• Home
  • >
  • Cassazione civile sez. II, 21/11/2017, n.27624

Cassazione civile sez. II, 21/11/2017, n.27624

Massima

L’ipotesi in cui un soggetto trasferisca convenzionalmente in tutto in parte la proprietà dei suoi beni per il tempo in cui avrà cessato di vivere e contestualmente vi sia l’impegno a mantenere irrevocabile tale convenzione configura un patto successorio ex art. 458 c.c., che, in quanto nullo, non può essere ricevuto dal notaio, ai sensi dell’art. 28 della l. n. 89 del 13 febbraio 1913 .

Supporto alla lettura

Responsabilità notaio

Tra notaio e le parti roganti si instaura un rapporto contrattuale. Il notaio, nel svolgere la propria attività verso il cliente che assiste, è tenuto sia alla prestazione espressamente richiesta sia ai compiti ulteriori che siano necessari a garantire il buon esito del risultato. Tra questi vi è il c.d. obbligo di consiglio ribadito di recente da Cass. civ., sez. III, 18-05-2017, n. 12482, per il quale il notaio incaricato della redazione ed autenticazione di un contratto preliminare per la compravendita di un immobile, non può limitarsi a procedere al mero accertamento della volontà delle parti ed a sovraintendere alla compilazione dell’atto, occorrendo anche che egli si interessi delle attività preparatorie e successive necessarie ad assicurare la serietà e la certezza degli effetti tipici dell’atto medesimo e del risultato pratico perseguito ed esplicitato dalle parti stesse (nella specie, in cui le parti avevano pattuito un termine di nove anni per la stipula del definitivo, la suprema corte ha ritenuto che rientrava nel c.d. «dovere di consiglio», gravante sul notaio ex art. 42, 1º comma, lett. a), del codice di deontologia notarile, avvertire le parti della durata triennale degli effetti della trascrizione del preliminare, ai sensi dell’art. 2645 bis, 3º comma, c.c., e, conseguentemente, degli ulteriori adempimenti necessari a garantire la sicurezza dell’operazione).

La regola è che l’opera demandata al notaio richiesto della preparazione e stesura di un atto pubblico non si riduce al mero compito di accertare la volontà delle parti, ma si estende a quelle attività preparatorie e successive necessarie affinché sia assicurata la serietà e la certezza dell’atto giuridico da rogarsi, per effetto del conseguimento dello scopo tipico di esso, con la conseguenza che l’inosservanza dei menzionati obblighi accessori da parte del notaio, salvo espresso esonero delle parti, comporta responsabilità ex contractu per inadempimento dell’obbligazione di prestazione d’opera intellettuale, a nulla rilevando che la legge professionale non contenga alcun esplicito riferimento a tale peculiare forma di responsabilità: Cass. civ., sez. I, 29-11-2007, n. 24939.

Deve anche accertare la capacità di disporre delle parti stesse; infatti per Cass. civ., sez. III, 19-12-2014, n. 26908, sussiste la responsabilità contrattuale del notaio che abbia rogato un atto di trasferimento di immobile allorché il venditore sia stato in precedenza dichiarato fallito, risultando per tale ragione l’atto privo di effetti verso i creditori; il bene, pertanto, deve essere restituito e l’acquirente ha diritto al risarcimento del danno patito, il cui ammontare è pari al valore monetario dell’immobile al momento dell’effettivo rilascio, detratto l’importo corrispondente al vantaggio economico tratto nel periodo in cui l’acquirente ne ha avuto il godimento quale proprietario. Deve altresì consigliare alle parti l’atto più conveniente sotto il profilo fiscale, come ricorda Cass. civ., sez. II, 13-01-2003, n. 309: il notaio, chiamato a stipulare un atto in cui le parti interessate si dichiarano «coltivatori», ha l’obbligo, ai sensi dell’art. 1176 c.c., di svolgere un’adeguata ricerca legislativa, al fine di far conseguire alle parti il regime fiscale più favorevole, sul presupposto, pacifico nella giurisprudenza della suprema corte, secondo il quale la funzione del notaio non si esaurisce nella mera registrazione delle dichiarazioni delle parti, ma si estende all’attività di indirizzo anche fiscale, nei limiti delle conoscenze che devono far parte del normale bagaglio di un professionista che svolge la sua attività principale nel campo della contrattazione immobiliare. Quanto agli altri suoi compiti, il notaio deve effettuare le verifiche sulle trascrizioni pregiudizievoli che gravino sul bene, essendo altrimenti tenuto al risarcimento del danno Così Cass. civ., sez. III, 26-8-2014, n. 18244: il notaio incaricato di un atto avente per oggetto la vendita di un immobile, ove non abbia compiuto diligentemente le necessarie visure ipocatastali, è responsabile dei danni subiti dal compratore del bene, che risulti gravato da iscrizioni o trascrizioni pregiudizievoli non dichiarate, ma soltanto nei limiti di quella parte del prezzo che non sia stata già versata in precedenza al venditore.

Peraltro, secondo Cass. civ., sez. III, 21-06-2012, n. 10297, qualora le parti, pur avvertite dal notaio dell’obbligo di trascrivere l’atto, abbiano escluso la trascrizione o disposto che essa avvenga in ritardo, tanto nel caso di previsione della esenzione del notaio da responsabilità, quanto in mancanza di tale espressa esenzione, deve escludersi che al professionista possa addebitarsi una responsabilità per il danno subìto in conseguenza della mancata o tardiva trascrizione, atteso che il comportamento del notaio è stato da loro consentito e anzi, sul piano del contratto di prestazione d’opera, imposto.

Ambito oggettivo di applicazione

FATTI DI CAUSA

1. – Su richiesta dell’Archivio Notarile Distrettuale di Firenze, la Commissione Amministrativa Regionale di Disciplina della Toscana avviò procedimento disciplinare nei confronti del notaio G.G., esercente in Firenze, e gli irrogò la sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio della professione per la durata di mesi sei, ritenendolo responsabile – per quanto in questa sede ancora rileva – della violazione dell’art. 28 dell’ordinamento notarile (capo A), per avere ricevuto un atto proibito dalla legge, in quanto contrario alla norma imperativa dell’art. 458 cod. civ. che vieta i “patti successori”, tale qualificando la convenzione stipulata in data (OMISSIS) tra i coniugi R.A. e B.C., laddove si stabiliva che, in caso di morte pressocchè contemporanea dei predetti, il 50% degli utili derivanti dall’attività di impresa esercitata dal marito sarebbero passati ad entrambi i rispettivi figli nella egual misura del 50%, prevedendosi altresì che detto accordo non poteva essere modificato senza il consenso e la firma di entrambi i contraenti.

2. – Avverso la decisione della CO.RE.DI. della Toscana, l’incolpato propose reclamo alla Corte di Appello di Firenze, che, con ordinanza del 24.5.2016, lo rigettò.

3. – Per la cassazione di tale ordinanza ricorre G.G. sulla base di un unico motivo.

Resiste con controricorso l’Archivio Notarile Distrettuale di Firenze, che ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Il Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Firenze è rimasto intimato.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con l’unico motivo di ricorso, si deduce (ex art. 360 c.p.c., n. 3) la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1411,1412 e 513 c.c., per avere la Corte di Appello escluso che l’atto di convenzione tra coniugi ricevuto dal notaio fosse, piuttosto che un patto successorio, un valido contratto in favore di terzo da eseguire dopo la morte dello stipulante, secondo quanto previsto dall’art. 1412 c.c..

La doglianza non è fondata.

Com’è noto, l’art. 457 c.c., nello stabilire che “l’eredità si devolve per legge o per testamento”, esclude che la successione possa devolversi per contratto, esclude cioè la regolamentazione pattizia del fenomeno successorio. In questo senso, l’art. 457 cod. civ. va letto unitamente all’art. 458 c.c. – che ne costituisce il corollario – e che sancisce la nullità dei “patti successori” (“E’ nulla ogni convenzione con cui taluno dispone della propria successione”).

I patti successioni sono vietati per il votum captandae mortis che essi determinano e perchè, vincolando il de cuius, privano quest’ultimo di quella libertà di disporre delle proprie sostanze, per il tempo in cui avrà cessato di vivere; libertà questa – manifestazione della più generale libertà della persona – che la legge riconosce ad ogni individuo fino al momento della sua morte (“Ambulatoria est voluntas testantis usque ad vitae supremum exitum”).

E’ per questo che l’ordinamento riconosce ad ognuno la libertà di disporre delle proprie sostanze mediante quel negozio unilaterale, non recettizio, che è il “testamento” (art. 587 c.c.); e garantisce la revocabilità e modificabilità del testamento in ogni tempo, stabilendo espressamente che “Non si può in alcun modo rinunziare alla facoltà revocare o mutare le disposizioni testamentarie”, aggiungendo che “ogni clausola o condizione contraria non ha effetto” (art. 679 c.c.).

In questo quadro, si comprende perchè i patti successori siano vietati dall’ordinamento, trattandosi di accordi negoziali che limitano la libertà del de cuius di disporre delle proprie sostanze per testamento fino all’ultimo istante della sua vita.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, dalla quale non v’è ragione di discostarsi, configurano un patto successorio sia le convenzioni aventi ad oggetto una vera e propria istituzione di erede rivestita della forma contrattuale, sia quelle che abbiano ad oggetto la costituzione, trasmissione o estinzione di diritti relativi ad una successione non ancora aperta, tali da far sorgere un “vinculum iuris” di cui la disposizione ereditaria rappresenti l’adempimento (ex plurimis, Cass., Sez. 2, n. 24450 del 19/11/2009; Sez. 2, n. 5870 del 09/05/2000; Sez. 2, n. 2623 del 27/04/1982; Sez. 2, n. 6230 del 24/11/1980).

Sussiste, pertanto, patto successorio – come tale nullo ai sensi dell’art. 458 c.c. – allorquando, dall’accordo negoziale tra due o più parti, risulti che il promittente abbia inteso provvedere in tutto o in parte alla propria successione, accettando di sottoporsi ad un vincolo giuridico che lo ha privato dello jus poenitendi (cfr., Cass., Sez. 2, n. 2404 del 22/07/1971; Sez. 2, n. 1683 del 16/02/1995).

Nella specie, con la convenzione ricevuta dal notaio G., i coniugi R.- B. hanno convenuto che “In caso di morte pressochè contemporanea i proventi predetti passeranno ad entrambi i rispettivi figli in egual misura del 50%”.

Si tratta di una pattuizione con la quale le parti hanno chiaramente inteso regolare le rispettive successioni, con effetti vincolati tra loro. Di ciò si trova conferma nella clausola che stabilisce che “Il presente accordo non potrà essere modificato in alcuna parte senza consenso e firme di entrambi”; clausola – questa – che priva le parti della loro facoltà di disporre diversamente per testamento, sottraendo al de cuius quella libertà di disporre della propria eredità che costituisce principio inderogabile dell’ordinamento.

In sostanza, deve ritenersi che la convenzione con la quale due coniugi dispongono dei loro beni (o di una parte di essi) in favore dei loro rispettivi figli, per il tempo in cui avranno cessato di vivere, stabilendo che l’accordo non potrà essere modificato senza consenso scritto manifestato da entrambi, limitando la possibilità per le parti di disporre dei loro beni mediante testamento, dà luogo ad un patto successorio, come tale vietato dall’art. 458 c.c. e, perciò, nullo; essendo per ciò stesso esclusa la configurabilità di un valido contratto a favore di terzi ai sensi dell’art. 1412 c.c..

Il divieto per il notaio di ricevere atti “espressamente proibiti dalla legge”, ai sensi della L. 16 febbraio 1913, n. 89, art. 28, comprende senz’altro gli atti affetti da nullità assoluta, quali quelli che includono patti commissori, espressamente vietati dalla legge.

Essendo – nella specie – evidente ed inequivoco il contrasto dell’atto ricevuto dal notaio con l’art. 458 c.c., esattamente la Corte territoriale ha ritenuto sussistente l’illecito disciplinare contestato.

2. – Il ricorso deve pertanto essere rigettato, con conseguente condanna della parte ricorrente, risultata soccombente, al pagamento delle spese processuali, liquidate come in dispositivo.

3. – Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto dopo il 30 gennaio 2013), sussistono i presupposti per il raddoppio del versamento del contributo unificato da parte del ricorrente, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.500,00 (tremilacinquecento) per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Seconda Sezione Civile, il 18 luglio 2017.

Allegati

    [pmb_print_buttons]

    Accedi