OSSERVA
1. Gi.Am. convenne in giudizio Fr.Ma. e Ma.Ma., nonché il Condominio Isolato …, Comparto V di M. L’attrice, esponendo di:
– avere acquistato dalle Ma. l’appartamento posto al piano terra in via Fa, …, la bottega sita in via De, … e quella sita in via De, …, allo scopo di ampliare i locali adibiti a pizzeria, della quale era titolare;
– che i predetti immobili godevano di una servitù di passaggio attraverso il portone e l’androne del fabbricato, rimasti in proprietà delle convenute;
– che queste avevano realizzato un ascensore, così riducendo la luce d’ingresso libera da 2,45 m. a 1,15 m., rendendo più difficoltoso l’esercizio della servitù;
– che l’opera era stata realizzata in violazione della distanza legale fra gli immobili posti al piano terra e costituiva una innovazione non legittima;
chiese condannarsi le Ma. al ripristino dello stato dei luoghi e a risarcire il danno.
1.1. Le convenute eccepirono che solo l’immobile di via Fa, … godeva della servitù di passaggio pedonale; che l’attrice aveva acconsentito alla realizzazione dell’ascensore per iscritto; che la riduzione di spazio utile non ostacolava l’esercizio della servitù; che l’opera era diretta all’abbattimento delle barriere architettoniche ex art. 3, l. n. 13/1989, con esonero dal rispetto delle distanze legali; che impropriamente si era affermato trattarsi di innovazione afferente all’uso del bene comune, in quanto l’ascensore insisteva sulla proprietà esclusiva delle convenute.
1.2. Il Condominio negò la propria legittimazione passiva, stante che l’opera era stata realizzata sulla proprietà esclusiva delle Ma..
1.3. Il Tribunale, accolta l’eccezione del difetto di legittimazione del Condominio, accolse la domanda nei confronti delle Ma., pur negando che l’opera avesse reso più difficoltosa la fruizione della servitù di passaggio, essa non poteva reputarsi funzionale all’abbattimento delle barriere architettoniche e ne ordinò l’arretramento fino al rispetto delle distanze legali.
1.4. La Corte d’appello di Messina, nella costituzione della Spa Logeimm, avente causa dalla Gi.Am., rigettò l’impugnazione.
1.4.1. La Corte territoriale ritenne coperta dal giudicato, in quanto non impugnata, l’affermazione d’inefficacia della scrittura privata, che, a dire delle appellanti, aveva autorizzato l’opera.
Rigettò l’unico motivo d’appello proposto, condividendo l’opinione del Tribunale, il quale aveva affermato che l’ascensore non rispondeva ad esigenze di abbattimento delle barriere architettoniche, sia da un punto di vista “procedurale-amministrativo”, (mancava l’attestazione dell’handicap), che avuto riguardo alla “oggettività tecnica” (richiama la relazione del c.t.u.).
2. Fr.Ma. e Ma.Ma. propongono ricorso sulla base di cinque motivi.
Resistono, con separati controricorsi, Gi.Am. e la Spa Logeimm.
3. Con atto del 12/12/2023, l’avv. Guido Barbaro, munito di procura speciale, esposto che era deceduta Fr.Ma., alla quale era succeduta la sorella Ma.Ma., già in giudizio in proprio, e che, deceduto altresì l’avv. Antonino Crisafulli, originario patrono delle Ma., con la comparsa di cui detto, si costituiva in giudizio per conto di Ma.Ma.
4. Le parti depositavano memorie.
5. La controricorrente Gi.Am. ha eccepito la tardività del ricorso, assumendo che la sentenza d’appello era stata notificata l’8/11/2018 e che le ricorrenti avevano provveduto a notificare il ricorso alla esponente al domicilio eletto in data 10/1/2019, oltre il termine decadenziale di legge.
5.1. L’eccezione è infondata.
La sentenza d’appello risulta essere stata notificata, siccome consta dalla relata allegata alla stessa, all’avv. Antonio Crisafulli, al tempo procuratore delle Ma., il giorno 12/11/2018 e non l’8/11/2018, siccome, per contro, affermato dall’Gi.Am., sulla base della relazione di notifica in suo possesso.
Questa Corte ha avuto modo di chiarire che ai fini della individuazione del “dies a quo” per la decorrenza del termine breve per l’impugnazione, quando emerga una difformità di date tra la relata di notifica della sentenza in possesso del notificante e quella consegnata al destinatario, la tempestività della impugnazione deve essere valutata con riguardo alla data risultante dalla relata di notifica redatta sull’atto consegnato a quest’ultimo, il quale non è tenuto a provare l’esattezza delle risultanze dell’atto ricevuto, su cui solo poteva fare affidamento per computare il termine utile per l’impugnazione, mentre spetta al notificante, secondo gli ordinari criteri di distribuzione dell’onere probatorio, provare mediante querela di falso – trattandosi di contrasto tra due atti pubblici – la corrispondenza della relata stilata sull’atto in suo possesso all’effettivo svolgimento “quoad tempus” delle formalità di notifica (Sez. 3, n. 19156, 1/09/2014, Rv. 632944; conf., ex multis, Cass. n. 27722/2019).
Condividendosi pienamente il principio sopra riportato l’eccezione, come anticipato, non merita accoglimento.
6. Per la priorità logica che lo contraddistingue occorre in primo luogo esaminare il terzo motivo.
Con esso viene denunciata violazione degli artt. 101-102 e 156 e segg. cod. proc. civ. per non avere la Corte territoriale annullato la sentenza di primo grado a cagione della non integrità del contraddittorio.
Osservano le ricorrenti che comproprietari dell’ascensore, avuto riguardo ai titoli di acquisto erano i condomini Di.-Sc. (ciò emergeva dalle stesse difese del Condominio, dal libretto matricola dell’ascensore e dalla ripartizione condominiale delle spese d’installazione e dei consumi per l’uso, documenti, questi, prodotti dalle convenute).
6.1. La doglianza è infondata.
È vero che la non integrità del contraddittorio deve essere rilevato d’ufficio (cfr., Cass, nn. 4665/20221, 23315/2020, 3973/2020, 6664/2018, 18127/2013); tuttavia, la parte che la eccepisce ha l’onere di indicare quali siano i litisconsorti pretermessi e di dimostrare i motivi per i quali è necessaria l’integrazione (sez. 2, n. 25810, 18/11/2013, Rv. 628300, conf. n. 17589/2020).
Nel caso di specie l’allegazione è sommaria e generica. Né muta la prospettiva l’asserto secondo il quale un condomino a nome Di., non meglio individuato, avrebbe partecipato alle spese d’installazione, il libretto matricola dell’ascensore risultava intestato al Condominio e le spese dei consumi venivano ripartiti in sede condominiale,.
Decisivamente, inoltre, incontroverso che l’area sulla quale risulta essere stato installato l’ascensore è di proprietà esclusiva della parte ricorrente, non si vede come, quindi, anche a volere prescindere dalla incompiuta individuazione dei soggetti nei confronti dei quali avrebbe dovuto essere esteso il contraddittorio, avrebbero potuto esserci litisconsorti pretermessi.
7. Con il primo motivo le ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione dell’art. 3, l. n. 13/1989.
Si sostiene l’erroneità della pronuncia per avere negato la sussistenza dello scopo di abbattimento delle barriere architettoniche, nonostante che il comma 2 dell’articolo di cui in premessa esclude il rispetto delle distanze di cui agli artt. 873 e 907 cod. civ. Inoltre, la Corte locale non aveva tenuto conto del fatto che le caratteristiche previste dall’art. 3 citato non avrebbero potuto essere rispettate, trattandosi di un intervento su un fabbricato preesistente e non di nuova costruzione o ristrutturazione.
7.1. La doglianza è infondata.
In primo e decisivo luogo deve osservarsi che non sussiste, sulla base di quanto emerge dagli atti, alcuno spazio comune (condominiale) tra l’ascensore e l’immobile ora della Logeimm, né, tantomeno, come si è visto, la struttura insiste su area condominiale. Di conseguenza trova piena applicazione l’art. 907 cod. civ.
L’art. 3, co. 2, l. n. 13/1989 dispone: “È fatto salvo l’obbligo di rispetto delle distanze di cui agli articoli 873 e 907 del codice civile nell’ipotesi in cui tra le opere da realizzare e i fabbricati alieni non sia interposto alcuno spazio o alcuna area di proprietà o di uso comune”.
A conferma può leggersi la sentenza n. 14096, 3/8/2012 (conf. Cass. n. 18852/2014) la quale afferma che, al fine di eliminare le barriere architettoniche l’installazione di un ascensore da parte di un condomino in area comunale rientra nei poteri spettanti ai singoli condomini ai sensi dell’art. 1102 cod. civ., senza che, ove siano rispettati i limiti di uso delle cose comuni stabiliti da tale norma, rilevi, la disciplina dettata dall’art. 907 cod. civ. sulla distanza delle costruzioni dalle vedute, neppure per effetto del richiamo ad essa operato nell’art. 3, comma secondo, della legge 9 gennaio 1989, n. 13, non trovando detta disposizione applicazione in ambito condominiale.
Dalla richiamata decisione si ricava, “a contrario”, ma inequivocamente, che il rispetto dell’art. 907 cod. civ. deve essere assicurato al di fuori dell’ambito condominiale.
In disparte va rilevato che non consta essere stato provato il presupposto dell’handicap previsto dalla l. n. 118/1971, all’art. 27 e dal d.P.R. n. 384/1978, all’art., co. 1; nonché, infine, il rispetto delle prescrizioni tecniche di cui al d.m. n. 236/1989; infine, il c.t.u. ha accertato la non idoneità dell’ascensore allo scopo di abbattere le barriere architettoniche per assenza di certificazione di conformità e perché privo dei requisiti dimensionali e tecnologici necessari.
8. Con il secondo motivo viene denunciato l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per avere la Corte peloritana affermato essere passata in giudicato, perché non espressamente impugnata, la negazione di valore autorizzativo alla scrittura sottoscritta dall’Ambrosino il 18/11/1999.
Trattavasi, spiegano il ricorso, di un mero passaggio motivazionale privo di autonomia, che non poteva assurgere a forza di giudicato implicito.
8.1. Il motivo non supera il vaglio d’ammissibilità poiché non viene neppure allegato essere stato svolto specifico motivo d’appello al fine di contestare la decisione del Tribunale, con la quale la scrittura, mediante la quale Gi.Am. avrebbe autorizzato l’installazione, era stata giudicata priva d’efficacia.
Impugnazione necessaria, non trattandosi di un mero passaggio motivazionale (diversa, pertanto, è l’ipotesi esaminata da Cass. n. 24358/2018): se fosse stata accertata la piena efficacia della scrittura la controversia si sarebbe risolta senz’altro a favore della parte ricorrente.
Per vero sussiste il concorrere dei presupposti da tempo individuati da questa Corte, per affermare la sussistenza del giudicato interno.
Il giudicato interno non si determina sul fatto ma su una statuizione minima della sentenza, costituita dalla sequenza rappresentata da fatto, norma ed effetto, suscettibile di acquisire autonoma efficacia decisoria nell’ambito della controversia, sicché l’appello motivato con riguardo ad uno soltanto degli elementi di quella statuizione riapre la cognizione sull’intera questione che essa identifica, così espandendo nuovamente il potere del giudice di riconsiderarla e riqualificarla anche relativamente agli aspetti che, sebbene ad essa coessenziali, non siano stati singolarmente coinvolti, neppure in via implicita, dal motivo di gravame (Sez. 3, n. 30728, 19/10/2022, Rv. 666050; conf., ex multis, Cass. nn. 10760/2019, 24783/2018, 12202/2017).
Quella statuizione minima, che se, di segno opposto, avrebbe risolto senz’altro la contesa in favore della parte oggi ricorrente, avrebbe dovuto essere espressamente fatta oggetto d’impugnazione.
9. Con il quarto motivo viene denunciata violazione e falsa applicazione dell’art. 2043 cod. civ. (condanna generica al risarcimento del danno), quale conseguenza della legittimità dell’installazione.
9.1. Si è in presenza di doglianza inammissibile, trattandosi di un “non motivo”, con il quale la parte invoca l’eliminazione della condanna generica al risarcimento del danno, non allegando specifici argomenti atti a contrastare la statuizione, ma quale conseguenza auspicata del rigetto dell’avversa domanda.
10. Il quinto motivo, con il quale, attraverso la denuncia della violazione dell’art. 92 cod. proc. civ., siccome interpretato dalla sentenza n. 77/2018 della Corte Costituzionale, la parte ricorrente si duole della mancata compensazione delle spese, è chiaramente inammissibile poiché assegna alla Corte di legittimità il compito di sindacare l’incensurabile valutazione della Corte d’appello.
Infine, sempre in seno al motivo in rassegna, viene immotivatamente “reclamata” la non applicabilità dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115/2002 (raddoppio del contributo unificato a carico della parte soccombente). Trattasi, ovviamente, di un mero “flatus vocis”, privo di spiegazione alcuna.
11. Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate nella misura di cui in dispositivo – tenuto conto del valore della causa e della qualità e quantità delle attività svolte – seguono la soccombenza.
12. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), ricorrono i presupposti per il raddoppio del versamento del contributo unificato a carico della ricorrente, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore di ciascuno dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida, per ciascuno, in euro 3.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00, e agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio del giorno 23 gennaio 2024.
Depositato in Cancelleria il 21 marzo 2024.
