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Cassazione civile sez. II, 22/06/2023, n. 17919

Massima

Il diritto del mediatore alla provvigione non sorge qualora l’affare, pur perfezionatosi con la sottoscrizione di una proposta di acquisto accettata, sia subordinato a una condizione sospensiva (come l’ottenimento di un mutuo), che non si verifica per cause non imputabili al promissario acquirente, e ciò anche se la proposta è qualificabile come “preliminare di preliminare”.

Supporto alla lettura

MEDIAZIONE IMMOBILIARE

Si tratta di una pratica professionale che coinvolge un mediatore qualificato con il compito di facilitare la compravendita di beni immobiliari. Questo servizio è volto a semplificare il processo di vendita, dalla ricerca di acquirenti interessati alla conclusione del contratto, assicurando che entrambe le parti siano soddisfatte dell’accordo.

La mediazione immobiliare si articola in diverse fasi:

  1. contatto iniziale: viene stabilito il primo contatto tra il mediatore e il cliente;
  2. valutazione: il professionista valuta l’immobile da vendere o da acquistare;
  3. promozione: segue la fase di promozione dell’immobile attraverso varie strategie;
  4. proposta di acquisto: in caso di interesse, l’acquirente presenta una proposta;
  5. trattativa: si negozia il prezzo e le condizioni di vendita;
  6. preliminare di vendita: redatto il contratto preliminare, o compromesso;
  7. atto finale: si conclude con la firma dell’atto di vendita.

Il contratto di mediazione immobiliare è un contratto scritto che formalizza l’incarico al mediatore di collegare le parti per la vendita o l’acquisto di un immobile. È necessario per regolamentare i diritti e gli obblighi del mediatore, e per stabilire l’ammontare della provvigione a seguito della conclusione dell’affare.

Le clausole nel contratto di mediazione immobiliare devono precisare i termini dell’incarico, inclusi la durata del mandato e le modalità di recesso. La durata della mediazione è solitamente definita nel contratto e varia a seconda della specificità dell’incarico, mentre il diritto alla provvigione nasce al momento della conclusione dell’accordo, indipendentemente dall’effettiva stipula dell’atto di compravendita.

Ambito oggettivo di applicazione

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE
1. (omissis), titolare dell’impresa (omissis) Immobiliare, ha proposto ricorso articolato in cinque motivi avverso la sentenza n. 786/2017 della Corte d’appello pubblicata il 19 ottobre 2017.

Resiste con controricorso (omissis).

2. La trattazione del ricorso è stata fissata in Camera di consiglio, a norma dell’art. 375 c.p.c., commi 2, 4-quater, e art. 380 bis.1 c.p.c., nel testo applicabile ratione temporis del D.Lgs. n. 149 del 2022, ex art. 35.

Il controricorrente ha depositato memoria.

3. La Corte d’appello di Trieste ha respinto l’appello formulato da (omissis) avverso la sentenza resa dal Tribunale di Trieste il 23 dicembre 2015, la quale aveva rigettato la domanda della (omissis), titolare della (omissis) Immobiliare, volta alla condanna di (omissis) al pagamento della provvigione maturata in conseguenza della sottoscrizione in data 26 settembre 2012 da parte del convenuto, quale promissario compratore, di una proposta di acquisto di un immobile, accettata dal promittente venditore il 31 ottobre 2012. La proposta era subordinata alla concessione di un mutuo in favore del promissario acquirente da parte di un istituto di credito. L’attrice aveva dedotto che il diritto alla provvigione trovasse fondamento nella clausola n. 8 del contratto, e per effetto della conoscenza dell’accettazione della proposta di acquisto, non rilevando la mancata conclusione del definitivo dovuta alla sopravvenuta rinuncia del compratore per problemi familiari. Il Tribunale ritenne non sorto il diritto alla provvigione per il mancato verificarsi della condizione.

La Corte d’appello di Trieste ha parimenti negato il diritto alla provvigione in forza dell’art. 1757 c.c., ed ha altresì escluso che la condizione cui era subordinata la proposta di acquisto potesse considerarsi avverata ai sensi dell’art. 1359 c.c., in quanto era stato accertato: che il promittente venditore aveva preteso di inserire nuove clausole nel preliminare di compravendita che le parti avrebbero dovuto stipulare entro il 31 dicembre 2012 (eliminando anche la condizione sospensiva relativa al mutuo), clausole non previste nella proposta di acquisto accettata grazie all’intervento della meditatrice; che il promissario acquirente si era adoperato per ottenere il mutuo bancario ben prima della data stabilita per la stipula del preliminare, incontrando difficoltà anche per il ritardato inoltro di documenti alla banca e per i reiterati differimenti del sopralluogo nell’immobile ai fini della perizia di stima imputabili al venditore; che la pratica di finanziamento non si era pertanto mai perfezionata e che perciò il “preliminare di preliminare” concluso grazie alla mediazione della (omissis) non era mai divenuto efficace, essendo venuta meno, prima ancora della data pattuita per il preliminare, la necessità di ottenere il mutuo.

4. Il primo motivo del ricorso di (omissis) deduce il “Vizio di omessa motivazione comportante l’omesso esame di un punto decisivo della controversia, ex art. 360 c.p.c., n. 5”, ravvisando oscurità e contraddizioni tra quanto affermato nelle pagine 9 e 11 della sentenza impugnata.

Il secondo motivo del ricorso di (omissis) denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1755 e 1757 c.c.. Si assume che “la mancata conclusione del contratto, come pure il mancato avveramento della condizione sospensiva, siano dipesi dalla risoluzione del vincolo sostanziale piuttosto che dal recesso contrattuale, e non da fatto oggettivo ostativo al verificarsi dell’evento condizionante” e che alla luce dell’affare concluso per il tramite della (omissis), il (omissis) avrebbe potuto/dovuto completare l’istruttoria bancaria per ottenere l’erogazione del mutuo indi potendo agire avverso il venditore ex art. 2932 c.c., sì da ottenere adempimento alle obbligazioni discendenti dal vincolo obbligatorio perfezionatosi tra acquirente e venditore, e/o far valer i propri profili risarcitori.

Il terzo motivo di ricorso allega la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1351 e 1353 c.c.. Si sostiene dal ricorrente che “il diritto alla provvigione da parte del mediatore sia conseguente non alla conclusione del negozio giuridico, ma dell’affare, inteso come qualsiasi operazione di natura economica generatrice di un rapporto obbligatorio tra le parti, quale è il preliminare di preliminare…” e che la Corte d’appello di Trieste “non si è avveduta… di come il S. abbia soggettivamente rinunciato alla condizione inizialmente apposta, non coltivando l’istruttoria per conseguire la Delibera di concessione o diniego; condotta che altro non è che espressione di rinuncia alla pratica di finanziamento, per sopravvenuto disinteresse, da intendersi quindi avverata, piuttosto che da qualificare come rinuncia alla condizione sospensiva inizialmente pattuita”. La censura fa richiamo della comunicazione inviata dal S. a mezzo del proprio legale in data 22 febbraio 2013, nella quale si riferiva “… il mio assistito non ha giustificatamente ritenuto di sottoscrivere il contratto preliminare di compravendita (..) non certo per un capriccio insensato, quanto perché con detto contratto il mio cliente avrebbe dovuto accollarsi una serie di oneri economici ingiustificati e comunque non contemplati nella proposta irrevocabile di acquisto sottoscritta a settembre… venuto meno l’interesse al preliminare il mio cliente rappresenta sin d’ora di essere disponibile ad addivenire alla stipula del rogito entro il termine indicato nella proposta di acquisto (30.04.13) ed alle condizioni ivi indicate, senza alcun onere aggiuntivo e non concordato nella proposta stessa…”.

Il quarto motivo del ricorso di (omissis) deduce la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1355,1358 e 1359 c.c., affermando che la Corte d’appello di Trieste, “ove avesse rettamente collegato la mancata erogazione del mutuo alla mancata conclusione della pratica di finanziamento per deliberata scelta del (omissis), avrebbe dovuto ritenere la condizione sospensiva comunque avverata, in quanto non concretizzatasi per atto volitivo del (omissis) stesso”.

Il quinto motivo del ricorso di (omissis) deduce la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 92 c.p.c., sostenendo che la ricorrente “e’ risultata pienamente soccombente anche quanto alle spese processuali di entrambi i gradi di giudizio, in violazione del principio di causalità oggettiva”.

5. I primi quattro motivi di ricorso, da esaminare congiuntamente per la loro connessione, risultano inammissibili per plurimi motivi.

5.1. Innanzitutto, quanto alla prima censura, opera la previsione d’inammissibilità del ricorso per cassazione, di cui all’art. 348-ter c.p.c., comma 5 (applicabile ratione temporis), che esclude che possa essere impugnata ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la sentenza di appello “che conferma la decisione di primo grado” e che risulti fondata sulle stesse ragioni, inerenti alle questioni di fatto, poste a base della sentenza di primo grado (cd. doppia conforme). La ricorrente non indica, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, in quale misura siano tra loro diverse le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello (ex multis, Cass. n. 5947 del 2023).

5.2. Nel vigore del testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), introdotto dal D.L. n. 83 del 2012, convertito con modifiche nella L. n. 134 del 2012, neppure è più configurabile il vizio di contraddittoria motivazione della sentenza, atteso che la norma suddetta attribuisce rilievo solo all’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti.

5.3. La sentenza impugnata contiene comunque la motivazione riferibile alle argomentazioni rilevanti per individuare e comprendere le ragioni, in fatto e in diritto, della decisione, sicché non ricorre alcuna anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante.

5.4. Le prime quattro censure sono in realtà essenzialmente rivolte a sovvertire gli accertamenti di fatto che sono a base della decisione della Corte di Trieste e che costituiscono frutto dell’apprezzamento riservato ai giudici del merito, auspicandosi inammissibilmente dalla Corte di cassazione un rinnovato accesso diretto agli atti ed una diversa valutazione inferenziale delle risultanze istruttorie. Pur denunciandosi il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la sostanza dei motivi non ravvisa un’erronea ricognizione interpretativa, da parte del provvedimento impugnato, delle fattispecie astratte recata dalla indicate previsioni normativi, implicante un problema interpretativo della stessa, né l’erronea sussunzione della fattispecie concreta in qualificazioni giuridiche che non le si addicono; viene, piuttosto, allegata un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, la quale è rimessa al sindacato di legittimità soltanto nei limiti di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5). Ed in tal senso, la ricorrente non segnala l’omesso esame di fatti storici, che abbiano costituito oggetto di discussione tra le parti e abbiano carattere decisivo (vale a dire che, se esaminati, avrebbero determinato un esito diverso della controversia), riferendosi, piuttosto, all’omesso esame di elementi istruttori che avrebbero potuto incidere nell’apprezzamento di fatti storici comunque presi in considerazione dai giudici del merito.

5.5. I primi quattro motivi sono complessivamente carenti di specifica riferibilità alla ratio decidendi della sentenza impugnata e perciò sono ex se inidonei a poterne giustificare la cassazione, agli effetti dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4. Inoltre, il provvedimento impugnato ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza di questa Corte e l’esame dei motivi non offre elementi per mutare tale orientamento, ai sensi dell’art. 360-bis c.p.c., n. 1.

5.5.1. La Corte d’appello di Trieste, in estrema sintesi, ha negato il diritto alla provvigione vantato da (omissis) nei confronti di (omissis), in relazione all’affare consistito nella sottoscrizione in data 26 settembre 2012 da parte di (omissis) di una proposta di acquisto di un immobile, accettata dal promittente venditore il 31 ottobre 2012. La stessa ricorrente qualifica tale contratto un “preliminare di preliminare”.

La proposta di acquisto era subordinata alla concessione di un mutuo in favore del promissario acquirente e questa condizione incontrovertibilmente non si era verificata, ne poteva dirsi avverata per causa imputabile a (omissis).

5.5.2. Ora, è noto che il diritto del mediatore alla provvigione sorge allorché la conclusione dell’affare abbia avuto luogo per effetto dell’intervento del mediatore stesso, e cioè quando tale conclusione possa comunque ricollegarsi con rapporto di causalità adeguata all’attività mediatrice.

A tal fine, non basta allegare che la conclusione dell’affare tra (omissis) e il promittente venditore si possa trarre dall’accettazione da parte di quest’ultimo della proposta di acquisto sottoscritta dal promissario compratore.

Infatti, per poter ravvisare la conclusione dell’affare, quale fonte del diritto della mediatrice alla provvigione, non basta accertare la sottoscrizione della proposta irrevocabile d’acquisto da parte dell’aspirante acquirente, che offre un certo corrispettivo per l’acquisto del bene, e nemmeno riscontrare che vi sia stata la conforme accettazione del proprietario, che pur abbia dato luogo ad una puntuazione vincolante sui profili in ordine ai quali l’accordo è irrevocabilmente raggiunto, e valga perciò a configurare un “preliminare di preliminare”, secondo quanto spiegato dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 4628 del 2015.

Questa Corte ha piuttosto già chiarito che, al fine di riconoscere al mediatore il diritto alla provvigione, l’affare può ritenersi concluso quando tra le parti poste in relazione dal mediatore medesimo si sia costituito un vincolo giuridico che abiliti ciascuna di esse ad agire per l’esecuzione specifica del negozio, nelle forme di cui all’art. 2932 c.c., ovvero per il risarcimento del danno derivante dal mancato conseguimento del risultato utile del negozio programmato (Cass. Sez. 2, n. 30083 del 2019; Sez. 2, n. 39377 del 2021; Sez. 2, n. 15559 del 2022; Sez. 2, n. 15577 del 2022; Sez. 2, n. 17396 del 2022; Sez. 2, n. 20132 del 2022; Sez. 2, n. 24533 del 2022; Sez. 62, n. 28879 del 2022; Sez. 2, n. 7628 del 2023).

Non risulta quindi nemmeno prospettata dalla ricorrente una “conclusione dell’affare” agli effetti dell’art. 1755 c.c., ovvero l’incontro della volontà delle parti diretto a creare il vincolo giuridico costituito dall’assunzione dell’impegno alla futura stipula del contratto definitivo in base agli elementi essenziali individuati.

5.5.3. Neppure può altrimenti ritenersi che il diritto alla provvigione di (omissis) discendesse in ogni modo dalla stipula del contratto formatosi con la sottoscrizione della proposta di acquisto del 26 settembre 2012 e l’accettazione del 31 ottobre 2012, essendo esso sottoposto alla condizione sospensiva dell’ottenimento di un mutuo bancario da parte del promissario acquirente, ed operando perciò l’art. 1757 c.c., il quale differisce l’insorgenza del diritto alla provvigione al momento in cui la condizione sospensiva si verifica (Cass. n. 7332 del 2009; n. 5463 del 1978).

Secondo diffuso orientamento di questa Corte, inoltre, nel caso in cui le parti subordinino gli effetti di un contratto preliminare di compravendita immobiliare alla condizione che il promissario acquirente ottenga da un istituto bancario un mutuo per poter pagare in tutto o in parte il prezzo stabilito, la relativa condizione è qualificabile come “mista”, dipendendo la concessione del mutuo non solo dalla volontà della banca, ma anche dal comportamento del promissario acquirente nell’approntare la relativa pratica, sicché la mancata concessione del mutuo comporta le conseguenze previste in contratto, senza che rilevi, ai sensi dell’art. 1359 c.c., un eventuale comportamento omissivo del promissario acquirente, sia perché tale disposizione è inapplicabile nel caso in cui la parte tenuta condizionatamente ad una data prestazione abbia anch’essa interesse all’avveramento della condizione, sia perché l’omissione di un’attività in tanto può ritenersi contraria a buona fede e costituire fonte di responsabilità, in quanto l’attività omessa costituisca oggetto di un obbligo giuridico, e la sussistenza di un siffatto obbligo deve escludersi per l’attività di attuazione dell’elemento potestativo in una condizione mista (così Cass. n. 22046 del 2018; n. 23824 del 2004; n. 10074 del 1996).

Peraltro, ai fini della eventuale operatività dell’art. 1359 c.c., al segmento non casuale della condizione, e cioè quella correlata all’attività del promissario acquirente nell’attivarsi per l’erogazione del finanziamento bancario, la Corte di Trieste ha apprezzato in fatto, con valutazione non sindacabile in cassazione per violazione o falsa applicazione di norme di diritto, che (omissis) aveva agito correttamente per ottenere il prestito entro la data stabilita per la stipula del preliminare, non essendo dimostrata alcuna condotta commissiva dolosa o colposa dello stesso finalizzata ad impedire l’avveramento della condizione e dovendosi, piuttosto. Al contrario, erano state accertate condotte ostruzionistiche nell’inoltro dei documenti alla banca e nella disponibilità a consentire il sopralluogo nell’immobile ai fini della perizia di stima imputabili al venditore.

6. Il quinto motivo di ricorso è anch’esso inammissibile ai sensi dell’art. 360-bis c.p.c., n. 1, giacché l’attrice ed appellante (omissis) è risultata integralmente soccombente nei gradi pregressi e il sindacato della Corte di cassazione in tema di spese processuali è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le stesse non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa, rientrando nel potere discrezionale del giudice di merito la valutazione dell’opportunità di compensarle in tutto o in parte.

7. Il ricorso va perciò dichiarato inammissibile, regolandosi secondo soccombenza in favore del controricorrente le spese del giudizio di cassazione nell’importo liquidato in dispositivo.

Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente a rimborsare al controricorrente le spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 3.700,00, di cui Euro per 200,00 esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 15 giugno 2023.

Depositato in Cancelleria il 22 giugno 2023

Allegati

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