione della sua fungibilità da una situazione di fatto di reale conformità del contenuto del certificato dell’effettiva destinazione urbanistica dell’area, con la conseguenza che la carenza (che, peraltro, nel caso in esame non risulta accertata dalla sentenza) della dichiarazione integra una situazione del tutto equivalente a quella di mancata allegazione del certificato ed ugualmente sanzionata con la nullità dell’atto (Cass. n. 11568 del 1992; Cass. n. 12650 del 1997), al pari, evidentemente, della risalenza del certificato, al momento della decisione, ad oltre un anno prima rispetto alla data di rilascio.

7. Il ricorso, quindi, dev’essere rigettato.

8. Nulla per le spese di lite in difetto di controricorso da parte dei resistenti.

9. La Corte dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte così provvede: rigetta il ricorso; dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 8 giugno 2021.

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